di Ramiro Pinilla

 

[Esce oggi per Fazi L’albero della vergogna di Ramiro Pinilla (traduzione di Raul Schenardi), tra i maggiori romanzieri del novecento di lingua spagnola, per la prima volta tradotto in Italia].

 

Perché Pedro Alberto guida l’auto così piano e senza fare rumore, come intimorito, se da cinque giorni ogni resistenza dei baschi ormai è stata schiacciata? È notte, avanziamo lungo una strada di campagna e qualcuno canticchia sottovoce El que tenga un amor. È Luis. Non capisco perché non si metta a cantare, se ne ha voglia. Se noialtri siamo silenziosi, non è per non rivelare la nostra presenza, nessuno del posto si metterà contro di noi, ora la Spagna è nostra. Ce la stiamo conquistando come veri uomini: a viso aperto e con un atteggiamento inflessibile. Non è la prima volta che andiamo a giustiziare qualcuno. Non qui, in altre province nei mesi scorsi.

«È questa?», domanda Pedro Alberto.

«Sì», risponde il tipo che viaggia in piedi sul predellino.

«Sei sicuro?».

«Sì».

 

 

È una casa a un piano con soffitta e tetto spiovente, circondata da orti, non so se grandi. È buio. C’è un grande fico. Ieri la nostra guida si è presentata in municipio per arruolarsi nella milizia. Sta dalla nostra parte con il cuore o è un rosso che vuole ingannarci per salvare la pelle? Sia gli uni che gli altri sono utili per la nostra rivoluzione falangista. Subito dopo ci ha parlato del maestro che vive in questa casa. I maestri sono i più pericolosi, diffondono certe idee fra gli alunni, propagano il comunismo. «Sicuro che è un rosso?», gli ha domandato Pedro Alberto. «Sì, sicuro, sicuro. È stato repubblicano per tutta la vita». «E non è fuggito?», ha insistito il nostro capo. «L’ho visto questa mattina sulla sua porta», ha detto Joseba Ermo, che è il nome del tipo. «Gli faremo visita domani», ha stabilito Pedro Alberto.

 

Con questa faccenda delle denunce bisogna andare con i piedi di piombo. Qualche settimana fa, in un paese che si chiama Mondragón, mi pare, abbiamo tirato fuori di casa un poveraccio che giurava di essere sempre stato dalla parte di Franco. Abbiamo capito che era vero quando sua moglie ci ha raggiunto sventolando la nostra bandiera rossa e gialla, che avevano tenuta ben nascosta mentre comandavano i rossi separatisti. Sono sicuro che non abbiamo mai giustiziato nessuno per errore. Mi riferisco ai piagnucolii di qualche rosso quando impugniamo le pistole: «Sono di destra, vado a messa, la Repubblica mi perseguita, Franco è il nostro salvatore!», si lamentano. Noi ridiamo della loro paura. I rossi non ci sfuggono, li fiutiamo da lontano. Che piangano o no, emanano lo stesso odore. Quelli che di fronte al plotone d’esecuzione urlano: viva la Repubblica!, urlano per sé e per quelli che se la fanno sotto.

«Ci sono altri uomini?», domanda Pedro Alberto fermando l’auto.

«No… Be’, il primogenito ha sedici anni».

«Allora è un uomo».

 

Scendiamo dall’auto tutti e sei e ci sgranchiamo le membra. C’è odore di campagna, di erba verde, di nuova vegetazione. Joseba Ermo ci precede fino alla casa, che non dà segni di vita. Dentro dormiranno, è l’una di notte. Pedro Alberto fa un cenno e Luis e Fructuoso vanno avanti per montare la guardia ai lati della casa. È una manovra molto efficace contro gli abituali tentativi di fuga dalle finestre. Altri gruppi preferiscono far risuonare rumorosamente gli stivali, per mettere paura, dicono. Pedro Alberto no, riserva la sorpresa fino all’ultimo momento. «Li soffochiamo nella loro tana», è solito dire. Lui, io, Eduardo, Salvador e Joseba Ermo entriamo nel portico, e subito dopo rimbombano i pugni di Pedro Alberto contro la porta, mentre urla:

«Aprite immediatamente o la buttiamo giù!».

Dall’interno arrivano rumori confusi. A volte ci arriva anche: «Chi siete? Cosa volete?». Altre volte si limitano ad aprire. I rossi di stanotte sono di quelli che fanno domande; sempre due domande, sempre le stesse, come se i tipi di ogni angolo della patria si fossero messi d’accordo:

«Chi siete? Cosa volete?».

«Aprite! Aprite!», ordina Pedro Alberto con la sua vibrante voce autoritaria. Nessuna spiegazione! Cosa si aspettano questi stronzi? Ancora non sanno che hanno perso e si trovano nella nuova Spagna?

«Aprite subito, canaglie, porca puttana!», esplode Eduardo scalciando contro il legno.

Stride la serratura, la porta si apre di un palmo e vediamo un volto sopra una lampada a petrolio accesa. Con il peso del corpo Pedro Alberto spinge la porta e la spalanca del tutto facendo traballare l’uomo e la lampada. Dietro l’uomo c’è una famiglia, come sempre. Tutti gli occhi sono fissi sulle nostre uniformi falangiste, perciò non occorrono spiegazioni.

 

«Si prepari a seguirci», ordina Pedro Alberto. Come rende facili le cose difficili! Faccio volentieri questo lavoro, so che ce lo chiede la Spagna, ma c’è bisogno di molta forza interiore per portarlo a termine, perché noi non siamo criminali. Mi è di grande aiuto trovarmi alle spalle della camicia blu del mio capo, che mi contagia con la sua invincibile determinazione.

La donna che abbraccia quest’uomo dev’essere la moglie, supponendo che siano sposati, perché con questa gente non si sa mai.

«Perché volete portarlo via?», piange la donna. «Di cosa lo accusate?».

«Ha cospirato contro la Spagna», le spiega bruscamente Pedro Alberto.

«L’unica cosa che fa tutto il giorno è lavorare a scuola come maestro», dice la donna.

E Pedro Alberto la zittisce con una delle sue frasi irrefutabili:

«Le sembra poco?».

È un genio, l’ho capito da quello che gli ho visto fare appena cinque giorni fa. Si è presentato ai nostri comandanti poche ore dopo che eravamo entrati in questo municipio di… Gexto?… Sì, di Gexto. Viene da una famiglia ricca, tra le più importanti, gli Echabarri. Dalla sua villa nel quartiere di Neguri aveva sparato all’orda dei rossi separatisti in fuga.

 

La donna continua a stringere l’uomo fra le braccia. A un cenno di Pedro Alberto, in un attimo Eduardo lega le mani dell’uomo dietro la schiena con una corda che teneva pronta. Davanti a noi ci sono anche una nonna, un ragazzo, un bambino e una bambina.

«Quanti anni hai?», chiede Pedro Alberto al ragazzo.

«Quattordici, quattordici anni», interviene la nonna cingendo con le braccia il collo del ragazzo. «È che è molto cresciuto per la sua età».

«Ha sedici anni», sentiamo la voce di José Ermo dall’esterno.

Pedro Alberto guarda il ragazzo.

«Quanti anni hai?».

Il ragazzo lo guarda, i loro sguardi si incrociano.

«Sedici», dice.

Questa volta sono io, a un cenno di Pedro Alberto, a legare le altre mani con una corda che mi passa Eduardo.

E mentre lo faccio i miei occhi si fissano in quelli del bambino e non riescono a staccarsi. Cerco di pensare al fegato dimostrato dal ragazzo nel confessare la sua età, ma è inutile.

«Non portateli via, per favore!», urla la donna. «Siete persone come noi, e le persone hanno compassione le une delle altre!».

L’ordine di partire ce lo dà Pedro Alberto con un cenno della testa. I familiari ci guardano, tutti noi, ma gli occhi di quel bambino di dieci anni guardano solo me.

«Ci portate via quello che di più caro abbiamo al mondo!», urla la donna. «Voi non avete padri, figli o fratelli?».

«Non hanno mai fatto niente di male a nessuno!», urla la vecchia.

 

Volto le spalle al bambino per non vedere il suo sguardo. La nonna e la moglie non vogliono capire che le nostre esecuzioni sono una risposta alle mostruosità che commettono quelli della loro risma e alla nostra sacra missione di salvare la Spagna dall’ateismo sovietico… Perché devo sfuggire a quello sguardo? Mi giro e, sì, è ancora lì, fisso come una roccia, solo per me. Luis e Fructuoso non sono più necessari fuori, così entrano in casa, e al momento giusto, perché la moglie e la vecchia si aggrappano ai loro cari con tanta forza che gli strattoni di Eduardo e Salvador non bastano per staccarle. Sentono di averne diritto e bisognerà farsene una ragione. Che ne sanno loro della rinascita della Patria? Che cosa pensa lo sguardo del bambino? Che vuole da me, solo da me?

«Muoviti, Rogelio», sento dire da Pedro Alberto.

Posso girare la testa. Luis, Fructuoso, Eduardo e Salvador lottano con le due donne, aggrappate ai loro uomini come piattole. La bambina piange già da un po’. Un momento fa, il bambino non piangeva. Perché no? No, non avrà più di dieci anni, solo tre più della sorella. Per verificare se è scoppiato in lacrime anche lui, lo guardo un’altra volta. Continua a non piangere. E di nuovo non riesco a sfuggire a quegli occhi. Perché un moccioso di dieci anni ha quegli occhi freddi che non piangono per quello che sta succedendo qui?

«Dà una mano, Rogelio, che queste non mollano», mi dice Salvador mentre strattona la vecchia.

Pedro Alberto perde la pazienza e si mette a lottare per spingerci tutti nel portico, e lì decide che è ora di farla finita con le mezze misure, afferra la donna per un braccio e con uno spintone la butta per terra. Io faccio la stessa cosa con la vecchia, liberando Luis e Salvador. L’uomo e il ragazzo ora sono davvero nostri. Vedo sulla soglia il bambino e la bambina. La bambina corre a sollevare le due donne, che però si alzano da sole, e le urla crescono d’intensità. È il loro dovere, è quello che si aspettano da loro stesse. Come potrebbero, sennò, sopportare gli anni che restano da vivere? Tutti dobbiamo accettare i ruoli che Dio ha assegnato a ciascuno… Perché il bambino non ha mosso un dito? Non sa che dovrebbe fare quello che sta facendo la bambina? Magari è cieco, e i suoi occhi non vedono quello che sta succedendo. Ma allora, come so che vede me? Come so che i nostri sguardi s’incrociano e né il suo né il mio possono fare altro? Come so che lo sguardo di quel bambino “non vuole” fare altro che guardarmi?

 

Ci avviamo con i nostri prigionieri. Non è facile fingere di non sentire le grida delle due donne. Soltanto Luis e Fructuoso si voltano a guardarle. Io li imito e mento dicendo a me stesso che lo faccio per guardare le due donne: è per guardare lui. Ed ecco i suoi occhi, su di me. Si disinteressa di quello che gli succede davanti e si concentra su di me. Comunque, continuo a vedere anche le due donne: la madre si preme le mani sulla faccia, lasciando scoperti solo gli occhi, e la vecchia attorciglia le mani una all’altra e le allunga verso di noi, come se ci supplicasse. Siamo abituati a scene del genere e andiamo avanti. Al diavolo il bambino e il suo sguardo! Ma subito dopo mi domando: chi cazzo è lui per…?

«Aspettatemi un momento», dico al gruppo.

Torno verso il porticato.

«Cosa ti sei dimenticato?», mi domanda Pedro Alberto.

«Quel nano del cazzo. Ci portiamo via anche lui».

Sembrava che le donne non potessero urlare più forte, invece potevano. Mi fermo a un metro dal bambino con la pistola in pugno.

«Cosa pensi di fare?», mi domanda Pedro Alberto.

«Qualunque cosa…! Non deve guardarmi così!».

«Ti rendi conto che è un bambino?».

«I bambini non guardano così».

«Metti via la pistola e lascialo in pace».

«O l’ammazzo qui o me lo porto in un fossato!».

Sento la presenza di Luis di fianco a me.

«Lascialo stare, è solo un bambino, non vedi?», dice.

«Continua a guardarmi, ha dentro qualcosa di molto forte contro di me!».

«Perché credi che guardi solo te?», dice Pedro Alberto. «Ci guarda tutti!».

«Guarda me, solo me! È una cosa personale, un’aggressione!».

Luis mi passa il braccio intorno alla spalla:

«Aggressione?… È un bambino. Un bambino spaventato».

«Ma i bambini crescono!».

«Ci manca solo che adesso ti metta a gridare anche tu», dice Pedro Alberto. «Procediamo. Vieni. È un ordine».

«Però ce lo portiamo via. Me ne occupo io, è una cosa mia».

«Portarci via un bambino?», salta su Luis. «Ci guardava tutti!».

«No, no, no, guardava me, solo me!».

Pedro Alberto torna indietro di qualche passo finché me lo trovo davanti.

«E allora?», esclama. «E allora?».

 

«Con quello sguardo mi sta condannando a morte. Crescerà e mi ucciderà. Nel giro di sei anni sarà un rosso di sedici e allora mi cercherà, mi troverà e mi ucciderà. Le occhiate che mi getta sono quelle di un assassino che non dimentica!».

Pedro Alberto ride, mi prende per un braccio e mi riporta nel gruppo:

«Nel giro di sei anni il nostro regime avrà trasformato questo rosso così tenero in un patriota spagnolo, e lui avrà compreso che quello che abbiamo fatto con suo padre e suo fratello era la cosa giusta».

«Però…».

«Ascolta: noi non ammazziamo bambini, siamo troppo uomini per farlo. Perciò, la questione è chiusa, eh?». E poi ripete, stringendomi il braccio: «Eh?».

«Agli ordini. Viva la Spagna!».

«Viva la Spagna!».

 

 

[Immagine: Tal Schochat, Lessons in Time 4 (triptych), 2016 (mge)].

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