di Daniele Balicco e Bruno Balicco

 

È difficile capire quello che è davvero successo a Bergamo, e più in generale in Lombardia, in queste ultime settimane. L’immagine che molto probabilmente resterà nella memoria di tutti, è quella della silenziosa lunga fila notturna di camion dell’esercito che la notte del 19 marzo trasportò più di 60 feretri fuori dalla città, perché gli ospedali e il cimitero centrale erano stracolmi di cadaveri; e bisognava cremarli.

 

Sono stato a Bergamo, l’ultima volta, esattamente un mese prima di questa carovana funebre: il 19 febbraio. Ero tornato per essere fra i 40.000 spettatori di San Siro a vedere l’Atalanta stravincere contro il Valencia; in uno, dunque, dei probabili eventi detonatori del contagio. Ma non mi sono ammalato; o, forse, sono uno dei tanti fortunati asintomatici. Speriamo bene. Da anni, vivo e lavoro a Roma, ma a Bergamo ci torno spesso. Lì vivono, tuttora, i miei parenti e alcuni degli amici più cari. Ho il triste privilegio dunque di essere, di questa pestilente crisi lombarda, un osservatore partecipante. Traguardata da un centinaio di km più a sud, appare, quanto meno ai miei occhi, come la conclamazione di una malattia latente, più che decennale. Tutto quello che è accaduto e ancora sta succedendo – il caos istituzionale, la disorganizzazione regionale, lo strapotere di Confindustria e dunque zone rosse mai attivate, l’adolescenziale delirio di onnipotenza dei sindaci viceré (Milanononsiferma#; Bergamononsiferma#), la necromantica propaganda dell’ospedale in Fiera a Milano, la follia nera del Pio Albergo Trivulzio – tutta questa inondazione di infantilismo suicida insomma, non è solo la cronaca verosimile di un disastro taciuto per anni, perché travestito con una parola magica: eccellenza. Ma rivela, temo, qualcosa di più profondo: l’amputazione avvenuta di uno Stato che ormai agonizza. Lo spettacolo a cui assistiamo da settimane è sempre lo stesso: un continuo conflitto di poteri e di competenze, all’interno del quale l’istituzione pubblica prova, in extremis, a coordinare protervi marajà che proprio sul sistema sanitario regionale fondano la base oggettiva del loro potere “differenziato”. Ma lo Stato è privo di forza e di autorità morale; non si impone anche quando potrebbe farlo, come nel caso, appunto, di una pandemia. Non sapevo – e credo che molti tutt’ora non sappiano – che il primo decreto Conte prevedeva, come in Spagna, l’esproprio della sanità convenzionata; ma le regioni, e in particolare una, si sono opposte. E ora abbiamo davanti agli occhi il disastro del Pio Albergo Trivulzio; lo intuiamo: è solo la punta di un iceberg. Stiamo dunque assistendo ad una resa dei conti finale fra Stato e regioni? Non credo. Forse, molto più semplicemente, stiamo solo osservando la fase acuta di un’agonia ormai incontrovertibile.

 

Vorrei provare però a capire meglio, nel dettaglio, quello che sta succedendo in Lombardia. Mio zio Bruno è stato, per anni, primario al reparto di Rianimazione del Policlinico San Marco (ora Gruppo San Donato) di Zingonia, a pochi km da Bergamo. Negli anni ’80 fu uno dei primi anestesisti a portare in Lombardia la terapia del dolore per malati terminali; erano anni dove Comunione e Liberazione non aveva ancora del tutto soffocato il sistema sanitario regionale: l’accanimento terapeutico non era ancora imposto per decreto divino. Chiedo a lui, dunque, delucidazioni. Da pochi mesi in pensione, è stato infatti richiamato per gestire l’emergenza.

 

“Sono settimane che sogno solo pazienti e morti” mi saluta così, estenuato, rispondendo al telefono. “Al di là di tutte le cose che poi ti dirò bisogna essere chiari: è stata una pandemia mostruosa. Il numero dei contagiati è altissimo, ma nel’80% dei casi questa malattia non fa quasi nulla; il problema è il restante 20%, di cui il 7% finisce in terapia intensiva e di questi moltissimi muoiono. In ospedali non enormi, come quelli che io ho frequentato, di polmoniti bilaterali ne arrivano 5 o 6 all’anno; in queste ultime settimane, tra le 40 e le 50 al giorno.

 

Il problema vero è che di fronte ad una tale emergenza sono diventati ben visibili errori macroscopici, che hanno però ormai una storia lunga, già di qualche decennio; e anche nomi e cognomi. Il primo è sicuramente la regionalizzazione della sanità. In una situazione come questa, ogni regione si coordina con il governo centrale, ma è in fondo libera di fare come vuole. E la regione Lombardia ha gestito nel peggiore dei modi possibili l’autonomia discrezionale di cui gode. Non dovremmo neanche stare qui a parlare di personaggi come il presidente Fontana e come l’assessore Gallera. E invece ci tocca. Prendi per esempio uno come Gallera, che senza alcun pudore si permette di fare perfino campagna elettorale per la propria candidatura a sindaco di Milano, con la città strapiena di malati e di morti; uno che, ormai è acclarato, ha responsabilità dirette sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano. Pensa che io, ingenuamente, ero convinto che fosse un errore di valutazione del direttore sanitario. Questa scelta, come sai, ha innescato una bomba epidemiologica. Ma nessuno si assume le responsabilità; nessuno si dimette mai. Abbiamo a che fare con persone adulte o con adolescenti irresponsabili?

 

Il secondo gravissimo errore di questi anni è stata la privatizzazione della sanità pubblica. E la Lombardia, ancora una volta, è la prima della classe di questa eccellenza scellerata. É vero che una buona parte degli ospedali accreditati, sono stati, loro malgrado, obbligati a gestire quest’emergenza. L’ospedale dove io ho lavorato negli ultimi anni, per esempio, ora è stato convertito al 100% a pazienti Covid19. Gli amministratori delegati di queste aziende, per come li conosco, sono di solito famelici. È solo una mia opinione, prendila per quello che vale, ma credo abbiano avuto dalla Regione rassicurazioni. Li vedo infatti molto sereni. Sai, buona parte del convenzionato vive sulla mobilità di pazienti fuori Regione. E questa mobilità ora è scomparsa completamente. In teoria i profitti si sono azzerati, dunque…. Però gli amministratori sono molto, molto, molto sereni. Ripeto, è solo una mia impressione personale…

 

Veniamo però all’ultimo errore, che fa sistema con il secondo. La Lombardia ha concentrato tutto lo sforzo medico sugli Ospedali e nulla sul territorio. Le ATS (le agenzie territoriali per la salute), istituzioni con un sacco di personale, da anni in mano a Lega e Forza Italia, qui a Bergamo non hanno fatto nulla. I medici delle nostre Valli (che già sono scadenti, perché ormai da anni non viene più fatta selezione e nessun controllo su di loro, se non quando chiedono troppe Tac) sono stati mandati allo sbaraglio. Chi almeno aveva volontà di visitare i pazienti in giro, non aveva però presidi; non aveva un bel niente. Le infermiere delle ATS che fanno assistenza domiciliare integrata (ADI) non sono mai state controllate. Non è mai stato fatto alcun tampone. Ma ti sembra possibile? Per di più, non è stato predisposto nessun controllo, nemmeno ai famigliari di pazienti risultati positivi al tampone, fatto in ospedale, e rimandati a casa in quarantena. Come capisci, non solo non ha senso lasciare il territorio così scoperto e accentrare tutto sugli ospedali. Ma è anche pericoloso. Le ATS – la medicina sul territorio – dovevano essere la leva fondamentale per gestire la pandemia. Purtroppo, questo è il risultato di decenni di privatizzazioni che hanno portato al progressivo smantellamento della medicina pubblica di base. E ora ne paghiamo tutti le conseguenze. So che, per esempio, in Emilia Romagna la situazione, per fortuna, è diversa. Ho partecipato l’altro giorno ad un webinar del direttore del reparto malattie infettive dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, che conosco molto bene. È uno dei migliori infettivologi del mondo. Lui, per esempio, ha creato una struttura di coordinamento fra reparto e medici di base per cui i medici monitorano i propri pazienti – e soprattutto i loro famigliari – in continuazione. Se hanno sintomi vengono mandati in ospedale, gli fanno il tampone e gli danno in via precauzionale l’idrossiclorochina. Poi vengono monitorati a casa. Qui da noi, niente”.

 

Da quanto mi stai raccontando risulta ancora più folle allora il battage propagandistico fatto per l’inaugurazione dell’Ospedale in Fiera a Milano. Tu che ne pensi?

 

“Guarda, almeno gente come Berlusconi ha finalmente tirato fuori qualche soldo per la collettività. Detto questo, al di là della volgarità e della follia dell’inaugurazione con il buffet con tutta la gente accalcata senza alcuna protezione, il problema vero dell’Ospedale in Fiera è che manca il personale. In teoria, è sotto la gestione del Policlinico che ha mandato lì un direttore sanitario e alcuni medici; ma i letti sono pochi. Del resto, è anche inutile annunciare, come è stato fatto, “metteremo 500 ventilatori!”. Benissimo! E chi li sa usare? Devi assumere personale, rianimatori e infermieri altamente specializzati che sono molto pochi a causa delle politiche universitarie assurde di questi anni, che hanno portato le scuole di specializzazione a numeri chiusissimi. E questo è il risultato. Non abbiamo più medici specializzati e ora dobbiamo chiamarli dall’estero. Almeno l’Ospedale costruito in Fiera a Bergamo è stato fatto con più dignità. Anzitutto è più efficiente. Gli alpini hanno lavorato giorno e notte e in una settimana era pronto. Ci lavora anche Emergency. Non è stato fatta nessuna inaugurazione. Il costo è stato sostenuto su base volontaria, mentre a Milano sono state pagate più di 200 aziende per allestirlo. Insomma, uno schifo.”

 

In questi giorni si sta parlando molto delle Fase2. Che idee ti sei fatto?

 

“Questo virus andrà avanti per un sacco di tempo, bisognerà capire… Credo che tutta l’estate andremo in giro con i presidi; e speriamo che la popolazione li abbia. La mascherina chirurgica è stata usata in alternativa a quelle ffp2 o ffp3. Le mascherine con il filtro sono quelle che noi tecnicamente chiamano “egoiste”. Dovremmo usarle solo noi anestesisti o chi fa le broncoscopie perché ci proteggono al 100%, ma tutto quello che buttiamo fuori, lo buttiamo sugli altri. In sostanza, proteggono solo chi le usa. Quindi, se vedi uno in coda con quella mascherina, devi stargli lontano. Le mascherine chirurgiche, invece, hanno una capacità filtrante abbastanza bassa. Coprono bene gli altri, meno te. Certo, se tutti l’avessero andrebbero bene; ma, come puoi capire, non evita che tu sia infettato se non ce l’hanno tutti. Come sai, in Cina il virus è già ricominciato a circolare. Questo creerà enormi problemi economici; ed io mi auguro, di cuore, che si cambi finalmente questo maledetto sistema economico. In fondo è un’occasione, un segno. Come ben sai io non sono credente, anzi; però va detto che le uniche parole sensate in questi giorni le ho sentite da Papa Francesco: “pensavate di vivere sani in un pianeta malato”. E ora è arrivata la scoppola.

 

Per la fase 2 si parla molto ora di test seriologici. Che idea ti sei fatto?

 

“Purtroppo, il dibattito scientifico microbiologico sulle infezioni dice che questi test attualmente non sono del tutto affidabili. Per il 30/40 % dei casi sono fallaci. Quindi per ora non rappresentano una soluzione. Dovranno essere perfezionati anche perché non siamo ancora sicuri che gli anticorpi testati siano precisamente quelli da Covid19. I coronavirus sono tanti e girano da centinaia di anni. Dovremo insomma fare tantissimi tamponi. Speriamo che nel frattempo attrezzino le ATS.”

 

Caro Bruno, un’ultima domanda. Mi piacerebbe capire come si lavora in un reparto Covid. Che succede quando arriva un nuovo paziente? Quante persone lavorano per assisterlo?

 

“Il paziente che arriva in Pronto Soccorso con dei sintomi, ovviamente fa il tampone. Di fatto, è la clinica quella che ti governa, soprattutto la Tac: quelli che arrivano con i sintomi più gravi da polmonite bilaterale interstiziale e che quindi vanno incontro alla malattia più grave, e sovente alla morte, passano dal Pronto soccorso e poi arrivano da noi in Terapia intensiva. Ma in Terapia intensiva in questi giorni non c’erano i posti, per cui andavano nei reparti; il primo passo allora è verificare la saturazione emoglobinica arteriosa; se è superiore al 93% non è necessario l’ossigeno; i pazienti vengono rimandati a casa con preghiera di tornare se compare dispnea; se sono positivi al tampone ovviamente vengono messi in quarantena a casa insieme a famigliari. Il problema è che non mi risulta che, per lo meno a Bergamo, i malati in quarantena siano stati monitorati a casa. Ma l’abbiamo già detto. Se la saturazione emoglobinica invece è inferiore al 93% i pazienti vengono subito ricoverati in reparto con l’ossigeno. Se poi la dispnea peggiora, allora si passa alle ventilazioni non invasive che i reparti hanno imparato a fare; parlo del CPAP, cioè il casco che per qualche giorno ti garantisce una sopravvivenza. Molti così guariscono; alcuni invece, poiché aumenta il lavoro respiratorio all’interno di questi caschi, finiscono per essere intubati. Nei primi giorni dovevamo fare spesso una scelta terribile: non c’erano posti per tutti in terapia intensiva.

 

Diciamo però almeno una cosa buona che ha funzionato in regione Lombardia: a Milano, il prof Pesenti, direttore di Anestesia e Rianimazione del Policlinico, ha messo in piedi una centrale operativa efficiente. Per cui se c’era un paziente intubato che dovevi cercare di mandare via, chiamavi alla centrale operativa; all’inizio lo tenevi in Pronto soccorso anche per uno o due giorni; poi loro ti trovavano un altro ospedale a cui inviarlo.

 

Il problema vero però di tutta questa emergenza è che il personale di Terapia intensiva deve essere altamente qualificato. Il rapporto è questo: per 10 posti letti in una condizione normale abbiamo, giorno e notte, due anestesisti e 4/5 infermieri. Se vuoi garantire una cura efficace il rapporto deve essere di 2 a 1. Un medico ogni 5, un infermiere ogni 2. Questa misura è ovviamente saltata in questa fase; i malati erano troppi, all’ospedale di Ponte San Pietro, dove sto lavorando ora, siamo passati da 4 letti a 10 – 11; abbiamo dovuto prendere il personale delle sale operatorie che però non ha la stessa preparazione degli infermieri intensivisti con anni di esperienza; ma comunque sanno usare i ventilatori e ci si è arrangiati, bene o male. La mortalità nelle terapie intensive è stata nella media di quelle europee. Invece sono morti tantissimi nei reparti, proprio perché mancavano i posti in terapia intensiva”.

 

La situazione ora sta migliorando?

 

“Decisamente. Adesso in pronto soccorso arrivano 2/3 persone al giorno; invece che 40/50. In tutta la Lombardia la situazione è migliorata, anche se l’epidemia si è spostata di più sul milanese; ma non in modo così aggressivo come nel bergamasco e in provincia di Cremona. Per fortuna al sud la pandemia non ha sfondato”.

 

Infatti, qui a Roma i casi sono stati relativamente pochi. E il clima generale della città, per quanto solo ipotizzato dalla finestra da cui lo osservo, è diverso; la mia vicina di casa continua imperterrita a fare la Dj, ogni sera, per mezz’ora, balla sulla terrazza per ricordare alla città che prima o poi torneremo a godere delle piazze, dei parchi, dei cinema, dei sampietrini schivati dalle ruote dei motorini. L’atmosfera, per quanto di faticosa prigionia, è quella di un’irreale sospensione della vita quotidiana; non certo il Lazzeretto, gli untori e, soprattutto, la Colonna infame; ancora una volta la peste di Manzoni. Difficile immaginare cosa si è vissuto su. Grazie Bruno per avermelo raccontato e per tutto quello che hai fatto e continui a fare.

 

[Una versione ridotta di questa intervista è uscita sul blog: www.erbacce.org]

5 thoughts on “Conversazione fra nipote asintomatico e zio medico sul disastro Covid19 in Lombardia

  1. Grazie, una testimonianza lucida e chiara, di grande impegno civile oltre che medico. Dall’esterno alcune delle cose che mi hanno colpito sono proprio alcune di quelle sottolineate. In primo luogo le carenze della medicina sul territorio al di fuori degli sopedali (tutti conosciamo di prima mano storie più o meno assurde di persone palesemente contagiate e abbandonate a se stesse senza né tamponi, né indicazioni (bontà loro se non sono uscite ogni giorno a fare la spesa); in secondo luogo il delirio delle indicazioni difformi da regione a regione, il contrasto palese e contropruducente tra normative statali e regionali. Su una cosa invece vorrei chiedere delucidazioni se possibile. Dall’intervista sembra di capire che una delle criticità più tragiche (come purtroppo era stato annunciato) è stata la saturazione delle terapie intensive. Dal momento che era stato approntato anche un centro operativo ad hoc per provare a smistare i degenti in altre strutture (e al pubblico sono arrivate storie di aerei militari con destinazione la Sicilia o la Germania), come mai questo non è stato possibile a livello più sistematico? Mancanza di risorse, di strutture, di mezzi, o di tempo? Grazie ancora

  2. @marinapolacco

    Cara Marina grazie per il commento. Per quanto riguarda la domanda, da quanto ho capito, all’inizio è stata talmente forte l’onda d’urto dei malati gravi che non sono riusciti a smistarli tutti. Erano così tanti, che i pazienti sopra i 75 anni di età non venivano neanche più messi in terapia intensiva. Il problema infatti è che un malato Covid resta in terapia intensiva per settimane intere; non per qualche giorno. Ed essendo molto pochi i letti, il sistema si è subito saturato. Poi il sistema ha funzionato abbastanza; Bruno parla del centro del Policlinico di Milano che lavorava a contatto con la Protezione civile. Chiedo comunque a Bruno e se ho qualche informazioni diversa ti rispondo. Grazie ancora.

  3. Grazie, tutto molto chiaro ora, punto per punto. Era evidente che troppi “pasticci” fossero stati fatti in punti diversi della catena.
    E ora, il nostro Piemonte segue a papera l’esemplare “modello Lombardia” (per ragioni di contiguità, spiega il governatore…). Illuminato.

  4. Buongiorno, questa pandemia ha preso tutte le nazioni e stati impreparati é tutti hanno avuto gli stessi problemi. Le zone rosse, come da costituzione può indirla solo lo stato,avevamo già una task force con una procedura in caso di pandemia non occorreva farne un’altra ma mettere in campo quella che c’era. Poi i medici sono pagati ed è un loro compito curare e salvare pazienti ed è inutile che si nascondono dietro ad altri, in questa emergenza nemmeno loro sapevano cosa fare,le persone hanno fatto da cavia !!! Qui hanno sbagliato tutti e mi auguro che davanti ad un’ ipotetica ricaduta non si ripetano gli stessi errori con l’augurio di non essere contagiati e sperimentare una pessima organizzazione per noi comuni mortali! Alcune notizie tecniche che vi ho fornite le ho ascoltate da una trasmissione su LA7

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