[Pubblico, estrapolandole da due delle sei sezioni in cui si articola, alcune strofe dall’ultimo libro di Jolanda Insana, Turbativa d’incanto, appena uscito per Garzanti (gp)].
di Jolanda Insana
da La bestia clandestina
biliosa concima orti chiusi
sotto tettoie affumicate
e quando si rifugia in cucina
brucia i piselli e battibecca
con il suo doppio condiscendente
affetta e rosola tranci di cuore
e frattaglie palpitanti
si sente in colpa e fa manfrina di lacrimeria
ma nessun increspamento smuove
la coltre di ovatta
e per troppa fantasticheria sale sul patibolo
sfascia ferite maleodoranti
e s’affloscia
fantasma
[…]
il silenzio la strada il buio
e tu che cammini
e io che guardo e incontro qualcuno
il silenzio e tu che cammini
e io che guardo senza vedere la strada e
non incontro nessuno
spiegami dove comincia la nebbia
[…]
non è aromatico il tuo grido e
non incanti la bestia
salterò salterò
nessuno si accorgerà della ventola rotta e
il cane è libero di azzannare
ti rode il baco delle tristizie
e mal di vermini al ventre
e schiaffeggi l’aria
con l’orgoglio del dannato
ma non seguo i tuoi passi
per raccogliere gli spiccioli
che perdi
sono i miei petali
e tu non hai naso
ne ho abbastanza di queste spampanate
che smascellano le mummie
e ti straccio strizzo e disserro la pelle
hai visto i corpi dei bambini sfracellati dai missili israeliani?
[…]
sbatte la porta
abbandona gli stipiti armati di uncini e
si avvia al paese delle nebbie
dove sotto i portici nessuno riconosce
il segreto compagno maligno e battagliero
che scodinzola la storpia e la seduce
e così non è visibile e non vede
*
da L’idiota sottostante
[…]
in sogno mi buchi le labbra
con ago e filo
le trapunti e ci fai l’orlo
mi cuci la bocca
per non sentire la mia voce
quanto costa una sposa-bambina?
solo 470 euro
in Afghanistan
[…]
animale è l’amore
ma tu segui gli spacciatori di oracoli e
intendi che animale è ogni affetto sicché deragli e ti schianti scimunita e
incapace di saziare sete e fame contemporaneamente
mangi e però sei assetata
bevi e però sei affamata
immusonita davanti al doppio portale
l’avesse detto l’amica mia più cara
usi le parole come tappo
per chiudere bottiglie esplosive
e quando si spalancano le crisi
taci
ho allenato i cavalli a non nitrire
[…]
nel parlatorio del carcere di Khadamiyah un
metro di corridoio
recinto di sbarre
divide le detenute dai parenti in visita
nessun contatto nessuna carezza nessuna parola di tenerezza
ma richiami e urla per vedersi
e sapersi vive
in questo girone d’inferno
a me baldracca ingualdrappata?
t’arroti la lingua e mi rintroni
io non guido allo specchio sfregiato il fotografo di corte
sono occupata sullo schermo del pirla
che aggiusta la giacchetta al ministro norvegese
mentre affonda un’altra carretta
[…]
puliscono la casa
la tirano a lucido
ma non tornerà
perché qui non ci sono nicchie né labirinti
dove giocare alle belle statuine
o a rimpiattino
è scomparsa
e ogni settimana tornano i lenzuoli le
magliette bianche
che sventagliano la chiusa aria del cortile
manda a dire che c’è?
l’ho sempre saputo che c’è e non c’è e
guardo di lontano
e scorrazza con il ragazzotto sul vespone
nascosta sotto il casco
e ci sono e non c’è
in quale buco stoppato s’è intappata?
in quale residenza è scappata
per disintossicare la milza
e liberare dall’acqua di ostriche
le pupille vane?
percorriamo le stesse contrade
e calpesta campi di grano
mentre sono intenta a osservare lumachine
ammassate su esili steli
e sono io e non sono più io
non c’è
ci sono
c’è non ci sono ci sono
non c’è arrogante e
allampanata che entra nel
recinto
e scalpita e scalcia
e ha coraggio e trema
tenera e sguaiata
non c’incontrammo mai
*
[Immagine: le3, Golden Tiger Project (2012) (gm) http://www.le3paris.com/?portfolio=golden-tiger].
Voce sublime e speziata. La migliore, con ampio scarto.
come sempre di rara e pragmatica potenza.
di rara e pragmatica inutilità. Come sempre.
Perdonate, ma queste poesie sono quanto di peggio abbia letto negli ultimi tempi
Ma che ne è stato di quella bella abitudine di articolare il proprio pensiero, di spiegare anche con parole semplici, quotidiane, banali, il perché e il percome di una predilezione o avversione? Ah, non ci sono più i bei commenti di una volta! O forse non ci sono mai stati. Però certo, liquidare la più grande poetessa italiana vivente in questo modo…
Va bene, articoliamo.
Personalmente non apprezzo lo stile, contorto e disarticolato in cui si perde il significato del verso. La poesia ha una libertà maggiore di linguaggio ma questo, a mio avviso, deve sempre essere in qualche modo comunicativo, deve comunque tessere un ponte tra autore e lettore, tra ispirazione e testo scritto. Altrimenti si risolve a esercizio retorico, vuoto e solipsistico.
Il mio ideale sta nella semplicità, che non significa povertà semantica, ma parola che nella sua nudità condensi e alluda, che non escluda chi legge. In breve, una poesia che vada oltre la suggestione assemblatoria che in alcuni casi, come in questo, si traduce solo in caos e irrelazione.
E’ solo un parere da lettrice, per il resto lascio la critica ai critici. Spero non me ne vogliano gli estimatori della “più grande poetessa italiana vivente”
Purtroppo i commenti gratuiti (a proposito: e mettere una tassa sui commenti nei blog, no? un thread per lo spread, tipo) sono sempre esistiti e sempre esisteranno (mi vado convincendo). L’importante è che si legga, e, soprattutto, nel caso in questione, che si capisca che non si tratta di ”queste poesie” ma di ”alcune strofe” (testuale, dalla nota iniziale), stralciate da lunghe sequenze a due voci. Ciò allo scopo di segnalare l’uscita di un libro importante, raro, colto, virulento, potente, come non si può rendere a pieno (è ovvio) attraverso pochi frammenti. La speranza è di indurre a gustare tutta la pietanza, o vogliamo accontentarci del primo assaggio.
Vedo che l’intolleranza danza…
Non capisco a che titolo dare della gratuità a dei commenti, solo perchè dissenzienti.
Vabè. Grazie per l’assaggio, ma preferisco il digiuno.
@Marilena Renda
Perché non invertiamo l’onere della prova? Perché non prova lei “a spiegare anche con parole semplici, quotidiane, banali, il perché e il percome” questa immondizia dovrebbe significare qualcosa?
Scrivevo mentre arrivava il commento ”articolato” di @Lucia: personalmente la ringrazio dello sforzo (nondimeno ritengo che, prima di pronunciarsi sulla poesia altrui, si debba controllare quanto meno la propria sintassi, se non la propria aggressività: ma sarà una mia perversione, certamente). E dove le ha apprese, però, queste ”regole” della poesia, @Lucia? Cioè dove s’impara cosa esattamente debba o non debba essere/fare la poesia? Specie quando la si vorrebbe ”comunicativa”: ci si preclude la quasi totalità del campo, ci ha pensato? Comunque se non è assolta, @Lucia, è certamente più giustificata di chi, tali castronerie, le professa dalle colonne dei quotidiani, spacciandosi per ”critico”. La poesia ”comunicativa” lascia fuori metà del campo, da Dante a Zanzotto, passando per -ismi d’ogni sorta. Sono curiosa, comunque, se crede, di conoscere esempi della ”miglior poesia” che lei abbia letto di recente, di poesia (ovviamente) ”comunicativa” (curiosità mista a timore, le confesso).
@Carlo Barchiesi. Come lei ben saprà, questa immondizia è stata scoperta da Raboni e raccolta recententemente in un Elefante Garzanti. In appendice trova un mio breve scritto dove spiego perché mi piace (in ogni caso, la sua potenza mi pare autoevidente, come il sole quando c’è il sole). Sono sempre a disposizione per discutere comunque, anche se lo spazio in calce a un blog non mi è mai piaciuto come spazio di confronto, e poi devo andare a lavorare, ma le suggerirei con tutto il cuore di andarsi a leggere Sciarra amara, o Medicina Carnale. Se dopo resterà del suo avviso, pazienza.
provo a far miei i due commenti “negativi” riguardo la poesia della insana. si è parlato di poesia non “semplice”, che non riesce a “condensare e alludere nella sua nudità”; ci tengo però a ricordare che la poesia della insana non nasce come esercizio virtuosistico, bensì come ricerca di una parola condivisa e “plebea” fino alla scabrosità; parola che, partendo da un humus pietroso e popolare siciliano, aspira a farsi collettiva e risonante attraverso il filtro della poesia “alta”. mi accodo all’invito di chi ha consigliato la lettura delle prime raccolte di insana, non fosse altro che per segnalare come lei sia arrivata alla poesia che leggiamo qui attraverso un percorso complesso, pluridecennale, che va tenuto presente nel momento in cui si esprimono giudizi così tranchants. ad esempio:
ma chi ti fotte e pensa
troia d’una porca
tutta incrugnata sulla vita
venni per accattare vita
come m’ha fottuto
il banditore
finta che non mi vede
bastò un rovescio di mano
e addio pane e piacere
lo stretto necessario
per campare
per non dare sazio a quella rompina
rompigliona rompiculo d’una morte
la vita se ne va
con gli occhi aperti
faccia di sticchiozuccherato
non aspettarti gioie
da minchiapassoluta
non finiremo mai di fare
sciarra amara
nessun compare ci metterà
la buona parola
tu stuti le candele
che io allumo
padella non tinge padella
ma la mia è forata
e cola vita
la vita ha profumo di vita
così dolce
che scolla i santi
dalla croce
scippa fracassa
scafazza e scrocchia
torna e vuole conto
e ragione
la morte
come le santocchie
ama dio e fotte il prossimo
la vita e la morte allato vanno
transeunti per lo stesso porticato
comincia dolcechiaro finisce amaroscuro
i piedi reggono esattamente
quanto io ho
levati
non mi fare il solletico
vita bella e affatturata
non avea catene al collo
né debito di coscienza
dopo la sua porcapedàta
non sa più spendersi
con chi le pare e piace
(Jolanda Insana- Sciarra amara)
fra l’altro, mi permetto di segnalare a lucia e ad altri che, accanto ad esperimenti così sperimentali come quello postato da lplc, insana in anni recenti si è volta anche ad una poesia più immediata, diretta, comunicativa, spesso indirizzata allo spazio dei quotidiani; poesia “civile” insomma, come molta della sua produzione. questa è per il centenario del terremoto di messina:
accurrìti accurrìti gente
me figghia me figghia
portate una scala
me figghia
’na scala ’na scala
pigghiate me figghia
accurrìti accurrìti
u focu u focu
sa mancia
viva
a fini du munnu
a fini da so vita
viniti curriti
’na scala
tièniti tièniti
figlia
*
scanto
scanto grande
e mascelle serrate
narici aperte per assecondare il respiro
strette le chiappe per darsi un contegno
molli le gambe nel sobbollimento
di terra e mare
e gli occhi aggrottati
nel boato
finita
è finita la vita
ma riprende a fiatare
disserra la bocca
si tocca la testa
con due dita si carezza le guance e trema
non sa cosa c’è dietro la porta
di lì è passata la morte
*
impazzirono
e avevano sete
e non avevano acqua
e nudi correvano
alle finestre senza vetri
al balcone franato
con gli occhi insanguinati
in pianto
(pubblicata su “Alias” del 20 dicembre 2008)
@Marilena Renda
Con tutto il rispetto per lei e per Giovanni Raboni, ogni tanto anche Omero si addormenta.
Conosco la poesia di Insana, possiedo l’Elefante di Garzanti e mi chiedo come sia stato possibile pubblicare questa roba, come sia possibile prendere sul serio cose come “in quale buco stoppato s’è intappata?”. La ringrazio della risposta ma rimango del mio avviso.
Già. Come sarà stato possibile prendere sul serio cose come “S’io m’intuassi, come tu t’inmii”, o come “Cred’io ch’ei credette ch’io credessi”, o come “Pensier di non pensier, pensa: che pensi?”. Maledetti critici, editori fottuti, intellettuali da strapazzo.
@Federico Francucci
Non scomodi i giganti per innalzare questa nana. “In quale buco stoppato s’è intappata?” non è “S’io m’intuassi come tu t’inmii”. E’questo:
E Duchamps era quello dei cessi. Amen.
Lasciamo perdere i nani e i giganti, Barchiesi. E’ fin troppo ovvio, nevvero, che Insana non valga Dante, e io non innalzavo nessuno, semmai facevo notare quanto poco valesse, a livello nemmeno critico, ma semplicemente intersoggettivo, il suo giudizio lapidario, non argomentato, su un singolo verso.
Ora lei aggiunge che “In quale buco…” è una supercazzola. Io, che amo molto le supercazzole, non sono d’accordo. Siccome lei non produce uno straccio di ragionamento a sostegno, seppure minimo, non lo faccio nemmeno io. Ognuno si sceglie i suoi, giusto? e allora non stiamo nemmeno qui a fingere di discutere.
A mio modesto parere il problema di una poesia come questa non consiste solo nella presenza di versi come:
“in quale buco stappato s’è intappata”
ma anche (e forse soprattutto) nella presenza di versi come:
“hai visto i corpi dei bambini sfracellati dai missili israeliani?”
Se poi le due tipologie si alternano, senza una struttura, un un progetto, un perché – allora il fallimento è davvero completo.
Mi si potrebbe obiettare che la struttura non si vede perché siamo in presenza di strofe arbitrariamente stralciate da sequenze più lunghe. Ma in tal caso perché pubblicarle in questo modo? Se lo scopo era – con discutibile metafora gastronomica – fornire “un assaggio” della “pietanza” intera (come se la poesia fosse un piatto slow food), beh allora mi spiace, ma questo boccone risulta indigesto. Come altri lettori hanno fatto notare.
Povera Insana, incompresa e denigrata in nome di una presunta comunicatività elevata a canone dagli emissari del marketing aziendalista: ma qui parliamo di lavoro di scrittura, che è primariamente lavoro sulla lingua e sulla sintassi: i brodini e le melasse vanno cercati in altre liale in versi. O cari lettori, davvero volete che le collane di poesia offrano solo i versi commestibili, leggerini leggerini, di comici, calciatori, veline, imbonitori, e spaventati attoniti facitori di versi ombelicali, che rasentano il grado zero dell’invenzione linguistica, il grado zero dell’eversione (la stortura di Jolanda), il grado zero dell’alterità?
A ogni lettore l’esperienza che predilige. o che semplicemente quella che si lascia propinare da un sempre più dilagante esercizio di consenso: uno snulleggiante nulla della significazione.
Insano prelevare qualche verso per dimostrare chissà cosa… la Insana elabora, da sempre, ampie suite, discorsi che travasano e tracimano di testo in testo… non si può non avere uno sguardo d’insime sulla struttura che lei va da tempo elaborando. (scusate lo sfogo e l’intrusione)
Oh, ma che bello trovare nei commentatori questo sacro rispetto per un genere che non si ve(n)de, e se si ve(n)de non si compra, e se si compra non si legge! Arbitraria la mia operazione? E lo rivendico. Se si può commentare senza aver letto tutto il testo, o anche proprio senza averlo visto nemmeno da lontano (un mio amico critico ama anzi ricordare come il commento più tipico dei thread letterari sia ”io il tal libro non l’ho letto, ugualmente volevo dirne che…”), si può parlare criticamente di un testo poetico stralciandone strofe o versi, dove l’ arbitrio che è in ogni atto critico, peraltro, non consista e non coincida con la casualità o la fatuità. Ma, soprattutto, si può avvicinare a un post di poesia lettori distanti, ostili, prevenuti, che però qui si fermano, commentano (guardo la media dei commenti degli altri post di poesia, a proposito, e mi riconforto, e mi compiaccio, e sono fiera dell’insania di ritagliare Insana e offrirla a mo’ di pastiche o pasticcino), e, alla fine partecipano: che è lo scopo primario (per chi cercava le ”regole”, le ”definizioni”, i ”canoni”) della poesia che ci piace.
@ Policastro
«Un lettore di professione è in primo luogo chi sa quali libri non leggere; è colui che sa dire, come scrisse una volta mirabilmente Scheiwiller, “non l’ho letto e non mi piace”. Il vero, estremo lettore di professione potrebbe essere un tale che non legge quasi nulla, al limite un semianalfabeta che compita a fatica i nomi delle strade, e solo con luce favorevole»
Giorgio Manganelli, Lunario dell’orfano sannita
a scanso di equivoci: là dove scrivo: ‘Insano prelevare qualche verso’, mi riferisco, naturalmente a prelievi pregiudiziali e arbitrari di versi singoli nei commenti di Barchiesi e Francucci.
Come previsto è arrivato l’invito (@manuel cohen) a uno sguardo d’insieme; giusto invito; ma a me pare che questa di poesia, in questa edizione, sia la prima a sottrarsi a uno sguardo del genere – senza contare che non mi pare vi manchino brodini e melasse, mescolate (non tanto sapientemente) al “lavoro sulla lingua”.
Non mi sento (@policastro) né distante, né ostile, né prevenuto; commento qui quel che leggo qui (né potrebbe essere diversamente); quel che leggo lo ha preparato lei. E quel che leggo lo trovo slabbrato, informe, inconsistente (come altre cose della stessa autrice, ma peggio). Letti qui, questi versi sono proprio e solo versi. Brutti versi, per me.
Per finire: non ho nessun particolare rispetto per la poesia, ma abbastanza da non considerarla un pasticcino e tantomeno una forma di partecipazione. La poesia che mi piace mira più in alto, anche quando fallisce. Il buffo è che mi pare miri più in alto anche la sua – già, quella che scrive lei, e che ho letto proprio su questo sito.
@Averroè certo, certo, e il vero scrittore è colui che scrive per lettori mai nati etc. etc. A prendere sul serio il Manga, che si fa, allora, noialtri, ci guardiamo Centovetrine?
@andrea ”commento qui quel che leggo qui (né potrebbe essere diversamente); quel che leggo lo ha preparato lei”. Sì, potrebbe: andando in libreria, ad esempio, se quel che ha letto l’ha incuriosito o irritato, oppure cambiando post. E poi mi spiace, ma io proprio lì miravo, anche nei miei versi che ha letto su LPLC: a condividere. Solo che gli oggetti e le forme della condivisione non sono i medesimi, per me e Insana: né potrebbe essere diversamente. Io potrei essere la seconda voce della ”sciarra”, la donna più giovane cui s’indirizzano le contumelie della prima. In questa frattura-scontro tra due generazioni (una che ha vissuto la storia, l’altra che tutt’al più l’ha orecchiata in tv) è una delle possibilità di senso di questo libro: solo che se lo stesso tema è oggetto di un libro di critica, paginoni sui giornali e forum di discussioni tra dotti; se lo si mette in versi (o in scena), si fa più fatica a porsi in ascolto-comprensione. Ma è una fatica che, secondo me, vale la pena affrontare, se non vogliamo dar retta all’ex poeta che proclamava (solo qualche ora fa) miglior poeta vivente Jovanotti.
ot: chi è l’ex poeta?
Per Lorenzo Marchese: si tratta di Aldo Nove. Questo l’intervento «incriminato»: http://www.satisfiction.me/jovanotti-e-rosina-de-vivo/ .
@lucia et alii
Non voglio entrare nel merito del valore di questi versi, che probabilmente sono troppo poco per giudicare. Ho letto tra i commenti di una poesia “contorta e disarticolata”, “non comunicativa” ecc., giudizi critici che sono stati fatti passare, forse per distrazione, anche in alcune risposte polemiche. Tralasciando il fatto che si tratta di una manifestazione di gusto eletta con ingenuità e approssimazione a manifesto normativo – terribile che oggi manifesti del genere vengano proclamati, spesso senza alcun senso della storia e della mediazione, tutti dalla parte della ricezione, come un’esplicita comanda fatta da critici e lettori, se non addirittura da editori, alle forze produttive degli operatori poetici – tralasciando la mole di pregiudizi ideologici che soggiace, inavvertita, a simili commenti, io mi chiedo: se questa poesia è reputata difficile, contorta e non comunicativa, quale poesia non lo è? Le poesie di Stefano Benni? I versi minimali di Carmen Llera Moravia? Gli haiku giapponesi tradotti negli Oscar Mondadori? I testi di Laura Pausini? Bruciamo tutto il Novecento, già che ci siamo, e togliamo di mezzo anche Leopardi, troppe inversioni latineggianti, anzi tagliamo la testa al toro: via tutta la poesia italiana dai siciliani in poi, teniamoci giusto un po’ di traduzioni letterali, chiare, comunicative da Prévert, Lee Masters e Neruda, a patto che non siano fatte da poeti di professione però – ah, quasi dimenticavo: oggi i più credono che la poesia sia questo.
@giorgio m.
grazie. è un intervento di un’ironia squisita nel non conoscere bene i suoi stessi confini, come spesso in nove.
ad ogni modo, una piccola critica a chi ha pubblicato il post vorrei muoverla: tutte queste […] non giovano a una lettura ragionata; scorrendo i versi, ho sempre dietro la nuca una sensazione minacciosa di stare leggendo qualcosa che in realtà non esiste. forse sarebbe stato meglio concentrarsi su una sezione, o un componimento, e riportare quello per intero. la conoscenza per morceaux non sempre rende pieno onore alla poesia, croce docet.
Perché non sorvolare, io mi domando?
Le parole e le cose, perché non provate un po’ a sorvolare su certi angoli remoti e polverosi dell’editoria italiota? Cosa vi costa?
Per le mie e per le tante orecchie ed occhi di sventurati lettori che capiteranno su questo sito, vi supplico, mai più post come questi. E non provate a dirmi che parlo a vanvera perché non argomento e non conosco.
Io, purtroppo, non argomento proprio perché conosco.
@Marchese Sarebbe stato meglio fare…è l’altro dei motti del web. Logicamente senza mai porsi il problema del perché non si sia fatto diversamente: che lo precisiamo a fare. Lei ha letto il libro? No. Come fa a dire cosa sarebbe stato meglio? E per chi, poi? Per chi è talmente pigro da accontentarsi di quello che ne dice il blog, recensione o pasticcino che sia, senza pensare che si tratta in entrambi i casi (o sempre e comunque) di indicazioni, di stimoli, di offerte parziali, che necessitano dell’inveramento del testo nella sua materialità e compiutezza. La scelta di pubblicare una sezione intera, trascurando che ogni sezione, nel libro, copre un numero di pagine ingestibile, per una lettura a video (ecco perché ne traggo che lei non lo abbia letto: lo saprebbe), sarebbe stata per me la più ovvia e la meno faticosa. Ho parlato di pastiche perché quella che si legge è la mia Insana: non le parti che ho sottolineato a matita in quanto più ”belle” o più o meno ”utili”, ma un mio ipertesto, che si può leggere come un tradimento, se vuole, alla maniera testualmente sanguinetiana. Ogni citazione, del resto, sacrificando inevitabilmente il contesto, lo è: lo sarebbe stata anche un’intera sezione, tolta dall’insieme, pure senza volerci dire anticrociani (o crociani, invece, che mi sembra siano i più, qui dentro, appuntandosi sul singolo verso).
Io so, Io conosco, non spiego proprio perché conosco, Io, a Me non Mi piace, quindi via, cancellare, eliminare, sciò! Cosa vi costa farlo? E’ quello che vorrei Io, perché dunque non lo fate? Subito! Vi supplico. Sbrigatevi!
“sarebbe stato meglio fare” è un motto del web. “forse sarebbe stato meglio fare” è un’osservazione derivante da un’epidermica sensazione personale, non un motto apodittico. mi dispiace se sono parso scortese.
in effetti la sua spiegazione mi convince; il tradimento sanguinetiano ha una sua coerenza che va rispettata. la sensazione minacciosa dietro la nuca permane, ma mi rendo conto che scaturisce dal rischio che lei si assume effettuando questo pastiche di una grande poetessa.
ciò detto, una domanda: numero di pagine ingestibile per una lettura a video? non credo ci siano particolari limiti di spazio. né troppi problemi (a parte quello del copyright, in effetti) per riportare una sezione di testo, diciamo così, compiuta in se stessa: se però non ci sono, in “turbativa d’incanto”, sezioni compiute e dotate di senso narrativo a se stante, non tenga conto di quest’ultima osservazione (osservazione, non attacco, vorrei precisare) e creda che non s’è fatto apposta =).
Ma non è mica vero che è Jovanotti il più grande poeta italiano.
È Vasco Rossi!
…e sia, questa poesia non viene recepita, non comunica, non rappresenta…ma intelligenza deve esigere che ‘sti versi siano almeno accolti, almeno come una specie d’ingiunzione…a che? Fate vobis…
A corollario di quanto scrive nell’ultimo commento Gilda Policastro, sottolinerei il fatto che la stessa Jolanda Insana ha sempre proposto – nel corso di reading, incontri etc. – una lettura ‘collagistica’ dei suoi versi, procedendo più per linee tematiche essenziali che per singoli testi autonomi.
Eccomi, nuovamente. Nessun timore, proverò ad articolare meglio il mio pensiero con i poveri mezzi sintattici e linguistici che ho a mia disposizione.
Innanzitutto ci tengo a precisare che il mio giudizio si riferisce a quello che è stato pubblicato qui e non all’intera opera dell’Insana, ma ringrazio chi segnala anche altre letture per poter rilevare e apprezzare dei tratti della sua scrittura che, in questo contesto, non emergono. Questo è un dialogo, a mio avviso, e per di più costruttivo.
Veniamo al nocciolo del malinteso sulle mie parole, quello riguardante la “comunicatività”. Per “comunicativa” non intendo una poesia che rinunci all’oscurità, all’ermetismo in nome dell’intelligibilità della parola, la mia non è un’esaltazione della poesia facile e commerciale (come mi è stato fatto notare).
Ma ritengo che ci sono modi e modi di essere oscuri e di personalizzare il proprio linguaggio, di renderlo “poetico”.
In uno dei commenti della Policastro veniva menzionato Zanzotto, bene, prendiamolo come esempio:
L’attimo fuggente
Ancora qui. Lo riconosco. In orbite
di coazione. Gli altri nell’incorposa
increante libertà. Dal monte
che con troppo alte selve m’affronta
tento vedere e vedermi,
mentre allegria irrita di lumi
san Silvestro, sparge laggiù la notte
di ghiotti muschi, di ghiotte correntie.
E. E, puro vento, sola neve, ch’io toccherò tra poco.
Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.
In voi fui, sono, mi avete atteso,
non mai dubbio v’ha offesi.
Sarai, anima e neve,
tu: colei che non sa
oltre l’immacolato tacere.
Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. E.
È questo il sospiro che discrimina
che culmina, “l’attimo fuggente”.
È questo il crisma nel cui odore io dico:
sì, mi hai raccolto
su da me stesso e con te entro
nella fonte dell’anno.
Anche se non è una lingua facile quella che usa Zanzotto, non è tuttavia slegata dall’oggetto della sua poesia (“l’attimo fuggente”, per l’appunto, quello che torna ritualmente, ad ogni passaggio di anno “in orbite di coazione” e il conseguente senso di smarrimento). L’oscurità qui è funzionale alla profondità del pensiero, crea legami interni inediti e proprio per questo risulta essere fortemente espressiva. La logica del discorso non viene sacrificata all’egotismo dell’Io poetico, ma ne viene creata un’altra: suggestiva, personale, lirica. Questo intendo per “comunicativo”.
I miei non sono dictat nè “regole”, li definirei più preferenze di stile o gusti attraverso cui, inevitabilmente, guardo e giudico quello che leggo.
In ultimo un’indicazione di metodo, o un semplice suggerimento: chi inserisce del materiale, proprio o altrui, dovrebbe farlo per amor di divulgazione ma anche di condivisione, di dialogo. E’ impossibile che vi sia un pubblico sempre compiacente e sempre remissivo, che sacrifichi la propria libertà di espressione e di giudizio in nome di un’unica verità, pena l’insulto. Questo ovviamente, riguarda anche i toni e le parole che si usano, come, ad esempio, quel “castronerie”.
E’ proprio una brutta parola, in bocca a una poetessa poi…
Ha ragione: la prossima volta scriverò ”minchioneria (al pl.: idee o cose insulse, balorde)”: da Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier. Molto molto comunicativo, peraltro. Poi, lei che mi chiama ”poetessa”, perché lo fa? Come lo sa? Già solo per questo, non siamo all’interno di un dialogo: non con lei, che si camuffa. E tanto più che lo aveva cominciato con un’aggressione.
Jolanda Insana? Perdonatemi se penso a Luciana Litizzetto.
@Policastro
Scusi ma perché è sempre così aggressiva? E come si permette di affermare che un giudizio negativo su quello che pubblica è un’aggressione?
Cara Policastro, le sue reazioni si commentano da sole. Non c’è bisogno che aggiunga altro. Arrivederci
Sì, bene, il giochino dei buoni e dei cattivi l’abbiamo fatto anche stavolta, ci siamo divertiti, ora mi pare possa bastare (40 commenti, per un post che in molti dichiaravate superfluo?). Io, perlomeno, la discussione la considero finita. Chi vuole ascoltare le letture di Jolanda Insana (insieme ad altri poeti e musicisti), potrà farlo il prossimo 21 marzo, alla Casa delle Letterature di Roma, ore 18. Sarà l’occasione per rimediare agli errori, le parzialità, le aggressività, le virulenze, le amenità: a volto scoperto tutti, come ci piace.
la Insana oggi pomeriggio a Roma alla Casa della Memoria e della Storia, h.18.
basta con i commenti vogliamo un racconto,un romanzo , un qualcosa che vi metta nella condizione di non criticare ma di essere criticati.
Non ho chiuso i commenti, perché non sono tecnicamente in grado di farlo, ma ho chiesto, e lo ripeto, di considerare chiusa la discussione perché non mi pare pensabile che possa durare in eterno ma, soprattutto, perché essendo io la moderatrice del post, è la mia posta personale ad essere invasa. E adesso, per cortesia, basta: altrimenti è la volta che imparo la tecnica.
la impari, dunque. aspettiamo fiduciosi =)
Niente, @Marchese, non l’ho imparata: ma eliminare so, ed è l’unica difesa dall’accanimento.
Anche se non è una lingua facile quella che usa Zanzotto, ho letto. Se è facile quella stiamo freschi. Facile-non facile??? Dai, non leggete poesia, leggete altro suvvia!”
Boh!