cropped-tonyarzenta.jpgdi Gianluigi Simonetti

[Dal 29 luglio all’inizio di settembre LPLC sospende la sua programmazione ordinaria. Per non lasciare soli i nostri lettori, abbiamo deciso di riproporre alcuni testi e interventi apparsi nel 2012, quando i visitatori del nostro sito erano circa un quinto o un sesto di quelli che abbiamo adesso. È probabile che molti dei nostri lettori attuali non conoscano questi post. L’intervento di Gianluigi Simonetti è uscito il 12 marzo 2012].

L’Appuntamento è una canzone che devo aver ascoltato spesso da piccolo, penso per via di mia madre, a cui Ornella Vanoni piaceva abbastanza. Per molto tempo credo di non averla più sentita; l’ho ritrovata qualche anno fa, grazie a una cover piuttosto fedele eseguita da Roberto Dell’Era durante un suo concerto romano. Tra l’altro – ma questo l’ho scoperto ancora dopo – L’appuntamento  accompagna i titoli di testa di un bel film di Duccio Tessari, Tony Arzenta, con Alain Delon nei panni di un killer della mafia deciso ad andare in pensione per godersi la famiglia. La canzone della Vanoni accompagna il protagonista nel viaggio in auto tra Milano e Torino, alla ricerca di quella che dovrebbe essere la sua ultima vittima.

Venerdì due marzo mi trovavo a Bruxelles, ospite della Fiera del Libro e del Padiglione italiano organizzato da Stefania Ricciardi. Arrivo a sera stanco e un po’ influenzato; terminato il mio intervento decido di tornare in albergo, mi stendo vestito sul letto e accendo la televisione. Noto su un’emittente di calcio internazionale una sintesi di Svizzera-Argentina che mi interessa – Messi e Aguero formano la coppia d’attacco e fin dalle prime battute si capisce che faranno sfracelli – ma per scrupolo continuo a fare zapping, finché, arrivato al canale numero trentanove, sento partire le note dell’Appuntamento. “Ho sbagliato tante volte ormai, che lo so già/ che oggi quasi certamente sto sbagliando su di te”. Sullo schermo, in basso, il logo di Rai Uno. “Ma una volta in più che cosa può cambiare nella vita mia/ accettare questo strano appuntamento è stata una pazzia”. Anche stavolta la canzone accompagna dei titoli di testa: sono quelli di una trasmissione condotta da Gigi Marzullo, intitolata proprio L’appuntamento e consacrata alle novità letterarie.

“Càpita, soprattutto nel periodo dell’estro felino, di vedere un gatto spiaccicato ai bordi della carreggiata. (…) Si vorrebbe portare la vista altrove, ma lo sguardo è come calamitato e continua a seguire nello specchietto retrovisore il gatto spiaccicato fino a che scompare dietro le spalle. (…) L’effetto gatto-spiaccicato è l’unica spiegazione all’esistenza televisiva del personaggio che anima le visioni di oltre mezzanotte. Forse già nel sembiante Marzullo esercita una sorta di sinistro magnetismo in ragione del quale, nel corso di un sonnacchioso zapping notturno, nessuno può fare a meno di fermare lo sguardo sull’inquisitore occhialuto che passa al setaccio il narcisismo dell’ospite di turno. Razionalmente si percepisce l’orrore di quanto sta accadendo, per il medesimo meccanismo d’attrazione non si riesce a distogliere lo sguardo e ci si lascia rapire dalla trance ipnotica della reiterazione delle formule.”

E’ forse a causa dell’effetto “gatto spiaccicato” descritto da Gianluca Nicoletti che nel corso della mia vita di telespettatore nottambulo ho visto molte puntate, non solo di Mezzanotte e dintorni e Sottovoce, ma anche di Cinematografo e Palcoscenico, dedicate da rispettivamente al cinema e al teatro. A mio parere Marzullo dà il meglio con le giovani attrici, specie se debuttanti; al contrario, per quel che mi ricordo, le partecipazioni degli scrittori alle sue trasmissioni sono rare e non particolarmente vivaci – con l’eccezione di una scoppiettante puntata di Mezzanotte e dintorni in cui un Aldo Busi ancora allegro tentava di convincere Marzullo a iscriversi all’Arcigay. L’Appuntamento non l’ho mai visto, dev’essere una novità del palinsesto, ma in breve mi rendo conto che non si discosta dai collaudati schemi marzulliani, applicandoli alla letteratura al prezzo di minimi aggiustamenti. Per esempio al posto della pianista che interviene in Sottovoce – “la bellissima e bravissima Giovanna Bizzarri” – c’è una giovane attrice che legge alcuni brani del libro di cui si discute in studio. Una rubrica intitolata Il romanzo della vita sembra prendere nell’Appuntamento il posto che la canzone scelta dall’ospite ed eseguita dalla Bizzarri occupava in Sottovoce.

Di cosa si parlava nell’Appuntamento di venerdì scorso? Di un volume appena uscito, L’albero del mondo di Mauro Mazza. Per Mirella Serri, un “romanzo a tutti gli effetti”; per un altro ospite di cui non ho afferrato il nome, un “romanzo-non romanzo”; per lo stesso Mazza, “un romanzo storico o un saggio romanzato”. Non sapevo che Mazza fosse uno scrittore: lo conoscevo come direttore di Raiuno. Né sapevo che Gennaro Sangiuliano – altro ospite in studio – fosse un critico letterario: lo conoscevo come vicedirettore del TgUno. Infine, ignoravo che Marzullo si interessasse di romanzo storico – anche se ero a conoscenza del fatto che fosse, da anni, responsabile dei servizi culturali di Raiuno. Un ruolo che svolge con la discrezione che gli è unanimemente riconosciuta: l’evidente estraneità di Marzullo al dibattito culturale italiano è infatti  garanzia di indipendenza di giudizio, equilibrio e assenza di partigianeria. Non a caso il giornalista, nella vita, colleziona silenziatori per motori, e non a caso il suo programma più famoso s’intitola Sottovoce: in campo artistico Marzullo non ha opere, autori o poetiche da imporre o da difendere; non esprime idee forti, e in fondo nemmeno preferenze, perché sono tutti bravi, e tutti bravi allo stesso modo; le discussioni con gli amici le coordina al riparo dalle faziosità e dalle contrapposizioni virulente, com’è giusto che sia quando si parla di alta cultura in un servizio pubblico. In effetti, se l’obiettivo è diventare responsabile dei programmi culturali di Rai uno, perché dividere, quando si può unire? E soprattutto perché perdere tempo a leggere libri, ad assistere a proiezioni e allestimenti, quando ciò che serve è coltivare rapporti diretti e personali col potere, nelle redazioni dei giornali, nella anticamere dei partiti, alle serate mondane, allo stadio? E forse per questo la situazione che si presentava sotto i miei occhi febbricitanti, venerdì scorso, era, ricapitolando, la seguente: il responsabile dei servizi culturali di Raiuno che dedica una puntata del suo programma al primo romanzo del direttore di Raiuno, coadiuvato in sede critica dal vicedirettore del TgUno. Il romanzo in questione è importante e molto bello, lo pensano tutti i presenti in studio – anche quelli che non lavorano a RaiUno.

A dire il vero non tutto l’Appuntamento è dedicato al libro di Mazza. Una manciata di minuti – direi cinque o sei – la impegna un’intervista a Souad Sbai, autrice di Il sogno infranto, sull’esito controverso della primavera araba (la Sbai, ex giornalista, siede attualmente in Parlamento tra i seggi della stessa coalizione cui sono legati Mazza e Sangiuliano). Pochi minuti per alcune interviste ai clienti di una libreria romana (“Lei si interessa di libri storici?”), poi Il libro della vita: l’ospite è Luigi Diberti – attore e doppiatore, secondo Wikipedia; negli ultimi tempi attivo soprattutto nella fiction di Raiuno. Gli vengono accordati dieci secondi in tutto, il tempo di farci sapere che La giornata di uno scrutatore di Italo Calvino è il romanzo che gli ha cambiato la vita. Non sapremo mai perché.

 L’Appuntamento di venerdì due marzodice molte cose, mi pare, sulla Rai, sul giornalismo e sulla politica italiana: organismi diversi ma legati ormai indissolubilmente, come gemelli siamesi. Oltre il semplice conflitto di interessi, o il più spiccio scambio di favori, la commistione tra queste burocrazie fa pensare in effetti all’atavismo, all’autoreferenzialità, alla promiscuità fatale dell’incesto – un incesto impiegatizio, ministeriale, romanesco; odoroso di pecorino, senza lo scandalo e il trionfo che a volte festeggiano la violazione di un tabù.

Ma questo, come dicono appunto a Roma, “se sa”. Mi pare più stimolante riflettere, a partire dall’Appuntamento, su cosa sta diventando la letteratura nella televisione generalista (e forse non solo in televisione): qualcosa che non è mai veramente lei. E questo in almeno due sensi.

 In primo luogo, la letteratura va spesso in tv come il frutto di un ‘secondo mestiere’, e più spesso ancora come semplice hobby: qualcosa che viene fatto e discusso da politici, giornalisti, attori nei ritagli di tempo, quando non lavorano alla politica, al giornalismo o allo spettacolo (“Direttore, dove ha trovato il tempo per scrivere un romanzo?”: la prima di domanda di Marzullo a Mazza). Col passare degli anni l’attività di scrivere si rende sempre meno associabile, socialmente, all’ambizione alla buona o alla grande letteratura, per diventare nient’altro che un ingrediente tra gli altri dell’estetizzazione globale in corso. Togliatti e Berlinguer non hanno scritto opere letterarie, Veltroni, Franceschini e Vendola sì; Pupo, Faletti e Antonella Clerici hanno pubblicato romanzi, Lelio Luttazzi, Vianello e Corrado no. Se negli ultimi tempi l’editoria letteraria ha aperto le porte ai media è perché prima i media hanno vampirizzato la letteratura, cooptandola, con la complicità di molti addetti ai lavori, nel loro progetto di spettacolo integrato; in una trasmissione letteraria non si invitano pertanto letterati o critici letterari, ma soprattutto politici o giornalisti o personaggi mediatici. “La letteratura cambia la vita”, ammonisce Marzullo – e lo fa scrivere a grandi lettere sullo sfondo dello studio, tra una gigantografia di Alberto Bevilacqua e una di Alda Merini – ma i suoi ospiti sono in realtà persone che hanno dedicato la vita a fare altro, e che sono approdati alla pubblicazione di un’opera letteraria proprio perché hanno fatto e continuano a fare altro. Se la letteratura non ha cambiato la loro vita, molto difficilmente potrà cambiare quella dei loro lettori.

Così, mentre la televisione ama proclamare la forza e l’importanza della letteratura, di fatto le chiede, per apparire sugli schermi, di mescolarsi ad altre esperienze – di diventare qualcosa di più piatto e più glamour. Un processo che implica conseguenze ulteriori – ad esempio il ripescaggio o la creazione in vitro di nuovi autori transmediali, a metà tra televisione, cinema, radio e letteratura; ma che investe perfino i classici, se per parlare di Dante è bene che si muova Benigni. Il problema, alla fine, è che anche quando in studio ci va uno scrittore vero – Saviano, per esempio – non è dei suoi libri che si parla, ma sempre di un tema, un personaggio, un caso extraletterario alla moda che trovano nello scrittore-ultracorpo il pretesto per potersi manifestare. Uno scrittore in tv è raramente soltanto uno scrittore che parla della sua opera; è spesso una figura diversa e ibrida, che è lì per parlare d’altro, in una lingua che non è la sua.

In televisione ci si traveste da scrittore solo se non lo si è; se lo si è, ci si traveste da opinionista. Non è la letteratura che cambia la vita, ma la nostra vita che sta cambiando la letteratura.

[Immagine: Alain Delon in Tony Arzenta (1973) di Duccio Tessari (gs)]

13 thoughts on “Ritagli di tempo. Televisione e letteratura

  1. Concordo. Questa tendenza a scimmiottare la letteratura per conquistare il pubblico, per così dire, “low-brow” è un’altra delle conseguenze dall’avvento della televisione generalista, con la sua tipica urgenza di travestirsi da altro per nascondere la natura commerciale del modello di intrattenimento che offre. Per le reti italiane, che, a parte un esiguo spazio lasciato all’informazione giornalistica (con tutte le virgolette del caso) e a rarissime trasmissioni culturali (ma sempre di una cultura piuttosto generale, “audience-friendly”), sono occupate da una dilagante marea di programmi di puro entertainment, la letteratura è un guardaroba di materiale bidimensionalizzato e ridotto a pura superficie, di cui addobbarsi per darsi un tono. Come e più della politica e della cronaca nera, con l’aggravante che, se non giudico male, vive ancora l’idea che la letteratura sia qualcosa che non dovrebbe superare la dimensione dell’hobby, dello svago un po’ chic, e che, inserita nel rettangolo di uno schermo, serva più che altro a permettere al pubblico di lavarsi la coscienza dal sospetto della totale insignificanza di quello che sta ascoltando. Senza però, non sia mai, costringerlo a mettere un piede fuori dal seminato della solida, sana “vita concreta”, fatta di lavoro e di questioni serie, non di opere d’arte. Mi viene in mente che uno dei casi letterari degli ultimi anni è stato “La solitudine dei numeri primi”, romanzo che personalmente ho trovato inqualificabilmente brutto, ma che pure ha vinto il premio Campiello e il premio Strega, e ha temporaneamente invaso i programmi della domenica pomeriggio per il motivo principale che un laureato in fisica -persona seria- si è degnato di mettersi a fare lo scrittore nel tempo libero. Per non parlare di “Melissa P.”, che è incalcolabilmente più un fenomeno televisivo che letterario (basti pensare al degenero che ha accompagnato alcune recenti apparizioni della giovane “scrittrice”).
    Ora, visto che sono questi i “letterati” di cui la televisione ha gola, dovremmo sorprenderci che un personaggio come Marzullo conduca la sua trasmissione come un’amabile chiacchierata tra compagni di merenda che si prendono un momento di riposo dalle loro utili attività? Chiuso il pittoresco di questi convinti “romanzieri di professione” (tutti giovani, per prendere due cliché con una fava) nello spazio ben recintato di un’apparizione bisettimanale di pochi minuti, largo a quelli che sanno riconoscere che il posto della scrittura è nel tempo libero. Allora è ovvio che imbastire un dialogo critico serio sull’ultima opera di Mazza (sempre che la cosa sia poi possibile) diventa poco meno che un paradosso. Sarebbe come scaldarsi per una conversazione da aperitivo: inutile, inappropriato e di cattivo gusto.

  2. ci sono cose di questo articolo che non condivido:
    – veltroni vendola e franceschini hanno pubblicato prodotti editoriali e non opere letterarie.
    – che saviano sia un vero scrittore non lo credo.
    – non è letteratura quella di cui si parla in televisione: è una televendita di prodotto editoriale.
    – mi stupisco che degli intellettuali vedano ancora la tv. la tv va portata all’isola ecologica.
    – alla base del mondo della cultura italiana c’è un classismo insopportabile per cui saviano è uno scrittore e la clerici no. A mio giudizio sono due bravissimi addetti alla produzione di prodotti editoriali.
    – terra matta di vincenzo rabito, i docu audio di marcello anselmo, la poesia di cristina alziati e le righe di paolo nori….per il mio modestissimo parere di casalinga e disoccupata del sud con la terza media considero questa vera letteratura…

  3. Temo che dopo “L’approdo”, vecchissima trasmissione peraltro famosa per la sua noiosità, non ci sia stato più un programma televisivo “letterario” degno del nome. Una possibile rivendicazione, da parte di scrittori e poeti, sarebbe quella di averne finalmente una, diciamo autogestita, a un’ora decente (diciamo non più tardi della mezzanotte…). Simonetti fa bene ad affrontare la questione. È anche la sua risposta, suppongo, a quanti ritengono che lui sia troppo sbilanciato verso l’industria culturale.

  4. @maria smintello
    le sue riflessioni, peraltro interessanti, non colgono a mio parere il punto dell’articolo: ciò che i processi comunicativi (la Comunicazione, una sorta di mostro onnifagocitante) fanno a una “cosa” che dalla comunicazione mediatica dovrebbe differire, cioè la letteratura. insomma, credo che il nocciolo dell’articolo (se sbaglio mi corrigerete) stia nel fatto che la Comunicazione (nel senso inteso da Perniola, per dire) ha contribuito ad indirizzare i nostri processi di fruizione e comprensione della letteratura. si avrebbe così: la letteratura assimilata come hobby e risputata come pappa, per una cerchia che lavora nell’ambito mediatico ed extraletterario; la letteratura, quella fatta da chi ancora la prende tanto sul serio da porla al centro di un progetto di vita, quella sentita come necessità, costretta a ficcarsi con fastidio dentro contenitori allotrii ai fini di una diffusione facile (non semplicemente “larga”: proprio facile, spendibile). in questo senso, è un articolo che ha il pregio della chiarezza espositiva, sine dubio.

  5. @genovese
    poeti e televisione, per fare un esempio non andavano particolarmente d’accordo solo 20 anni fa. mi sovviene una trasmissione (non l’ho vista in diretta, quindi chi sa approfondisca) del 1989 curata da giorgio weiss, “poeti in gara”: si scontravano tramite televoto, con la lettura di una poesia a testa, i più grandi poeti del secondo novecento italiano: rosselli, zeichen, bellezza, sanguineti, magrelli, zanzotto… non ne manca uno. eppure, le riserve mi restano: televoto per delle poesie totalmente diverse fra loro che si sfidano attraverso quarti di finale e semifinali, sunti biografici per presentare poeti muti che si riducevano a leggere la loro poesia e nient’altro (al massimo un preambolo)… insomma, letteratura e televisione credo sia una questione alquanto problematica.

  6. Credo che sia un fenomeno che riguardi anche le altre arti, oltre alla letteratura.
    E’ un po’ come se l’esercizio della lettura, della musica, della pittura o quant’altro conferisca uno status intellettuale in più, una specie di “surplus” per elevarsi dalla massa.
    Il punto è: se diventa pratica comune si finirà di nuovo per ricadere nell’indifferenziato…e allora che cosa ci si inventerà per distinguersi?

    Cmq, per ribadire il concetto su quest’habitus sempre più ricorrente:

  7. Bel pezzo, Gigi. Che pone un problema di certo non risolvibile con il “mi meraviglio che degli intellettuali vedano ancora la tv”. Se è per questo, si può smettere di leggere i giornali, di andare a votare, di partecipare alle manifestazioni, per dedicarsi alla meditazione rivoluzionaria trascendentale. ciò putrtroppo, di per sé, non migliora lo stato delle cose.

  8. Grazie a tutti per gli interventi.

    Un piccolo allegato: sito del “Corriere della sera”, Club de La Lettura, rubrica “La pagella della settimana” a cura di Antonio D’Orrico; i tre libri recensiti in home oggi sono i seguenti:

    – Francesco Guccini, Dizionario delle cose perdute, Mondadori;
    – Massimo Gramellini, Fai bei sogni, Longanesi;
    – Carlo Verdone, La casa sopra i portici, Bompiani.

  9. Cosi’, a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di piu’ di quello che saremo capaci di portarvi….

  10. Marxzullo: “a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità”.
    E lei, Simonetti, rosica perchè è un reazionario.

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