di Claudio Gigante
[È uscito da poche settimane, per Carocci editore, il libro di Claudio Gigante, Una coscienza europea. Zeno e la tradizione moderna. Ne pubblichiamo qui un estratto dalla Premessa. Claudio Gigante presenterà il volume mercoledì 20 maggio alle ore 18.00 nell’ambito del corso di Letteratura italiana contemporanea di Pierluigi Pellini (Università di Siena). Il link per l’aula virtuale si trova alla seguente pagina: https://docenti.unisi.
Thus conscience does make cowards of us all
W. Shakespeare, Hamlet, a. III, sc. 1
Chacun de nous a sa blessure
E. Rostand, Cyrano de Bergerac, a. V, sc. 5
Premessa
Una coscienza europea. È un titolo che vorrebbe indicare la genesi e il senso di questa ricerca e nel contempo segnalare il cammino che i lettori sono invitati a intraprendere. All’origine del libro, nato come un esercizio di lettura, vi sono due corsi universitari tenuti all’Università di Bruxelles destinati a un pubblico eterogeneo e curioso, dotato di competenze spesso imprevedibili. Mi è parso in più di un’occasione che un romanzo come La coscienza di Zeno trovasse, tra questi ragazzi appassionati di letteratura e provenienti da orizzonti diversi (Italia compresa), dei lettori ideali, istintivamente portati, per la loro formazione e anche per il contesto in cui studiano, a collocare Svevo nella cultura europea, a considerarlo in primo luogo un contemporaneo di Mann, Pirandello, Rilke, Wilde e Joyce, oltre che di Nietzsche e Freud.
In queste pagine ci occupiamo di psicoanalisi – del modo in cui Svevo se n’è servito, dei testi che dovrebbe avere compulsato – senza scindere il discorso da un approccio comparatistico in senso letterario: le due vie, una volta terminata la stagione delle analisi “interne” – l’esercizio più alto, in tale ambito, resta il saggio del 1929 Svevo e Schmitz di Giacomo Debenedetti –, sono state già percorse, con esiti e metodi diversi, ma generalmente tenendo distinti i piani di lettura, privilegiando un itinerario rispetto all’altro. Per quel che riguarda la psicoanalisi, l’obiettivo non è stato tornare sull’importanza che ebbe per l’ultimo Svevo – che è una cosa evidente (quasi) per tutti – ma, da un lato, leggere in chiave letteraria, come sussidio per la macchina narrativa della Coscienza, l’interesse per il pensiero freudiano (come quello per Schopenhauer e in una certa misura per Nietzsche), dall’altro, mettere in discussione un’interpretazione del romanzo che, avallata e in un certo senso promossa dallo stesso autore, ha finito per essere accreditata anche dalla critica: attraverso l’avventura psicoterapeutica di Zeno, Svevo si sarebbe preso gioco della psicoanalisi e dei suoi cultori. È una prospettiva riduttiva, crediamo, che non onora la complessità della Coscienza, oltre a non riflettere la portata degli effettivi interessi dell’autore che rischia in tal modo di essere, ancora una volta, confuso con il suo personaggio.
Ha scritto una volta Svevo, suggestionato da un pensiero di Joyce[1], di non avere composto in tutta la sua vita «che un romanzo solo»[2]. Si tratta di una frase a effetto (ve ne sono tante disseminate nelle sue lettere), ma anche di un’osservazione critica condivisibile se si vuole intendere non una continuità, ma un’evoluzione. In Zeno si ritrovano le tracce dei suoi principali predecessori (Alfonso Nitti, Emilio Brentani) che nella Coscienza traghettano la cultura ottocentesca dell’autore (da Balzac a Zola, alla «poesia nera» di Schopenhauer): i nuovi stimoli culturali (da Mann a Joyce, alla psicoanalisi freudiana) si fondono con gli antichi senza sostituirli. La Coscienza nasce, come si cercherà di mostrare, da questo fertile innesto. Nei suoi tre romanzi compiuti – Una vita, Senilità e La coscienza di Zeno – Svevo ha affrontato la questione del “male di vivere”, della “malattia”, dell’“inettitudine”: si tratta di un riconoscibile fondo comune, ma dopo i Buddenbrook e L’interpretazione dei sogni – per citare i due testi capitali con cui nasce il nuovo secolo – sarebbe stato difficile, per un intellettuale poroso e problematico come lui, impostare il problema nello stesso modo.
Proprio per questo, nel “romanzo familiare” di Zeno, accanto alla nuova e indispensabile figura paterna (come concepire altrimenti un romanzo psicoanalitico?), trovano forma non soltanto alcuni temi e personaggi delle prove narrative precedenti, ispirati ai maestri del realismo (Balzac, Flaubert, Turgenev, Zola) – gli inetti ambiziosi, gli illusi, i predatori ottusi e feroci, la malattia, le donne sane, l’amore mediato –, ma figure e situazioni della letteratura contemporanea, da Pirandello a Rilke, da Musil a Tozzi, da Mann a Wilde, a Joyce. Ci sono poi libri ottocenteschi – penso in primo luogo a Oblomov e À rebours – estranei al perimetro dei primi due romanzi di Svevo ma indispensabili, invece, per intendere il contesto culturale della Coscienza.
L’interpretazione proposta in questo libro nasce in dialogo con la tradizione moderna, non allo scopo di offrire dei riscontri intertestuali, che pure si avrà spesso occasione di suggerire, ma per costruire un discorso che permetta di leggere la Coscienza all’interno di un sistema di relazioni che includa anche libri, oggi poco diffusi, che ebbero discreta o vasta circolazione: alludo in particolare ai testi di contemporanei come Benco, Bourget, Daudet, France e Ojetti.
Svevo – e qui mi sembra che si possa sottolineare una rilevante divergenza rispetto allo sviluppo della scrittura pirandelliana – non è un autore che tenda al travaso diretto di segmenti testuali. Certo può accadere di scoprire che anche a lui, come a qualunque scrittore, sia capitato di replicare e rifondere situazioni narrative assorbite altrove: ma è un tipo di trouvaille che in genere non conduce molto lontano. Leggendo Corto viaggio sentimentale possiamo, ad esempio, accorgerci (non mi sembra che qualcuno l’abbia già notato) che la reazione della moglie del signor Aghios, contenta del gioiello ricevuto dal marito ma indispettita per i soldi spesi («gradì il dono ma […] volle saperne il prezzo e urlò subito che il Meuli [il gioielliere] l’aveva truffato»[3]), è un probabile calco da un passo di A little Cloud, uno dei racconti dei Dubliners:
Quando [Chandler] aveva portato a casa la camicetta, Annie [sua moglie] lo aveva baciato e gli aveva detto che era molto carina. Ma, sentito il prezzo, l’aveva buttata per terra protestando che era una truffa vera e propria far pagare la roba così cara[4].
Ma è un dettaglio che se può arricchire di una nota un futuro commento, in fondo, in sé e per sé, non ci serve a niente. Il naufragio di gran parte della biblioteca di Svevo non ci permette di conoscere in modo adeguato il suo modo di leggere. Le sottolineature sui suoi libri superstiti, tuttavia, consentono di non ascrivere alle letture un valore puramente strumentale: Svevo usa raramente il rampino nelle scritture altrui, e la stessa probabile consultazione di uno o più dizionari, se è stata funzionale alla risoluzione di dubbi linguistici, non ha nulla a che vedere con la ricerca di parole rare o a effetto che accomuna D’Annunzio, Pirandello o Silvio Benco. Nella sua biblioteca figuravano, ad esempio, il Dizionario-vocabolario del dialetto triestino e della lingua italiana di E. Kosovitz e il Dictionnaire commercial en six langues di G. Frisoni[5]: ma nessuno fra i lemmi peregrini sottolineati nel dizionario di Kosovitz si ritrova nei suoi testi.
Il ragionamento intorno ai libri di qualche rilievo per la costruzione dei suoi romanzi, e in particolare della Coscienza, si può svolgere produttivamente solo (e non è poco) in termini culturali o più spesso di ordine tematico. È il sentiero che abbiamo provato a percorrere, sperando di non avere sbagliato strada.
Note
[1] I. Svevo, Carteggio con James Joyce, Eugenio Montale, Valery Larbaud, Benjamin Crémieux, Marie Anne Comnène, Valerio Jahier, a cura di B. Maier, dall’Oglio, Milano 1965, p. 53.
[2] I. Svevo, Epistolario, a cura di B. Maier, Dall’Oglio, Milano 1966, p. 847.
[3] I. Svevo, Racconti e Scritti autobiografici (Tutte le opere, edizione diretta da M. Lavagetto), a cura di C. Bertoni, Mondadori, Milano 2004, p. 572.
[4] J. Joyce, Gente di Dublino, trad. it. di F. Cancogni, Einaudi, Torino 1949, p. 98.
[5] S. Volpato-R. Cepach, Alla peggio andrò in biblioteca. I libri ritrovati di I. Svevo, a cura di M. Gatta, Biblohaus, Macerata, 2013, pp. 125-33.