di Walter Benjamin

 

[Esce domani per Giometti & Antonello Orbis pictus. Scritti sulla letteratura infantile di Walter Benjamin, a cura di Giulio Schiavoni. Presentiamo un estratto].

 

«Perché colleziona libri?» Nessuno ha mai esortato i bibliofili a riflettere su se stessi, con una domanda del genere? Come sarebbero interessanti le risposte, almeno quelle sincere! Poiché soltanto i non iniziati possono credere che anche qui non ci sia qualcosa da nascondere e mascherare. Orgoglio, solitudine, inasprimento – è questo il lato negativo di certe nature di collezionisti così coltivate e felici. Di quando in quando ogni passione rivela i suoi tratti demoniaci; la storia della bibliofilia può testimoniarlo più di ogni altra. Nulla di tutto questo compare nel credo del collezionista di Karl Hobrecker, di cui la grande raccolta di libri per bambini è ora resa nota al pubblico dalla sua opera. Per coloro a cui non lo dicesse la persona cordiale, fine dell’autore, a cui non lo dicesse ogni pagina del libro, sarebbe sufficiente riflettere: poteva scoprire questo campo di collezione – il libro infantile – soltanto chi non ha ripudiato la gioia infantile per esso. Essa è l’origine della sua biblioteca, e di essa avrà bisogno ogni altra simile, per poter prosperare.

 

Un libro, anzi una pagina di un libro, una semplice illustrazione nella copia antiquata, che forse è stata ereditata dalla madre e dalla nonna, può essere il supporto intorno a cui si avvolge la prima, tenera radice di questa inclinazione. Non importa che la copertina sia mezza staccata, che manchino delle pagine e che qua e là mani maldestre abbiano colorato le silografie. La ricerca del bell’esemplare ha la sua giustificazione, ma proprio qui il pedante si romperà l’osso del collo. Ed è un bene, che la patina che le mani non lavate dei bambini hanno posato sulle pagine tenga lontano il bibliofilo snob.

 

Quando Hobrecker cominciò la sua collezione, venticinque anni fa, i vecchi libri per bambini erano considerati cartaccia. Egli ha anzitutto offerto loro un rifugio dove sono protetti dal macero per un certo tempo. Tra le parecchie migliaia che riempiono i suoi scaffali alcune centinaia possono ritrovarsi soltanto da lui, in un’unica, ultima copia. Questo primo archivista del libro infantile non si presenta affatto al pubblico, nel suo libro, con la dignità e gravità del suo grado. Non cerca di ottenere approvazione per il suo lavoro, ma partecipazione alla bellezza che esso gli ha dischiuso. Tutti gli elementi di erudizione, in particolare un’appendice bibliografica relativa a circa duecento dei titoli più importanti, sono accessori che sono graditi al collezionista senza disturbare l’estraneo. Il libro tedesco per bambini – così l’autore introduce la sua storia – è nato con l’Illuminismo. Con la loro pedagogia i filantropi controllavano la validità del grande programma culturale umanitario. Se l’uomo era pio, buono e socievole per natura, si doveva riuscire a educare il bambino – l’essere naturale per eccellenza – in modo da fare di lui l’uomo più pio, migliore, più socievole. E poiché in ogni educazione su base teorica la tecnica dell’influenza oggettiva viene scoperta soltanto tardi e l’inizio è costituito dalle problematiche esortazioni, così anche il libro per bambini nei primi decenni è edificante, moralistico e rappresenta una variante del catechismo, interpretato dal punto di vista del deismo. Hobrecker sottopone questi testi a un severo giudizio. La loro aridità, anzi la loro mancanza di interesse per il bambino è spesso innegabile. Ma questi errori superati sono piccoli, se confrontati con le aberrazioni che sono oggi di moda grazie alla pretesa immedesimazione nella natura infantile: con la misera, stravolta allegria dei racconti in rima e i ghignanti ceffi infantili che squallidi amici dei bambini dipingono per illustrarle. Il bambino chiede all’adulto una rappresentazione chiara e comprensibile, ma non infantile. Ma meno che mai ciò che l’adulto è solito considerare tale. E poiché il bambino ha una precisa sensibilità anche per ciò che è serio e difficile, purché sia sincero e venga direttamente dal cuore, si può anche dire qualcosa a favore di quei testi antiquati. Accanto all’abbecedario e al catechismo agli inizi del libro per bambini sta il vocabolario illustrato, o come si voglia chiamare l’Orbis pictus di Amos Comenius. L’Illuminismo si è impadronito, alla propria maniera, anche di questa forma, e ha creato il monumentale Elementarwerk [Libro elementare] di Basedow. Questo libro è spesso di soddisfacente lettura anche dal punto di vista del testo. Poiché accanto a un prolisso insegnamento universale che secondo lo spirito del tempo mette nella giusta luce l’«utilità» di tutte le cose – quella della matematica come quella della danza sulla corda – compaiono storie morali di una drasticità che non involontariamente sfiora il comico. Accanto a queste due opere avrebbe meritato una menzione il più tardo Bilderbuch für Kinder [Libro illustrato per bambini]. Comprende dodici volumi ciascuno con cento incisioni in rame colorate, ed è uscito a Weimar dal 1792 al 1847 sotto la direzione di F.J. Bertuch. Con la sua accurata esecuzione questa enciclopedia per bambini dimostra la dedizione con cui si lavorava allora per l’infanzia. Oggi la maggior parte dei genitori inorridirebbe davanti alla richiesta di mettere nelle mani dei bambini un’opera così preziosa. Nella sua prefazione Bertuch invita con tutta naturalezza a ritagliare le illustrazioni. Infine la fiaba e la canzone, a una certa distanza anche il libro popolare e la favola sono altrettante fonti per il contenuto del libro infantile. Ovviamente quelle più pure. A ben vedere è da un pregiudizio interamente moderno che è nato il romanzo moderno per la gioventù, una formazione senza radici piena di torbidi umori. Dal pregiudizio che i bambini siano creature così singolari e incommensurabili che per intrattenerli occorre un’inventiva del tutto particolare. La preoccupazione spasmodica di produrre oggetti che siano adatti ai bambini (oggetti intuitivi, giocattoli o libri) è oziosa. Dopo l’Illuminismo è questa una delle più ammuffite forme di elucubrazione dei pedagogisti. Tale pregiudizio non si avvede che la terra è piena di materie pure, non adulterate, tali da attirare su di sé l’attenzione dei bambini. E di materie estremamente determinate. Poiché i bambini hanno una particolare tendenza a considerare con cura ogni luogo di lavoro dove si svolge un’attività visibile sulle cose. Si sentono irresistibilmente attratti dal residuo, che si tratti di quello che si forma nel lavoro del muratore, del giardiniere o del falegname, del sarto o di qualunque altro. In questi prodotti di scarto essi riconoscono il volto che il mondo delle cose rivolge a loro e soltanto a loro. Con essi non imitano tanto le opere degli adulti, quanto piuttosto mettono in rapporto tra loro questi materiali di scarto in modi nuovi e imprevedibili. In questo modo i bambini si formano il loro mondo di cose, un piccolo mondo nel grande. Anche la fiaba è un residuo del genere, forse il più potente che si trovi nella storia spirituale dell’umanità: un prodotto di scarto nel processo della nascita e della decadenza della leggenda. Il bambino può disporre delle materie della fiaba nello stesso modo sovrano e naturale in cui dispone dei pezzi di stoffa e delle pietre da costruzione. Nei motivi delle fiabe egli costruisce il suo mondo, o almeno lega i suoi elementi. Un discorso analogo si può fare per la canzone. E la favola – «la favola nella sua buona forma può rappresentare un prodotto spirituale di meravigliosa profondità, di cui i bambini riconoscono il valore soltanto in pochissimi casi. Possiamo anche dubitare che i giovani lettori l’apprezzino a causa della morale annessa o che la usino per la loro educazione intellettuale, come ha talvolta supposto e soprattutto desiderato una saggezza estranea al mondo del bambino. Certamente i piccoli godono leggendo dell’animale che parla come un uomo e agisce razionalmente più che leggendo il testo più ricco di idee». «La letteratura specificamente infantile – si legge in un altro passo – è cominciata con un grosso fiasco, questo è certo.» E in moltissimi casi la sua situazione non è cambiata, possiamo aggiungere.

 

C’è una cosa che salva persino le opere più antiquate, meno libere dal pregiudizio di quest’epoca: l’illustrazione. Quest’ultima sfuggiva al controllo delle teorie filantropiche, e gli artisti e i bambini si sono messi presto d’accordo alle spalle dei pedagogisti. Non nel senso che i primi abbiano lavorato esclusivamente guardando i secondi. I libri di favole mostrano che schemi affini compaiono nei luoghi più diversi, con variazioni maggiori o minori. Così i libri illustrati rimandano a incisioni in rame del secolo XVII e forse ancora più antiche (si veda ad esempio la rappresentazione delle sette meraviglie del mondo). Avanziamo l’ipotesi che l’illustrazione di queste opere sia storicamente collegata con l’emblematica del barocco. I campi non sono così estranei tra loro come si potrebbe pensare. Verso la fine del secolo XVIII compaiono libri illustrati che raccolgono in un’unica pagina (e senza stabilire nessun collegamento figurale) una moltitudine variopinta di cose. Sono oggetti che cominciano con la stessa lettera: mela [Apfel], àncora [Anker], campo [Akker], atlante [Atlas], ecc. Sono aggiunte una o più traduzioni di questi vocaboli in lingue straniere. Così posto, il compito artistico è simile a quello che la combinazione di tipo ideografico di oggetti allegorici poneva ai disegnatori del barocco, e in entrambe le epoche sono nate soluzioni ingegnose e molto significative. Nulla colpisce più del fatto che nel secolo XIX, che ha dovuto pagare l’aumento di sapere universale che lo caratterizza con il sacrificio di tanti beni di cultura di quello precedente, il libro per bambini non abbia sofferto nessuna perdita, né dal punto di vista del testo né da quello dell’illustrazione. È vero che dopo il 1810 non compaiono più opere così raffinate come le Fabeln des Aesopus [Favole di Esopo] viennesi (seconda edizione bey Heinr. Friedr. Müller, Vienna, s.d.), che mi ritengo fortunato di poter aggiungere all’elenco di Hobrecker. In genere, non è nella raffinatezza del disegno e del colore che il libro per bambini del secolo XIX potrebbe competere con i suoi precursori. Il suo fascino consiste in buona parte nella primitività, nei documenti di un’epoca in cui la vecchia manifattura si confronta con gli inizi di nuove tecniche. Dal 1840 la litografia aveva conquistato la supremazia, mentre prima, nell’incisione in rame, spesso comparivano ancora motivi del secolo XVIII. Il Biedermeier, gli anni Venti e Trenta, sono nuovi e caratteristici soltanto nel colore. «Mi sembra che in quel periodo del Biedermeier ci sia una predilezione per il carminio, l’arancione e il blu oltremare, anche il verde brillante è usato spesso. Accanto a questi abiti brillanti, accanto all’azzurro del cielo, alle selvagge fiamme dei vulcani e degli incendi, che figura fanno le semplici incisioni in rame e le litografie in bianco e nero che in generale erano abbastanza belle per i noiosi adulti? Dove fioriscono nuovamente rose come queste, dove splendono mele e gote così rosse, dove sfavillano ancora questi ussari in dolman verde e con la divisa rosso robbia su cui spiccano i cordoncini gialli? Persino il semplice cilindro grigio-topo del nobile padre, il brillante copricapo giallo della bella madre destano ancora la nostra ammirazione.» Questo mondo autosufficiente di colori splendidi è riservato senz’altro al libro infantile. La pittura sfiora l’effetto vuoto, quando il colore, la trasparenza o l’ardente vivacità dei colori compromette la loro relazione con la superficie. Ma nelle immagini dei libri per bambini per lo più l’oggetto e l’indipendenza della base grafica fa sì che non si possa pensare a una sintesi di colore e superficie. In questi giochi di colori la pura fantasia si libera da ogni responsabilità. I libri per bambini non servono a introdurre direttamente nel mondo degli oggetti, degli animali e degli uomini, nella cosiddetta vita, coloro che li considerano. Essi si ritrovano nel mondo esterno in modo del tutto graduale, e solo nella misura in cui esso diventa loro familiare come un’interiorità a loro adeguata. L’interiorità di questa visione risiede nel colore, e nell’elemento del colore si svolge la vita onirica che le cose conducono nella mente del bambino. I bambini imparano dal variopinto. Poiché la contemplazione sensibile appagata ha la sua sede naturale nel colore più che in ogni altra cosa.

 

Ma i casi più interessanti compaiono verso la fine del Biedermeier, gli anni Quaranta, contemporaneamente al grande sviluppo della civiltà tecnica e a quel livellamento della cultura che non è stato privo di connessione con esso. Era allora ormai compiuta la demolizione degli ordini medievali della vita, nella loro disposizione gerarchica. In questo processo proprio le sostanze più fini e più nobili spesso erano cadute più in basso, e così accade che colui che guarda in profondità trovi proprio nelle depressioni della letteratura e dell’opera figurativa, ad esempio nei libri per bambini, questi elementi che cerca invano nelle testimonianze culturali riconosciute. Così lo sprofondare e la fusione di tutti gli strati e i modi di azione spirituali diventa veramente evidente in un bohémien di quel tempo che purtroppo non ha trovato posto nel libro di Hobrecker, sebbene gli siamo debitori di alcuni dei libri per bambini più perfetti, e anche – è vero – più singolari. È Johann Peter Lyser, giornalista, poeta, pittore e musicista. Il Fabelbuch [Libro di favole] di A.L. Grimm con illustrazioni di Lyser (Grimma, 1827), il Buch der Mährchen für Töchter und Söhne gebildeter Stände [Libro di fiabe per bambine e bambini dei ceti colti] (Lipsia, 1834), testo e illustrazioni di Lyser, e Linas Mährchenbuch [Il libro di fiabe di Lina], testo di A.L. Grimm, illustrazioni di Lyser (Grimma, s.d.) – sono tre dei suoi scritti per bambini più belli. Il colore delle loro litografie è diverso da quello ardente del Biedermeier e si adatta tanto meglio all’espressione smunta, macilenta di certe figure, al paesaggio umbratile, all’atmosfera della fiaba che non è immune da un tratto ironico-satanico. Il livello popolare su cui si è sviluppata quest’arte originale è testimoniato nel modo più evidente dall’Abendländische tausendundeine Nacht [Le mille e una notte occidentali], opera in parecchi volumi ornata da litografie dello stesso autore. È un miscuglio disordinato di fiabe, saghe, leggende locali e racconti terrificanti, che è stato raccolto da torbide fonti ed è stato pubblicato negli anni Trenta da F.W. Goedsche a Meissen. Per colui che ha raccolto questo materiale le più banali città della Germania Centrale – Meissen, Langensalza, Potschapel, Grimma, Neuhaldensleben – entrano in un magico contesto topografico. È possibile che maestri di scuola siano stati spesso scrittori e illustratori insieme, e si provi a immaginare come si configura un libretto che presenta gli dei dell’Edda alla gioventù di Langensalza in 32 pagine e 8 litografie.

 

Ma per Hobrecker il punto focale dell’interesse non sta tanto qui quanto negli anni Quaranta-Sessanta. E precisamente a Berlino, dove il disegnatore Theodor Hosemann ha impiegato il suo amabile talento soprattutto nell’illustrazione di scritti per i giovani. Anche alle pagine meno elaborate una leggiadra freddezza del colore, una simpatica sobrietà nell’espressione dei personaggi danno un’impronta particolare che può allietare ogni berlinese. È vero che i lavori precedenti del maestro, meno schematici e meno frequenti, come le affascinanti illustrazioni di Puppe Wunderhold [Bambola graziosissima] – un gioiello della collezione Hobrecker –, per il conoscitore occuperanno un posto più alto di quelli più correnti che compaiono in tutti i negozi di libri antichi e sono riconoscibili dal formato uniforme e dalla scritta «Berlin Winckelmann & Söhne». Accanto a Hosemann lavoravano Kamberg, Richter, Speckter, Pocci, per tacere dei minori. Le loro silografie in bianco e nero aprono all’intuizione infantile un mondo proprio. Il loro valore originario è uguale a quello dei disegni colorati: la sua integrazione polare. L’immagine colorata induce la fantasia del bambino a immergersi in se stessa. La silografia in bianco e nero, la sobria illustrazione prosaica lo trae fuori di sé. Con l’imperiosa esortazione alla descrizione che è insita in esse, queste immagini inducono il bambino a parlare. Ma come descrive queste immagini con parole, così le descrive di fatto. Abita in esse. Diversamente da quella colorata, la loro superficie non è un «Noli me tangere» – non lo è né in se stessa né per il bambino. Invece ha per così dire un carattere soltanto allusivo, ed è capace di una certa condensazione. Il bambino la effettua. E così avviene che egli non soltanto descriva queste immagini, ma anche vi «scriva», in senso materiale. Le scarabocchia. Insieme al linguaggio vi impara anche la scrittura: geroglifica. Dunque l’autentico significato di questi semplici libri grafici per bambini risiede molto lontano dall’ottusa drasticità per cui li raccomandava la pedagogia razionalistica. Ma anche qui si conferma la verità del detto: «Spesso il filisteo ha ragione nella cosa, ma non ce l’ha mai nei motivi». Poiché queste immagini introducono il bambino nel mondo del linguaggio e della scrittura più di tutte le altre – verità la cui intuizione aveva indotto ad accompagnare le prime parole dei vecchi abbecedari col disegno di ciò che esse significavano. Le figure colorate che compaiono oggi sugli abbecedari sono un’aberrazione. Nel regno delle immagini acromatiche il bambino si sveglia, mentre in quello delle immagini colorate si abbandona ai suoi sogni.

 

In tutta la storiografia il passato più recente fa parte dei temi più discussi e controversi. Anche nell’innocua storia del libro infantile la situazione non è diversa. Le valutazioni dei libri per i ragazzi divergeranno con la massima facilità a partire da quelli scritti dagli ultimi venticinque anni del secolo XIX in poi. Quando mette in berlina il suo tono importunamente pedante, Hobrecker forse fa meno attenzione ad altri, più riposti abusi della moderna letteratura infantile. E del resto non se l’era proposto. L’orgoglio per una conoscenza psicologica della vita interiore del bambino che non raggiunge mai una profondità e vitalità paragonabili a quelle di un vecchio scritto pedagogico come la Levana di Jean Paul ha allevato una letteratura che nella sua autocompiaciuta ricerca del favore del pubblico ha perso il contenuto etico che dà una loro dignità anche ai meno flessibili tentativi della pedagogia classica. Al suo posto è subentrata la dipendenza dalle parole d’ordine della stampa quotidiana. Il segreto accordo fra l’artigiano anonimo e il bambino viene a cadere; sia gli scrittori che gli autori delle illustrazioni si rivolgono sempre più al bambino passando attraverso l’impura mediazione delle ultime preoccupazioni e mode. Si installa, nelle immagini, il gesto sdolcinato, che non corrisponde al bambino, ma alle corrotte rappresentazioni di esso. Il formato perde la nobile inappariscenza e diventa invadente. È vero che in questo kitsch sono insite le più preziose testimonianze di storia della civiltà, ma sono ancora troppo recenti, perché il piacere che possono procurare possa essere puro.

 

Comunque sia: se si considera sia la figura interna che quella esterna della stessa opera di Hobrecker, essa è interamente pervasa dal fascino dei più amabili libri romantici per bambini. Silografie, illustrazioni a tutta pagina, siluette e illustrazioni finemente colo­rate inserite nel testo, fanno di quest’opera un libro di casa estremamente piacevole, che non è soltanto una gioia per l’adulto, ma può essere benissimo dato in mano ai bambini affinché cerchino di imparare l’alfabeto sui testi dei vecchi abbecedari o di dipingere secondo il modello delle illustrazioni. Quanto al collezionista, soltanto il timore di veder salire i prezzi getterà un’ombra sulla sua gioia. In compenso gli rimane la speranza che quest’opera possa salvare la vita a qualche volumetto che era stato negligentemente votato alla distruzione.

[1924]

1 thought on “Orbis pictus. Scritti sulla letteratura infantile

  1. “Quando prendono a inventarsi storie, i bambini sono i registi che sfuggono alla censura del ‘senso’. Facilmente se ne può fare la prova. Si indichino quattro o cinque parole determinate e le si connettano velocemente in una breve frase; ecco allora che farà la sua comparsa una prosa fra le più stupefacenti: non una veduta sul libro dell’infanzia, bensì una guida ad esso.”

    Walter Benjamin, Sguardo sul libro dell’infanzia [1926], in Scritti 1923-1927, Einaudi, Torino, 2001 p. 478

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