di Sergio Benvenuto
[Questo è l’intervento che Sergio Benvenuto pronuncerà al Convegno Internazionale UNESCO su “Il Male”].
La pandemia dovuta al coronavirus ha suscitato tra molti filosofi un dibattito se questo male fosse del tutto “naturale” oppure un fatto “sociale” (per alcuni addirittura è talmente sociale che esso non esiste nemmeno naturalmente, insomma è un’impostura). Questa diatriba è debitrice di una opposizione la cui origine è chiaramente metafisica, quella tra “natura” e “cultura”, o tra “realtà biologica” e “produzione sociale”. Una opposizione categoriale che personalmente respingo. Non mi occuperò quindi qui di sapere fino a che punto un male sia naturale o culturale, ma come è stato considerato il Male nella nostra tradizione di pensiero, e non solo filosofico.
1.
Nella tradizione filosofica occidentale è stato sempre forte lo sforzo di non credere nel Male.
Eppure, chi può negare che il mondo sia pieno di dolore, di ingiustizie, di malvagi…? il punto è che statuto ontologico dare a tutta questa miseria. Il Male – per molte filosofie – ha lo statuto dell’illusione. Non bisogna credere che questo dubbio sull’esistenza del male sia un capriccio dei filosofi che si rifiutano di accettare la realtà. Dopo tutto, anche la fisica moderna conclude che, per esempio, il tempo è solo un’illusione umana. (Forse, l’esempio del tempo in fisica non mi è venuto in mente casualmente: nel pensiero occidentale, c’è una sorta di analogia tra il male e il tempo.)
Sin dagli inizi, gran parte della filosofia ha legato strettamente l’essere e il Bene. Da qui l’idea che ciò che non è Bene, il male, è non-essere; e il non-essere può sembrare essere ma non è. Sin da Platone, il pensiero occidentale – non solo filosofico – ha legato strettamente l’ontologia a qualcosa che approssimativamente possiamo chiamare etica, vale a dire ha puntato sulla coincidenza profonda tra ciò che è e ciò che è bene. In Platone le ιδέες sono le apparizioni, oggi diremmo che sono le strutture: queste sono ciò che per lui è veramente reale (ουσία) E la struttura di ἀγαθόν, del Bene, è il sole delle altre strutture, una sorta di super-struttura. Il Bene è la cosa più reale di ogni altra cosa. In questa prospettiva, il male, κακόν, esiste solo come εἴδωλον, parvenza, non-realtà, calco immaginario di είδος, la struttura. Su questa scia, Sant’Agostino negherà che il male esiste, ovvero “esiste” solo come privazione del Bene.
Più tardi, anche per Spinoza il male è tale non rispetto all’ordine e alle leggi della natura-Dio, ma solo rispetto alle leggi della nostra natura umana. La natura deificata è il Bene, solo l’uomo erra, quindi subisce il male.
Ma sarebbe un errore considerare questa rimozione ontologica del male tipica della metafisica antica e moderna. Anche oggi molti di noi, che pur dicono di rigettare la tradizione metafisica, senza rendersene conto pensano che, in fondo, il male sia solo l’ombra del Bene.
Devo precisare che non credo nel Male ma nemmeno nel Bene. Per me sono solo allegorie delle nostre valutazioni etiche, sempre molto umane. Oggi, in effetti, la problematica etica ha preso il posto della dualità Male e Bene.
Si prenda la concezione che oggi domina il mondo etico-politico occidentale, che sempre più ispira le nostre idealità di democrazia, diritti umani e civili, libero scambio…, ovvero l’utilitarismo. Questa filosofia – elaborata dalla cultura che ha dominato economicamente e culturalmente negli ultimi tre secoli, quella anglo-americana – fu definita da Bentham (1907, p. 20):
La natura ha posto l’umanità sotto il dominio di due padroni sovrani, dolore e piacere. Sono questi a indicare cosa dovremmo fare, così come a determinare quel che faremo[1].
Si è molto criticata questa formulazione perché essa mescola ciò che è (ovvero, il nostro fuggire il dolore e perseguire il piacere) e ciò che dovrebbe essere (dovremmo fuggire il dolore e perseguire il piacere). Bentham confonde il Sein e il Sollen, come ci ha abituati a dire Kelsen, l’essere e il dover-essere, agglutina l’etico e l’ontologico. Non abbiamo qui modo di dimostrare come questa coalescenza tra “essere” e “dover essere” sia in effetti elemento essenziale della concezione utilitarista, anche nelle sue applicazioni pratiche, ovvero giuridiche e politiche, che permeano la modernità.
Freud ha ripreso la concezione utilitarista e ha parlato di Lustprinzip, tradotto come “principio di piacere”, ma che chiamerei piuttosto “principio di (dis)piacere”. Eppure Freud poi ha dovuto dar posto a un al di là del Lustprinzip, ha dovuto insomma ammettere che non è vero che gli esseri umani non facciano altro che fuggire il dolore e massimizzare il piacere, insomma, gli umani non sono completamente utilitaristi: che almeno in parte l’essere umano è sedotto da qualcosa che non si cura del suo piacere o dispiacere, insomma, che l’essere umano è abitato dal Male.
2.
Non affronterò qui la questione complessa se perseguire la propria utilità entri o meno in conflitto con il perseguimento dell’utilità da parte degli altri. La famosa “mano invisibile” di Adam Smith è interpretata nel senso che se e solo se ciascuno persegue il proprio utile personale, ciò ottimizzerà l’utilità generale. Più gli individui saranno egoisti, più la società globalmente sarà felice. Ora, sappiamo che questo non è vero. In molte società disgraziate, dette in via di sviluppo, gli individui sono egoisti (molti sono corrotti) ma non sono società felici. Non basta essere egoisti per formare una società altruista.
E davvero tutte le donne e tutti gli uomini amano vivere in una società democratica, dove i diritti civili siano assicurati, dove le donne abbiano eguali diritti degli uomini, ecc.? Ho conosciuto persone che erano vissute sotto il fascismo, o il nazismo, o lo stalinismo, e che hanno nostalgia di quell’epoca. Allora, dicono, erano più felici di oggi. E non solo perché erano giovani, ma perché da giovani pensavano di vivere in società felici. Insomma, ciò che rende felice me può rendere infelice te, o viceversa. Oltre quattro secoli fa Etienne de la Boétie aveva messo preventivamente in dubbio la “mano invisibile” parlando di servitù volontaria. Questa servitude volontaire è inquietante non in quanto tante persone hanno piacere di essere asservite, ma in quanto l’essere asservite dà piacere all’Altro, al signore.
Accade così che quando l’Occidente utilitarista, via americani, debella dittatori in Iraq, in Afghanistan, in Libia, o altrove, non vengano sempre accolti a braccia aperte, tutt’altro. Diciamo che l’utilità di molti iracheni, libici, afgani, ecc., non coincide con l’utilità ontologica dell’Occidente. Tanti rimpiangono Saddam Hussein, i talebani, Gheddafi….
3.
Conosciamo bene il tormento del pensiero monoteistico: se Dio è il Bene e la verità, come è possibile che sulla terra esista tanto male, ovvero che sia vera la non-verità? Questo ci obbliga a pensare che il non-essere ha comunque una forma di essere – un problema che si pose già subito dopo Parmenide. In effetti, ho il sospetto che ogni filosofia si confronti sempre con questo problema di fondo: “che tipo di essere ha il non-essere? Le illusioni, non sono esse stesse degli enti?…”
Questo tormento è passato poi alla concezione rousseauiana, che permea il marxismo e gran parte della cultura politica che chiamiamo sinistra. Con Rousseau, non più Dio, ma Natura, è verità e bene. La sofferenza umana non viene da Natura ma dagli esseri umani stessi, i quali, inventando la società, ovvero la cultura, hanno costruito una sorta di malefica non-natura, che non finiamo mai di smascherare come non-verità. Dalla cultura ci verrebbero la proprietà privata, le ineguaglianze, la schiavitù, la sottomissione della donna all’uomo, la condanna della sessualità non normativa… Rousseau continua quindi la tradizione metafisica di vedere il male come prodotto umano, ma prodotto di un’umanità alienata nella cultura. Comincia con lui quella frattura tra nature e nurture che ossessiona il pensiero moderno, anche biologico e antropologico. Per esempio la domanda: “se ancor oggi le bambine giocano con le bambole mentre i bambini preferiscono giocare con le spade… è un fatto di natura o di cultura?” Da qui la fatidica distinzione tra sex e gender: il primo è naturale, il secondo è costruzione storico-sociale. Nella visione che oggi ci permea, natura è ciò a cui dobbiamo tornare, la cultura – in particolare il suo assetto economico – è all’origine di ogni oppressione. Quindi si sventola l’ideale di una “cultura naturale”, dando per scontato che sia quella ottimale, ovvero, in fin dei conti, il Bene (e in effetti, che cosa è il comunismo per Marx se non il ripristino di una cultura finalmente vera?). Si cerca un fondamento biologico a questa bontà originaria del naturale, assicurandoci per esempio che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali – eguali almeno nelle capacità che per noi sono essenziali, vale a dire di imparare e di essere buoni. Il mito del “nasciamo tutti liberi ed eguali” – rampollo del connubio tra monoteismi e Illuminismo – è fondante della modernità. “Tutti siamo eguali” significa di fatto “siamo tutti buoni!” I cattivi sono coloro che non vogliono capire che siamo tutti buoni, sono quelli che si ingannano. Come Platone, in fondo la maggioranza di noi ancor oggi pensa che il male sia frutto di ignoranza. Così, sento spesso dire da intellettuali che oggi il risorgere dei fascismi, dei razzismi e dei sovranismi è effetto dell’ignoranza delle masse, che insomma ci vorrebbe più scuola per battere il fascismo. Secondo costoro, se non si è fascisti per interessi personali, lo si è per ignoranza – a dispetto del fatto che aderì al fascismo o al nazismo il fior fiore dell’intellettualità europea, che certo ignorante non era. Non credo che debba fare nomi, del resto la lista sarebbe molto lunga.
In questo quadro che alcuni chiamano ideologico il fatto che la Natura ci mostri la sua faccia non dico malvagia (perché diamo per scontato che i giudizi etici non si applichino alla natura) ma dannosa, talvolta devastante, per noi, imbarazza questa visione. Lo abbiamo ben visto nell’ampio dibattito sorto a proposito della pandemia di coronavirus.
L’affermazione secondo cui le idee della sinistra, sia liberal che radicale, sono derive del rousseauismo potrà stupire qualcuno. Eppure alla base di ogni pensiero di sinistra c’è la realizzabilità di una “società naturale”, per dir così. Basti pensare a quanto l’ecologismo abbia preso il sopravvento nella sinistra. Alla base dell’ecologismo c’è il presupposto implicito che la natura è sostanzialmente buona mentre le società umane tendono a corromperla, quindi anche la società umana deve essere “naturale”. Mentre è molto difficile trovare ecologisti di destra, anzi, le destre cavalcano le idee negazioniste secondo cui non esiste l’effetto serra, ecc. Questo perché la metafisica implicita nella destra è che l’industriosità umana è benedetta, che la natura è stata creata solo per essere sfruttata dalla produttività umana.
4.
Fin quando si tratta di disastri non voluti dagli umani, ma strettamente connessi alla tecnologia, come l’inquinamento di paesi per diossina, Chernobyl, Fukushima, è facile dire, come Rousseau contro Voltaire: “gli uomini se la sono cercata!” … Ma come concettualizzare qualcosa come le epidemie, che sono sempre esistite nel mondo vivente? Non è così facile per molti moderni accettare la semplice idea che la natura, non dovendo obbedire ad alcun progetto divino o umano, non tenga in alcun conto la nostra utilità. Che la natura può darci piacere e benessere, ma può anche distruggerci. Da qui la fortissima tentazione di trovare cause umane – ovvero, colpe umane – a disastri come le pandemie, soprattutto a quelle di oggi. Non si ammette che gli umani possano essere anche vittime della natura (oltre che di sé stessi), anzi, questa idea viene tacciata di ingenua illusione: gli umani devono essere colpevoli dei loro mali. L’innocenza umana tende a essere esclusa: l’umanità è troppo potente per non essere colpevole.
In Italia esiste da tempo questo motto: “Piove… governo ladro!” Segno che questa convinzione – la quasi-onnipotenza dei poteri umani, degli uomini potenti – non è nient’affatto moderna, ma antica. In greco antico αἴτιον significava sia causa che colpa. Anche in certe società primitive (come i Jivaros tra Ecuador e Perù) non si ammette che certe morti naturali siano casuali: la loro causa è la malevolenza umana, in particolare la magia nera… Oggi non la pensiamo così diversamente. Ovvero, in termini filosofici, cerchiamo istintivamente una colpa come causa, la causa coincide con la trasgressione di un dover-essere. L’insensata indifferenza della natura al nostro utile viene così negata, il dolore viene moralizzato.
Questa credenza nella potenza malefica degli umani assume varie forme, dalle più volgari, fino a forme filosofiche molto raffinate, spesso sostenute da pensatori di prima grandezza. Per limitarci alle reazioni al covid-19, abbiamo la tipica ricerca del capro espiatorio, in cui si è distinto Trump: la Cina è denunciata come colpevole della pandemia. Ma a livelli molto più sofisticati, capro espiatorio diventano il mercato capitalista, la tecnoscienza, i poteri politici borghesi, la stessa concezione utilitarista… Abbiamo letto che il mercato globale capitalista è causa dell’epidemia perché accentua la mobilità. La mobilità, dovuta allo sviluppo tecnologico dei trasporti, è un tratto paradigmatico del capitalismo? Certo i trasporti veloci sono una delle cause del rapido espandersi di un’epidemia oggi, ma questa causa dell’espansione viene messa nel registro della colpa di una società che si detesta. “La natura si ribella all’uomo” è il moderno cliché. Prima era Dio a mandarci le pestilenze per punirci dei nostri peccati, ora è Natura a punirci.
È una funzione direi organica degli intellettuali criticare la società del proprio tempo, qualunque essa sia. Ma la necessità di criticare l’assetto del nostro tempo non ci deve far perdere ogni spirito critico.
5.
Tutto ciò illustra una tendenza profonda del pensiero moderno: mentre prima il male era il non-essere che attira l’uomo, oggi il male diventa quindi, sempre più, ciò che definisce l’essere stesso dell’uomo. Questo rovesciamento è capitale. Esso porta da una parte a una condanna morale dell’umanità nel suo insieme, ma anche – d’altra parte – a una sua esaltazione proprio perché cattiva.
Questa satanizzazione degli umani è riaffermata in tante filosofie moderne, le quali vedono il soggetto umano (non Homo sapiens, la specie biologica, ma quel soggetto che in Homo si incarna) come una rottura nella positività della natura. Gli umani introducono il negativo nel mondo, quindi, di per ciò stesso, il male. Ma questa introduzione del negativo nella natura è anche ciò che definisce filosoficamente gli umani. Avremo così la concezione di Sartre del soggetto come per-sé – istanza negativa – che si contrappone a ogni in-sé, a ogni essere. Ma anche nel cosiddetto post-strutturalismo, al fondo c’è l’idea che l’avvento del linguaggio de-naturalizzi non solo Homo sapiens, ma in fondo anche la natura.
È vero che l’essere umano in quanto ζοον λογον εχων, – animale nel quale il linguaggio transita – non è visto come il creatore e il padrone del linguaggio, dato che il linguaggio rimane signore dell’uomo (come dice Heidegger). Si tratta però, a mio avviso, di falsa modestia: perché, se è vero che il linguaggio è padrone dell’uomo e non viceversa, è pur vero che l’uomo è l’unico servitore del linguaggio. Straordinario privilegio. Come nel mito biblico l’uomo ebbe il privilegio di essere l’unico ente a ribellarsi alla volontà di Dio. Del resto proprio Heidegger parlerà del linguaggio come “casa dell’essere”: ma le case sono sempre costruzioni umane.
Il linguaggio, attraverso l’”animale parlante”, introduce quindi nel mondo una mancanza, un’assenza, “uccide la cosa”. In fondo, si tratta di una ripresa filosofica moderna del mito del peccato originale: la donna e l’uomo si umanizzano nel male, la loro umanizzazione genera il male nel mondo. Solo che oggi questa caduta umana corrisponde a una sua straordinaria elevazione. Homo oggi può dirsi fiero di essere stato cacciato dalla Valle dell’Eden. La presa tecnica dell’uomo sulla natura non sarebbe altro che la prolunga di questa de-naturalizzazione originaria del mondo, che per alcuni filosofi è la coscienza (Sartre), per altri il linguaggio (Lacan).
Si tratta quindi di una formidabile continuità storica della metafisica occidentale, dalla Bibbia dei monoteismi fino alle filosofie dette post-moderne. Continuità su cui dovremmo interrogarci, magari per spezzarla. Forse questa frattura incurabile tra soggetto e mondo, tra cultura e natura, tra linguaggio e cose, attraverso cui abbiamo sempre pensato la condizione umana, andrebbe riveduta. Forse la frattura non è là dove ce la siamo sempre aspettata.
6.
Quindi, oggi il male – introdotto dagli umani attraverso il linguaggio – appare sempre più come la loro nobiltà, ciò di cui essi dovrebbero, in qualche modo, menar vanto.
Il prototipo di questa svolta è la vicissitudine del Faust di Goethe, che apre la visione moderna di noi stessi, o meglio, l’ideale delle élite intellettuali moderne. L’uomo e la donna moderni devono sempre confrontarsi con Mefistofele. L’essere umano tende a essere descritto come mostro, monstruum, come lo spettacolo straordinario di un buco nella compattezza dell’essere. La celebrazione satanica dell’essere umano compensa il lutto per la sdivinizzazione della sua matrice.
Non a caso la letteratura, il teatro e il cinema moderni si sono riempiti di figure di mostri umani, a cominciare dalla divinizzazione retroattiva del marchese de Sade. E così il Moosbrugger dell’Uomo senza qualità di Musil, il tema del Male in Blanchot, il Pierre Rivière di Foucault, fino al serial killer del film di Lars von Trier The House That Jack Built…. Il fascino che l’uomo “al di là del Bene e del Male” esercita oggi su molti di noi deriva dal fatto che quello che era nostro orrore per l’uomo diventa una sorta di ammirazione per il carattere orrendo dell’uomo. (Horrendus in latino significa orrendo, ma anche bellissimo. Horrenda virgo in Virgilio significa “ragazza terribilmente bella”[2]. Era la qualificazione di una dismisura). Il mostro suscita una ambivalenza irrisolvibile perché mostra che certi umani possono essere del tutto contro-natura, ma proprio questo essere contro-natura li rende sovrani. Vibra il sospetto (che pochi osano dire) che il Male sia il capolavoro degli umani. Da qui la convinzione molto diffusa che il mondo vada per il peggio… Tutto peggiora. Questa deriva contraria al progresso è qualcosa che si teme e che si denuncia? Oppure è qualcosa che, nel fondo del cuore, si desidera? E la si desidera perché nel fondo si è convinti che il Male sia la verità dell’essere umano. E che oggetto ultimo del male umano è l’uomo stesso.
Tutto ciò è legato al tema della de-naturalizzazione del mondo introdotta dal linguaggio, dalla Kultur, dalla neotenia… Quella rottura con la natura imposta dalla cultura, che in Rousseau era l’origine di tutti i mali, diventa nel XX° secolo il marchio non solo dell’unicità, ma infondo della vera libertà degli uomini. La prigionia di Sade nella Bastille e negli ospedali psichiatrici diventa la controfigura di una libertà smisurata dell’essere umano in generale.
Lo sradicamento completo dell’essere umano dalla natura, attraverso il linguaggio e forse anche attraverso la filosofia, quindi attraverso le tecnoscienze, da una parte lo porta alla distruzione tecnologica del pianeta e quindi di sé stesso, ma dall’altra anche a una sorta di libertà disperata che non cessa di sedurlo, anche se a distanza.
In questa prospettiva è ormai il Bene a essere illusione, mentre il Male ci rivelerebbe la verità profonda di Homo come separazione ossimorica, paradossale, dalla natura e dalla propria natura. In questo crescente esilio umano dall’essere – delitto per alcuni, condizione di libertà per altri – si delinea l’idea, non sdoganata, che il Male sia la verità dell’essere umano.
(Ringrazio per i loro commenti Renato Benvenuto, Cristiana Cimino, Viviana Faschi, Agnès Jacob, Pietro Pascarelli, Antonello Sciacchitano, Miguel Vatter).
Note
[1]Bentham, J. (1789) An Introduction to the Principles of Morals and Legislation; Clarendon Press, Oxford, 1907.
[2] Aeneid., 11.507.
[Immagine: Lars von Trier, The House That Jack Built].
Limpida articolazione della dialettica dell’umanesimo ateo che muove dalla domanda “si Deus non est, unde malum?” Che a sua volta muove dalla premessa che, così come sono, o è la Natura o è l’Uomo a essere Male, o tutti e due lo sono. Il che mostra come i contemporanei, come gli antichi dopo Platone, pensino l’essere ancora al di qua del bene e del male, e non al di là, come invitava a fare Nietzsche
RIPRENDERE IL LAVORO DI FREUD. IL MALE, L’AVVENIRE DI UN’ILLUSIONE ….
PRIMA DI FARE DICHIARAZIONI STORIOGRAFICHE DI GRANDE IMPEGNO A SOSTEGNO DELLE PROPRIE ARGOMENTAZIONI:
“Non a caso la letteratura, il teatro e il cinema moderni si sono riempiti di figure di mostri umani, a cominciare dalla divinizzazione retroattiva del marchese de Sade. E così il Moosbrugger dell’Uomo senza qualità di Musil, il tema del Male in Blanchot, il Pierre Rivière di Foucault, fino al serial killer del film di Lars von Trier The House That Jack Built…. Il fascino che l’uomo “al di là del Bene e del Male” esercita oggi su molti di noi deriva dal fatto che quello che era nostro orrore per l’uomo diventa una sorta di ammirazione per il carattere orrendo dell’uomo. (Horrendus in latino significa orrendo, ma anche bellissimo. Horrenda virgo in Virgilio significa “ragazza terribilmente bella”[2]. Era la qualificazione di una dismisura)” (Sergio Benvenuto);
E PARLARE DI “divinizzazione retroattiva del marchese de Sade” è bene ricordare che l’associazione indebita di “Kant e Sade”, fatta da Lacan ( http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=649), nasce sulla base di una interpretazione edipico-hegeliana e di un vera e propria distruzione della kantiana “critica dell’idealismo” ( http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4790 ) .
E, ancora, quando Freud richiama all’inizio del suo lavoro sulla “Interpretazione dei sogni” le parole di Giunone “flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo”, sa già (“sibillina-mente”) di che cosa sta parlando e di cosa c’è in gioco e, come Giunone (“Non mi sarà dato, ahimé, di impedirgli di regnare sui Latini e Lavinia, immutabile, resta sua sposa in forza del destino, ma ho il potere di tirare per il lungo, di imporre dei ritardi a eventi così grandi …”: Eneide, VII, 312- 315 ), va avanti e ricordando-si di Napoli comincia capire cosa c’è dietro la questione “Didone” (Eneide, IV, 625 ) e la sua infatuazione per Annibale, per il vendicatore (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5206): la vittoria di Roma, dell’Amore sulla Morte. Fiducioso, continua il suo lavoro!
La “Horrenda Virgo” (Eneide XI, v. 507) , la “ragazza terribilmente bella”, come Giunone (e Freud), lo sa: deve cedere il passo ad un’altra “Virgo”, ad Astrea, alla Giustizia: «Già viene l’ultima era dell’oracolo di Cuma, / nasce di nuovo il grande ordine dei secoli. / Già ritorna la Vergine, ritornano i regni di Saturno, /già una nuova stirpe scende dall’alto del cielo.» (Ecloga IV, 4-7). La “Horrenda SYbilla” (Eneide VI, 11), ispirata da Apollo, il profeta di Delo, ha rivelato ad Enea tutto il futuro (Eneide VI, 11-12).
PERCHE’ HANNAH ARENDT, nella sua “Vita della mente” (alla luce di un inedito dialogo con Kant) richiama ancora e di nuovo Virgilio e Dante, e dal “Libro del malumore” di Goethe ( http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5908 ) cita: “Chi di tremila anni / Non sa darsi conto, / Rimane all’oscuro inesperto, /Vuol vivere così di giorno in giorno”? Boh e bah?!
Federico La Sala
https://www.academia.edu/36575231/IL_MALE_I_MALI_E_IL_DIO_CHE_LI_VUOLE._SECONDO_LE_SCRITTURE
ex falso sequitur quodlibet: che essere e bene coincidano apre la stura alle circonvoluzioni della riflessione razionale
Ringrazio il Prof. Benvenuto per questo intervento pieno di onestà e di verità.
Kant non sapeva che cosa fosse il male e qual era il fuoco da cui si originava. Manca qui l’unica definizione accettabile del male, ossia quella data da Georges Bataille: “Il male è la violazione deliberata di alcuni tabu” . Tutto il resto è letteratura!
“E’ una funzione direi organica degli intellettuali criticare la società del proprio tempo, qualunque essa sia. Ma la necessità di criticare l’assetto del nostro tempo non ci deve far perdere ogni spirito critico.”
Mi associo ai ringraziamenti di Elena Grammann, in particolare per queste due righe.
ESSERE GIUSTI CON KANT E FREUD ….
A quanto pare, dopo Derrida e dopo Foucault, non è solo difficile “essere giusti con Freud” ma anche con Kant (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4800)! Immersi nella palude “acherontica” del “monomito” (James Joyce) dell’ultimo uomo (Nietzsche), non riusciamo più a capire la ragione di Kant che riprende, per dare la sua “Risposta alla domanda: che cosa è l’Illuminismo?”, le parole del suo famoso motto (“sàpere aude”) da Orazio ( Epistole, I, 2, v. 40) e, per affrontare il problema “della coesistenza del principio cattivo accanto a quello buono o del “male radicale nella natura umana” , nel capitolo primo di “La religione entro i limiti della sola ragione”, (Laterza, 1979), in testa al “§ 3. L’uomo è cattivo per natura”, cita ancora Orazio (Satire, I. 3. 67): “Vitiis nemo sine nascitur” (“nessuno nasce senza difetti”). Non è perché abbiamo perso il “ben dell’intelletto” e, con esso, il filo di Arianna – lo spirito critico e l’amore conoscitivo (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3085)?! O no?! Boh e bah?!
Federico La Sala
Gentile Benvenuto, illusione è che l’uomo si creda un ente separato dalla natura. Questa è la vera illusione, e dalle illusioni non viene mai alcuna libertà. Tutto il resto è il fascino invidioso dello schiavo che vorrebbe, ma non può, infrangere i tabu come invece fa il padrone.