di Valentina Sturli

 

[È uscito da poco Figure dell’invenzione. Per una teoria della critica tematica in Francesco Orlando, di Valentina Sturli. Pubblichiamo le Conclusioni del volume. 

 

Oggi, 22 giugno, il Dipartimento di Filologia e critica delle letterature antiche e moderne dell’Università di Siena ricorda la figura di Francesco Orlando, a dieci anni dalla scomparsa, con una tavola rotonda che chiude il ciclo di Extrema ratio. Lezioni per questo tempo (https://www.dfclam.unisi.it/it/ricerca/seminari-di-ricerca/extrema-ratio-dialoghi-di-questo-tempo)].

 

Tenuto conto della natura aperta e largamente ipotetica del materiale, penso non possa darsi alcuna conclusione troppo sicura su quelli che sarebbero stati gli esiti del lavoro di Orlando. E allora, piuttosto che esprimere certezze, lasciamoci con qualche riflessione che possa fornire la base a indagini future.

 

Quella sulle figure dell’invenzione non vuol essere una teoria astratta, ma si dà come scopo il nominare fenomeni che lo studioso non è certo stato il primo a notare, desunti dall’esperienza empirica dell’indagine testuale. Il fine è porre le basi per una retorica dell’invenzione assimilabile a quelle dell’elocuzione e della disposizione. Come sappiamo, il progetto è rimasto incompiuto, ma ciò che abbiamo è importante perché ci permette di osservare da una diversa e originale prospettiva problemi concreti che riguardano l’analisi tematica: l’idea è cercare legami inaspettati tra parti del testo inteso come un sistema che emerge dalle relazioni tra le sue componenti, tra esse e il mondo dei referenti, in continua tensione dinamica.

 

Una teoria dell’invenzione concepita in questo modo permette di osservare in modo diverso questioni che cadono quotidianamente sotto gli occhi di ogni interprete, e di individuare ricorrenze molto comuni: non è certo una novità che i rapporti tra personaggio e paesaggio possano essere significativi, o che un testo giochi sul rovesciamento dell’assiologia condivisa in una data epoca da un certo gruppo sociale, che esistano rapporti tra i personaggi, e che un’opera a tema soprannaturale possa alludere ad accadimenti anche troppo naturali e umani. Ma ora abbiamo una pista di indagine che può aiutarci a comprendere meglio questi fenomeni, una teoria non troppo sistematica, prima di tutto perché incompiuta, ma che, forse proprio per questo, risulta agevole da maneggiare, aperta al confronto e all’integrazione.

 

Spesso, come dicevo in apertura del saggio, si è voluto leggere la figura di Orlando come quella di un teorico eccessivamente geometrico, e di sicuro il progetto sulle figure dell’invenzione trae origine dalla sua vis sistematica, che spesso è stata criticata. Ma questo è il destino di tutte le teorie sistematiche (anche di quelle incompiute), più facilmente bersaglio di critiche quanto più sono chiare, quanto più si assumono la responsabilità di un pensiero coerente che, com’è salutare che accada nel dibattito scientifico, può essere contestato e contraddetto – e questo proprio perché si lascia intendere, proprio perché esibisce in modo evidente i suoi fondamenti e le sue tesi. La riflessione di Orlando, ancorché contestabile, si mostra in questo singolarmente onesta: se può offrire un fianco alle critiche è perché mira sempre a costituire, anche nel caso di questa ricerca interrotta, un corpo intero e organizzato.

 

Le figure individuate da Orlando hanno confini sfrangiati, sono – con ogni evidenza, e proprio in virtù della loro natura simmetrizzante – sempre almeno in parte sovrapponibili. Orlando ha cercato di fornire una nomenclatura a fenomeni che concepiva come distinti, benché sempre passibili di un certo grado di intersezione, consapevole che quando si lavora sulla materia tematica molteplici possono essere non solo gli approcci, ma anche le vie di accesso al significato. Ricostruendo e commentando la serie che aveva immaginato mi sono progressivamente resa conto che essa doveva essere considerata come un repertorio provvisorio e aperto di modalità di messa in forma del materiale semantico caratteristiche di una molteplicità di testi. In ogni testo può dunque, almeno virtualmente, essere presente più di una figura dell’invenzione, anche se sarà quasi sempre possibile evidenziarne una dominante a seconda del versante di indagine che si sceglie.

 

Ci possono essere più figure in un testo, così come ci possono esse- re più angolature di visuale, ma quel che importa è che applicandole si riescano a connettere elementi, a individuare relazioni laddove esse erano latenti e, per così dire, meno immediatamente percepibili se ci si fosse mantenuti a livello di una semantica basata solo su relazioni asimmetriche. Ragionare in termini di figure matteblanchiane permette infatti di non accettare a priori come distinti elementi semantici che nel comune pensiero logico lo sono: se si considera il testo come luogo in cui trova spazio anche un diverso tipo di logica, che non concepisce il principio di contraddizione, che scavalca quello di identità, che instaura legami tra elementi lontanissimi per metterne in risalto attributi comuni o polarmente opposti, allora è possibile portare alla luce fenomeni che a tutta prima sembravano rimanere latenti. Di conseguenza, lo studio della figuralità in senso matteblanchiano dovrà essere concepito come la messa in opera di un ventaglio di possibilità a disposizione dell’interprete per sondare i rapporti che si instaurano tra le diverse parti di un testo letterario.

 

La serie delle figure si potrebbe certo estendere ben oltre i confini che Orlando aveva provvisoriamente tracciato, e con ogni probabilità sarebbe stato lui stesso ad apportare aggiunte e integrazioni se ne avesse avuto il tempo. Ancora una volta, ciò che di questo materiale può interessare non è tanto la capacità di definire una casistica chiusa una volta per tutte, quanto quella di indurre l’interprete a valutare nuove modalità di pensiero e di approccio all’indagine tematica, possibilità che tengano conto di come forma e contenuto si coniughino, e di come un’opera possa instaurare legami inaspettati, cognitivamente ed emotivamente salienti, tra le sue parti. Comprenderlo significa dare un valore ai temi, organizzare i personaggi e le immagini, al di là della pura individuazione ed elencazione di costanti evidenti nella loro ricorsività. Che in tale direzione le possibilità di definizione di questi fenomeni siano molteplici, e che le soluzioni non siano univo- che, non è a mio avviso un problema.

 

Si può osservare che in questi inediti conta evidentemente più l’individuazione di nessi originali all’interno dei testi che l’esplicitazione dinamica tra repressione e represso. Se un conflitto c’è, è quello tra i due diversi tipi di logica: possiamo identificare la repressione con la logica asimmetrica e il represso con quella simmetrica? In gran parte, come abbiamo visto, empiricamente questo è possibile nella misura in cui la logica simmetrica costituisce un funzionamento più arcaico, includente della psiche, che contrasta con la logica che siamo abituati a concepire come superiore dal punto di vista razionale. Ci si può chiedere poi quale sia il posto riservato alla dimensione della storia in questi inediti. Se pensiamo a lavori ad ampio spettro tematologico come sono Gli oggetti desueti e Il soprannaturale letterario, ci rendiamo conto che Orlando costruisce la sua casistica sempre tenendo presente la dimensione del conflitto storico tra istanze della modernità e del superato, tra passato e presente, tra permanenza o attrazione di ciò che è obsolescente (credenze, oggetti, concezioni del mondo, modalità di pensiero) e l’avanzata del moderno. Su queste basi costruisce poi una casistica che tiene massimamente conto del fattore storico nell’avvicendarsi dei fenomeni analizzati: pensiamo solo all’importanza della rivoluzione industriale per l’esplosione del tema dell’oggetto antifunzionale in letteratura, o ai diversi tipi di soprannaturale che possono darsi prima e dopo l’avvento dell’Illuminismo. Naturalmente bisogna distinguere tra ricerche che hanno un oggetto altamente specifico e ricerche che mirano a descrivere meccanismi universali di funzionamento della letteratura. In questo secondo caso, che è anche il nostro, è inevitabile che ci si concentri maggiormente sulla specifica dimensione semantica piuttosto che sulla collocazione dei testi all’interno dei generi letterari e delle correnti storiche e poetiche. Nella riflessione sulle figure dell’invenzione la dimensione della storia è – con ogni evidenza – meno presente e sviluppata; il che, lo abbiamo visto, non significa mettere completamente da parte il paradigma del conflitto, ma certo evidenziare uno spostamento di asse dalla dimensione intertestuale e diacronica a una intratestuale e, almeno in parte, sincronica. Ci si potrebbe comunque domandare se figure diverse abbiano avuto particolari sviluppi in momenti e tempi diversi. Non troviamo negli appunti alcuna indicazione in proposito, e la domanda è destinata a rimanere – almeno per questa volta – inevasa.

 

Pur tenendo conto delle questioni in sospeso e della difficoltà di chiudere il cerchio della riflessione su questi materiali, sono convinta che il grande valore degli inediti non sia tanto e solo nel proporre una serie di fenomeni, comunque mai prima d’ora individuati con questa precisione e studiati a questo livello di complessità, quanto invitare ad assumere un diverso sguardo sul mondo che ogni testo letterario rappresenta. Come ha affermato Orlando in una lezione del già ci- tato corso sui Fattori della comunicazione letteraria (18 dicembre 2002): «Bisogna combattere con grande nettezza e spirito polemico il pregiudizio che le dimensioni della inventio e della dispositio siano letterariamente meno creative della dimensione dell’elocutio. La grandezza, la creatività e l’inventiva di uno scrittore non è solo un fatto di scelta delle parole con le quali si compone la sua opera. Il genio di uno scrittore è soprattutto l’organizzazione di un immenso contenitore, che certo è vuoto finché non lo verranno a riempire le precise parole che sceglierà, ma il contenitore vuoto non è meno importante del contenitore pieno, per la buona ragione che il contenitore pieno non potrebbe esistere se non fosse preceduto in qualche modo da quello vuoto. E l’inventio d’altra parte è un contenuto e non un contenitore».

 

Credo che la proposta di Orlando sull’invenzione letteraria non solo sia valida e carica di sviluppi ulteriori, ma costituisca un esempio di come sarebbe sempre necessario porsi in rapporto con la letteratura: in modo da far emergere le relazioni latenti tra i contenuti, cogliere ed esplicitare i nessi tra i significati, ricomponendo quella trama che ogni universo testuale contiene in sé e che sta all’interprete di volta in volta evidenziare e descrivere.

3 thoughts on “Figure dell’invenzione. Per una teoria della critica tematica in Francesco Orlando

  1. “E’ legittimo o no (altrimenti che per gusto mnemonico dell’allitterazione) parlare di credito e di critica?
    Di un credito, s’intende, accordato al soprannaturale perché esista; di una critica opposta al soprannaturale poiché non esiste? Gli inconvenienti sono particolarmente evidenti per la seconda espressione. La critica rischia di ritorcersi, dal soprannaturale, su chi fa uso della parola critica; peggio, della parola soprannaturale essa stessa.”

    Francesco Orlando, Statuti del soprannaturale nella narrativa, in Il romanzo. La cultura del romanzo, Einaudi. Torino 2001 p. 204

  2. Francesco Orlando… fu per un pelo che mancai l’esame di francese con lui, quando venne messo in condizioni di chiedere il trasferimento all’Università di Napoli. Ricordo che una mattina, mentre Orlando faceva lezione, alcuni compagni vennero a dirgli che giù nell’atrio c’era la Digos. Immediatamente Orlando sospese la lezione, dicendo che non si poteva far lezione con la polizia all’interno dell’università.

  3. “Cromatismo spettrale, ellittiche interruzioni di frasi, tromba in pianissimo, precorrono la nuova scuola viennese quanto poche altre cose scritte nei quarant’anni intermedi. Come sempre, inoltre, l’orchestra parla: l’aspra tristezza con cui, negli ottoni, il tema discendente dei patti risponde al tema di Sigfrido, annuncia i rischi del connubio tra legalità e arbitrio. La frammentarietà contagia la seconda parte dell’interludio, le memorie amorose di colei che stiamo per ritrovare da sola sulla sua rupe. Interrotte, al rialzarsi del sipario, da tuono, lampo ed aerea cavalcata di valchiria.”

    Francesco Orlando, Un elmo magico tra mito e modernità, in Götterdämmerung, Edizioni del Teatro alla Scala, Milano 1988 p.188

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