Oggi Franco Scataglini, il poeta che dal confine della marca agontana ha saputo penetrare nella grande poesia italiana contemporanea, avrebbe compiuto 90 anni. Il Festival La Punta della Lingua, diretto da Luigi Socci e Valerio Cuccaroni e giunto quest’anno alla XV edizione (29-30 luglio, 5-9 agosto), lo festeggia mettendo online Esplumeor, ritratto in video di Scataglini prodotto da Stefano Meldolesi nel 1995. Il film sarà visibile fino alla fine del Festival su YouTube e sull’home page di La Punta della Lingua.
https://www.youtube.com/watch?v=kC3O4yBEcW0
Per onorare la memoria del carissimo Franco Scataglini riporto qui la poesia d’apertura del poemetto bilingue, in umbro-sabino arcaico e in italiano ,“Geminario” a lui dedicato e la relativa nota esegetica. Paolo Ottaviani – Geminario (Edizioni del Leone, 2007)
L’INCONTRO
(a Franco Scataglini, in memoria)
– Comm’è? –
– Tuttu a puostu:
iji che se suò muorti
nun ci stuò più, j’atri,
chi prima chi doppo,
uguale. –
– Nient’atru? –
– Nient’atru. –
– Te saluto, fratè. –
– Te saluto, fratè. –
– Come va?
– Tutto bene:
quelli che son morti
non ci sono più, gli altri,
chi prima chi dopo,
lo stesso.-
– Nient’altro? –
– Nient’altro. –
– Addio, fratello. –
– Addio, fratello. –
Avevo conosciuto il poeta anconetano al quale è dedicata la poesia d’apertura soltanto cinque mesi prima della sua scomparsa. Nacque, istantanea e profondissima a un tempo, un’amicizia, meglio una consustanziale fraternità, che forse neppure attraverso il linguaggio poetico sarà mai possibile raccontare in tutta la sua pienezza. Quando, il 28 agosto 1994, Franco fu prematuramente strappato alla vita, lo sconcerto e il dolore furono davvero insostenibili. Appena due giorni prima, mentre passeggiavamo sul lungomare di Numana, mi aveva invitato, prendendomi sottobraccio, a sedere su una delle panchine dove, “specialmente in inverno”, – disse con voce leggermente affannata – “sono soliti sostare i vecchi con gli occhi persi all’orizzonte per pensare serenamente alla morte”.
Di quei tristi giorni ricordo l’ossessivo lamento – uno straziante settenario – che sua moglie Rosellina Massi ripeteva all’infinito gettando sulla bara pugni di terra e fiori durante la tumulazione, in quel piccolo cimitero ad un passo dal mare: “Quant’è bella la terra, quant’è bella la terra, quant’è bella la terra…” Poi un lungo e denso silenzio. Due anni dopo Franco mi appare in sogno: ci incontriamo in cima a una montagna e ci scambiamo le battute della poesia a lui dedicata, curiosamente pronunciate in un volgare sabino-medievale, assai simile al dialetto dei miei avi, che io avevo ascoltato e parlato nella mia primissima infanzia, ma oramai dimenticato e sepolto dentro di me. Forse allora è anche per merito di Franco Scataglini se questo idioma, che credevo perduto, torna oggi, in forma nuova, a vivere.