di Francesco Targhetta

 

[Escono oggi i primi tre libri della nuova collana di poesia «novecento/duemila» dell’editore Le Lettere, diretta da Diego Bertelli e Raoul Bruni. Oltre a Le istruzioni del gioco di Roberta Durante e Il bianco della luna di Nino De Vita, la collana ripubblica il primo libro di Francesco Targhetta, I fiaschi, uscito originariamente nel 2009. Presentiamo alcune poesie dell’ultima sezione Fondi, che contiene una scelta di inediti scritti tra il 2003 e il 2011]

 

Fiaschi

 

Mi spieghi – e intanto riverbera la prima

tempesta – le vicende fino a qui incassate

nei palazzi tipicamente ostili dentro e fuori

dal centro, tutte storte vacillanti che a Tetris

di certo vorrebbero dire sconfitta, ma non

nella vita, ed è una disgrazia, mi spieghi

allora come è successo, il futuro distonico

e i pronostici persi, passaggi infami

pieni di fango e quintali di asfalto

fin dentro i ventricoli, e le porte,

le sovrapporte, le doppie finestre,

sbattute con violenza in faccia a scolpire

il profilo degli occhi laschi, come gli strumenti

delle rock band dopo lo scioglimento,

mi spieghi, se mi ascolti, perché questo:

 

come attacca il feroce vento della sera,

allineare fiaschi, da entrambe le parti

del bancone, a specchio, la vita intera.

 

*

 

Tra i capannoni della zona industriale

 

Le notti arancioni tra i cementi delle industrie

non spiegano affatto i tuoi sorrisi,

sebbene scivolando sul sedile posteriore

tra le curve delle rotonde europee

ti senta fragile e turbata. Balliamo, stasera,

con cinque birre in corpo e un’inutile

acqua tonica, tanto smaltire non ci interessa

tra i capannoni della zona industriale

la domenica: la vita va maltrattata,

come il dolore.

……………………..Sulla pista hai chiuso

gli occhi sotto i grigi tubi a vista, sbattuta

tra le ombre e imperlata di sudore,

lusingando a intermittenza i ragazzi

e te stessa, tra guizzi di bene che non capisci

e poi sfugge, soprattutto al freddo

delle cinque di mattina su asfalti vuoti e illuminati,

nei parcheggi liberi come la paura.

 

Qui più che altrove ci sentiamo sprecati,

la parte del tutto che solo consuma.

 

*

 

La luna nel secchio

 

Primavera come un inverno di nuvole

e tombini, a sfasciare i soli

che si affacciano dietro i camini

dei palazzi. È così che si fa,

se te la senti, che si scappa da amici

e famiglia, e lo si cerca, il cuore,

tra marciapiedi sconnessi, fuori mano,

apposta per trovarlo più vecchio.

 

Questi posti, poi scopri, sono tutti

uguali, distributori di sigarette

e parcheggi occupati: cosa darei,

adesso, se questi occhi li perdessi,

e la vedessi, riflessa, la luna nel secchio.

 

*

 

Ghost Track

 

C’è un fantasma, certe volte, a stare soli

che scacci con l’auto fuori città

verso case di altri, mono in affitto,

foresterie per consulenti,

e trovare nei cassetti diverse

le posate con cui sbucciare

i kiwi e la pelle.

 

Ma io, lo spettro, vorrei imparare

ad accudirlo nel suo marcio bisbiglio

sulle piastrelle e le seggiole a stringhe

che, da tempo, lo conoscono già.

 

E viverci non come i matti

ma come gli illusi a metà.

 

*

 

La resistenza

 

A cosa serva un giorno di sole

in periferia residenziale quando

c’è il cesso da pulire continuo

a non comprendere, nonostante

l’impegno a ritenersi degli idioti

ogni volta che si ricorre a scuse

per non sorridere. Un saluto

al vicino mi riesce vivace, un cenno

di stima al banchiere, uno sguardo

compiacente lo trovo in fretta

alla padella antiaderente, una parola

di buonumore ai pesci non si nega:

alla fine, però, cedo puntuale.

 

A me non manca lo scatto iniziale:

è la resistenza che mi frega.

 

*

 

Sfruttamento di anziani malati parte seconda

 

L’ennesima morte di un parente

nella campagna fatiscente,

con gli inverni che si fanno pubblicità

sul tuo viso la sera. Anche questa

è una possibilità,

farsi forza parlottando in cucina,

vivere per strada, fuori contesto,

le dieci di mattina,

su luci che non vedevi da un po’.

 

E pensare però che dopo marzo

la violenza si chiama primavera.

 

*

 

Ritratto di coppia con forno su misura

 

Cammina su un autunno di elettrodomestici

la coppia che si spolvera i pomeriggi

di sabato, quando ormai il collaudo dei giorni

per l’abitudine si è fatto asfittico,

e l’esame del soffitto, nelle notti feriali,

discopre fitti gli strati di muffa.

 

In faccia alla mitezza della stagione

che cade, suona meschina un’altra baruffa,

sfogata in tapparelle chiuse con rabbia

dopo la cena sull’ultimo sole

a battere sbiadito la bistecchiera; niente

di nuovo, davvero, se non fosse

che ormai, più della minaccia

di questa paura, di domeniche soli

e in faccia le rughe, contano la macchina,

il Folletto, per ancorarsi, e il forno su misura.

 

E magari si dura.

4 thoughts on “I fiaschi

  1. A proposito di “La luna nel secchio”, una cosa che mi viene in mente (che batte al vetro):
    “E una volta, che un mattino caldo ma nuvoloso se ne uscivano dalla porta della città, Iffland disse che quello era un tempo buono per andarsene – e il tempo sembrava anche così adatto al viaggio, il cielo così vicino alla terra, le cose intorno così scure, proprio come se l’attenzione dovesse fissarsi soltanto sulla strada che si voleva percorrere.”
    Karl Philipp Moritz, “Anton Reiser”, in esergo a “Breve lettera del lungo addio” di Peter Handke

  2. “Nella sua infanzia Anton era abituato a ricevere stimoli dal suono dei nomi propri di persone o di città, che davano forma ad immagini e idee particolari a proposito degli oggetti designati. Il tono alto o basso delle vocali in un certo nome contribuiva più di tutto a definirne l’immagine.
    Così il nome di Hannover risuonava al suo udito sempre splendido e, prima ancora di averla vista, immaginava la città come un luogo con case alte e torri e di aspetto chiaro e luminoso. Brunswick gli sembrava allungata, tenebrosa e più estesa, e per una certa oscura sensazione provocata dal nome, Parigi se la figurava piena di case chiare e di colore biancastro”.

    Karl Philipp Moritz, Anton Reiser. Ein psychologischer Roman. Insel, Frankfurt am Main, 1998, p. 74

  3. Secondo tentativo con il formato corretto

    “La luna nel secchio” mi ha fatto ricordare una poesia di Daria Menicanti: Il regalo

    Il regalo più bello io l’ho goduto
    quella sera che un nonno contadino
    alzò per me tremando una gran secchia
    di tremante acqua gelata. Dentro
    si agitava una luna frantumata

    Da Poesie per un passante (1978)

  4. Per provare a chiudere il cerchio: cosa collega una lirica di Targhetta a una citazione di Karl Philipp Moritz, a un’altra citazione, sempre di Moritz, che anticipa strepitosamente Proust (Nom de pays: le nom), a una breve poesia di Daria Menicanti che un po’ fa pensare a Osip Mandelstam?
    Un desiderio di partire, una natura contraddittoria che insinua, che invita, un’idea che ci attira, una delusione che ci attende – ovunque tranne che nel riflesso magico di un secchio d’acqua gelata. “Una pretesa che il cuore avanza, e un torto che la natura ci fa” (C.Brentano). La natura o la storia, ma al punto in cui siamo non cambia molto.
    Grazie a Francesco Targhetta per una lirica che muove queste onde di suggestioni.

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