di Alberto Casadei

[Presento la seconda serie degli “Assiomi” sulla letteratura attuale che vorrei proporre su “Le parole e le cose”. La prima si legge qui. L’argomentazione è minima per ridurre uno dei problemi più forti di questo modo comunicativo, la sua tendenza a dividersi in sottoinsiemi che diventano, di messaggio in messaggio, sempre più esili e dispersivi. Lo scopo è anche quello di definire obiettivi concreti, e non solo astrattamente plausibili, all’interno di una concezione del ‘fare letterario’ che vorrebbe confrontarsi con alcuni fondamenti dell’archeologia del sapere contemporaneo. Il tema di questa seconda serie è il realismo letterario].

1.     Il realismo, in ogni ambito artistico e specificamente in quello letterario, è una condizione variabile, non uno stato permanente. Il grado di realismo attribuibile a un’opera si modifica nel tempo, sulla base dei nuovi contesti socio-culturali nei quali essa viene recepita.

2.     Ciononostante, esistono caratteri fondativi che consentono di individuare un’idea di realismo allargato, ossia riconoscibile in una lunga durata, al di là della credibilità puntuale di quanto viene detto nell’opera: l’Odissea e la Commedia sono opere realistiche in questo senso.

3.     Esistono poi molte forme di realismo ristretto, che sono definite dai limiti che, in una determinata epoca, gli esseri umani assegnano al loro concetto di realtà: Dante può credere che le sue visioni siano frutto di un’ispirazione divina e noi siamo tenuti a considerarle parti integranti della sua idea di ‘realtà’, così come siamo tenuti a ritenere che, per lui, Ulisse era un personaggio storico come Farinata o Ugolino.

4.     Un problema che si pone all’interpretazione letteraria è: come si possono collegare i due tipi di realismo, ovvero come possiamo riconoscere che, per esempio, un nuovo romanzo non è solo una più o meno riuscita descrizione dello status quo, ma contiene elementi che permettono di ipotizzare una sua ri-leggibilità nella lunga durata?

5. Occorre innanzitutto riconsiderare che Aristotele, parlando della mimesis letteraria, notava che essa permette di passare dal particolare all’universale senza ricorrere a un’astrazione o a una generalizzazione di tipo logico. L’atteggiamento mimetico, cioè, risulta intuibile perché corrisponde ad alcuni presupposti profondi del rapporto fra essere umano e mondo esterno – ma, su un altro piano, la questione non cambia se il mondo è quello dell’interiorità individuale, in cui viene rielaborato costantemente il nesso interno-esterno.

6.     Nell’epoca classica, i limiti della rappresentabilità del mondo erano sanciti dal verosimile sul piano dei contenuti, e dalla retorica su quello delle forme. Tuttavia, sebbene in linea teorica valga sempre la priorità della separazione degli stili, di fatto le opere che consideriamo ancora degne di un interesse non meramente filologico-documentario escono da quei vincoli, creando addensamenti di senso che si concretizzano in stili già definibili come propri dell’autore. L’energia delle metafore dantesche, definibile in modo analitico (ma diversamente orientata nelle tre cantiche, con un movimento ascendente che parte dalla comedìa per arrivare alla teodìa), è un tratto specificamente stilistico e non retorico: ed è proprio uno di quelli decisivi per garantire la ri-leggibilità dell’opera.

7.     Nell’epoca moderna, dopo la svolta romantica, il realismo viene collegato al rifiuto progressivo degli aspetti fantastici in senso ampio. Ma questa posizione dicotomica impedisce di cogliere la necessità di un’interazione fra conscio e inconscio, noto e ignoto, eventi storici e loro ricadute nell’immaginario individuale e collettivo, per poter giungere a una rappresentazione di ‘realismo allargato’ all’altezza dei tempi: i tempi in cui il rapporto uomo-mondo esterno è stato mediato da filtri sempre più onnipresenti, e in particolare dalla tecnologia e ora dal virtuale, che generano stati né veri né falsi, ma per più di un aspetto ‘realistici’.

8.     Dopo l’ultima grande summa della cultura occidentale, il Faust, persino le più importanti opere-mondo sono venute a costituire metonimie di una realtà dai confini sempre più dilatati, in cui racconto degli eventi e analisi interiore potevano, a distanza di pochi anni, essere risolti come in Guerra e pace o come in Ulisse, come nella Recherche o come nel Doktor Faustus. Nella nostra idea di realismo non possiamo considerare, a priori, una di queste opere più rappresentativa delle altre.

9.     Lo sforzo della critica dovrebbe allora essere quello di costruire nuovi paradigmi interpretativi che riguardino l’intero movimento della modernità, dall’avvio delle rivoluzioni contro tutte le forme dell’antico-monumentale sino all’oggi; i parametri da adottare dovrebbero essere in senso lato stilistici, gli unici che consentano la costruzione di un ‘circolo ermeneutico’ non autoreferenziale, permettendo di collegare la fase dell’inventio individuale con l’orizzonte di attesa del pubblico di una determinata epoca

10.  È nello stile, quindi, che si sostanzia la mediazione simbolica della percezione della realtà. Non è più sufficiente considerarlo come un mero scarto da un’ipotetica norma linguistica, e invece ne vanno colte le potenzialità attrattivo-cognitive, che legano indissolubilmente una sostanza del contenuto a una forma dell’espressione. Non è necessario che emergano tratti di sperimentalismo o di eversione: il nuovo, dopo l’epoca del postmodernismo, ci può giungere in infiniti modi.

11.  Dalla lettura di un’opera autenticamente realistica siamo spinti a reinterpretare i paradigmi attraverso cui siamo abituati a valutare i nessi io-mondo, a tutti i livelli. Underworld è un romanzo realistico perché ci costringe a riconoscere le regioni dell’ignoto e del mitologico che sussistono nella civiltà del capitalismo avanzato, là dove il governo dei desideri ha sostituito l’utopia. È un’allegoria complessa che si vale di vaste aree di realismo ristretto ma punta a un realismo allargato e superiore: in questo senso, pone in discussione continuamente il nostro credere alla realtà come dato fattuale.

12.  Il realismo allargato crea qualia, rappresentazioni qualitative della realtà, che possono coinvolgere aspetti della biologia umana non ancora razionalizzati. Esso si attua in forme diverse, ma stilisticamente riconoscibili. Non dipende dal quantitativo di realismi ristretti che è in grado di inglobare. Non può fondarsi solo su una potenzialità dell’inventio: la pura e semplice descrizione di un evento o, viceversa, la creazione fantasy di un mondo unicamente derivato dai desideri non danno luogo a un testo dotato di un realismo allargato (semmai, possono essere oggetto di una misinterpretazione allegorica).

13.  Nel nostro presente, categorie valutative del realismo delle opere letterarie sono quelle di (in)esperienza, trauma, impegno e altre simili, prevalentemente contenutistiche. Occorre al più presto una nuova riflessione per ricondurle a un ambito ermeneutico più generale, che tenga conto delle nuove acquisizioni cognitive sia nell’ambito stilistico sia in quello della rappresentazione larga della realtà.

[Immagine: Alan Parker, Pink Floyd, The Wall (1982) (gm)].

10 thoughts on “Assiomi /2. Letteratura e realismo: questioni aperte

  1. Una lettura interessante, sicuramente da leggere per intero – parte prima e parte seconda. Condivido in buona parte. Trovo che fotografi in maniera attendibile uno dei profili dello zeitgeist.

  2. Alberto, è molto interessante questa seconda serie di assiomi. Così a caldo mi viene una domanda, forse banale: quando dici che “dalla lettura di un’opera autenticamente realistica siamo spinti a reinterpretare i paradigmi attraverso cui siamo abituati a valutare i nessi io-mondo, a tutti i livelli”, e quando parli di realismo allargato, non corri il rischio di allargarlo un po’ troppo, questo realismo? Voglio dire: d’accordo, la lettura di Underworld ci costringe a farci delle domande sulle cose che dici tu; ma non lo fa, ad esempio, anche la lettura di Gravity’s rainbow, o di Infinite Jest? Oppure, cosa diversissima, di Ubik? Tutti questi romanzi, li definiresti realisti secondo la tua definizione di realismo allargato?
    Seconda domanda: ammesso che i romanzi di Pynchon, Wallace e Dick siano “meno realisti”, questo segno negativo comporterebbe da parte tua anche un giudizio di valore, per cui il meno realista sarebbe anche il meno importante (e scusami per la vaghezza dei concetti che uso)?

  3. “Il realismo allargato crea qualia, rappresentazioni qualitative della realtà, che possono coinvolgere aspetti della biologia umana non ancora razionalizzati.”

    La mia domanda rischia di essere fuori tema, ma colgo l’occasione per chiederle cosa pensa dell’impatto delle scienze cognitive e in genere di una prospettiva evoluzionista sulla letteratura e le arti – magari ci sarà spazio per un altro post.

  4. La mia domanda riguarda perplessità molto simili a quelle sollevate da Francucci. A me pare che, in soldoni, si dica che realistico (nel senso allargato) è tutto ciò che costringe a ripensare rapporto del lettore-fruitore con la realtà. Il criterio, però, non è più oggettivo così come siamo abituati a considerarlo (Il partigiano Johnny è oggettivamente realistico, La scopa del sistema evidentemente no); è qui che le acque mi risultano un po’ confuse. Il criterio diventa un altro, soggettivo (seppure passibile di un vaglio critico e di un’argomentazione “scientifica”) per cui a farci dire che 2001: Odissea nello spazio (film) è un’opera realistica e il racconto di Clarke non lo è non resterebbero altro che criteri stilistici (stile e condensazione, attraverso lo stile, di una fenomenologia sui generis, di un’energetica particolare, di una linea di fuga… lo dico rozzamente). E allora, per quale motivo sussumere questi criteri al di sotto di un termine-ombrello (realismo) che crea più ambiguità che chiarezza?

  5. Caro Federico, certamente la tua osservazione sui limiti è molto importanti, ma il mio scopo era innanzitutto quello di aprire i confini attuali del realismo, che spesso viene fatto coincidere solo con il tipo ‘ristretto’. Invece, è importante capire che esistono gradazioni diverse, così come avviene per tanti altri fenomeni che siamo abituati a pensare in maniera dicotomica (allegoria e simbolo, tanto per fare un esempio immediato), e che invece dovremmo cominciare a valutare in una prospettiva scalare-cognitiva.
    Ci possono quindi essere gradazioni diverse anche in testi come quelli che citi. Un conto in fatti è l’esplosione parossistica e fumettistica di dati realistici (anzi iper-realistici) di “Gravity’s Rainbow”, un conto è un racconto collocato in un mondo possibile, che vira direttamente verso l’allegorico, come in molto Dick, nella fantascienza a sfondo filosofico ecc.
    Il problema è: quale tipo di ‘realtà’ ci sta facendo conoscere quest’opera? In altri termini: non è realistico solo il testo che ci descrive puntualmente ciò che già sappiamo, ma anche, e in senso ‘allargato’, quello che ci costringe a intuire aspetti di realtà che non conoscevamo. Così è Dante di contro a un poema allegorico ‘rigido’ benché colto come l'”Anticlaudianus”, tanto per fare un esempio.
    In generale, sono convinto che le opere di realismo allargato più grandi siano parecchio eterogenee. Non è comunque possibile legare in maniera biunivoca valore e realismo allargato: sono parametri che seguono destini diversi. A livello di opere classiche, possiamo dire che praticamente tutti i grandissimi hanno avuto lunghi periodi di sottovalutazione. Diciamo che, alla fine, si scopre che quelli che resistono anche a quei periodi sono libri ‘autenticamente’ realistici.

  6. Aggiungo, per Andrea. Il problema è, in soldoni: per quali motivi possiamo definire ‘realistica’ un’opera come la “Commedia” di Dante? Ci serve, questa definizione? Si puo’ dire di no, e allora il mio discorso è inutile. Ma si può anche pensare di sì, e allora si tratta di cominciare a ragionare su quali parametri possono essere chiamati in causa per l’analisi. Ovviamente, una classificazione meno arbitraria potrà essere fatta tenendo conto di moltissimi fattori: quello che indico qui è un inizio di percorso, che invocherebbe anche il confronto con le categorie delle scienze cognitive.

  7. M’interessa molto l’assioma 10, perché in esso leggo una (non tanto velata) polemica con le forme cosiddette di ricerca o sperimentali, e in particolare con la neoavanguardia, la cui predilezione per lo scarto linguistico è più che nota, specie in Sanguineti, in cui, tra l’altro, l’operazione di sabotaggio della lingua della comunicazione (e dunque del potere e dell’egemonia) si fa maggiormente esibita (a parte l’esordio-choc di Laborintus) proprio nella scrittura del romanzo (dove il sabotaggio e lo scarto non rappresentano, evidentemente, un mero fenomeno lessicale, ma sintattico-ritmico: dunque non solo un’altra lingua, più o meno colta, più o meno inventata, ma una diversa scrittura, cioè il prodotto non di una registrazione in presa diretta (col magnetofono, avrebbe detto Arbasino), bensì dell’elaborazione inevitabilmente deformante compiuta da parte di ”un organo dell’immaginazione”, 1964). L’assioma 10 di Casadei postula l’inattualità di tale principio (la sovversione attraverso il linguaggio), e l’avvento di un’età in cui il nuovo si potrebbe produrre per altre vie, e questa età si identifica con il postmoderno che però sapevamo concluso. Dunque, questo realismo allargato come si collocherebbe, oggi, non solo rispetto alla neoavanguardia ma anche rispetto al postmoderno? Inoltre, sulle tesi nel loro complesso, mi viene da riflettere sul fatto che si pongano in assoluta (e quanto diretta?) contrapposizione all’idea centrale di ”Della realtà” di Vattimo, che mentre identifica l’esaltazione del Reale (lacanianamente inteso come ”la cosa là fuori”) con la metafisica totalitaria (dal nazismo in giù, per dirla quasi testualmente) e dunque con l’imposizione e la violenza, riafferma il principio della necessità di un’interrogazione diversa, nuova, appunto, delle forme simboliche e dei conseguenti paradigmi, a partire dalla crisi economica mondiale. Per cui non sarà così scontato (o consolatorio) trovare rifugio o cercare una risposta nel criterio della rappresentazione più o meno mediata più o meno diretta del nesso o del dissidio io-mondo, ma s’imporranno altri criteri, altre categorie e forse, davvero, il definitivo pensionamento di quella di realismo, troppo vasta (ed equivoca) per attagliarsi a universi incommensurabili come l’oltremondo dantesco e il casertano di Saviano.

  8. Per Gilda. Il problema è appunto quello dell’allargamento dei confini del realismo, e quindi dei mezzi per ottenerlo. La categoria non è né troppo vasta né troppo desueta, se la si adatta a nuovi presupposti, e la si comincia appunto a declinare e a graduare. E’ anzi una delle poche che, probabilmente, ci può consentire di superare divisioni come quelle che tu segnali, e che personalmente ritengo ormai superate. Io considero l’ambito dell’eversione linguistica, di ogni tipo, come uno spazio acquisito all’inventio letteraria, e che può avere finalità diversissime, anche politiche, certo. Solo, non credo che stia in questo aspetto il principio stilistico che ci interessa: molto di più ci interessano le rimodulazioni del noto e del non-noto, che si possono ottenere attraverso molti tipi di opere. Personalmente, mi sono dedicato ultimamente a interpretare in questa chiave le poesie di Amelia Rosselli, ma si trattava di un esempio di analisi puntuale, che dovrebbe poi far riferimento a una mappatura molto più ampia delle forme di oscurità in poesia e in letteratura. La categoria del realismo serve se si riesce a creare una credibile mappa delle sue potenzialità cognitive, delle sue peculiarità stilistiche e delle sue finalità nel rapporto autore-lettore. Sinora, solo alcuni di questi aspetti sono stati sondati, e il lavoro da fare sarebbe davvero ampio e, credo, interessante.

  9. Interessantissimo sviluppo di un tema con variazioni, molto più ricco e problematico di quello precedentemente proposto, forse, non me ne voglia l’autore, proprio perché trattato in modo meno assiomatico (non nella forma, ma nell’ispirazione). C’è veramente molta carne al fuoco. Le risposte di Casadei ai commenti forniscono ulteriori spunti di riflessione. Insomma, un post davvero importante, che, congiuntamente ad altri, penso a quello di Guido Mazzoni sul romanzo contemporaneo, o, in controluce, alle recensioni di Gianluigi Simonetti, mi sembra delineare la realtà di un dibattito serio sulla narrativa fra le pagine di Le parole e le cose.

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