di Luca Zenobi
[È uscito per Mucchi editore il libro di Luca Zenobi, Tutti i vestiti della verità. Letteratura e cultura tedesche tra Settecento e Novecento. Pubblichiamo qui la Prefazione al volume e una parte del capitolo IV su Pier Paolo Pasolini e la critica della civiltà nella ricezione tedesca].
Prefazione
La costruzione di una identità nazionale in Germania è stata costantemente accompagnata da un paradosso: il riferimento a modelli stranieri. Fin dal XVIII secolo, la necessità di sopperire alla frammentazione politica e culturale, avvertita sempre di più come una urgenza dai massimi rappresentanti del mondo artistico e letterario, si traduce nell’utopia di un ideale estetico che si sostituisca a quello politico, o quanto meno conquisti il primato rispetto ad esso nel disegno di formazione di una identità nazionale su basi culturali nuove. Nella elaborazione di questo programma, fondato su un costante esercizio di Kulturkritik in cui la riflessione sul medium ha un ruolo preponderante, Shakespeare e Rousseau, per fare solo i nomi più noti, sono imprescindibile punto di riferimento. L’assunzione di modelli extra-nazionali (Shakespeare è più tedesco dei tedeschi, afferma Lessing a metà Settecento), con cui si vuole sostituire un altro modello imperante, anch’esso di provenienza straniera (la Tragédie classique di Racine e Corneille), è il punto di partenza di una riflessione che si concretizza in una serrata e continua critica alla cultura e alla società nazionali. La teorizzazione su nuove forme di scrittura, su nuovi generi letterari, su linguaggi artistici ibridi e intermediali, la costante rielaborazione di modelli teorici stranieri, divengono dunque i principali strumenti di questa critica. Le modalità con cui ciò avviene persistono anche nei secoli successivi, oltre la metà del XX secolo, secondo forme che incidono anche sulla maniera in cui la letteratura tedesca viene a sua volta recepita al di fuori della Germania (affermazioni o boutades del tipo: i Francesi facevano la Rivoluzione mentre i tedeschi teorizzavano, pur semplificando in modo banale complessi quadri storici, mettono in evidenza il carattere perspicuo di un paradigma culturale). L’ambivalente rapporto che nei primi del Novecento, e in particolare negli anni Venti, nella tormentata fase della Repubblica di Weimar, si instaura con la questione dell’americanismo – a livello culturale, sociale ed economico – mette in luce con particolare evidenza i nodi critici dell’elaborazione di un modello identitario che continua a fondarsi sulla ricezione e la rimediazione di un prototipo straniero. Tanto più facile poi, sulla base di questo percorso, risulterà comprendere il ‘fenomeno Pasolini’ nella Germania degli anni Sessanta/Settanta e la fascinazione esercitata da una figura di intellettuale capace di produrre, attraverso i media più diversi e la riflessione sugli stessi, una Kulturkritik tra le più radicali della sua epoca.
Nel corso di questi tre secoli, il concetto teorico che più di ogni altro e in maniera quasi ossessiva alimenta le speculazioni di artisti e intellettuali tedeschi è senza dubbio quello di totalità, ovvero l’idea di poter ricostruire attraverso le pratiche artistiche una visione del mondo e dell’esistenza dell’uomo dal carattere compiuto, unitario e universale: in breve una “estetica della resistenza” (Peter Weiss) che attraverso la letteratura e le arti si configuri come un argine alla frammentazione e al declino di fasi storiche cruciali.
Nel volume sono raccolti una serie di saggi che, attraverso i nodi tematici sopra illustrati, tentano di ricostruire un panorama inevitabilmente parziale e incompleto in quanto agli autori e ai temi trattati, tuttavia auspicabilmente esemplare nel dar conto di un percorso culturale: le teorie e la prassi artistica grazie alle quali la letteratura e le arti in Germania si sono confrontate con quelle di altri paesi, sono un contributo decisivo alla elaborazione di una propria idea di cultura scaturita appunto da questo confronto, in un tragitto estremamente travagliato e critico. Allo stesso modo è possibile individuare e indagare la singolarità di questo modello analizzandone su diversi piani la ricezione, così da porre in evidenza come simili prerogative ‘spirituali’ abbiano inevitabilmente condizionato le riletture di alcuni grandi classici tedeschi in altre culture e i loro adattamenti in altre forme mediali. Lo studio della ricezione assurge in questo modo a strumento di indagine non solo del sistema in cui il testo si insedia ma anche della cultura di origine.
Pier Paolo Pasolini e la critica della civiltà nella ricezione tedesca [1] : Pasolini e Marcuse
Nel 1994, in occasione di una retrospettiva sull’opera cinematografica di Pier Paolo Pasolini tenutasi a Berlino presso il cinema Arsenal, la rivista «Kinemathek» pubblica un numero monografico dedicato ai film dell’autore italiano. Il curatore del volume, in una breve nota introduttiva, sottolinea l’influsso che i film pasoliniani nel loro complesso hanno esercitato sulla cultura tedesca di fine Novecento: “Nella scelta e nell’assortimento di questi articoli ci è divenuto chiaro che le critiche su Pasolini scritte negli anni Sessanta e Settanta, in parte anche successivamente, rappresentano una storia avvincente e tutta da leggere della critica cinematografica tedesca.” [2] Dalla lettura dei contributi risulta evidente una polarizzazione delle opinioni e dei giudizi estetici – “Pasolini, anche da noi, non lascia nessuno indifferente”[3] – frutto, con ogni evidenza, del carattere provocatorio e scandaloso dell’opera filmica pasoliniana. Pur paradigmatica, la ricezione del cinema di Pasolini costituisce un momento più tardo nell’intricato percorso di diffusione della sua opera in Germania, che in una prima fase è più legata a una massiccia circolazione degli articoli giornalistici di natura polemica o, con un termine tedesco, kulturkritisch. In questo contesto credo sia fruttuoso da un punto di vista critico far riferimento alla peculiare concezione del terzo mondo che anima il pensiero dell’autore italiano. Il complesso rapporto che si sviluppa tra la visione pasoliniana di Africa, India, medio Oriente e il cosiddetto mondo evoluto e civilizzato, osservato nelle diverse fasi della sua evoluzione, consente di ricostruire sistematicamente alcune fasi decisive della ricezione nella cultura tedesca del secondo Novecento delle idee e delle opere di Pasolini. Un primo punto appare immediatamente evidente a chi si accosti alla matrice ideologica delle idee politiche e culturali che animano l’autore di Casarsa nel corso della sua attività: la critica di Pasolini alla civiltà, da cui poi scaturisce una certa visione del terzo mondo, si costruisce per gradi attraverso un confronto continuo col pensiero tedesco. A parte la cospicua e assai nota discussione delle teorie di Marx e della filosofia di Hegel, Pasolini mostra di avere una conoscenza approfondita e, per molti versi, una notevole affinità con il pensiero di Herbert Marcuse. Eros e civiltà (Eros and Civilization, 1955) e L’uomo a una dimensione (One-Dimensional Man, 1964) vengono tradotti in Italia e pubblicati da Einaudi rispettivamente nel 1964 e nel 1967. Pasolini ha modo di leggere e di apprezzare i testi del filosofo tedesco grazie alla mediazione di Franco Fortini, intellettuale e poeta che in varie forme aveva contribuito alla diffusione della letteratura e della cultura tedesche in questi anni.[4] Nell’introduzione a L’uomo a una dimensione, Pasolini poteva trovare una diagnosi dell’epoca a lui contemporanea, in cui l’antagonismo tra borghesia e proletariato aveva gradualmente ma inesorabilmente perduto la sua urgenza e, conseguentemente, quella funzione che il catechismo marxista le aveva assegnato di movente principale della storia: “[…] lo sviluppo capitalista” scrive Marcuse “ha alterato la struttura e la funzione di queste due classi in modo tale che esse non appaiono più essere agenti di trasformazione storica.”[5] L’analisi marcusiana intravede scenari in cui questo stato di fatto, questa riduzione del pensiero umano a un’unica dimensione operata dalla società tecnologizzata e capitalista, si allargherà anche a parti del pianeta ancora immuni da essa: “La tendenza totalitaria” prosegue Marcuse “di questi controlli sembra affermarsi in un altro senso ancora – diffondendosi nelle aree meno sviluppate e persino nelle aree preindustriali del mondo, creando aspetti simili nello sviluppo del capitalismo e del comunismo.”[6] Poco più avanti il filosofo tedesco assegna un ruolo centrale alla stessa cultura in questo processo di massificazione in cui, attraverso gli strumenti della tecnologia, una triplice alleanza finisce per schiacciare ogni possibile forma di scelta dell’individuo: “Entro il medium costituito della tecnologia, la cultura, la politica e l’economia si fondono in un sistema onnipresente che assorbe o respinge tutte le alternative.”[7] Pasolini, in diverse interviste degli anni Settanta, elogia il pensiero di Marcuse e lo difende dall’utilizzo strumentale e modaiolo che ne fanno in particolare i movimenti studenteschi. Persino nel punto in cui le idee dei due intellettuali paiono prendere direzioni contrapposte – mi riferisco alla esaltazione da parte di Marcuse del ruolo degli studenti nella società, un ruolo definito letteralmente eroico dal filosofo tedesco – Pasolini argomenta inserendo le affermazioni di Marcuse in un preciso contesto, quello di società prive di una tradizione culturale marxista, in cui la funzione antagonista degli studenti può effettivamente assumere una natura rivoluzionaria. In una nota pubblicata sul numero 10 dell’aprile-giugno 1968 della rivista «Nuovi Argomenti», Pasolini scrive che, al contrario, in paesi come la Francia e l’Italia, in cui persino il papa “ormai ha assimilato nelle sue encicliche la tradizione culturale marxista”,[8] le proteste studentesche non sono che il segnale di una guerra civile della borghesia contro se stessa. La precisazione di Pasolini rispetto alla frase di Marcuse e la sua contestualizzazione appaiono in realtà pretestuose, come lo stesso autore precisa in una nota al suo scritto: “Prendo in esame il Marcuse… manipolato dall’intervista, non quello vero”[9], e così nel corso dell’argomentazione specifica ulteriormente che si sta contrapponendo alla frase del “Marcuse «intervistato»”, sottolineando così la distorsione delle affermazioni del filosofo tedesco.[10] Nel breve articolo del 1968 appare dunque già chiaro come le idee marcusiane, e per certi aspetti della Scuola di Francoforte in genere, costituiscano un sostegno notevole per Pasolini nella interpretazione di una società moderna in cui si è dovuta abbandonare in modo definitivo l’idea di Rivoluzione.
La ‘mitizzazione’ del terzo mondo, dei popoli ancora immuni dall’infezione capitalista, per così dire ancora allo stato di natura o comunque in una condizione pretecnologica, prerazionale, preindustriale, trova Pasolini e Marcuse come “Brüder im Geiste”,[11] fratelli di spirito. L’uomo a una dimensione si chiude, com’è noto, con una citazione di Walter Benjamin dedicata ai disperati, ai reietti: “È solo a favore dei disperati che ci è data la speranza”,[12] una citazione che potrebbe concludere in modo altrettanto pertinente uno dei film di Pasolini come Accattone, Mamma Roma o altri ancora.[13] L’analisi della società contemporanea, il cui sviluppo in direzione fascista va inteso per Pasolini non più tanto in un senso puramente storico-ideologico, ma nel significato più esteso di un atteggiamento di vita in cui ci si abbandona “all’oggettivazione preordinata del mondo imposta dal nuovo potere”,[14] è condotta dallo scrittore italiano secondo gli stessi principi analitici della Scuola di Francoforte e sfocia in conclusioni che, come accennato sopra, risultano del tutto affini a quelle dei filosofi tedeschi. Senza voler dunque sottovalutare o tacere il ruolo di Lévi-Strauss, di De Martino o di Fanon nello sviluppo dell’ideologia pasoliniana, l’incontro con il pensiero di Marcuse e la convergenza con le sue teorie sono un tassello decisivo nella riflessione culturale sulla modernità costruita da Pasolini.
Note
1 Pier Paolo Pasolini e la critica della civiltà nella ricezione tedesca, in «Contemporanea», 14 (2016), 21-33.
2 Pier Paolo Pasolini, Dokumente zur Rezeption seiner Filme in der deutschsprachigen Filmkritik 1963-1985, in «Kinemathek», 84 (1994), 3. Considerato l’argomento del saggio e i suoi possibili lettori si è deciso di presentare in traduzione – a cura dell’autore – tutte le citazioni in esso contenute.
3 Ivi, 4.
4 La traduzione integrale del Faust di Goethe lo occupa dal 1964 al 1970.
5 Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Torino 1967, 10-11.
6 Ivi, 13 s.
7 Ivi, 14.
8 Pier Paolo Pasolini, Anche Marcuse adulatore? in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia de Laude, milano 1999, 156-158, qui 156.
9 Ibidem (nota 1).
10 Ivi, 157.
11 Nikolaus Perneczky, Pasolinis Afrika oder Die Krise des eurozentrischen Laufbildes ca. 1968, in: “Zeitgeschichte-online”, Ottobre 2010, http://www.zeitgeschichte-on-line.de/thema/pasolinis-afrika-oder-die-krise-des-eurozentrischen-laufbildes-ca-1968 (29.2.2020). Marcuse è citato come immediato riferimento per la concezione pasoliniana della modernità anche in una delle recensioni all’edizione tedesca degli Scritti corsari. Si tratta dell’articolo Konsumterror – der neue Faschismus? di Peter Hamm, uscito il 5 gennaio
1979 su «Die Zeit». L’articolo, che più che una recensione può definirsi un saggio sintetico sul pensiero pasoliniano, è consultabile on line: http://www.zeit.de/1979/02/konsumter- ror-der-neue-faschismus/komplettansicht (27.2.2020, consultabile attualmente solo a pagamento).
12 Marcuse, L’uomo a una dimensione, cit., 266.
13 Quello della affinità tra il pensiero di Pasolini e la filosofia di Walter Benjamin è un altro filone della ricerca su cui molti commentatori hanno posto l’attenzione. Pasolini non conosceva Benjamin, o quanto meno non così approfonditamente come Marcuse e la Scuola di Francoforte, tuttavia alcune sue riflessioni sulla storia sono in sintonia con le concezioni del filosofo tedesco; cfr. Antonio Lucci, Pasolini e la Germania. Intervista a Peter Kammerer, in «Lo sguardo», 19/III (2015), 89-96, qui 92-93. Va però sottolineato che si tratta di convergenze piuttosto superficiali e forse anche marginali rispetto alla sostanza del sistema ideologico e culturale di Pasolini.
14 Fabio Vighi, Pasolini con Adorno. Fascismo rivisitato, in «Italian Studies», LVI (2001), 129-147, qui 141. L’ottimo saggio di Vighi tende a dare maggiore importanza alle affinità del pensiero pasoliniano soprattutto con la Dialettica dell’Illuminismo di Adorno-Horkheimer e, pur riconoscendo in diversi punti dell’analisi gli elementi di tangenza con le opere e il pensiero di Marcuse, per l’impostazione teorica della sua argomentazione non tiene conto delle esplicite citazioni di Pasolini stesso relative al suo rapporto con Marcuse, che invece sono uno spunto importante per la mia argomentazione.
[Immagine: Franco Citti in Accattone (1961) di Pier Paolo Pasolini].
Credo che nella ricezione d’un popolo, e nel suo immaginario, tedeschi in questo caso, incida più un articolo di Bild o di Die Welt sull’Italia e i costumi degli italiani che tutti i film e i libri di Pasolini, destinati a un’élite
Riguardo all’osservazione di Bugliani: credo che si dovrebbe tener conto che in Germania, a partire dal fallimento della palingenesi romantica immaginata da Novalis, la scissione fra Studenten (=intellettuali) e Filistei (grosso modo borghesi coi paraocchi) è stata incomparabilmente più profonda e in un certo senso invalicabile rispetto a altre nazioni. Questo ha senz’altro creato il popolo dei lettori della Bildzeitung, ma anche una “classe” di intellettuali molto più vasta, pervasiva, autocosciente, visibile e potente che non ad esempio in Italia. In questo senso non è del tutto corretto parlare di élite.
Questo si vede bene ora che l’Italia e forse l’Europa intera si stanno filisteizzando a ritmi serrati e superano di gran lunga in stupidità il modello Bild. La Germania, tutto sommato, resiste. (Trovo anche significativo il fatto che nel recente referendum svizzero il cantone controtendenza, cioè il cantone xenofobo, sia stato il Ticino).
” ora che l’Italia e forse l’Europa intera si stanno filisteizzando a ritmi serrati e superano di gran lunga in stupidità il modello Bild”.
Concordo.
” La Germania, tutto sommato, resiste”
Dubito.