di Sergio Benvenuto
Non basta disprezzare i conservatori americani, e deriderli perché votano per uno come Trump. Prima di tutto, occorre capire che cosa veramente pensano.
Traduco qui un messaggio email che circola da mesi negli Stati Uniti. È come le nostre catene di Sant’Antonio: chi concorda con questa Dichiarazione di Voto per Trump è invitato a ricopiarla e a mandarla ad altre persone. A parte vari errori di ortografia (its, “suo” o “sua”, è reso sistematicamente con it’s; errore alquanto comune tra gli americani) vale la pena leggere questa Summa del pensiero conservatore, republican. Espressa non da un raffinato teorico, ma da gente comune, da chi vota comunque Republican. È precisato infatti che non è una dichiarazione di voto a favore dell’uomo Trump e di quello che ha fatto, e nemmeno un voto contro l’uomo Biden, ma per una concezione della società opposta a quella considerata democrat.
Tra poco, le elezioni presidenziali saranno concluse. Non è la fine del mondo, ma forse la fine della nostra nazione così come l’abbiamo conosciuta. No, non voterò per Biden… Non voterò per un uomo, non mi raccoglierò attorno a una personalità. Non sto promuovendo una persona. Oggi, voterò per una cosa e una cosa sola.
Voterò per i principi per i quali questo paese è rimasto in piedi sin dalla sua Fondazione. Voterò per un governo costituzionale. Voterò per una forza militare forte e autosufficiente. Voterò per un’economia vibrante. Voterò per il diritto di tenere e portare armi. Voterò per la libertà di culto religioso. Voterò per un riconoscimento nazionale della Fondazione della nostra nazione sui principi Biblici. Voterò perché ognuno abbia la possibilità di elevarsi rispetto alle sue circostanze e diventare persona di successo (successful). Voterò perché i miei figli e nipoti siano capaci di scegliere la loro strada nella vita, includendo come e dove questi figli saranno educati. Voterò perché le nostre frontiere siano aperte a chiunque entri secondo le nostre leggi e vengano chiuse a chiunque le aggiri o le ignori. Voterò perché rimanga il Collegio Elettorale, così che pochi centri liberal densamente popolati non controllino le elezioni. Voterò per una Corte Suprema che interpreti la Costituzione e non la riscriva. Voterò per insegnare la storia, con tutte le sue [it’s – sic] verruche (warts), senza cancellarle o revisionarle. Voterò per la santificazione della vita dalla concezione fino alla nascita e oltre.
Poi, ci sono alcune cose contro cui voterò. Voterò contro l’apertura delle frontiere. Voterò contro un dilagante welfare system che schiavizza i suoi beneficiari. Voterò contro il socialismo in tutte le sue forme, incluso il sistema sanitario, la redistribuzione, i risarcimenti, l’economia, il controllo governativo, la pedofilia e i rilasci dei criminali, ecc.
Preferirei pagare per una riforma delle prigioni piuttosto che (then – sic!) vedere i criminali rilasciati in modo che possano commettere ripetutamente gli stessi delitti!
Così, anche se non appoggio incondizionatamente tutto quello che il nostro Presidente ha fatto o ha detto nel passato, lo sostengo come nostro presidente!
Non voterò contro Joe Biden, ma voterò contro ogni cosa sostenuta dal partito che lo appoggia e lo puntella. Non è più il Partito Democratico di una volta. […]
Copia e incolla se sei d’accordo
Vale la pena analizzare questa lettera circolare anche per rilevare certe differenze tra la destra americana e quella europea. Alcune dichiarazioni appaiono ovvie, e sembrerebbe che possano essere sottoscritte anche da uno di sinistra; ma una serie di scelte terminologiche rivelano assunti non espliciti della “mentalità conservatrice”.
Colpisce il tono catastrofico dell’annuncio di voto: “contro la fine della nostra nazione così come l’abbiamo conosciuta”. Va detto che questa posta altissima, “salvate il nostro paese!”, è del tutto simmetrica a quella dei democrats, i quali sono convinti, anch’essi, che una rielezione di Trump sarebbe “la fine della nazione così come l’abbiamo conosciuta”.
Questa simmetria non è irrilevante. Ad esempio, nella mail si dice “Non è più il Partito Democratico di una volta”, ma l’opinione di sinistra pensa esattamente la stessa cosa del partito di destra. Agli occhi di coloro che gli americani chiamano liberals (la sinistra), rispetto a qualcuno che appare un fascista folle come Trump, i vecchi presidenti conservatori – come Nixon, Reagan, Bush Sr. – appaiono dei gentlemen moderati e quasi li si rimpiange. Non diversamente da come in Italia si pensa che con la Lega di Salvini siamo sprofondati nel nero profondo della reazione, rispetto a cui ex-avversari come De Gasperi, Aldo Moro, Fanfani, persino Andreotti e – horribile dictu – Berlusconi, appaiono persone, a loro modo, rispettabili. La sinistra dovrebbe chiedersi però perché essa appare radicalizzata, estrema, simmetricamente agli occhi della destra mentre al contrario essa si percepisce oggi per lo più come “annacquata, flessibile, sdogmatizzata, aperta”.
Colpisce la contraddizione tra certi “atti di fede”. Ad esempio, l’Anonimo dice di votare per la libertà di culto religioso, cosa che ogni persona di sinistra sarebbe disposta a sottoscrivere. Ma poi aggiunge: “Voterò per un riconoscimento nazionale della Fondazione della nostra nazione sui principi Biblici”. Un’affermazione dei fondamenti cristiani della nazione (e magari anche ebraici, perché non si specifica se si tratti di Bibbia cristiana o anche giudaica) sembra stridere con la tutela della libertà di culto religioso. Direi però che persone come Meloni o Salvini non sarebbero d’accordo nemmeno con la libertà di culto religioso: anche se non possono dirlo, presuppongono l’assioma che “l’Italia è degli italiani, quindi cattolica”. Da qui il rosario di Salvini e simili. Negli Stati Uniti, paese fondato da immigrati di varie religioni, bisogna ammettere a denti stretti che i culti sono tanti e vanno tutti autorizzati, ma allo stesso tempo si dà un primato fondativo alla religione ebraico-cristiana. È la versione reazionaria della famosa frase di Orwell: “Tutti gli animali sono eguali. Ma i maiali sono più eguali degli altri”.
Vediamo i progetti tipici della destra americana.
Alcuni hanno un senso meramente opportunistico, riflettono convenienze elettorali della destra del GOP (Great Old Party, nomignolo del Republican Party) e non veri principi universalizzabili. Ad esempio, il voler mantenere l’Electoral College. È il sistema per cui viene eletto presidente non il candidato che abbia ottenuto più voti in assoluto, ma quello che prende più delegati dai singoli stati; l’importante insomma è vincere in più stati, non prendere in assoluto più voti. Questo sistema finora ha fatto gioco ai candidati repubblicani. Nel 2000 il candidato democratico, Al Gore, prese il 48,4% dei voti contro il 47,9% del repubblicano George Bush Jr., ma il secondo vinse per 537 voti in Florida, stato-chiave. Nel 2016, Clinton versus Trump, la candidata democratica prese circa tre milioni di voti in più del repubblicano (48,2% contro 46,1%), ma Trump conquistò più stati. Per ben cinque volte un presidente americano è stato eletto pur avendo avuto meno voti in termini assoluti. Il nostro Anonimo mostra quindi che la sua posizione non è ispirata da un ideale democratico, ma solo dal suo fare il tifo per il GOP.
Emerge comunque una profonda ostilità nei confronti delle grandi metropoli americane, dove il voto democratico prevale di gran lunga. Questa email ben interpreta l’idea delle “campagne che circondano ed espugnano le città” https://www.doppiozero.com/materiali/le-campagne-assediano-le-citta.
ltri motivi, del tutto tipici di ogni destra occidentale, emergono nel rigetto dell’aborto, nell’ostilità al welfare state, alla libertà di accesso per i migranti, alla supposta indulgenza del sistema penale che rilascia facilmente criminali rimettendoli in circolazione, nell’importanza di forze armate efficienti e… – aggiunta sottile e significativa – viable (autosufficienti). Ovvero, l’ostilità alla NATO, ai sistemi di alleanze militari in cui gli USA sono presi, che Trump ha così platealmente dimostrato, è ampiamente diffusa nell’opinione di destra. Insomma: “Gli Stati Uniti si devono difendere da soli e pensare a difendere solo e innanzitutto se stessi! Non dobbiamo essere vincolati da alleanze militari!” Esso riflette una certa tradizione isolazionista della destra americana, che non ha un equivalente preciso nelle destre europee, le quali tipicamente sono espansioniste.
Una specificità, direi un’ossessione, del tutto americana è il diritto di chiunque di “tenere e portare armi”, invocato come diritto costituzionale (Secondo Emendamento). Non solo tenerle in casa, appunto, ma poterle portare in giro… La destra europea su questo punto è divisa e oscillante: da una parte c’è una tendenza “americana” a invocare il diritto di ciascuno a difendersi senza aspettare l’arrivo delle forze dell’ordine, e a farsi giustizia da sé; dall’altra una tendenza a preferire “lo stato di polizia”, ovvero una forte concentrazione della violenza legittima negli apparati di polizia (forse qui potrebbe esserci una differenza tra il neo-fascismo di Salvini e il vetero-fascismo della Meloni).
Il diritto di portare armi è uno dei grandi dogmi, delle Sfingi, della mentalità di destra americana. In fondo, ogni uomo o donna di destra vagheggia un’America come si vede nei film western: tutti portano la pistola, e il marshall o sheriff buono si serve volentieri della pistola per riportare ordine e giustizia. È una visione squisitamente anarchica che certe frange libertarie della sinistra europea in fondo condividono. Assomiglia un po’ all’idea leninista del “proletariato in armi”. L’assioma è: “un popolo è libero solo quando ciascuno è armato”. Se un popolo si affida completamente alla polizia e all’esercito, diventa un popolo imbelle, pronto a essere oppresso. L’idea è che ciascun capofamiglia deve difendere, armi alla mano, la propria famiglia minacciata.
Uno dei film più popolari, ancor oggi, nella società americana – il tipico film che la TV trasmette a ogni Thanksgiving, alla festa più tipicamente americana – è Friendly Persuasion del 1956 (di William Wyler), tradotto in italiano come La legge del signore. La “persuasione dolce” è quella praticata appunto da una famiglia quacquera dell’Indiana all’epoca della guerra di Secessione, dato che i quacqueri rifiutano l’uso delle armi. Ma intanto si avvicina il pericolo tremendo dell’esercito confederato sudista, che semina il terrore…. La conversione dei maschi pacifisti alla difesa armata – appunto “per difendere la nostra famiglia” – ha la stringatezza di un teorema. Film fondamentale per capire le viscere dell’America, Il Middle West, il Bible Belt.
Il fatto poi che in questo film “i cattivi” siano i confederati, cioè gli schiavisti, mostra che in qualche modo la necessità di armare il popolo è sentita anche da chi è a sinistra.
Ci colpisce la presenza della “pedofilia” tra i disastri connessi al socialismo. Che c’entra il socialismo con la pedofilia? Alla base c’è un delirio complottista detto Q-Anon. Un significante misterioso (“Anon” sta per “anonymous”), dal significato fluttuante, indeterminato, non si sa nemmeno se si riferisca a una persona o a un’organizzazione. La sola cosa certa è che Q-Anon è connessa/o a una rete con a capo dirigenti del partito democratico, e che avrebbe due obiettivi essenziali: la pedofilia e l’installazione del socialismo negli Stati Uniti. Trump si è riferito a questa teoria prendendola per vera.
È diffusa l’idea che gran parte dell’élite di Hollywood è di sinistra (il che nel fondo è vero), e che questa élite si dedichi a orge sessuali nelle proprie ville alle quali si fanno partecipare anche bambini. Alcuni sono convinti che questi “mostri” bevano anche il sangue dei bambini. Una leggenda metropolitana che ha avuto successo nel 2016 è quella secondo cui una certa pizzeria di Washington D.C. sarebbe il centro di una tratta di bambini per pedofili, e che Hillary Clinton sarebbe il capo di questa organizzazione (teoria delirante nota come “pizzagate”). Nel giugno del 2017 un tale Maddison Welch fece irruzione in quella pizzeria sparando all’impazzata contro i “pedofili”… Dietro questo riferimento anodino al “socialismo pedofilo” c’è insomma una miriade di leggende metropolitane, di deliri persecutori, che mettono al centro i personaggi che la destra americana odia di più: i cineasti di sinistra, Hillary Clinton.
Non bisogna lasciarsi ingannare dal carattere in apparenza neutro, ovvero politically correct, di certe affermazioni come “Voterò perché i miei figli e nipoti siano capaci di scegliere la loro strada nella vita”. Ma aggiunge: “includendo come e dove questi figli saranno educati”. Postilla fondamentale, che separa ancora una volta, credo, la tipica destra americana da quella europea. Questo significa che gli americani devono rigettare “programmi di stato” imposti a tutti i giovani. È l’inverso dell’ideale, così popolare in Francia, de La République, ovvero dello stato-professore: qui, è lo stato invece che impartisce a tutti i francesi – di qualsiasi religione o credo politico siano – un’educazione sostanzialmente comune, quella repubblicana appunto. In America, al contrario, molti pensano che non lo stato federale, e nemmeno gli stati specifici, possano imporre a tutti gli stessi standard culturali. Ad esempio – e non è un esempio preso a vanvera – lo stato americano non dovrebbe insegnare a tutti i giovani che la teoria darwiniana della storia della vita sulla terra sia l’unica scientifica, vera…. (l’anti-darwinismo resta, da oltre un secolo e mezzo, un punto caratterizzante la destra religiosa americana). La Corte Suprema stabilì che il creazionismo non può essere insegnato come teoria alternativa all’evoluzionismo, ma la destra spera sempre nel trionfo della teoria del cosiddetto Intelligent Design per spiegare la vita. Ogni famiglia deve avere il diritto di dare la propria educazione ai figli. Per esempio, se il capofamiglia è convinto che la terra è piatta, allora questo deve essere insegnato. Perciò non fa nessun problema – ai conservatori – che le famiglie americane islamiche mandino i loro figli solo a una scuola islamica e magari anche islamista.
Il senso di “identità nazionale” è diverso quindi negli USA rispetto all’Europa. In Europa, essere cittadini della propria nazione significa condividere una cultura comune: parlare la stessa lingua, innanzitutto, e aver imparato le stesse cose nella scuola dell’obbligo. Negli USA non si considera importante, dopo tutto, che tutti parlino inglese; che tanti parlino spagnolo o cinese non dà poi fastidio. In vari Stati sono dispensate schede elettorali in svariatissime lingue, di recente la California ha acconsentito a stampare schede in Bengalese, Burmese, Gujarati, Hindi, Indonesiano, Giapponese, Laotiano, Mien, Mongolo, Nepalese, Tamil, Thai, Telugu, Urdu. Per il 3 novembre gli elettori possono richiedere schede in Arabo, Armeno, Hmong, Coreano, Persiano, Spagnolo, Siriano, Tagalog… L’unità degli USA è un’unità ideologica, non culturale. Si è americani nella misura in cui si condividono certi principi, non perché tutti hanno letto Shakespeare, Melville o Hemingway. Per la destra questi principi ideologici sono enucleati nella Bibbia: come l’Iran è un sistema politico fondato sul Corano, l’America deve essere un sistema politico fondato sulla Bibbia. (L’odio conservatore per l’Iran è spiegabile col fatto che l’Iran è in fondo lo specchio mussulmano di ciò che pensano debba essere l’America)
In “voto per un’economia vivace (vibrant)” emerge un presupposto che, in parte, è condiviso dalla stessa sinistra americana: che le amministrazioni repubblicane rafforzino l’economia, mentre le politiche democrat puntano, più che a creare tanta ricchezza, a redistribuirla. Ma se andiamo a vedere la storia dell’economia americana, ci renderemo conto che questo non è vero. Un’amministrazione repubblicana non implica ipso facto un’economia più forte. Ma questa falsa percezione riflette un presupposto implicito: che meno si tassano i ricchi, più il paese si arricchirà nel suo insieme. È quella che chiamerei la dottrina economica popolare americana.
“Voterò per insegnare la storia, con tutte le sue verruche (warts), senza cancellarle o revisionarle.”
Detta così, è un’affermazione che anche uno di sinistra sottoscriverebbe. Quante volte abbiamo detto che i tedeschi non hanno fatto pienamente i conti con il nazismo, che i turchi non vogliono fare i conti con lo sterminio degli armeni, che gli italiani non vogliono fare i conti con gli orrori coloniali in Libia e in Etiopia…? Ma anche qui bisogna capire l’allusione non esplicitata. È un modo di condannare le recenti manifestazioni che tendono a demolire monumenti a personaggi razzisti o xenofobi, per esempio, monumenti al generale Lee e ad altri personaggi della Confederazione del Sud, oppure a vietare l’esibizione di bandiere della Confederazione secessionista, o anche contro i monumenti a presidenti americani che hanno posseduto schiavi (come fu il caso di Washington, Jefferson e James Madison). Warts sono letteralmente piccole verruche sulla pelle – qualcosa di sgradevole, certo, ma non di tragico; il termine è usato per definire un qualcosa di cui ci si vorrebbe liberare. Insomma, lo schiavismo del Sud viene considerato dai conservatori americani “una piccola verruca”…. Che, in quanto piccola, bisogna accettare.
Ovviamente sarebbe facile ribattere che il punto non è quello di rimuovere lo schiavismo americano dalla storia americana che si insegna a scuola, il punto è erigere monumenti a personaggi che – lo riconosce (o finge di riconoscerlo) la stessa destra americana – dobbiamo considerare negativi. Si compie qui una sottile e subdola mistificazione argomentativa: sarebbe come dire che se in Italia si abbattesse una statua di Mussolini (se ce ne fosse ancora qualcuna), questo avrebbe il senso di una rimozione del fascismo! La destra conservatrice usa insomma il linguaggio tipico della sinistra per affermare qualcosa di completamente diverso: che privare i razzisti dei loro monumenti equivale a rimuovere la storia. Assistiamo qui a una scimmiottatura ingegnosa del politically correct per affermare qualcosa di politicamente scorretto. Dopo tutto, anche Francesco di Borbone, il generale Graziani, Mussolini e i capi mafiosi sono parte della storia italiana: quindi, erigiamo loro dei monumenti.
Arresto qui l’analisi di questa piccola miniera di pensiero reazionario americano. Non senza aver ricordato che – a parte alcuni tratti tipici della destra americana – la metà degli italiani (a essere ottimisti) condividerebbe questo Credo.
Dopo quasi trent’anni di vita americana, mi sento di aggiungere che, dietro tutto ciò, c’è il senso della perdita del privilegio bianco / maschio a livello istituzionale che per anni ha guidato gli Stati Uniti. Fino agli anni ottanta, nelle scuole medie del democratico Connecticut si insegnava che l’America (nome mistico: la terra di Amerigo) aveva la sacrosanta missione di colonizzare e civilizzare l’occidente, missione peraltro rafforzata, negli anni della guerra fredda e poco oltre, dal ruolo di protettrice della tradizione liberale europea contro l’aggressore sovietico. Poco importavano le rivolte urbane (c’era la polizia) o i trastulli ideologico-accademici di studenti e professori (c’era il mondo). Tutto cambiò con l’elezione di Obama, quando le minoranze etniche entrarono nella stanza dei bottoni e, anche se non ci fecero gran che (Obama non era Sanders), misero in discussione proprio la dottrina del “manifest destiny” (https://en.wikipedia.org/wiki/Manifest_destiny), cioè del diritto al dominio imperiale sancito dall’autorità religiosa (i quaccheri armati, appunto) del bianco protestante.
Il paragone con l’Italia regge finché si parla delle generazioni più recenti di politici, che o si sono ispirate direttamente al modello politico / mediatico americano, come nel caso di Berlusconi (Forza Italia è sostanzialmente un GOP importato, a cui la sinistra è riuscita a opporre solo un pallido Partito Democratico, importato anch’esso) o sono cresciute con modelli culturali chiaramente americani, come Giorgia Meloni o Matteo Salvini. Andreotti, Moro e De Gasperi avevano tutt’altra cultura, quindi sarebbe un altro discorso.
è bellissimo l’errore its come it’is , suo come “è così” Ma sarà davvero un errore grammaticale?
C’è da chiedersi che razza di scolarizzazione media abbiano gli americani, visto che si entusiasmano per discorsi elettorali che sono una successione di slogan con al centro la grandezza degli Stati Uniti, Dio, la famiglia e l’influenza militare nel mondo. E questo sia tra i candidati di destra che tra i democratici, pur con accenti diversi.
A Marco: i programmi d’istruzione sono affidati ai singoli stati e sono disponibili in rete, se la cosa ti incuriosisce. C’è comunque un grande divario tra scuola e scuola, spesso in ragione del reddito delle famiglie, perché anche le scuole pubbliche vengono finanziate con l’imposta locale sulla casa, quindi la buona istruzione va quasi sempre solo ai ricchi. I poveri hanno le briciole e, peggio ancora, spesso non si curano di avere più istruzione, specie se sono bianchi. Gli altri, spesso hanno forme di coscienza non di classe, ma di razza, che li spinge a rivendicazioni. I bianchi, invece, sono convinti di essere privilegiati comunque da Dio e Trump glielo conferma: “I love poorly educated people.” ‘Mi piacciono gli ignoranti’.
Trump, le elezioni e gli imprevedibili risultati
Neppure questa volta il tanto atteso tsunami democratico si è verificato. È riemersa invece quella “metà America” che gli organi d’informazione che contano hanno voluto ignorare. I risultati, anche se non sufficienti per lui, hanno dimostrato che il Donald Trump dalle tante pecche esprime sentimenti, desideri, aspirazioni e frustrazioni di una parte del popolo americano.
Non c’è che dire: gli organi d’informazione ci hanno propinato una colossale “fake news” sugli elettori di Trump, da loro considerati inesistenti o trattati come se non esistessero. “Maleodorante” per le delicate froge dei guardiani della “political correctness”, questa sgraziata parte periferica dell’America, che ha anche il torto di essere in gran parte bianca e di essere composta di semplici lavoratori, si è ostinata a voler dire, attraverso il voto, la sua. Non ha vinto, ma resta in attesa.
Sarebbe troppo lungo analizzare le cause dell’incapacità dei detentori della verità e della virtù – mass media, sondaggisti, commentatori, politologi, élites universitarie – di mettersi all’ascolto dei “populisti”. Eppure Donald Trump, il populista, dice cose che una fetta sostanziale della popolazione americana giudica sensate.
Secondo me, è stato il suo comportamento da irresponsabile nei confronti del coronavirus ad affossarlo. Su altri punti è apparso invece vincente. Non intendo, qui, parlare della personalità di Trump, criticabilissima, né fare il bilancio del suo operato. Considero presuntuoso oltre tutto trinciare giudizi sugli affari internazionali facendo del facile moralismo, e mettendomi idealmente a tu per tu con i capi di stato suggerire loro le strategie per risolvere i problemi del pianeta. Trovo però legittimo indicare un grave errore commesso dagli avversari di Trump: lo hanno coperto di troppi insulti.
L’intellighenzia americana e quella mondiale ce lo hanno presentato come un pazzoide, un mentecatto, un imbecille… E perché “populista” è stato automaticamente tacciato di razzismo, sessismo, xenofobia. E con lui sono stati messi nel letamaio i suoi sostenitori, visti come ombre senza voce sullo sfondo, ma oggetto di aperto disprezzo. Hillary Clinton li ha chiamati “branco di miserabili”.
Quelli che hanno diviso, già nel 2016, gli americani in due blocchi – i normali da una parte, e i degenerati con a capo Trump dall’altra – accuseranno poi Trump, che non hanno mai accettato come presidente, di aver diviso in due l’America…
Un presidente, legittimamente eletto, è stato trattato come un usurpatore. È stato persino accusato di essere una spia dei Russi. Tanto da avviare contro di lui un procedimento di impeachment, basato sul nulla e finito nel nulla. Di questa colossale “fake news” non si è poi più parlato…
Si è voluto stroncarlo evitando di analizzare le sue idee. In questo linciaggio si è distinto “The Economist”, organo della finanza internazionale e indefesso promotore dell’abolizione dei confini di Stato. Sulla copertina dell’“Economist” (31 ott.- 6 nov.) leggo questa sentenza: “Why it has to be Joe Biden”. Tale rivista, emanazione dei poteri forti mondiali, a suo tempo attaccò con ferocia Berlusconi perché “unfit to govern”, e in seguito lo insultò cosi’: “The man who screwed an entire country”.
La volontà dell’elettorato nazionale non conta per i “supervisori”, i “programmatori”, i “traghettatori” del globalismo, nemici di patrie e frontiere, e fautori di un mercato unico di merci e uomini. Trump invece, è invece un sostenitore della nazione, anzi delle nazioni.
L’establishment ha demonizzato Trump, accusandolo di tutti i mali. Ma si comincia ad aprire gli occhi. Ancora prima dei risultati finali, il New York Times, che ha versato per 4 anni su di lui torrenti di ridicolo e disprezzo, ha dovuto ammettere: “Che vinca o perda, Trump rimarrà una forza.”
Una volta vivevo in una grande città e credevo che la civiltà stesse contenuta entro i confini daziari. Fuori c’erano i provinciali, ansiosi imitatori in attesa di assimilazione, e poco più oltre le desertiche plaghe con i leoni. Poi mi sono spostata in appennino, dove le donne fanno più figli e i maschi hanno forza fisica. Dove gli alberi non sono giallastri e non si aggrappano ai balconi suscitando grida di meraviglia. Fabio Mini assicura che i soldati li fornisce l’appennino. Non so come si potrebbe sapere se l’impero americano abbia un esercito fornito dagli stati interni piuttosto che da quelli costieri…
Comunque le differenze antropologiche (e sociali, ideologiche, culturali…) tra due sistemi di vita continuano a emergere, caratterizzate, nei due sensi, da disprezzo di qua e distacco di là. Ma alcune città stanno perdendo lentamente abitanti…
Una volta vivevo in una grande città e credevo che la civiltà stesse contenuta entro i confini daziari. Fuori c’erano i provinciali, ansiosi imitatori in attesa di assimilazione, e poco più oltre le desertiche plaghe con i leoni. Poi mi sono spostata in appennino, dove le donne fanno più figli e i maschi hanno forza fisica. Dove gli alberi non sono giallastri e non si aggrappano ai balconi suscitando grida di meraviglia. Fabio Mini assicura che i soldati li fornisce l’appennino. Non so come ci si potrebbe accertare se l’impero americano abbia un esercito fornito dagli stati interni piuttosto che da quelli costieri.
Comunque le differenze antropologiche (e sociali, ideologiche, culturali…) tra due sistemi di vita continuano a emergere, caratterizzate, nei due sensi, da disprezzo di qua e distacco di là. Ma alcune città stanno perdendo lentamente abitanti…
@ Claudio Antonelli
Mi scusi Sig. Antonelli, come definisce lei un personaggio politico che ha perso le elezioni e non vuole riconoscerlo, che deve andarsene dalla Casa Bianca e non ha nessuna intenzione di farlo, che non accetta che le cose possano talvolta andare diversamente da come lui desidera?
Io lo vedo come un pericoloso non cresciuto, incapace di accettare la sconfitta, incapace di pensare che la realtà “fuori” sia qualcosa di distinto da sé; come uno che pensa che la realtà se la può girare come vuole – cosa che ha fatto sistematicamente e ampiamente con l’incoerenza, la menzogna spudorata, il travisamento, l’affermazione infondata e gratuita (grande discepolo dell’in ciò grande Berlusconi). Come definisce lei uno così? Io non riesco a vederlo diversamente da un bambino viziato che pesta i piedi perché gli hanno tolto il lecca-lecca. E tutta quella parte del popolo americano che lo segue – e indubbiamente c’è e ci sarà ancora per un po’ – non deve essere, quanto a autoreferenzialità e abitudine alla menzogna come sistema, molto diversa da lui. Più che qualcosa di cui rallegrarsi, io lo trovo un fatto increscioso. Ma di fatti incresciosi, purtroppo, è piena la storia.
Un’ultima osservazione a proposito dell’idea di nazione che (nei commenti a Fascisti su Marche) le scalda tanto il cuore: non le è mai successo di pensare che le nazioni potrebbero essere un relitto del passato, come l’orda primordiale o l’organizzazione tribale, e che prima scompaiono meglio è? Ci vorranno secoli, lo ammetto, ma prima si comincia prima si finisce.
Claudio Antonelli, andiamo al sodo. Sì, gli elettori di Trump sono ancora tanti. Tanti si riconoscono nella sua capacità di insultare e nella sua violenza; e c’è caso che si riversino nelle strade e facciano danni. La violenza è americana e l’americano si riconosce nella violenza che ha fatto al territorio con l’occupazione dell’ovest. Trump ha avuto il pregio di essere quel che sembra e sembrare quel che è: la reincarnazione del generale Custer, che difese con le armi (attaccava solo a ottanta a uno) il diritto alla supremazia del bianco occupante e quindi l’aggressività del capitalismo nel mondo. È un Reagan senza le buone maniere. L’hanno giudicato mentecatto? Io non faccio lo psichiatra, ma ricordo bene un articolo di una psichiatra inglese nel New York Times del 2008 che parlava di John Bolton, all’epoca aggressivo rappresentante USA all’ONU, e vedeva in lui alcuni tratti molto forti di patologia sociale da narcisismo, tratti che, diceva, sono comunque in una certa misura necessari per fare carriera. Storia vecchia: per fare la frittata, bisogna rompere le uova. Per fare carriera, bisogna farla pagare a qualcun altro. Per affermarsi, bisogna mettere sotto gli altri, in questo bel mondo di cui tutti siamo responsabili. E infatti Trump, prima che lo insultassero, aveva a sua volta insultato tutti quelli che non gli assomigliavano: donne, giornalisti, persone con un qualche handicap fisico, paesi del mondo, oppositori di ogni genere e, per mezzo del figlio, anche gli insegnanti delle scuole. Mi dispiace per lei, ma per una grande, enorme fetta dell’America, è finito è finito un incubo, o almeno lo sembra; purtroppo, ce ne sono altri in corso.
Gli americani e lo spirito dell’apocalisse
Il senso apocalittico degli avvenimenti è proprio dello spirito americano. Il presidente statunitense George W. Bush ha condotto in Iraq, in Afghanistan e altrove una guerra contro il male. E in queste guerre la Bibbia è stato il suo manuale. Trump intriso anch’egli di spirito millenaristico avrebbe voluto mettere fine al ruolo “Gendarme del mondo” degli Usa, ponendo solo la Cina tra gli artefici mondiali del Male. Ma è stato lui ad essere, a sua volta, profondamente odiato dai mass media, dall’establishment e dall’intellighenzia americani per i quali egli incarnava il male….
Gli studiosi dell’ideologia americana sottolineano, in genere, la componente millenaristica dello spirito dei Padri Pellegrini. Scrive Lois P. Zamora: “Millenarianism was among the cultural preconception which the Puritans brought from England to America in the seventeenth century.” Non tutti i puritani credevano che la fine del mondo fosse imminente, ma tutti erano convinti che la loro comunità avesse un rapporto diretto con Dio. La loro cultura era basata sulla Bibbia, e biblica era la loro visione della storia umana, vista come rapporto dialettico tra due forze: il bene e il male, per il controllo del mondo. Dalla loro profonda fede puritana derivava anche la convinzione che la terra che li aveva accolti avesse una missione divina da assolvere.
Questo spirito “biblico-apocalittico” che influenza non solo la visione che i presidenti americani hanno del mondo del mondo, ma la stessa visione quotidiana di molti americani – poliziotti beninteso inclusi – ci aiuta a capire come in una stessa civiltà possono coesistere due concezioni antitetiche: una basata sull’ottimismo, e l’altra, meno diffusa ma tenace, basata sul nichilismo.
La deriva patologica di questa religiosità apocalittico-millenaristica è presente anche nelle ricorrenti stragi commesse in centri acquisti, in chiese, in scuole, da tiratori solo parzialmente folli, come anche nel numero sproporzionato di serial killers americani. E nella stessa violenza dei poliziotti vi è il senso apocalittico del bene: la legge, contro il male: la devianza. Lo spirito dell’apocalisse è evidente anche nell’industria del divertimento per giovani e per adulti in America, con il culto hollywoodiano di personaggi alla “Rambo”, e con i giochi elettronici di morte destinati ai virgulti. Per non parlare della filosofia dei bombardamenti diretti all’annientamento, che toccò il suo vertice a Hiroshima e a Nagasaki.
I nemici degli americani incarnano sempre il male assoluto. La Bibbia insegna.