di Gilda Policastro

 

[E’ morto oggi Carlo Bordini (1938-2020), uno degli scrittori più importanti del secondo Novecento e dei primi decenni del Duemila. Bordini era di casa in Le parole e le cose: Guido Mazzoni, autore di un saggio importante che introduce Difesa berlinese (Luca Sossella Editore, 2018), ha pubblicato più volte i suoi testi su queste pagine (qui e qui); la rubrica di inediti curata da Massimo Gezzi ha accolto nel 2016 tre sue poesie con una nota scritta per l’occasione; l’uscita dei suoi libri più recenti e la vittoria del Premio Pagliarani alla carriera nel 2017 sono state puntualmente salutate con affetto e stima da LPLC (per esempio qui, da Gianluigi Simonetti, o qui, da Andrea Cortellessa). Negli ultimi anni il nostro sito ha pubblicato anche tre conversazioni con lui (a cura di Stefania Scateni, di Fabrizio Miliucci e Giuseppe Crimi; di Valentina Toschi). Con lo stesso affetto e la stessa stima, ma anche con dolore, lo salutiamo oggi con le parole che Gilda Policastro, che ringraziamo, ha scritto stamattina per LPLC (mg e it)].

 

Da poco era uscito Strategia, un suo libro del 1981, ristampato da Aragno nella collana “i domani di ieri”. Ci teneva a darmelo personalmente, mi aveva telefonato spesso, negli ultimi mesi, alla fine ci eravamo accordati per la spedizione postale. Lo avevo ringraziato con un messaggio: «Come stai, Carlo?» «Malato ma tranquillo», mi aveva risposto a fine ottobre. Non ho fatto in tempo a dirgli che avevo licenziato il saggio su Polvere, il suo testo (doppio) del 1999, uscito per Empiria e poi ristampato in entrambe le versioni ne I costruttori di vulcani, la raccolta di tutte le poesie dal 1975 al 2010, edita da Luca Sossella. Avevo lavorato sul testo del poemetto lo scorso anno per un convegno su “Poesia e Scienza”, ero andata a casa sua a prendere dei materiali che aveva radunato in una pennetta: la cartella si chiamava Per Gilda e conteneva scansioni e pdf di recensioni ai suoi libri, tesi di laurea, interviste. Poi aveva fame, andammo a cena sotto casa sua. Prima di uscire accese la radio: «Per i ladri: me lo ha insegnato Myra» [sua moglie].

 

Ieri sera ho messo Strategia sul tavolo, volevo parlarne il prossimo sabato nella Bottega della poesia. Carlo ha scritto altri testi, prima e dopo Strategia, non capivo perché tenesse così tanto a questo, perché avesse così insistito per darmelo nella nuova versione: c’era già nei Costruttori di vulcani, lo conoscevo, ne avevamo anche parlato quella sera a cena. Ma è vero che nell’autoantologia un po’ si perde: ci sono testi immensi, in quel volume sossellianamente strabordante, i testi che fanno di Bordini uno degli autori meno convenzionali e più importanti del Novecento e del Duemila. Da Materia medica che campiona un trattato di medicina omeopatica dell’Ottocento e anticipa le procedure della poesia di ricerca degli anni Duemila, a Polvere, poemetto sapienziale ed esistenziale, cosmogonico e agonico, tra Lucrezio, Leopardi ed Eliot, che si sdoppia nel finale, ora drammatico ora elegiaco («l’idea che ho è quella di due strade che divergono di pochissimo, ma che, sulla lunga distanza, portano in due posti diversi»), fino al capolavoro dei Diritti inumani, uno dei testi più belli e più caustici dell’intera raccolta.

 

 Credo sia stato Marco Giovenale a definire Bordini «l’anello mancante» tra la poesia sperimentale degli anni Sessanta e quella degli anni Duemila. Perché Bordini esordisce clandestinamente a metà degli anni Settanta (mandando in giro il ciclostile di Strana categoria fra diversi critici, tra cui Enzo Siciliano, che ne fu entusiasta), ma è solo tra la fine degli anni Novanta e gli anni Zero che diventa “Carlo Bordini”, autore di culto per le ultime generazioni, che vince premi (il Pagliarani alla carriera nel 2017), che partecipa a festival internazionali. Ricordava con orgoglio soprattutto quello di Bogotà del 2008, perché «in Colombia la poesia è importante e non è avulsa dalla società. Forse sarebbe più giusto dire semplicemente che in Colombia la poesia è importante. Il resto viene da sé». L’Università di Siena gli ha dedicato di recente un Archivio con un Inventario delle carte (qui: http://www.sba.unisi.it/baums/fondi-archivistici/archivio-carlo-bordini/inventario-delle-carte-di-carlo-bordini ), anche grazie all’impegno di Guido Mazzoni, prefatore di Difesa berlinese, il libro delle prose uscito a cura di Francesca Santucci nel  2018 (sempre per Sossella), con romanzi e testi critici, tra cui il raro e originalissimo articolo su Pasolini, intitolato Un coraggio a metà («Ogni articolo su Pasolini era un litigio contro qualcuno. […] Io personalmente per capire qualcosa su Pasolini uomo ho dovuto leggere Gente»).

 

Da militante trotskista negli anni Sessanta a ricercatore di Studi storici alla Sapienza, Bordini per noi che scriviamo è soprattutto un esempio e un modello, tra i primi, di sconfinamento tra i generi. Non fece parte dell’avanguardia, fece parte per sé stesso, in tutto e per tutto: poeta del sogno e dell’incubo (un surrealismo «trollato», ha detto ottimamente Mazzoni in un’occasione pubblica), e dell’«auto cut-up», boicotta e frantuma i suoi stessi versi, la catastrofe incombente nel suo immaginario è innanzitutto quella della prosa tradizionalmente apparecchiata. In Strategia forse accade per la prima volta: «avevo trovato una nuova maniera di scrivere», dice nella nota (che fa ormai parte integrante del libro, come scrive nella ristampa): un modo, forse, per non vergognarsi di usare, talvolta, «parole trite, canzonettistiche […] amore, cuore, non lasciarmi, perché erano per me in quel momento straordinariamente vere».

 

Strategia è un poemetto articolato in tre sezioni (Strategia, Gong, Sondaggio), la cui genesi viene puntualmente ricostruita nell’autocommento: chi scrive è alla fine di una vicenda d’amore, teme di diventare pazzo, scrive per evitarlo. Mette in scena un match, con l’allenatore, la folla che parteggia, il giudizio che incombe, e soprattutto lui, pronto all’assalto o alla fuga. Lui chi? Dio (ora maiuscolo, ora minuscolo): Bordini che scrive Strategia si sente “dio” («ero completamente convinto di quello che scrivevo; e, tra l’altro, ero completamente convinto di essere Dio. Poi me ne andai a dormire»). Forse perché non ha paura della debolezza, delle fragilità: le mette in scena con ironia, con crudeltà mitigata dalla curiosità, dalla tensione verso l’altro. Non c’è poesia se i traumi individuali non diventano materia comune, ha ricordato in un’occasione recente Andrea Cortellessa, citando Celan e Deleuze.

 

Quando fu ospite al mio corso di scrittura, Bordini raccontò agli allievi come scriveva: «Anni fa mi registravo, e poi trascrivevo il flusso». Il debito con l’analisi di certa sua scrittura è evidente, lo è anche in Strategia, dove l’allenatore può facilmente essere identificato con lo psichiatra, specialista in traumi e abbandoni. Cerco la chiave dell’affezione di Carlo a questo suo ultimo libro: non la trovo tanto negli spezzettamenti delle parole, quindi nella tecnica; la trovo proprio in quello scrivere per non diventare pazzo («o meglio, per dire delle cose a una persona; il che, in fondo, è la stessa cosa»). C’è del metodo nella sua follia, e nella ricostruzione a posteriori, con la puntuale (maniacale) riproduzione dei singoli passaggi («accumulavo le poesie da una parte […] a un certo punto le filze delle poesie diventarono due […] per non perdere il ritmo le scrivevo contemporaneamente»). Perché poi pazzo lo è diventato, o lo è sempre stato: fuori dai tratti comuni, da  quella umanità convenzionale che vive vicende convenzionali e riferisce di fatti interiori con immagini convenzionali. I suoi racconti (in prosa o in versi non fa differenza: «c’è più prosa nei miei versi e più poesia nella mia prosa», usava dire) sono ossessivi, accaniti, trovano e stressano un’immagine (quella del mangiare o del punire, ad esempio) per «dire delle cose a qualcuno».

 

Oggi si dice condividere, e lo si dice in senso social: Carlo era un poeta che per darti un suo libro voleva vederti di persona. Strategia era perciò un pre-testo: alla lettera. Carlo era un poeta a cui più che di sé e della sua opera, importava che avvenisse un contatto, tramite la sua parola, e cioè che le sue parole comunicassero. Che lui era dio, tra le altre cose, anche se non ce lo ha mai fatto pesare.

 

Biglietto di Carlo Bordini, 7 maggio 2019

2 thoughts on “Per Carlo Bordini

  1. Grazie Gilda Pilicastro per questa sentita testimonianza. Carlo Bordini è a mio avviso il maggior poeta del nostro tempo. La sua scomparsa ci addolora enormemente e lascia un vuoto incolmabile. Ma la sua opera letteraria resta a compimento della sua esistenza. Ciao Carlo, grazie di tutto ❤️

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