di Sandro Abruzzese
A quarant’anni dal sisma irpino del 23 novembre 1980, diversi libri cercano di aggiornare e ricostruire gli avvenimenti di quella che viene definita, sia per le perdite umane, circa 3000 morti, che per il patrimonio abitativo e la gestione post-sisma, la più grave catastrofe della storia repubblicana.
Il terremoto dell’Irpinia (Donzelli 2020), per esempio, scritto da Toni Ricciardi, Generoso Picone e Luigi Fiorentino, si propone di raccontare il sisma attraverso una ricontestualizzazione atta ad affrontare “i nodi cruciali degli avvenimenti”, sia dal punto di vista interno che esterno alla provincia. Stefano Ventura, invece, già ricercatore e coordinatore dell’Osservatorio sul Doposisma, licenzia una dettagliata Storia di una ricostruzione, l’Irpinia dopo il terremoto (Rubbettino 2020), mentre il ricercatore Gabriele Moscaritolo si occupa della soggettività legata al sisma attraverso Memorie dal cratere, storia sociale del terremoto in Irpinia (Editpress 2020). Alla base del rinnovato interesse per la questione, i volumi dimostrano l’intento di voler contribuire a fare chiarezza su una vicenda complessa e intricata, che ancora divide l’opinione pubblica e le stesse comunità coinvolte.
Ricciardi, autore della prima parte del Terremoto dell’Irpinia, dopo una lunga disamina sulla percezione e la memoria del terremoto, produce però non un approfondimento storico, ma anzi, con un disinvolto uso delle fonti citate, l’esposizione di una tesi: in passato ha vinto il taglio giornalistico della ricostruzione come malaffare, spreco e via dicendo. “Ciriaco De Mita e tutta la Democrazia cristiana irpina e campana”, scrive Ricciardi, “andavano abbattuti. Rappresentavano il potere, erano il potere, governavano l’Italia”. Secondo Ricciardi nella narrazione del sisma non si è tenuto conto che a livello locale e nazionale anche altri partiti partecipavano alla gestione del denaro e delle assunzioni. Infine, aggiunge: “l’importante era spostare (…) la direzione delle risorse pubbliche da spendere. Infatti, conclude, “non è un caso che proprio in quegli stessi anni si sviluppano i prodromi della questione settentrionale”. Insomma, è l’antimeridionalismo del Nord a far passare il terremoto irpino come solo consorzio fraudolento ai danni del Settentrione, e al limite la Camorra, che però non riguarda l’Irpinia ma i napoletani, per chiosare infine che “se colpa ci fu, questa è indubbiamente ascrivibile all’Italia del tempo, alla sua classe dirigente – intesa nel suo complesso, dai partiti ai sindacati, dalle organizzazioni imprenditoriali alle banche – e agli intellettuali che, come spesso accade, alimentarono una narrazione fermatasi alla superficie del problema”.
Ricciardi dunque opta per una difesa d’ufficio della classe dirigente democristiana, purtroppo però l’assenza di un’argomentazione sistematica, solida e circostanziata, l’uso impreciso di alcune fonti, relegano il contributo nel campo dell’opinione ideologica. Per mostrare un diverso approccio basta ricorrere allo storico Ventura o al sociologo Moscaritolo, che pure Ricciardi cita in bibliografia, per notare che la Dc locale era anche classe dirigente nazionale, anzi essa vide la costruzione del suo blocco di potere e la scalata nazionale ai vertici proprio durante e dopo il terremoto irpino, per cui i fuggevoli passaggi dedicati nel Terremoto dell’Irpinia a tali responsabilità producono solo confusa riduzione piuttosto che precise attribuzioni. Nonostante si citino sociologi come Gribaudi e Sales, che hanno rilevato in tutta la drammaticità quel salto di qualità dei politici meridionali a mediatori e imprenditori, nel mondo a una dimensione di Ricciardi vengono annoverati genericamente, per giunta tutti insieme, partiti, sindacati, leghisti, senza alcuna misura né ponderazione di seppur minime o parziali responsabilità definite, fino a ridurre la Questione settentrionale al solo antimeridionalismo. Aldo Bonomi, solo per fare un nome, è riuscito invece a spiegare adeguatamente la legittimità e complessità del malessere settentrionale (si veda A. Bonomi, Sotto la pelle dello Stato, oppure Il rancore, editi per Feltrinelli rispettivamente nel 2010 e nel 2008). Il problema di Ricciardi, al di là delle nobili premesse, sembra essere unicamente attenuare le responsabilità della Dc, ma il tutto si conclude con la generica constatazione che “la corruzione è endemica, se non patologica, del sistema politico italiano – e non solo – da sempre”. Eppure in Leghisti e sudisti, citato tra le fonti, Sales scriveva chiaramente: “Le responsabilità del sistema demitiano sono state forti e giustamente denunciate, ma esse hanno riguardato allo stesso modo la classe dirigente nazionale e locale del Psi, che non ha dato prove concrete di differenziarsi dalla Dc sul modo nazionale di procurarsi le risorse e sul modo locale di impiegarle. Coinvolta analogamente è stata un’intera classe dirigente meridionale interpartitica: De Mita, Gava, Scotti, Pomicino, De Vito, Mancino, Conte, Di Donato, Di Lorenzo e anche Galasso”. La chiamata in correo per la classe dirigente meridionale qui non è affatto riduttiva, o un rimpallo vago tra Roma e Milano, a maggior ragione perché al palo, in questa faccenda, c’è rimasta la Campania, il Sud, non Roma né Milano.
Doppie verità
Per fortuna, a confutare in buona parte la tesi del Terremoto dell’Irpinia ci pensano i già citati Ventura e Moscaritolo. Il primo dei due, con con un ottimo apparato critico, frutto anche di ricerche d’archivio, in Storia di una ricostruzione segue in maniera problematica le tappe della dolorosa vicenda e sembra rispondere proprio alle tesi facili e pretestuose quando scrive che “non bastano pochi giudizi sommari” per parlare di storia. Insomma, gli anni ‘80 furono sì gli anni della dissipazione e della creazione del debito pubblico, ci fu del consociativismo, certo, ed è vero che passò sotto traccia la pagina generosa del volontariato nazionale, beninteso non per questo vengono però ridimensionate le responsabilità oggettive né i meccanismi che portarono alla perdita del controllo della spesa pubblica e all’edificazione del sistema di potere politico-clientelare democristiano campano.
Andando per gradi, innanzitutto il caos legislativo, secondo Ventura, insieme all’allargamento del cratere dei paesi coinvolti, la moltiplicazione delle aree industriali, portarono a una ripartizione quantitativa e farraginosa della spesa. Poi ci furono l’atteggiamento degli amministratori, dei tecnici, delle imprese locali e esterne, “che subivano le dirette conseguenze degli aspetti peggiori di dosaggio politico-clientelare e di logiche affaristiche, e a volte, le influenze delle organizzazioni criminali”. I responsabili, dunque, furono le correnti interne allo stesso partito, la Dc, “i cui componenti occupavano posti di rilievo a livello locale e nazionale, (…) occuparono posizioni cruciali nell’amministrazione per tutti gli anni ’80, e il prevalere di un gruppo sull’altro indirizzava differentemente i provvedimenti legislativi”. Uno dei passaggi in questione riguarda proprio l’affidamento al Ministero dei Beni culturali guidato da Vincenzo Scotti, definito da Ventura affidamento “diretto e personalizzato” in merito a ricostruzione e riparazione di stabilimenti. Ventura sostiene ancora che la legge 64 dell’86, dovuta al ministro bisaccese Salverino De Vito, “non stimolava affatto la creazione di quello sviluppo autopropulsivo di cui il Sud aveva bisogno, ma finì per premiare interessi di carattere locale e particolare”.
Al panorama si aggiunge qui lo sguardo multidimensionale di Memorie del cratere di Moscaritolo, che inoltre si concentra sui paesi di Sant’Angelo dei Lombardi e Conza, investiti da processi di ricostruzione per certi versi opposti, ed è prezioso per la ricchezza di testimonianze orali, nonché per l’indagine sul tema del ricordo e della divaricazione fra memoria nazionale e locale, privata e pubblica, intrecciando il tutto con una ricostruzione tesa a valorizzare le competenze acquisite durante l’emergenza, le sinergie realizzatesi, che hanno avviato la configurazione del sistema nazionale della protezione civile.
Ebbene, Storia di una ricostruzione e Memorie del cratere sono dei lavori teoricamente solidi, in cui le responsabilità locali e nazionali vengono abilmente soppesate: la proliferazione legislativa, lo stato di eccezione e deroga che nascondeva faide interne ai gruppi dirigenti campani e nazionali, non avevano avuto sul piano dello sviluppo i risultati prefissi, ma solo dopo i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Scalfaro nel ’92 ci fu una produzione legislativa adeguata ai bisogni della popolazione terremotata.
Il libro di Ventura poi non dimentica la vicenda dei gravi ritardi dei pagamenti che faceva il gioco delle banche, come pure la più che sospetta rimozione del procuratore Gagliardi, che in precedenza era sopravvissuto a un attentato camorristico, proprio mentre inquisiva per la vicenda dei contributi richiesti dai falsi commercianti. E non nega nemmeno le difficoltà e i parziali risultati positivi ottenuti dall’industrializzazione dell’Alta Irpinia, sebbene inferiore alle aspettative. Anzi, lo studio dello storico di Teora si rivela prezioso per la ricostruzione effettiva dell’industrializzazione che prospettava circa 15000 posti di lavoro e riuscì a realizzarne in una prima fase poco più di 4000 e nei decenni successivi (dati al 2005) circa il 53 per cento della stima iniziale. “È abbastanza chiaro”, scrive lo studioso, “che la lontananza tra obiettivi fissati e risultati raggiunti dimostrano errori, voluti o non voluti, commessi in fase di progettazione dell’intervento pubblico. Ci sono però altri elementi che completano la gamma dello spreco dei fondi statali (…) in realtà l’applicazione di questi provvedimenti fu largamente disattesa e dimostrò di essere funzionale ad altre logiche (…) la ricchezza prodotta non restava nelle zone in cui era prodotta e, contemporaneamente, si alimentava un sistema di potere locale a carattere clientelare e a favore di pochi gruppi politico-imprenditoriali”.
La gestione del terremoto è stata dunque totalmente nella mani della Democrazia cristiana, a livello nazionale ha visto la partecipazione del Psi, sindacati e partiti all’opposizione come il Pci vi intravidero la possibilità della creazione di una nuova classe operaia, sebbene la loro consociazione vada intesa quale partecipazione alla convinzione rivelatasi erronea che la spesa pubblica fosse una soluzione, ma il reale consenso clientelare seguito alla gestione fu percepibile finanche dall’incremento dei voti che avrebbe portato alla maggioranza assoluta democristiana in provincia di Avellino, siamo al 1992, con una conseguente crescita dell’astensionismo in alcuni comuni di altro colore politico. A tal proposito, Moscaritolo ricorda che “quando si avviarono i flussi di denaro e la ricostruzione entrò nel vivo, il consenso elettorale (della Dc) passò al 50,17 nel 1987 e al 51,64 nel 1991”.
Viaggi nel cratere
I tre libri citati, in maniera diversa, cercano giustamente di non ridurre l’Irpinia e il terremoto al solo scandalo politico chiamato Irpiniagate. Ma anche qui le differenze si fanno nette. In merito al reportage di Liguori, per esempio, citato da Ricciardi quasi come operazione politico-mistificatoria, Ventura ravvisa sì toni alti, e tuttavia “denunce ben precise sui provvedimenti per le industrie, sulla gestione degli appalti, sulle banche, ma soprattutto si denunciava il sistema di potere che De Mita aveva costruito in Irpinia anche grazie al terremoto”. Dello stesso avviso Moscaritolo che definisce “innegabile” la vicenda Irpiniagate, anche se sottolinea che le inchieste indirettamente produssero “confusione su quali livelli istituzionali e quali aree geografiche fossero coinvolte”, e il tutto generò un occultamento delle esperienze positive delle comunità locali.
Vale la pena però ricordare agli autori che, chi in quella stagione ha scritto libri d’inchiesta sul sisma, come ad esempio l’avellinese Enrico Fierro con il suo Grazie Sisma!, oppure il sarnese Goffredo Locatelli, è andato incontro a ostracismo, denunce, minacce, processi, e che scrivendo di camorra, come dimostrano i tempi del sequestro Cirillo o dell’attentato al procuratore Gagliardi, ha messo seriamente a repentaglio la propria vita, quella dei suoi cari, e i rapporti con il luogo d’origine. Dunque, le opere andrebbero valutate singolarmente per ciò di positivo o negativo contenuto al loro interno. Un libro d’inchiesta è un libro sul potere e non ha senso rinfacciargli di non occuparsi d’altro, perché questo apre al rischio di negarne aprioristicamente i contenuti, se non di far passare l’idea che tali inchieste non fossero veritiere.
Questo atteggiamento a volte investe anche la letteratura e nella fattispecie lo scrittore Franco Arminio che in due libri importanti come Viaggio nel cratere e Vento forte tra Lacedonia e Candela ha rappresentato in maniera onesta ciò che resta dell’Irpinia post-sisma, ma di cui per esempio Picone nel Terremoto dell’Irpinia scrive: “il rischio è di cristallizzare il trauma in un’elegia dell’infelicità che illumina la scena di un territorio avvilito, spento e morente, che però si crogiola in questa condizione e rappresentazione di sé”. Il vero rischio, verrebbe da replicare, mi pare sia il confondere l’immagine che Arminio da di sé, la sua produzione più recente, o la contraddittorietà di una personalità che a volte si avvale di atteggiamenti provocatori e incoerenti, con quanto realmente contenuto nei libri succitati sul dopo-sisma. Anche qui occorrerebbe distinguere con più cautela, altrimenti sembrerà che i problemi dell’Irpinia odierna siano solo nell’immaginario, con tutte le sue contraddizioni, e non nella realtà concreta.
A futura memoria
In definitiva l’uso dei fondi del dopo-sisma ha drogato e accelerato il metabolismo economico campano, portando alcuni reali benefici nel breve periodo, ma, per via degli errori relativi a un modello di sviluppo parzialmente slegato dal contesto e per via delle clamorose frodi dell’Irpiniagate, ha altresì compromesso, nel lungo periodo, le chances future della regione, la quale dopo una fase espansiva dovuta agli investimenti pubblici ritorna ora a un destino che non era affatto segnato: la produzione di nuovi emigranti, lo spopolamento, l’abbandono del territorio, conseguenza di scelte politiche precise della classe dirigente locale, ai vertici di quella nazionale. Certo, qualcosa è rimasto, ma molto meno di ciò che si prospettava e solo attraverso una lottizzazione spietata e una cessione spaventosa di prerogative dallo stato alla politica e alla criminalità.
Se dunque oggi da più parti e unanimemente si auspica per l’Irpinia e il Mezzogiorno del 2030 maggiore condivisione, cooperazione, innovazione e civismo, sarebbe utile indirizzare gli studi futuri, come decenni fa intuì Amalia Signorelli, su quanto il post-sisma e il clientelismo abnorme abbiano trasformato definitivamente l’inconscio e la cultura dei cittadini meridionali, piegandoli all’individualismo e alla sudditanza. Ovvero è utile indagare quanto socialmente sia costato alle comunità la presenza del feudale e tribale controllo politico dei paesi (le città meriterebbero dei distinguo) da parte dei vari capi-corrente, in una lotta senza esclusione di colpi, che ha costantemente annichilito ogni possibile fermento sociale e sospinto la cittadinanza non solo verso uno stile di vita individualistico ma anche verso la ricerca della libertà in un altrove, in un diverso tipo di emigrazione, prodotto da uno sradicamento spirituale oltre che materiale.
A riguardo, Isaia Sales ormai quasi trent’anni fa in Leghisti e sudisti scriveva: “Non si ha ancora la necessaria consapevolezza di quanto questo cambiamento abbia inciso nel profondo della struttura economica e sociale, abbia modificato il ruolo della politica e delle istituzioni, abbia trasformato il rapporto con la società civile, abbia infine radicalmente cambiato il rapporto dell’insieme della società meridionale con lo Stato”.
In questa vicenda le classi dirigenti non hanno solo contratto un debito insolvibile con le generazioni di giovani a cui è stata sottratta la possibilità della continuità generazionale e della costruzione di senso nei luoghi di nascita; bensì hanno avallato, quando non direttamente almeno moralmente, la criminalità attraverso le loro condotte istituzionali, perché a quel punto, scrive ancora Sales, “La mafia, in quanto criminalità che accumula anche risorse pubbliche, non trova nessun ostacolo né morale, né culturale, né di altro tipo”. Ecco perché, per finire, risulta anacronistica ma significativa l’intervista rilasciata il 12 novembre 2020 al quotidiano Il Ciriaco dalla sindaca di Sant’Angelo dei Lombardi Rosanna Repole, quando in merito al quarantennale del sisma dichiara che “c’è stato l’impegno a portare sul territorio una serie di valori”; per continuare raccontando che “La mancanza principale c’è stata sulla grande sfida dell’epoca, quella dello sviluppo. Sulle aree industriali qualcosa ad un certo punto si è inceppata. Quelle però non furono decisioni del territorio, ma di Roma”. Eccoci tornati a Roma e Milano, in una storia che si fa mito e continuo alibi, in cui la razionalità cede il passo a una classe dirigente meridionale auto-assolutoria, esente da colpe, dunque vittima illustre. Se le parole della sindaca mostrano quanto sia difficile ritrovare un terreno comune sulle vicende dell’Italia repubblicana e del sisma irpino, tuttavia i testi di Moscaritolo e Ventura vanno decisamente verso la ricerca della verità. Quanto ai tempi politici di questa elaborazione, all’orizzonte ancora continue rimozioni.
Bibliografia essenziale
F. Arminio, Viaggio nel cratere, Sironi editore, Milano 2003.
A. Bonomi, Sotto la pelle dello stato, Feltrinelli, Milano, 2010.
G. Moscaritolo, Memorie dal cratere, Editpress, Firenze, 2020.
S. Ventura, Storia di una ricostruzione, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2020.
T. Ricciardi, G. Picone, Luigi Fiorentino, Il terremoto dell’Irpinia, Donzelli, Roma, 2020.
G. Locatelli, Irpiniagate, Newton Compton, Milano, 1989.
R. Pennarola, A. Cinquegrani, E. Fierro, Grazie, sisma, La voce della Campania, Napoli, 1990.
I. Sales, Leghisti e sudisti, Laterza, Roma – Bari, 1993.
La ringrazio per l’ampia lettura, ma onestamente dire che faccio un disinvolto uso delle fonti, mi sembra un tantino esagerato. Nel libro, ivi compresa nella mia parte è ampiamente sottolineato e spiegato cosa accadde, quanto spreco e malaffare ci su. Dopodiché, dopo 40 anni è giunto il momento di raccontare tutto, cosa che nel libro cerchiamo di fare. Quindi gentilmente le chiederei, visto che conosco le sue posizioni, che sono ferme ad analisi di 30anni fa, di completare questa disamina in maniera completa. O pure, basta semplicemente dire, la penso così perché sono amico di…
Cordialmente
SEGNALAZIONE
http://www.poliscritture.it/2020/11/22/pertini-e-la-volontaria-di-milano/
http://www.poliscritture.it/2020/11/23/11528/