di Marilena Renda
[È uscito in questi giorni per L’arcolaio Editore, nella collana phi, Fate Morgane, l’ultimo libro di poesia di Marilena Renda. Pubblichiamo in anteprima alcuni testi e la quarta di Gianluca D’Andrea, ringraziando l’editore].
Shelley non avrebbe mai osato infilare nella Grotta del Cane
un essere vivo, per provare quanto potesse sopravvivere ai fumi.
I biografi sono discordi su quello che accadde a Napoli:
era più sensibile alle sofferenze degli animali che degli uomini
o davvero gli faceva pietà la donna per cui aveva perso tutto,
che aveva perso tutto, su cui era in disaccordo su tutto?
Mary Shelley decise di vedere tutto, malgrado i figli morti,
malgrado il negativo, malgrado il genio con lei fosse depresso.
Shelley le comprò una bambina, per consolarla della perdita;
Mary, presumibilmente, non l’accettò. Vide il futuro aprirsi
nella pietra, tra le foglie di Cuma, e decise di dirlo tutto,
anche se dubito che sperasse di salvarci. Dei suoi figli
sopravvisse il più noioso, gli altri morirono troppo presto,
e anche lei, troppo presto per venirsi a noia.
*
Non sa se dimenticare o ricordare,
il cretto è da sempre sulla soglia dell’equivoco
che proclama la memoria il migliore dei destini.
È impossibile trovarlo solo, accovacciarsi
tra le sue vie, salutarlo da cima a fondo
come venendo da un paese straniero
senza trovare forestieri che non sanno
che potresti addormentarti tra le sue crepe
senza fare rumore, oppure canticchiando.
Neanche al tramonto lo trovi solo,
e quasi vorresti dire alle carovane:
sapete, abbiamo un discorso in privato, noi,
una conversazione antica in cui ogni volta mi dice
che vorrebbe sprofondare agli occhi del mondo,
con tutte le sue macerie, con le sue crepe, all’infinito,
nella ferita del tempo, e io gli do ragione.
*
Le illustrazioni della mandragora la rappresentano
alta cinque centimetri, in forma di uomo
o di bambino che dorme dentro la terra.
Prima o poi nasce, dopo uno strano parto,
e si ritiene che, essendo figlia di madre potente,
possa ribaltare le leggi di natura, donare l’amore,
chiudere la bocca al male e far nascere altri bambini.
Qualcuno addirittura ha visto una mandragora e un bambino
abbracciati, intagliati nella stessa sostanza vegetale,
seppelliti nella simbiosi e perduti agli sguardi.
*
A Chernobyl, dopo l’evacuazione, i veicoli
sono rimasti a lungo sulla strada. La ruggine non ha fretta,
i bambini venivano su come capitava, in tempo di guerra
nessuno può pretendere attenzione.
Da dove arrivava la nube, tutto è stato sigillato.
A che serve coltivare le arti del passato,
i gesti classici, quando la terra muore?
Non c’è accordo, invece, su cosa fare delle rovine,
nessuno pensa a liberare le vecchie case dai mobili,
dai materassi, i libri e le bottiglie.
Il cinghiale e la lince corrono molti rischi,
ma possono sempre tornare dalla preda,
la foresta fa un silenzio che dice la verità,
gli animali ricordano l’uomo, ma in modo confuso
le categorie si sono mescolate nella zona d’esclusione
le foglie hanno cambiato forma
il mondo fa le prove di un altro mondo.
*
Ti dico le parole che ti piacciono, forse le imparerai volentieri
sei triste, vorrei chiederti, arrabbiata col linguaggio
non ti piace più l’aereo, e nemmeno l’elefante
lo sai che i bambini non rinunciano facilmente
alla gioia, in Siria, appallottolano le foglie
per fare una palla, e anche se dormono per terra,
dove capita, protetti solo dal fiato degli alberi,
fermi come escrescenze, come totem toccati dal sacro,
non dimenticano le parole, le aspettano di nascosto,
aspettano che tornino, silenziose, dalle tane.
*
Quarta di copertina
di Gianluca D’Andrea
Illusione e reale: nell’intercapedine tra visione e aderenza a un mondo in fuga perenne, in un «terreno per fate morgane e inganni perfetti», si muove la più recente poesia di Marilena Renda. Fate morgane, appunto, i miraggi dei luoghi e dei ricordi, di una Sicilia contemporaneamente fruttifera e morente, con la conseguente necessità di trasfigurare le relazioni in mythos, in una lontananza che attenui il dolore di un’origine per sempre perduta. L’impressione suscitata dalla lettura dei testi, nonostante la nominazione precisa di persone e luoghi, è quella espressa da Vincenzo Consolo in Le pietre di Pantalica: «Mi par di ritrovarmi in tempi remotissimi, e che l’uomo non esista più o, meglio, che non sia mai esistito», effetto paradosso che bene si attaglia al “disorientamento” suscitato, e così ritorniamo al titolo, all’illusione, alle «nuvole / che curvandosi all’impossibile / poggiano su terre che non si vedono». Eppure, da questi miraggi, per mezzo della loro forza immaginifica, soprattutto nella seconda sezione emergono vite concrete: la nascente (la figlia) e la rinnovata (la madre). E se «le foglie hanno cambiato forma» e «il mondo fa le prove di un altro mondo», allora si capisce come gli ultimissimi testi preannuncino un ulteriore spostamento in direzione di una pietas civile sempre presente nella poetica dell’autrice.
quello che ho letto non mi è dispiaciuto, ma mi sembra che questo raccontare prosastico, certamente non banale, abbia poco da spartire con la poesia come io – e non solo – la intendo. non è possibile in questa sede dilungarmi di più sulle strutture e sulla necessità della parola poetica antica e contemporanea. credo che chi leggerà lo capirà.
grazie
giovanna silvani