di Julian Zhara
#nome #julian #zhara #julianzhara
Ho due patrie, due cittadinanze, due identità riconosciute. In Italia sono Julian Zhara, dʒùlian dzàra. In albanese sono sempre Julian Zhara, ma quando mi chiamano sono un’altra persona: iuliàn ʒiàra. Il viaggio che percorre la pronuncia del mio nome, quella congiunzione tra iuliàn ʒiàra e dʒùlian dzàra, è una storia di immigrazione – la mia versione. La Storia è una matrioska che conserva piccole storie. Nella parte centrale, ci vedo la mia, poi quella della mia famiglia, della mia città, della mia nazione, delle mie nazioni. Io è un pronome spersonalizzato: prima persona plurale. Mio è un aggettivo di appartenenza, non possessivo.
#words #albania #speakeasy
Il mio accento albanese è imbastardito dalla cantilena veneziana. Ricordo – quando arrivato in Italia, ventuno anni fa, seconda media, l’accento italiano era imbastardito dalla cantilena albanese; bastardo è bastardo, questo accento, la mia parlata, la mia lingua, lingua come terra, terra costiera, dove crescono prodotti non autoctoni, terra dove coltivo piantagioni diverse, e il gusto meticcio si sente, di questa lingua, che continua sempre a pormi in un confine tra -. Due mondi – e io vengo dall’altro, scriveva Cristina Campo. Pare il sottotitolo alla mia identità, alle mie due identità.
#contrasti #albania #bellezza
Vive di contrasti, l’Albania, di tinte espressioniste. Pasolini, nella Guinea, parlava di colori senza ironia e immerso tra gli ulivi, nella strada che va da Lushnje a Berat, pensavo che – sempre Pasolini; sempre La Guinea– è vero: la bellezza è bellezza e non mente e qui ti arriva inaspettata, come una carezza mentre piangi, come una vincita al lotto. La dolcezza è ruvida; l’eleganza polposa; la bellezza femminile si riconosce nelle sopracciglia arcuate, e quella maschile nella forza prorompente. Se ci si sofferma per strada, spesso si vede l’ultimo modello di un Suv accanto a una signora anziana con il panno in testa, che vende pannocchie a pochi lek. A fine novembre, in Albania, l’insonnia delle zanzare è un mistero aperto.
#albania #europa #triathlon
L’Albania corre verso l’Europa con sneakers di bitume e cemento. Nuota in direzione Occidente nei grandi centri urbani e pedala verso Oriente nelle periferie e province. La performance muscolare punta sull’efficacia e non sulla pulizia dei movimenti, sulla grazia. Piccola e tozza, cambia casacca per ogni disciplina.
#fallocrazia
La comunità albanese è fondata sulla repressione sessuale e la fallocrazia. Tolta Tirana – nel suo centro, il resto dell’Albania vive nell’occultamento ufficioso dei propri desideri. La fallocrazia si estende: in verticale, coi cubi abitati di cemento armato; orizzontalmente, con un contratto di proprietà del femminile, donna o macchina (femminile, singolare). L’aggettivo possessivo in Albania ha quasi sempre un genere femminile.
#sud #eroi #famiglia #words
Non ci sono santi in questo sud ma eroi – e nessuno combatte per amore: o per la famiglia o per la patria. #comeunafamiglia è l’hashtag che usa maggiormente il primo ministro albanese. Ma la famiglia è sempre il luogo del trauma, dell’indissolubile, dei ruoli predefiniti – un villaggio in miniatura. Il cognome è il passaporto perché il nome giri. Reputazione era la parola preferita prima del Novanta. Ora è business.
#tirana #visitirana
Tirana ha i locali di Manhattan e il traffico di New Delhi. Si passa dal piano sequenza di Week-end di Godard a La Grande Bellezza, senza stacco. Di natura elastica, cambia conformazione ogni sei mesi. Cuore pulsante dell’intero paese, riveste il proprio tessuto di una corazza edilizia, con nervature nuove, più definite. Non bella – performante, quello sì, suscita lo stesso stupore, in chi la visita e anche la vive (seppure per poco), degli allenamenti intensivi del giovane Tyson o di un atleta agonista, pronto per i mondiali. Punta a dominare, Tirana, a imporsi: nella lega balcanica, agli europei.
#letteraturalbanese #ndroq #comunità
La scena letteraria albanese sembra vivere una condizione simile a Ndroq, una minuscola cittadina di campagna, nel tratto Durazzo-Tirana. Ndroq sulla mappa pare il paesino più grande dei dintorni. Attraversandolo in macchina non si trova una piazza. Case sparse, magari in alcuni tratti più accalcate (immagino sia il centro di Ndroq) senza un luogo dove si possa esprimere il concetto di comunità – normalmente definito dalla piazza. Così gli scrittori albanesi: vicini tanto da conoscersi tutti ma isolati uno dall’altro, senza la possibilità di raccogliersi attorno a un luogo simbolico. Se l’Albania è centralizzata nella capitale, la scena letteraria albanese è come Ndroq, come la provincia: diffusa.
#albania #losingmyreligion #laboratorio #convivenza
Sarebbe da prendere la società albanese come format perfetto di convivenza religiosa e applicarlo a ogni nazione. Nel ’67 l’Albania si proclama primo stato ateo al mondo; nel ’77 le religioni vengono abolite e l’anno dopo – perseguitato, incarcerato, chi le professava. Una barbarie di stato ma che ha creato generazioni e generazioni di donne e uomini atei; quasi due decenni dopo, e dopo il rientro delle religioni nella sfera pubblica, rimane inconcepibile vestire la fede (e islamica e cristiana) come identità personale o famigliare contrapposta a. Non deve stupire che nella marcia di pace del 2015, a Parigi, per commemorare le vittime di Charlie Hebdo, il primo ministro Rama sfilasse a braccetto con i quattro rappresentanti delle religioni più diffuse in Albania: sufi-bektashi, sunnita, ortodossa, cattolica.
#pornfood #albanianfood #sallatfshati
Mi ero dimenticato il sapore delle materie prime albanesi. Il gusto semplice della cipolla, del pomodoro, insalata, peperone e cetriolo, ritornano le papille gustative a uno stato di verginità; pare di mangiarli per la prima volta. Un Adamo al primo raccolto. Semplici ingredienti fanno della cucina tradizionale albanese un tripudio di sapori e pure un piatto di insalata di campagna (sallat fshati) è un abbraccio alla terra, un inchino al sole. Il biologico va per la maggiore e – raccontava un amico – quando sua moglie ha chiesto al contadino se la verdura aveva pesticidi, lui le ha risposto candidamente: ma signora, chi ha i soldi per comprarsi i pesticidi!
#cucinalbanese
Generazioni di cuochi cresciuti professionalmente – in Italia soprattutto, hanno contribuito a rivitalizzare la cucina albanese. D’estate, d’inverno, in stagione turistica o meno, il rapporto medio qualità-prezzo del cibo, in tutta Albania, è più che ottimo. Con massimo dieci euro a testa si mangia molto – e molto bene: piatti tradizionali con incursioni greche o turche; piatti italiani. In un mese ho mangiato solo una volta pasta. Per il resto ho riscoperto la cucina albanese con un entusiasmo inaspettato. Da piccolo, purtroppo, mangiavo poche cose. Adesso sto esplorando le pietanze di ogni regione e viaggiando, quando non fisicamente, con il gusto. Se chiudo gli occhi a tavola mi ritrovo nelle aspre alture di Tropoje, in mezzo alle pietre di Argirocastro, tra gli ulivi di Berat, le strade di Corizza; nuoto nello Ionio e approdo a Valona, raccolgo frutta nelle colline attorno a Tirana o il grano albanese gonfio di luce. Ricordo quanto scriveva Zagajewski che Dio è il seme di papavero più piccolo al mondo /scoppia di grandezza.
Bisogna solo stare attenti a non esagerare coi byrek (torte salate con pasta sfoglia, ripiene di ricotta o spinaci o carne o patate) – costano dai 25 ai 40 centesimi di euro al pezzo e con due si pranza o si cena, volendo.
Postcards #albania #lockdown
#lockdown #1997
La guerra è bella. Come in tv. Senza macchine che corrono, si schiantano. Il freddo non è bello. Senza corrente non posso guardare la tv. Va e viene. Leggo Il conte di Montecristo e la Bibbia, con la candela. Come nei film. Papà è qui, sono al sicuro, sono felice. Non lavora in Italia, adesso. Nessuno va a scuola. Le hanno chiuse. Così giochiamo, tutto il giorno. Solo giochiamo vicino a casa. Magari nel condominio. Stanno costruendo una casa dietro il palazzo. Giochiamo a saltare sulla sabbia ammassata. Non fanno più i lavori da un po’. Dobbiamo tornare prima che faccia buio. Ci hanno ordinato le mamme. Noi siamo bravi soldati e diciamo di sì. Soldati senza armi. Le hanno tutte i grandi. Possiamo giocare sempre. Andiamo a casa di un amico che ci mostra una pistola vera. Suo papà l’ha nascosta. Nascosta. I grandi sono scemi. Non sanno che troviamo tutto. Puf puf. Facciamo che ci spariamo. Ce la passiamo. Tanto pesante. Devo farmi i muscoli un giorno, per tenerla su bene anche io. Come nei film. La sera i grandi si trovano a casa di un genitore e ci lasciano a casa di uno di noi. Ogni tanto parliamo di politica. Diciamo quello che dicono loro. Le loro parole. Imitiamo le facce preoccupate. Poi ridiamo. Siamo felici, tutti insieme. Ci sgridano poco. Basta non allontanarsi. Fare i bravi. Facciamo le smorfie per imitare i grandi. Io imito Berisha. Ridiamo. La guerra è bella perché muoiono sempre gli altri. Noi no. Siamo vivi. Stiamo vicini. Una sera ascolto di nascosto mamma e papà parlare. Hanno ucciso un ragazzo. Lo conoscevo. Era tanto alto e grosso. L’hanno fatto a pezzi. Portato a casa dentro un sacco nero. Scelto una brutta strada, dicevano. Con noi era buono. Non era cattivo, dicevano. Fuori sparano. Sembra Capodanno. Dentro casa buio. La guerra in tv è molto diversa. Molto più colorata.
#lockdownn #2020
Il virus c’è, siamo in mezzo a una pandemia mondiale ma la reazione degli albanesi è più leggera, fatalista, di quella italiana – almeno nel contesto dove io ho vissuto in Italia: Veneto, Venezia. La mascherina è obbligatoria, ma centro Tirana a parte, dove ce l’hanno tutti addosso (la metà sotto il mento), nel resto dell’Albania l’interpretazione di questa direttiva è un po’ meno letterale. I locali chiudono alle 22, orario in cui inizia il coprifuoco. Le regole sono rispettate più nei locali che nei mezzi di trasporto pubblico che non ho mai preso, perché a prenderli si ha la percezione di nuotare in un mare pieno di meduse-covid; prima o poi qualcuna ti becca. Ci si batte il pugno come saluto, anche ufficiale: la trovo una pratica divertente, perché mi ricorda il saluto dei giovani americani nei video rap o della cultura street anni Novanta. L’isteria collettiva, la paranoia diffusa a causa del virus, che in Italia ha prodotto la caccia all’untore, fino ad arrivare alla demonizzazione demente dell’untore-runner, qua viene arginata, generalmente, e da un’accettazione del mondo come male e dal machismo del maschio albanese che si traduce in: ho passato comunismo, il ’97, disperazione e povertà, cosa vuoi che mi faccia il virus? Le donne sono più attente. I tamponi privati costano molto proporzionati al salario medio. Le strutture ospedaliere non sono affollate di malati covid. I primi giorni avrei scommesso che il sistema sanitario fosse al collasso; un mese dopo, penso di essermi sbagliato e immagino il Covid seduto al caffè, da solo, a distanza di sicurezza, guardarsi attorno per vedere se entra qualcuno che conosce.
Grazie Julian per queste tue vive cartoline albanesi.
Ci respiro l’aria del sud che procede comunque nel caos e dimenticanze politiche economiche, nonostante tutto. Bello sentire in questa tua scrittura la vena poetica che riconosco.
Grazie. Anna Lombardo
Non sono d’accordo con Lei, il suo paese lo conosco dal lontano 2006 e ho visto mille cambiamenti. Tra i miei numerosi viaggi nella sua terra, che sento come mia, casa mia, ogni giorno penso a quando tornerò, più di uno che ci è nato
Capisco molto bene ciò che hai scritto, ogni parola esprime ciò che penso. Nel 1998 abbiamo raggiunto mio padre che lavorava già da qualche anno in Italia, l’inizio è stato traumatico, almeno per me, non avevo ancora compiuto 8 anni, per mio fratello invece no, lui si è sentito subito uno “del posto”. Abituarsi a nuovi sapori non è stato semplice. Adesso non so nemmeno più quali sono “quei” sapori. Ogni volta che ci vado il mio cuore si riempie di gioia, come se ogni pietra, ogni albero mi appartenessero. Poi torno in Italia e sento un po’ la stessa cosa. Penso sempre all’Italia come a quella mamma adottiva che ti accoglie quando la tua ti ha abbandonato per strada, l’Italia come quella mamma che ti ha dato tutto, a cui tu devi tanto, certo sei stato un bravo figlio adottivo ma hai sempre in mente la tua mamma, quella da cui sei nato e alla quale vorresti dire tante cose, e che nonostante tutto ami lo stesso. Prima mi preoccupavo di sapere a quale nazione appartenere, le mie radici sono profondamente albanesi, la mia mentalità è profondamente italiana. Adesso questo non mi preoccupa più, adesso sono entrambe le cose, e forse questo non è un limite, ma una grande ricchezza.