di Condorcet. Ripensare la scuola

 

Il rientro a scuola il 7 gennaio 2021 è sempre più incerto. Non solo per la data, subordinata all’andamento dei contagi dopo le festività; quanto per la certezza che la situazione sarà ancora molto precaria. Si parla di abbassare la percentuale del 75% degli studenti in presenza, perché ancora non si sono fatti grandi passi per risolvere il problema dei trasporti. E soprattutto c’è un alto rischio di avere altre sospensioni della didattica in presenza, a causa di una ulteriore accelerazione dei contagi (la “terza ondata”). Insomma, non si può dare affatto per certo che il 7 gennaio si rientri a scuola per cinque mesi senza interruzioni. Ecco perché è ancora sul tavolo la modifica del calendario scolastico, per prolungare le lezioni fino al 30 giugno. Il governo sta considerando realisticamente questa possibilità, l’annuncio fatto dalla ministra Azzolina qualche tempo fa non era estemporaneo: la proposta è stata avanzata infatti al tavolo con le Regioni, competenti sul calendario scolastico. Secondo le indiscrezioni, le attività didattiche verrebbero prolungate fino al 30 giugno, tranne che per le terze medie e le quinte superiori, impegnate con l’esame di Stato, e sarebbero rivolte al recupero degli apprendimenti degli studenti più fragili e insufficienti. Non si sa niente di più preciso.

 

La notizia è per metà buona e per metà no. È buona perché, dati gli alti rischi di ulteriori interruzioni della didattica in presenza, e la grande fatica che è costata finora la didattica a distanza (Dad), è auspicabile creare le condizioni per garantire quanto più possibile la prima: rimodulare il calendario scolastico, utilizzando interamente il mese di giugno, è un modo per farlo. Il nostro gruppo Condorcet. Ripensare la scuola aveva lanciato un appello in tal senso, e non può quindi che essere d’accordo. Tuttavia, come abbiamo già precisato, non basta prolungare le lezioni fino al 30 giugno, bisogna anche vedere come lo si fa, altrimenti rischia di essere un provvedimento inutile, se non dannoso.

 

Bisogna chiedersi se è utile e giusto rivolgere le attività didattiche del mese di giugno solo agli studenti “fragili” e quindi ai corsi di recupero. Questa scelta sarebbe un errore, per due ragioni.

 

In primo luogo, per ragioni pratiche: se si limitano le attività di giugno al solo recupero, rischiamo di fare una replica di quanto è successo a settembre, con i recuperi previsti per le prime due settimane. Poiché questi recuperi sono, per i docenti, attività ordinaria non retribuita, si crea una disparità non giustificabile tra i docenti che tengono i corsi di recupero e lavorano quindi fino al 30 giugno e quelli che invece non lavorano (fatta eccezione ovviamente per chi è impegnato nell’esame di Stato). A settembre infatti i corsi di recupero sono stati pochi e poco efficaci, e in generale c’è stato un certo malumore per questa disparità di trattamento dei docenti.

 

La seconda ragione è più importante, ed è di natura strettamente didattica. Dobbiamo chiederci perché si intende prolungare l’attività didattica fino al 30 giugno. La ragione di fondo è questa: tutti gli studenti e i docenti hanno subito una didattica di emergenza, imposta dalla pandemia, che ha limitato molto le possibilità di apprendimento degli studenti e le potenzialità di insegnamento dei docenti. Se si prolungano troppo i periodi di Dad, tutti gli studenti perdono la qualità di un tempo scuola vissuto come comunità scolastica, e rischiano di avere lacune e debolezze negli apprendimenti. “Tutti” qui vuol dire sia “i primi della classe” che “gli ultimi”, pudicamente chiamati “studenti fragili”.

 

Inoltre, tutte le ricerche sui gruppi classe mostrano che gli studenti apprendono meglio se i gruppi sono misti, come livelli di apprendimento e capacità, perché si aiutano tra di loro, comunicano, crescono insieme. Se invece l’emergenza è pensata solo per i più deboli, segregandoli dagli altri, non solo si attua a rovescio la logica di una scuola selettiva, ma soprattutto si toglie a entrambe le parti la possibilità di crescere insieme in un ambiente di apprendimento condiviso.

 

Prolungare le lezioni fino al 30 giugno è una buona idea, ma non per fare una sorta di “sanatorio”, mentre i “bravi” se ne vanno al mare; non per punire una volta di più gli insufficienti e le loro famiglie. È una buona idea perché la Dad è, nelle condizioni attuali, uno strumento di emergenza, e non può soddisfare pienamente le esigenze di una scuola che, per sua natura, è in presenza, soprattutto in quanto “comunità di apprendimento”. Quindi fare lezione per tutto giugno serve a tutti, studenti e docenti, primi e ultimi. E poiché non è pensabile, né auspicabile, allungare la durata dell’anno scolastico, aggravando il lavoro dei docenti, la soluzione è semplice: programmare il calendario scolastico, fin da ora, in modo da prevedere delle sospensioni della didattica, anche a distanza, nei periodi in cui la circolazione del virus è ancora alta (si veda per esempio la proposta di calendario pubblicata in coda a questo intervento), in modo da prendere qualche pausa di riposo e lavorare più serenamente a giugno, quando la circolazione del virus è più bassa. Questa programmazione ci può avvicinare al modello di molti paesi europei (la Francia, per esempio) che hanno una pausa estiva più breve, ma pause più frequenti nel corso dell’anno scolastico. E se il problema è il caldo estivo, si potrebbe forse, invece di spendere soldi un po’ a casaccio per banchi o corsi di recupero, investire su un piano nazionale per dotare le scuole di condizionatori, un investimento strutturale utile anche ben oltre l’emergenza.

 

Una proposta di calendario

 

 

 

5 thoughts on “Perché le lezioni fino al 30 giugno non devono essere solo recuperi

  1. “tutti gli studenti e i docenti hanno subito una didattica di emergenza, imposta dalla pandemia, che ha limitato molto le possibilità di apprendimento degli studenti e le potenzialità di insegnamento dei docenti”. Assioma indimostrato. Al più nota autobiografica degli Autori. Pochino per lanciarsi a impartire ordini ai colleghi.

  2. Trovo che la proposta non consideri due importanti fattori:

    1) La situazione attuale non è arrivata imprevista come nello scorso marzo: alla luce della precedente esperienza i docenti hanno avuto tempo e modo per selezionare i contenuti, organizzare i materiali e modificare le strategie didattiche in modo da conseguire, almeno nel breve e medio periodo, gli attesi obiettivi formativi;

    2) La didattica in presenza al tempo della Covid NON È la didattica in presenza del tempo ordinario: alunni bloccati nei banchi per il doveroso distanziamento, interazioni personali limitatissime, impossibilità del lavoro cooperativo, blocco di qualsiasi progettualità didattica, insomma frontalità assoluta e, a tratti, sconfortante perché sollecita il nostalgico ricordo del bel tempo che fu.

    A mio avviso, quindi, la DAD non “ha limitato molto le possibilità di apprendimento degli studenti e le potenzialità di insegnamento dei docenti” ma forse ragiono da una posizione di privilegio: insegno in un “buon” liceo di provincia con studenti in genere motivati e con un divario tecnologico pressoché assente.

  3. @Andrea Barbieri. Sul punto 2. In che modo la “progettualità didattica” vada soggetta a “blocco”, e in un “buon liceo”, per il fatto che si deve restare seduti, resta per la modesta esperienza di uno che insegna al liceo non senza previa esperienza del tecnico e del professionale, alquanto enigmatico. A parte situazioni particolari come, poniamo, un’esercitazione in laboratorio di chimica. Le altre forme di didattica laboratoriale riescono se si sa come sollecitare i ragazzi a dire la loro, non necessariamente facendoli spostare di qua e di là. Persino in una materia come il Greco, la spiegazione di come funzioni la parodo di una tragedia può non richiedere che la classe si sposti fisicamente dagli esodi all’orchestra mimando l’entrata solenne del coro: una buona animazione ppt potrà bastare, almeno per quest’anno.

  4. @AntonioAgostinoCasu mi scuso per la poca chiarezza ma temevo la prolissità. Mi riferivo, in realtà, a metodologie didattiche (debate, jigsaw, teal ecc.) forse più complesse rispetto ad attività in cui i ragazzi dicono “la loro” e per le quali il distanziamento è un ostacolo non superabile.
    Nella mia esperienza di insegnante di liceo e, prima ancora, di scuola media sono queste le pratiche che hanno contribuito a marcare qualitativamente la didattica in presenza.

  5. @Andrea Barbieri. Sono perfettamente d’accordo. Solo qualche chiarimento a beneficio dei colleghi meno aggiornati. “Debate” si traduce “dibattito” e presuppone l’arricchimento del lessico, l’apprendimento di tecniche argomentative, il rafforzamento della logica di base, disposizioni tutte di ordine piuttosto mentale che prossemico-spaziale. TEAL è acronimo di “Technology Enhanced Active Learning”, ma appare designazione alquanto semplicistica ora che il Prof. Patrizio Bianchi ha ridefinito molto innovativamente il prendere appunti durante una dimostrazione alla lim mediante l’agile anglismo “Freestyle Student-Driven Graphic Recording Elicitation through Technology-Enhancend Standing Teacher’s Comedy”. Infine la Jigsaw Classroom. Dunque: in inglese il jigsaw puzzle è quello che in italiano chiamiamo il puzzle. Si divide la classe in squadre, ciascuna delle quali si occupa solo di una parte dell’argomento da apprendere, poi le squadre si spiegano tra loro, on a peer-to-peer learning basis, ricomponendo l’unità della conoscenza a partire dai disiecta membra, proprio come l’immagine finale risulta dalla ricomposizione di un puzzle. Nella pratica è assai più semplice di quel che paia. Mi spiegherò con un esempio. Sia il caso di introdurre una buona classe di liceo alla complessa posterità del pensiero di Hegel. Un gruppo empatizzerà con la Sinistra Hegeliana; un altro con la Destra; i meno socializzati potranno riunirsi in un unico “Unico” di Max Stirner; i più scettici e oppositivi saranno opportunamente messi in valore mediante la creazione di un Gruppo Bruno Bauer. A un dato momento (la tenuta dei tempi è molto importante nel jigsaw) entrerà a sorpresa il Gruppo Marx-Engels. Non è detto che, con ciò, sia possibile ovviare a una certa conflittualità di classe, ma in compenso si solleciterà l’apprendimento attivo, e non vanamente nozionistico, di cosa si intende per dialettica.

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