di Alessandro Broggi
[E’ uscito in questi giorni Noi di Alessandro Broggi, per le edizioni Tic. Dal libro, già disponibile sul sito dell’editore, e presto anche in libreria, presentiamo i primi otto capitoli].
Pensiamo troppo in termini di storia, sia essa personale o universale. I cambiamenti appartengono alla geografia, sono orientamenti, direzioni, entrate e uscite.
(G. Deleuze)
Credevano di conoscere la felicità; credevano che la loro invenzione fosse libera, magnifica, che impregnasse l’universo a ondate successive. Credevano che bastasse loro camminare perché il cammino fosse felicità.
(G. Perec)
1
La strada è accidentata. Piove. Stiamo entrando nel paesaggio e cominciamo a distrarci camminando: a volte pensiamo a una persona in particolare, altre volte è solo l’idea di una persona. Seguiamo puntualmente il percorso: cosa c’è di fronte a noi? La linea azzurra di un corso d’acqua riflette le prospettive, il tempo si schiarisce. Non smettiamo di ridere, la cosa più importante per noi è che qualcosa succeda. Lo stridio della civetta si fa sentire più volte, vicinissimo. Attraversiamo la prima cortina di alberi, il panorama è solo moderatamente boscoso, diciamo qualche frase con calma. Adesso il tempo si muove più velocemente. Una sponda fluviale sabbiosa, la superficie levigata di un lago, la foresta al crepuscolo. In questa zona confluiscono diversi tipi di ambienti, ci sono innumerevoli direzioni.
Guardiamo il cielo – qual è l’intero campo delle possibilità? Lo chiediamo agli altri ma è più che altro una domanda rivolta a noi stessi. La storia lo dirà, sapremo ciò che faremo e avremo tutto il tempo per farlo. Scorgiamo qualcosa in lontananza e avanziamo da quella parte.
2
In uno scenario che chiameremo il ‘paesaggio’ è notte. Non ci interessano i dettagli geografici né qualsiasi specifica localizzazione, progrediamo attraverso la vegetazione. La vista è scura ma il cielo risplende leggermente. Segnano il passaggio tra i termitai scolpiti cespugli alti appena pochi centimetri, non ci sono altre persone, si vede piuttosto bene ogni cosa. La nostra conversazione è ad ampio raggio, sono coinvolti numerosi temi. Ci muoviamo lentamente, poi giù verso la vallata.
Alcuni scoiattoli lasciano il posto dove stavano mangiando; siamo ora dentro al bosco, “due donne e due uomini che si dirigono nella stessa direzione, camminano in habitat alquanto diversificati, si mette a piovere e ciascuno a turno si ferma un attimo a guardare. C’è qualche sincronizzazione nelle loro azioni, e un certo grado di comprensione condivisa, o almeno così sembrerebbe se li si scrutasse da lontano. Un’idea di miglioramento è relativa alle loro intenzioni, ma non è chiaro se queste siano buone o cattive, né in quali termini lo siano. Quattro persone che si incontrano una volta e che forse non si rivedranno mai più”.
Le informazioni necessarie per comprendere il significato dei nostri spostamenti non ci sono date, e non è nota la relazione tra le singole tappe del tragitto. Soltanto, ci si racconta che avremmo intrapreso un lungo viaggio, due uomini e due donne.
3
Cominceremo parlando sinceramente: non riuscivamo a uscire per strada a causa dell’eccesso di informazioni. Ogni persona che incontravamo o che vedevamo era un nuovo mondo possibile, una biografia in corso. Ogni sguardo accidentale, il disvelamento di un suo infinitesimo stadio. Erano troppe – e continue – le espressioni distinte di volti sconosciuti da decodificare. Le modalità di comportamento, sempre differenti. I pensieri e i tracciati: imponderabili. Ogni uscita era un’avventura.
E così all’interno, ciascun oggetto che osservavamo o con cui interagivamo era una vicenda senza fine. A ogni individuo, a qualunque ora del giorno, nella diversità delle situazioni e nelle più variegate sfumature degli atteggiamenti, in qualsiasi dialogo tra sconosciuti e dietro tutti gli strumenti e i prodotti della vita quotidiana come del lavoro, c’era una storia concreta, tangibile, effettuale.
Perciò ci siamo risolti a trasferirci nei boschi; ma di nuovo la cosa si è dimostrata insostenibile – ciascun albero è un individuo, ogni piccola porzione di terra e ogni angolo visuale, un’eccezione.
L’identità che ci costituiva era un gioco di sedimentazione e innovazione composto da variazioni immaginative potenzialmente illimitate. Il ripetuto spostamento del fuoco dell’attenzione, i cambiamenti di distanza e di prospettiva implicavano il pendant di un’inesauribile pluralità di motivazioni ed emozioni. E ora questo: le fronde dei noci si staccano, nella semioscurità, sulle strisce più chiare dei ciottoli e dei banchi di sabbia.
4
Abbiamo provato a intercettare i momenti non decisivi, l’inazione, quello che sta per verificarsi o che è già inavvertitamente accaduto. A cimentarci, a esplicitare – ce lo chiediamo, adesso ce lo diciamo.
Il romanzo inizia con un salto temporale indeterminato: Eleonora, Maurizio, Norberto e Tania ci svegliamo, Norberto sta scostando le sovraccoperte e intanto ha potuto distinguere le circostanze in cui ci troviamo. All’improvviso i timori si sono dileguati; così, con una distensione graduale, il cielo dell’alba è apparso incoraggiante. In seguito a queste prime osservazioni si riscuotono Maurizio e Tania, poi ci avviamo.
Stiamo affrontando un cambio di pendenza, si sente il rumore di un torrente nascosto nell’avvallamento serrato dei pioppi, ci siamo allontanati. La giostra delle differenze ci forniva un orizzonte ritenuto definitivo, una sindrome condivisa che non conduceva a un’intensità di vita, e ai cui turbamenti seduttivi – non ci sembra difficile ammetterlo – non siamo più vincolati. Sogniamo, confusamente, di qualcos’altro.
La formula che esprime meglio questo sforzo è: ‘un’idea di futuro’. Abbiamo contemplato una coppia di cervi grigi dall’aspetto docile, elusivo, ecco che Norberto sta diradando erbe e festuche che crescono dal suolo, a un certo punto Eleonora ha parlato con Maurizio. Non abbiamo compiuto un passo importante, semplicemente stiamo provando. Evidentemente Tania e Norberto ci hanno convinti a prendere una risoluzione di carattere permanente; mentre stabiliamo di rendere le esperienze non memorabili, rimuginiamo.
Ci siamo accorti che stiamo correndo: si è visto che sarà una pratica costante, abbiamo preferito dare libero sfogo ai movimenti, e sarà imparagonabile. Errori inediti diventano ora accessibili, Norberto ha avuto ragione, Tania sostiene che ne stiamo avendo l’occasione. Da dove ci troviamo si discernono grossi ceppi di sughero e aperta campagna, torneremo affascinati?
Sarà difficile e molteplice, piena di contraddizioni, di ristagni impalpabili, di silenzi ostinati; sarà anche irriducibilmente controversa. Ci siamo indirizzati lungo le possibilità di scelta: la mutata contingenza sarà fiancheggiata da foreste di limoni ed eucalipti, ammantata di verde. Tanto più risaliremo una dorsale scoscesa – stiamo tentando –, è il tratto di allacciamento con un lago tutto animato da cigni dal collo nero, non abbiamo il tempo di constatare, scriveremo domani.
5
Pare che abbiamo optato per partire. Benché sia brutto tempo. Si suppone che stiamo entrando nella boscaglia per un sentiero di aranci silvestri, si può osservare come i gesti stessi ci suggeriscano movimenti che diverranno azioni. Non sembra di poter escludere che il versante alberato che talvolta si intravede sarà presto invisibile, Norberto dirà: «Tra un paio di colline non lo vedremo che di scorcio».
Eleonora non si guarda mai attorno, osserva come se avesse davanti a sé una strada vuota, e avviene che una torbiera penetri a punta nel cuore dell’albereta d’alto fusto, e per contraccolpo a un fondo argilloso faccia seguito il prato. Abbiamo un’impressione: il basso soffitto di nuvole sta diventando meno denso; si è visto come gli aceri campestri si accompagnino ai carpini bianchi, tra poco nello strato erbaceo si susseguiranno le fioriture.
E sarà ragionevole tagliare per i campi a più riprese. Raccontiamocelo ancora: stiamo stendendo il verbale dei nostri passi, Maurizio fa banali commenti sulla vegetazione. Possiamo presumere che la macchia stia per cedere terreno, possiamo servirci di ogni parola per cambiare discorso, siamo capaci di tutto, coltiviamo una spensierata indifferenza. Mentre parliamo pensiamo ad altro.
Tania dirà: «Ci dirigiamo» – C’è qualche altro posto dove andare? Adesso, ormai da migliaia di anni.
6
Parliamo, ci sorprendiamo, parliamo ancora, immaginiamo. Sembra sempre che ci stiamo dirigendo verso qualcosa ma ogni volta prima di raggiungerlo cambiamo direzione. Possiamo scegliere di concentrare la nostra attenzione su un dettaglio piuttosto che su un altro. La descrizione delle azioni diventa una descrizione di pensieri, la descrizione dei pensieri diventa una descrizione di azioni.
Il sentiero si divide incrociando altre vie della stessa importanza, le distanze non sono così manifeste, ed è raro incontrare specie davvero dominanti. Molte essenze sono distribuite a chiazze, altre in forma sparsa e poche uniformemente. Spesso per trovare una pianta di una stessa specie occorre spostarsi per parecchie centinaia di metri. Nuvole alte intercorrono, diorami momentanei si stagliano come universali pragmatici nel cielo vaporoso, abbiamo visto un procione.
Trascorriamo del tempo a guardare, per stabilire cosa ci sia qui fuori, in modo percepibile quanto non dichiarato, impegnati in un compito che non prevede urgenza. La natura delle nostre osservazioni ci sfugge, dentro condotte personali apparentemente idiosincratiche, appollaiati nelle nostre nicchie come allegorie.
Stabilità e locazione sono una questione di volontà e circostanza, tutto quanto le riguarda è desultorio. Questo ci conforterà: i traumi sono infrequenti e sempre reversibili. Sopravvivremo a tutto ciò che riusciremo a comprendere, lungo il medio corso dei nostri pensieri Norberto ci largisce ogni genere di consiglio, abbiamo motivo di credere che non ci possa succedere nulla, non ci sono angoli ciechi. Insomma.
7
Da qualche ora continuiamo a sbucare tra radure e dislivelli, case abbandonate sono qui isolate le une dalle altre da folte distese di mimose e dalla distanza tra i piani. Marcite e scarpate. Scarpate e marcite, peripli e rettifili, la roggia dalle acque diafane, l’affluente secco, le risorgive, i cardamomi giganti che riparano le terrazze, i ratti acquatici. Questo nostro camminare produce abitudini mentali, posture, pregiudizi, conoscenza. Crediamo realmente alla sequenza di ciò che facciamo, tutto quello che vediamo esiste. Ogni nostra costruzione deriva dall’essere al mondo in un luogo e in un modo particolare. In ogni momento descriviamo lo spazio e il tempo a partire dalla nostra posizione. Maurizio dondola il busto avanti e indietro, Eleonora sbadiglia. Alterniamo più volte la quiete al movimento finché non diventa impossibile avvicinarsi ulteriormente alle finestre a causa della densa vegetazione. Ci studiamo a vicenda per adeguare le nostre reazioni, ciascuno sceglie l’intenzione con cui pronunciare la parola all’indirizzo del proprio vicino. È tutto molto tranquillo, la sera cala serenamente, scriviamo che i rami gialli ci spazzolano il volto.
8
«Perché», dice Tania, «l’adattamento alle condizioni forestali non è solo teorico. Saranno le risposte che riceveremo a indicarci che portata avranno le nostre scelte». Dà ora forma alla nostra vita sociale e concettuale una copertura arborea relativamente fitta, ma potremmo anche accorgerci che percepiamo il paesaggio come un continuum, visibile ai nostri occhi e comprensibile per le nostre menti, perché e nella misura in cui vediamo e intendiamo solamente la nostra scala di aderenza, solo dal nostro punto di vista, il resto rimane inavvertito.
Nel disegno dei cuscinetti erbosi o secondo il fogliame intermittente, ingranati nel procedere di un itinerario spontaneo, non comprensivo, le strette biforcazioni della flora a istruirci sui nostri meccanismi interattivi – abbiamo notato che l’ambiente non è solo uno stimolo finalizzato a ottenere una descrizione, i nostri schemi si modificano in base alle sue informazioni. La ragione è incapace di figurarsi un senso ulteriore al di là di questo, i pensieri obbediscono a quello che vediamo.
Un’altra aurora con canti di uccelli. Un lucore vago si ingrandisce poco a poco mentre a est il cielo comincia a sbiancare. Questa mattina percorreremo qualche intersezione gregaria, che differenza fa? Un’erranza fantomatica, imponderabile, regola l’attribuzione di significato agli eventi, la mancanza di un’accurata rassegna degli argomenti si sta rivelando una causalità consolidata. Si parla di proseguire sotto raffiche tese, attraverso le latifoglie, tra albe filate e vaste conche lacustri. Tra il margine del bosco e le spiagge fossili, dall’altra parte del torrente. Tra i fiori cappucci e la curvatura dello spazio.
[immagine: Peter Bialobrzeski, Paradise Now, 2009]