di Federica Gregoratto
L'amore ai tempi del neoliberalismo, rubrica a cura di Federica Gregoratto
Ma gli uomini mai mi riuscì di capire
perché si combinassero attraverso l’amore
affidando ad un gioco la gioia e il dolore
(Fabrizio de André, “Un chimico”)
Una questione sta appassionando da un po’ di anni teoriche e teorici di etica delle neuroscienze: se fosse possibile assumere sostanze chimiche (droghe) per influenzare efficacemente le nostre emozioni e relativi comportamenti sessuali e amorosi, sarebbe moralmente accettabile e desiderabile farlo?[1]
Non è un quesito nuovo. La letteratura occidentale ha spesso fatto ricorso a pozioni e filtri d’amore come elementi chiave di plot narrativi—ci possono venire in mente per esempio Sogno di una notte di mezza estate, o Tristano e Isolde. In questi esempi ‘classici’, tuttavia, il giudizio alla base è di sospetto, al limite tradisce un malcelato sarcasmo: espedienti del genere sono sinistri, le loro conseguenze nefaste, ancorché comiche, perché finiscono sempre per sfuggirci di mano. Come, infatti, ogni esperienza erotica degna del suo nome. Alcune scoperte della neuroscienza ci fanno però intravedere oggi altri scenari possibili.
La questione è importante, lo è sempre stata, perché l’amore (romantico, passionale) e il sesso sembrano essere esperienze fondamentali nelle nostre vite private e collettive. Ne va della nostra felicità, verità. Ma sono anche esperienze terribili, ci fanno scoprire insuperabilmente vulnerabili, in balia di altro, di altri esseri umani. E se potessimo, almeno qualche volta, riuscire a mettere un coperchio a questo vaso di pandora da cui si sprigionano affetti deraglianti? Riportarli entro la nostra giurisdizione, almeno parzialmente. Nell’amore e nel sesso, dunque, ne va anche della nostra libertà. Ma di che libertà si tratta? È questa, a mio parere, la posta in gioco più interessante degli esperimenti mentali, e non solo, sulle droghe del cuore.
Quali conseguenze, più specificamente, ci possiamo aspettare da queste sostanze? Consideriamo, schematizzando, tre pillole—una grigia, una rossa, e una blu:
(a) La pillola grigia, se assunta regolarmente per un po’ di mesi, ci permetterebbe di disinnamorarci e dimenticare una persona che ci ha fatto del male;
(b) La pillola rossa, se somministrata per un po’ di mesi alla persona di cui siamo perse, ma che non sembra ricambiare, ha l’effetto di farla innamorare perdutamente di noi (per un tempo abbastanza lungo);
(c) La pillola blu, se assunta regolarmente per un po’ di mesi, ci permette di rimanere innamorati della persona con cui abbiamo già una relazione ma che sentiamo di non ‘amare più come prima’ (lo scopo qui, in teoria, non è solo di ravvivare la fiamma erotica, anche se questo non è escluso e può essere una degli effetti cercati).
(a), (b) e (c) presentano problemi etici diversi. Ma prima di vederli separatamente, qualche considerazione di carattere più generale. I neuroscienziati e le neuroscienziate interessate al fenomeno del cosiddetto neuroenhancement, cioè del potenziamento delle nostre facoltà cognitive ed emozionali con lo scopo di migliorare, in generale, la nostra esistenza, hanno già dimostrato che questa non è pura fiction. Se una buona fetta dei nostri comportamenti amorosi è caratterizzata da rush di adrenalina, picchi di serotonina e dopamina, flussi di oxitocina, e altre interazioni chimiche, le sostanze per intervenire su queste reazioni sono già conosciute, anche se devono essere ulteriormente studiate, perfezionate e calibrate. Da una parte, sono simili ad antidepressivi, psicofarmaci più in generale, predisposti a intervenire su alcune dinamiche nel nostro cervello con lo scopo di renderci più tranquilli, centrati, equilibrati, e quindi più funzionali a scuola e sul lavoro, e più piacevoli nelle relazioni interpersonali.
Dall’altra parte, abbiamo alcune droghe illegali (nelle nostre società), che hanno lo scopo di migliorare, potenziare, la nostra capacità di divertimento, espandere la coscienza, creare connessioni più profonde con noi stessi, la natura, le altre persone.
Il neuroenhancement amoroso è ispirato a entrambe le pratiche. Superare o tenere a bada la depressione potrebbe influire positivamente sulla qualità dell’intimità (ma non è detto, visto gli effetti collaterali di depotenziamento della libido di alcuni farmaci). Influenze positive sulla vita amorosa possono venire sicuramente anche da esperienze chimicamente estatiche[2] o psichedeliche (ma attenzione, visto gli effetti collaterali sulla stabilità della psiche, in setting sbagliati e in dosaggi eccessivi). Ma il neuroenhancement delle relazioni sentimentali è focalizzato: non mira a intervenire in generale e indirettamente sul benessere psico-fisico di una persona, o sulla sua coscienza e capacità di connessione intersoggettiva e interoggettiva, ma direttamente sulle storie d’amore. Non agisce sull’individuo singolo ma sulle relazioni.
Ora, se siamo favorevoli agli psicofarmaci e/o ad alcune droghe ricreazionali, potremmo non essere d’accordo con l’opportunità di prendere e somministrare le pillole dell’amore. Questo se siamo convinte che l’amore sia un’esperienza ancora più complessa e misteriosa di quello che succede nel nostro cervello, psiche, coscienza o mind. L’amore, così in fondo abbiamo imparato grazie a un’ampia serie di romanzi, film e canzoni, è un set di emozioni che non sta semplicemente nelle connessioni neuronali e nei processi chimici che le accompagnano, è piuttosto un evento più grande di noi, che ci sovrasta e trascina. Potremmo arrivare a capire e controllare psiche e corpo, almeno in parte, ma mai l’amore. Questa concezione si basa su una sorta di “mistica dell’amore”, e ha una genealogia, una storia e una geografia, ed è pertanto concettualmente attaccabile. È una concezione fortemente romantica, soprattutto nel senso del romanticismo moderno, teorizzato da un gruppo relativamente ristretto di teorici, letterati e poeti inglesi e tedeschi nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, la cui portata culturale e popolare è stata immensamente più pesante di quella meramente filosofica. Altri filosofi antichi come Aristotele e Seneca credevano al contrario che affetti e i sentimenti, anche quelli erotici, non sono necessariamente una forza sovrastante, ma possono essere se non dominati almeno coltivati a plasmati nel tempo. Parte di abitudini che impariamo e disimpariamo, che possiamo esercitare, come dei muscoli. Molti filosofi contemporanei anti-romantici argomentano in modo simile, facendoci anche ragionare sulle componenti sociali, culturali e economiche che forgiano (ma non determinano) le nostre emozioni. Anche la psicoanalisi e la psicologia comportamentale sono, a ben vedere, parte di questo movimento anti- e post-romantico. Dunque perché no with a little help da parte della chimica?
Torniamo dunque alle nostre pillole:
(a) La pillola grigia è quella che mi sembra meno problematica. La decisione individuale di evitare la sofferenza, se possibile, assomiglia a qualcosa come un diritto fondamentale. Si potrebbe sicuramente argomentare che il dolore provocato da un amore infelice, impossibile, per esempio perché non ricambiato, ha un suo valore intrinseco. Un argomento antiquato, ma con un suo fascino, è che la capacità di sopportare a testa alta questo dolore è un segno di un carattere virtuoso. Ma consideriamo invece quell’amore che è infelice perché impedisce di rinunciare a un partner violento (e magari potenzialmente omicida). Prescindendo dal fatto che il femminicidio dipende, forse maggiormente, da altri fattori (un sistema giudiziario manchevole, l’insufficienza nei mezzi di protezione delle potenziali ‘vittime’ e delle sopravvissute): se fossimo sicure che un disinnamoramento basterebbe a sottrarci alla violenza e alla morte, come non considerare la pillola grigia sia moralmente accettabile che altamente desiderabile? Se l’amore infelice e violento è dipendenza, simile ad una droga che genera dipendenza abbrutente, fisica e psicologica, ha senso pensare di recuperare la nostra indipendenza grazie a un altro tipo di droga.[3] Una libertà negativa minima in questo senso, la libertà che ci protegge dall’abuso, e dalla paura, è un tipo di libertà che anche i critici più avveduti del liberalismo fanno fatica a contestare.
(b) La pasticca rossa mi sembra invece la più problematica, soprattutto nel caso in cui la persona da far innamorare non è al corrente delle intenzioni di questo Cupido in pillole. Dal punto di vista deontologico, lo stop è dato dalla questione del consenso. Senza consenso, niente sesso, e niente amore. La manipolazione di B da parte di A con lo scopo intenzionale e strumentalmente perseguito di ottenere un vantaggio per A è coercizione, e la coercizione è difficile da giustificare. Si potrebbe argomentare che la pillola rossa farebbe del bene, alla fine, anche a B. Magari B ha, di suo, dei forti blocchi che le impediscono di innamorarsi, e solo una pasticca la sbloccherebbe. Mettiamo che A sia una persona buona, generosa, stimolante, matura, un’amante passionale e rispettosa. Win win. Ma nella nostra società e cultura, alla libertà individuale di decidere autonomamente chi amare, e come, ci sembra difficile rinunciare. Non si tratta veramente di decidere, a ben guardare, ma di farci trasportare da quello che sentiamo—ma dobbiamo, vorremo sentirlo in un qualche senso come ‘nostro’. Se abbiamo il sospetto che quello che sentiamo è fortemente, significativamente condizionato da altro, l’amore finisce per perdere il suo gusto. Se ci rendiamo conto che la nostra amata ci ama per dei motivi specifici, identificabili—perché le forniamo un aiuto non rinvenibile altrove, o vede in noi una fotocopia della madre o del padre, o perché le abbiamo somministrato una pozione—la magia tende a scomparire. Non si tratta qui solo di criteri deontologici e morali, ma di criteri che hanno a che fare con il valore e l’importanza che attribuiamo a questo tipo di amore. L’amore passionale, nonché un autentico trasporto erotico-sessuale, è prezioso perché autonomo, nel senso che non dipende da fattori esterni, men che meno dalla ragione, è piuttosto una fonte di ragioni, e in quanto fondo senza fondo ci rimane almeno in parte ignoto, pur identificandoci profondamente. Anche se non vogliamo sottoscrivere la tesi romantica par excellence, resistendo all’idea di un eros completamente al di là del nostro controllo, il suo inizio è un’altra cosa. La scintilla viene da un altrove misterioso (come quello, tra l’altro, che si dischiude in certe esperienze con le droghe ricreazionali citate sopra), non da formule chimiche che possiamo piegare ai nostri bisogni. La pillola rossa dunque non solo danneggerebbe B—violandola—ma forse non potrebbe neppure essere desiderabile da parte di A.
(c) La pillola blu, infine, è la più ambigua. Qui non si tratta di intervenire, con coercizione, sulle emozioni di un’altra persona, ma di imprimere alla nostra vita la direzione desiderata. Quello che dicevo alla fine del punto (b), il valore che diamo al momento ineffabile dell’inizio, del falling in love, non conta, qui. Ci siamo già innamorate, la nostra relazione c’è già, ed è bella e importante, ma ora sentiamo che sta scemando, è in pericolo. Assumiamo che la persona che sta con noi è al corrente dei nostri piani, ed è d’accordo.[4] Non vogliamo perderla e lasciarla andare, e lei neppure. Sarebbe una perdita brutta, dolorosa. La pasticca blu ci darebbe qui la possibilità di esercitare la nostra autonomia, non egoisticamente e individualmente, ma in accordo con lei. Ci aiuterebbe a dare alla nostra vita, di coppia, la direzione che entrambe vogliamo e riteniamo desiderabile. Sarebbe una decisione presa collettivamente, per il bene e con il benestare di entrambe. In questo caso, quali ragioni deontologiche lo impedirebbero? Credo nessuna. Ben venga la pillola blu. Ma c’è una considerazione ulteriore che preme, e che ha a che fare, appunto, con il significato che attribuiamo alla natura e al valore della libertà. Nel contesto in cui viviamo, c’è una tendenza a considerare la libertà come un esercizio, autonomo, che sta nelle nostre mani—la libertà neoliberale, insomma. Siamo libere se siamo consapevoli di quello che vogliamo, e nelle condizioni di adoperare dei mezzi per ottenerlo. Questo è importante, una grande conquista—per esempio da un punto di vista femminile e femminista.[5] Ma è tutto? Siamo davvero sicure di sapere quello che vogliamo? Di saperlo già, così, in anticipo, prima di aver vissuto quello che c’è da vivere? Libertà è potere di decidere sulla base di quello che siamo già (i nostri desideri, progetti), ma questa identità con noi stessi non è forse allo stesso tempo illibertà? In un’esperienza piena, processuale, di libertà, c’è anche un momento di liberazione dalla coazione ad agire secondo piani già dati, anche se autonomamente. Siamo libere non solo se sappiamo controllare le nostre emozioni, ma anche se sentiamo la fiducia di poter perdere il controllo della nostra vita, entrare in una stanza buia (che cosa sarà di noi se la storia finisce?), abitare zone d’ombra che non ci lusingano e di cui non ci sentiamo orgogliose (ce la sentiamo di fare del male, deludere la persona che abbiamo amato a lungo, e che conta su di noi?), sperimentare con identità e situazioni a venire, al di là dei limiti di quello che crediamo ora di sapere e di volere. Questo, tra l’altro, è proprio ciò che droghe come MDMA, LSD, psilocibina, etc., promettono di fare, al di là delle serie ed encomiabili ricerche scientifiche che cercano di testarne e controllarne i risultati positivi—ed è per questo che queste sostanze continuano (e ricominciano) a esercitare un certo fascino, ma è un fascino di cui non si può negare l’oscurità e il pericolo. Non ho dunque un argomento contro la pillola blu. La questione non è se siamo liberi di prenderla o no—perché lo siamo, almeno in teoria. La domanda interessante è a quale tipo di libertà ci vogliamo dedicare, sia concettualmente che praticamente, esistenzialmente.
Note
[1] Come testo principale di riferimento, consiglio Brian D. Earp e Julian Savulescu, Love Drugs. The Chemical Future of Relationships, Stanford: Stanford University Press 2020.
[2] Una delle droghe che sembrerebbe più efficace per il neuroenhancement delle relazioni romantiche è proprio l’ecstasy (MDMA), anche se solo nel senso della pillola blu.
[3] Alcuni studi attuali su MDMA, LSD, e altre sostanze psicotropiche sono del resto volti a mostrarne l’efficacia proprio nella cura di dipendenze come quelle dall’alcool, dalla nicotina, o da altre sostanze, oltre che nello superamento di traumi, stress post-traumatici e depressione.
[4] Ci sono diversi scenari, e non solo quello che metto a fuoco qui, collegati alla pillola blu: la situazione sarebbe infatti diversa se questa persona non ne sapesse nulla, oppure se fosse al corrente, ma si opponesse (anche per motivi “romantici”: ma, come argomento in chiusa, non fa parte della libertà anche scegliere di continuare a sottoscrivere il romanticismo, almeno una sua versione?)
[5] Il paragone che si può fare, qui, è con la pillola anticoncezionale.
Ma. Ma non sarebbe meglio il sano Romanticismo? Lo preferisco su tutta la linea.
Davvero un articolo interessante, grazie Federica. Con quelle tre pasticche… mi c’è venuto perfino da sorridere, e ho dovuto cercare su Wikipedia che diavolo volesse dire quel win win. Da molto non leggevo un discorso che restituisse tanto bene il grandissimo casino che è l’amore. Perfino alla mia avanzatissima età. E mi ha fatto riflettere sulla mia esperienza passata e presente, su come ho vissuto e stia vivendo l’amore, o il desiderio d’amore. Droghe a parte (decisamente fuori dalla mia portata mentale) mi ha interessata la possibilità di ragionare su quello che mi è sempre solo sembrato un mistero indecifrabile. Nonostante i romanzi, i poemi, i film, le canzoni…
@ Carla Ammannati: ma grazie, mi fa molto piacere!!
@ sergio falcone: il romanticismo non è sempre sano, ma forse, chissenefrega della salute, come polemizzava Nietzsche: “Una vogliuzza per il giorno e una per la notte: salva restando la salute” …
La pillola blu decisamente illegale ma interessante che qualcuno accetti di prenderla per infine innamorarsi. In questo caso non sarebbe troppo diversa da quella rossa. Le prenderei tutte… il problema è che un atto non ha conseguenze solo nel punto in cui colpisce ma nei centri concentrici tutt’intorno. Quindi finirebbe per crearsi un ‘etica delle pillole, una rete che ingloberebbe e risemnatizzerebbe la singola scelta umana.
come dice Sergio Falcone un sano romanticismo non nuoce alla salute, anzi la rafforza, oggi tutto viene affidato agli altri: pillole libri psicologi etcc, in questo mondo dove tutto è un libro aperto, dove tutti sanno e poi alla fine si scopre che nessuno sa nulla.
io credo che fare l’amore deve essere spontaneo e non avere paura di sbagliare, le scoperte dell’amore si fanno insieme, si scoprono insieme senza l’appoggio di pillole , non è mica una malattia l’amore che ha bisogno di pillole, è una scoperta una gioia e se poi finisce, non è mai morto nessuno, si ricomincia, altrimenti, esagero, ci sarà un amore sostituito, come le donne che fanno figli per altri.
“Ora che considero, anch’io, l’amore come una garanzia della specie, ho in vista la morte”.
Ungaretti, L’allegria, Lucca.
È singolare quanto spesso nelle argomentazioni (lette o ascoltate di persona) femministe o semplicemente femminili (la differenza mi sembra diventare sempre più sottile) si trovi una sorta di sospetto/rancore verso il sentimento. È uno dei tratti ancestrali che sembrano separare i due sessi. Pensiamo all’Odissea: è quasi con gioia che Ulisse rinuncia a Calipso, a ineffabili piaceri e alla vita immortale per tornare verso Penelope. Ad alcun momento mostra un rimpianto per questa scelta, mai dubita che Penelope possa non meritare gli immensi sacrifici della traversata.
Penelope, invece, mantiene fino all’ultimo un sentimento di sospetto e rancore nei confronti di Ulisse, come mostra la famosa prova del letto nuziale. Se Penelope avesse potuto, probabilmente, avrebbe preso una pillola rossa per innamorarsi di Antinoo. Ulisse prende un super-pillolone eppure non dimentica Penelope.
Il desiderio di sicurezza nelle donne continua a essere la pulsione più forte. Il romanticismo è una creazione a forte azionato maschile.
Abbandonarsi all’amore di un minuto facendo finta che sia per la vita porta a brutte sorprese nel bel mezzo di questa vita. Noi oggi crediamo al “colpo di fulmine”, ma non è stato sempre così! Quello che oggi detestiamo, e cioè gli amori combinati della tradizione puritana, forse preparavano all’amore meglio di quello che oggi è sotto gli occhi di tutti; dalla fine dell’amore alla crisi di coppia alle varie forme di risveglio dell’amore. Paradossalmente si può equiparare quel vecchio modo artificiale di ricercare l’amore con il modo descritto in questo articolo all’insegna del filtro d’amore. Si può a questo punto supporre che l’amore a prima vista sia un retaggio animale che l’uomo è chiamato a superare, tuttavia considerare una unione fra due individui alla stregua di un accoppiamento fra animali, fossero pure dei cigni, ci ripugna. In fin dei conti il rapporto amoroso è come il fuoco sacro di Vesta, abbisogna di continui atti per mantenerlo non solo vivo ma addirittura acceso. Cosa questa che non è affidabile alla “chimica”…
@Sisco-Francesco: grazie del suo intervento. In effetti, la concezione di amore di cui parla lei con un certo favore – il lavoro sulla relazione necessario a non stare troppo male, e forse anche bene, dopo il matrimonio combinato, il fatto che il colpo di fulmine e l’animalità siano solo delle componenti, e non forse le più importanti – è esattamente quella adottata da coloro che difendono il neuroenhancement romantico. La chimica, in questa prospettiva, è una delle tante cose che partecipano agli atti per coltivare, mantenere vivo e acceso un rapporto.
@alcuino: quello che dice è interessante. La grossa differenza tra Ulisse e Penelope è che lui poteva avere e ha avuto entrambe le cose: l’avventura, il viaggio da una parte, dall’altra la casa, la domesticità. Penelope no. Le donne non hanno un desiderio di sicurezza come pulsione, non è necessariamente nelle loro corde, ma nella maggior parte dei casi non hanno alternative, è quello cui sono costrette, o che sono socializzate a fare e volere fin dalla nascita (non credo sia più così, comunque). Il romanticismo, in effetti, è una funzione dell’avventura e del viaggio.