di Mauro Piras

 

Dedicato a B. e a E., quindicenni

 

Il 5 marzo dell’anno scorso per la prima volta sono state chiuse tutte le scuole in tutta Italia. Alcune regioni avevano chiuso già dal 24 febbraio, ma quel giorno la misura è stata estesa, e poco dopo è iniziato il lockdown. Guardo il Dpcm della sera prima, e sorrido di fronte a due espressioni ingenue, dimenticate: la misura vale “fino al 15 marzo” (una parentesi, niente), e si parla di “sospensione dell’attività didattica”, senza specificazioni. Non è la didattica in presenza a essere sospesa, ma tutta. Poi ci siamo accaniti a distinguere, e a dire che le scuole non chiudono, perché c’è la didattica a distanza (dad). Invece qui vorrei essere franco: le scuole hanno chiuso, allora, e chiudono, adesso. L’ipocrisia è una virtù sociale solo entro certi limiti, oltre diventa presa in giro. Anche se gli edifici sono aperti, anche se c’è la dad, le scuole sono chiuse: quando le scuole sono aperte gli studenti ci possono andare, se non ci possono andare, se non possono riunirsi in classe, condividere il processo di apprendimento, discutere, chiacchierare negli intervalli ecc. allora sono chiuse. Nessuno ne ha colpa: è un provvedimento del tutto razionale che serve a garantire la nostra sicurezza. Non c’è da scandalizzarsi. Nessuno ha detto: la scuola non fa niente. Tutto il contrario.

 

Ma come sta la scuola, a un anno esatto dall’inizio di questa storia? Male, e molto. Non però per quello che vi aspettate. Non per la chiusura delle scuole a partire dal prossimo lunedì, che sarà molto più massiccia e coinvolgerà anche il primo ciclo, per la prima volta  dall’inizio di questo anno scolastico. Questa misura, dato l’andamento del contagio, sembra del tutto ragionevole. E poi diciamocelo, non possiamo continuare a sostituirci agli esperti, accettiamo la decisione e cerchiamo di gestirla al meglio. Certo, si poteva prevedere, tutto questo. Sapevamo che a marzo sarebbe partita la terza ondata, si poteva programmare. E poi forse si potevano salvare la scuola dell’infanzia e la primaria, almeno in parte. Va riconosciuto alla tanto bistrattata Azzolina che durante tutto quest’anno ha tenuto sempre il punto, non ha mai chiuso la scuola dei bambini. Solo alcuni presidenti di regione lo hanno fatto, dovremo chiederci una volta per tutte quanto a ragione, è un problema nazionale ormai. Comunque, si fermeranno anche l’infanzia e la primaria, teniamone conto perché è un settore delicato, cerchiamo di rispondere in modo adeguato.

 

No, non è questo. Non è neanche la polemica su come si dovrà recuperare la qualità degli apprendimenti che non abbiamo potuto garantire. Né si tratta di discutere ancora sui meriti e demeriti della dad: è uno strumento di emergenza da usare, cerchiamo di usarlo al meglio, e amen.

No, il problema che sta emergendo è un altro, nel secondo ciclo: nonostante anche questo sia stato un anno di emergenza, la scuola si è fatta prendere dalle sue routine, dai suoi meccanismi immodificabili, rigidi, e sta portando al massacro i suoi studenti. Una prima cosa: la data degli esami di Stato è stata confermata, come se niente fosse. Ora, alle superiori questo significa che tutti gli scrutini vanno fatti entro sabato 12 giugno, con l’acqua alla gola, di corsa, e le lezioni che durano a volte fino all’11. In un anno del genere? Non si poteva far slittare l’esame di una settimana, in modo da fare gli scrutini con più calma, da esaminare con attenzione le mille situazioni delicate che dovremo affrontare dopo tante difficoltà? Tanto più che l’esame “di emergenza” dura di meno, perché non ha gli scritti. No, invece. La coazione a ripetere della burocrazia scolastica non si fa smuovere neanche dalla pandemia: l’esame deve iniziare il 16 giugno e il 16 giugno sarà, scoppiasse anche la guerra.

 

Ma questo è solo l’involucro esterno di un processo ben più dannoso. Quest’anno la dad è stata organizzata e pianificata, e sono stati imposti dei vincoli sul numero di ore da passare davanti al computer. Questo ha ricostruito la routine più profonda della nostra scuola, quella fondata sullo schema “programma-voti”: bisogna svolgere il programma, bisogna avere i voti. Questo è il telos di tutta la nostra attività, il resto sono chiacchiere. E quindi è ripreso un ritmo ossessivo di lezioni fatte (frontali o meno non importa, ormai) e di verifiche e interrogazioni. Anche a distanza. E appena si torna in presenza, tac: si fanno solo verifiche, perché come fai a farle a distanza. E siccome da un po’ stiamo lavorando regolarmente metà del tempo a distanza e metà in presenza, le settimane o i giorni in presenza sono solo di verifiche, in molti casi. La simpatica bohème del lockdown, in cui abbiamo pensato tutti di improvvisare cose diverse, in cui le abbiamo provate tutte per stare vicini ai nostri studenti sul piano umano, in cui ci siamo rassegnati ad arrivare alla fine dell’anno facendo un programma minimo, in cui alternavamo in modo flessibile i collegamenti sincroni e asincroni, in cui contava più l’esperienza e l’apprendimento dei contenuti, tutto questo è morto e sepolto, è nostalgica memoria. Si è rimessa in moto la solita macchina della scuola, quella che “sono indietro col programma”, “non ho abbastanza voti” “tu dove sei arrivato, ci arrivi a Hegel in quarta?” ecc. Le linee guida ministeriali sulla didattica digitale, con le sue ore sincrone obbligatorie, e la prassi profonda della scuola spingono in questa direzione: tante ore davanti allo schermo, interrogazioni online, appena si può una bella verifica in presenza.

 

E così avremo centinaia, migliaia di caduti, in questa Full Metal Jacket della scuola in pandemia. Il loro profilo è chiaro: ragazzine e ragazzini che l’anno scorso hanno finito la terza media interamente a distanza, senza più rivedere di persona i loro professori, le loro professoresse, hanno fatto un esame farlocco a distanza, hanno dovuto confermare la scelta per la scuole superiore in una situazione in cui qualsiasi adulto avrebbe sbattuto la testa al muro. E poi hanno iniziato la prima superiore inchiodati ai banchi, alcuni senza banchi e solo con le sedie (in attesa dei nuovi banchi), senza avere tutti i professori, perché quando le nomine sono in ritardo (e quest’anno lo sono state, e molto, lo sanno anche i cani) chissà perché sono sempre le prime a trovarsi scoperte; hanno dovuto imparare le regole di un mondo nuovo senza poterlo frequentare in condizioni normali, a novembre sono stati sbattuti di nuovo in dad, ancora senza avere tutti i professori e conoscendoli poi davanti a uno schermo; a gennaio sono tornati e li hanno caricati di verifiche. Poi gli hanno fatto gli scrutini intermedi, e giù i tre i quattro i cinque.

 

Che cosa avrei fatto io, in una situazione del genere? Se fossi stato uno di loro. Avrei mandato tutto al diavolo. Mi sarei chiuso negli affari miei e avrei fatto il minimo, di fronte a questo delirio. Molti di loro lo hanno fatto. Altri, schiacciati dalle loro nevrosi, ci hanno dato dentro, ma chissà come stanno. Altre e altri invece stanno cedendo: non ce la fanno, si chiudono nel mutismo, si bloccano. La scuola del “programma-voti” è già una galera in condizioni normali. L’abbiamo resa un inferno. Basta. Basta.

Alziamo lo sguardo. Ricordiamoci che i tassi più alti di dispersione sono proprio al primo anno delle superiori: è maggiore di oltre il 60% rispetto alla media dei primi quattro anni delle superiori. Anche le bocciature, da sempre, si concentrano in quell’anno: in prima sono quasi il 70% in più rispetto alla media dei primi quattro anni. Questo è strutturalmente l’anello più fragile, quello in cui il sistema scolastico fallisce. Dovevamo curarlo con particolare attenzione. E invece.

 

Una sola cosa, quindi: fermiamo questa macchina infernale. E una modesta proposta, in tre punti:

1) chiudiamo l’anno scolastico in anticipo, il 30 maggio, così respiriamo tutti e magari facciamo gli scrutini con più calma;

2) facciamo un decreto legge che impone a tutti i docenti di non occupare mai più del 30% del proprio orario in presenza con verifiche o interrogazioni;

3) restauriamo la relazione didattica, concentriamoci solo su quella, come abbiamo fatto durante il lockdown, e al diavolo il programma e i voti.

 

(Firenze, 4 marzo 2021)

 

[Immagine: Giuseppe Conte e Lucia Azzolina alla conferenza del 4 marzo 2020].

14 thoughts on “La scuola un anno dopo. Con una modesta proposta

  1. Non riconosco Piras, non ritrovo l’acume critico che lo ha sempre contraddistinto
    Con quale supponenza pontifica sulla qualità della didattica in un anno terribilmente delicato, in cui , se qualcosa non è venuto meno, eccezioni a parte, è lo sforzo umile di noi docenti di conformarci alle insorte esigenze con spirito costruttivo, innovativo, creativo , con la riconoscenza acclamata dell’utenza e di quelle famiglie che, accantonando i piagnistei per la forzatura in DAD ne hanno compreso ed apprezzato l’efficacia suppletiva?
    Posso attestare, anche a nome dei numerosi colleghi, che non ci siamo limitati all svolgimento del programma e non abbiamo caricato i ragazzi di stress performativo, ma abbiamo interagito con loro sforzandoci di entrare in sintonia con la loro problematica sensibilità

  2. Cara Caterina Caruso,
    è vero, c’è poca lucidità in questo pezzo, che è un po’ uno sfogo (come è capitato altre volte, mi perdoneranno gli amici di LPLC?), però cerco di dire la cosa in modo più freddo.
    Ricordiamo che la prima superiore è l’anello debole, dati alla mano: lì si concentrano bocciature e dispersione. In emergenza, andava curato con più attenzione. Non è stato fatto (parlo di piani alti, ministero ecc.). Come scuole e docenti anche avremmo dovuto farlo. Molti lo hanno fatto, non lo metto in dubbio. Però se mi guardo intorno, come docente, vedo anche molta routine, che in questa situazione è pesante. Bisognava dare più libertà ai docenti, lo riconosco, e le linee guida per la Didattica digitale integrata non aiutano (troppe ore davanti allo schermo); ma anche noi docenti dobbiamo prenderci quella libertà. Mi sembra che in molti, invece, siano molto preoccupati dallo svolgimento del programma e dalla necessità di avere voti. Purtroppo sono osservazioni empiriche.

  3. Quanto alla proposta finale, l’aggettivo “modesta” serve a segnalare che è paradossale.

    Ma sono stato moderato. Avrei dovuto scrivere:
    “Una sola cosa, quindi: fermiamo questa macchina infernale. Altrimenti, facciamo così (una modesta proposta):
    1) fino al 15 maggio dad al 100% alle superiori;
    2) dal 15 al 30 maggio, tutti in presenza, verifiche a tappeto su tutto;
    3) 30 maggio fine dell’anno scolastico e tutti in vacanza (tranne gli sfigati della maturità).”

    Ma, dicevo, mi sono moderato.

  4. È un disastro totale; di cui il “Governo” ben si rende conto, felicissimo di progettarsi generazioni e generazioni di analfabeti funzionali (con la deregulation attuata finora) e adesso di alienati: tutte persone facilmente controllabili e incapaci di far valere i propri diritti per decenni.
    Quanto alle proposte:
    1) – Finire dieci giorni prima, non cambia nulla: sarebbe stato auspicabile praticare la soluzione opposta, cioè continuare fino al 30 Giugno per recuperare; ma solo se si fosse stati in presenza, chiaro.
    2) – Assicuro il mondo intero che il 30% di tempo dedicato a compiti e interrogazioni ce lo sogniamo, anche in tempi di assoluta normalità: credo che si possa quantificare con obiettività intorno al 10%. Bisognerebbe ridurre invece tutte quelle attività non didattiche, inserite apposta per togliere tempo alla didattica propriamente detta: nell’ambito di quella deregulation utile a creare analfabeti funzionali, di cui ho scritto in apertura. Ma questo è un altro discorso.
    3) – Il programma è stato mandato al diavolo già al momento di aprire la didattica a distanza, tanto che – almeno nel mio Istituto – ce lo fecero riscrivere, ricalibrandolo alla situazione che si prospettava.
    Quanto ai voti, no, al diavolo proprio per nulla: l’alunno deve formarsi il concetto di valutazione / autovalutazione e il voto (o più in generale il giudizio) è fondamentale nel processo di responsabilizzazione e di crescita del pensiero critico. Ma abolire qualsiasi giudizio è il sogno di tutti gli ipocriti buonisti, che hanno spalleggiato i Governi degli ultimi trent’anni, per quella faccenda degli analfabeti funzionali che ho già citata: “tutti ignoranti, tutti dottori” è il loro credo.
    Quindi mi chiedo se, dietro l’interesse esibito per il benessere dei ragazzi, chi ha fatto queste proposte si rende conto da che parte si è schierato.

  5. Purtroppo quella di Mauro Piras a me non pare supponenza: è da due giorni che mi trascino dietro un carico di rabbia e sconforto per i commenti dei miei colleghi sul ritorno in Dad. Non riesco a capacitarmi di come l’unica preoccupazione possa essere quella per i voti, le verifiche e compagnia bella. Per carità, è la mia personale e parziale esperienza, ma rafforza la convinzione che non si può generalizzare né da una parte né dall’altra.

  6. Ora la proposta di taglieggiare l’autonomia professionale del docente mediante decreto legge. Ma questo pensiero, vedi, Piras, neppure Brunetta avrebbe osato esternarlo. Neppure a Cottarelli.

  7. Caro Rizzi,
    io e il mio gruppo “Condorcet. Ripensare la scuola” siamo stati i primi a proporre di fare lezione in presenza fino al 30 giugno, diminuendo i giorni di dad:

    http://condorcet.altervista.org/a-scuola-fino-al-30-giugno-molto-bene-ma-vediamo-come/

    http://condorcet.altervista.org/discutiamo-di-calendario-con-maddalena-gissi-e-andrea-gavosto/

    Il governo ci ha pensato per un momento (Draghi ha persino citato l’idea nel discorso per la fiducia) ma poi ha fatto retromarcia. E’ evidente quindi che la mia “modesta” proposta di fermare tutto al 30 maggio, al contrario, è paradossale: nasce dallo sconcerto e dallo sconforto di fronte alla levata di scudi contro la nostra idea iniziale. E’ ovvio che penso sempre che sia la soluzione migliore. Ma se vogliamo tenere gli occhi chiusi, allora tanto vale chiudere prima.

    Caro Casu,
    veda sopra, la mia risposta a Rizzi, e i miei commenti precedenti.
    Davo per scontato che “modesta proposta” portasse con sé un intento satirico e paradossale, data l’origine dell’espressione. So bene che queste cose non si possono fare per legge. Ma neanche dare da mangiare i bambini dei poveri ai ricchi.

  8. Egregio Sig. Piras, il primo punto leggiamolo allora come una provocazione, va bene. Ma gli altri due? Anche quelli, o sarebbero invece una proposta seria?
    Perché allora sono forse io a non aver compreso il senso del suo intervento.

  9. Caro Rizzi,
    anche gli altri punti non sono del tutto seri, perché non si può stabilire per decreto quanto tempo dedicare alle verifiche, e perché non ha senso ridurre tutto alla relazione didattica senza curare gli apprendimenti.
    Nascono da un sentimento di insofferenza, ma come ho detto sopra (nel secondo commento), avrei dovuto essere più chiaro e più radicale nella provocazione.

  10. @Piras ma veda, come osserva Lei stesso, la boutade Gavosto-Cottarelli-Giunta et alii di proseguire le lezioni in presenza fino al 30 giugno, ad un certo momento, venne presa quasi sul serio da Patrizio Bianchi, e come ancora è Lei a ricordare, persino frizzantemente accennata nel discorso della fiducia di Draghi. Poi furono i sindacati ad aiutarli a capire che si trattava di un paradosso satirico. Nulla di più pericoloso delle boutades, dunque, nel Paese delle boutades.

  11. Grazie.
    Chiudo con un’osservazione alla sua risposta per il commento della Sig.ra Caruso.

    La Prima classe delle Superiori non è “l’anello debole della catena”: è uno dei pochi filtri rimasti (a volerlo applicare), per capire chi è in grado di seguire un certo percorso di studi e chi, almeno per il momento, no.
    In altre parole è la conseguenza della scelta di non responsabilizzare più i ragazzi durante le Medie Inferiori: che era lo scopo di questo livello di studio, oltre a quello di migliorare e chiarire i processi di apprendimento, proprio in funzione di un eventuale accesso al gradino superiore.

    La selezione che dovrebbe avvenire in Prima è l’equivalente dell’esame di ammissione all’Università, stante il fatto che anche all’esame finale delle Superiori (e spesso e volentieri nemmeno nell’intero corso di studio) non si fa più meritocrazia.
    Quindi alle Medie Inferiori l’alunno dovrebbe essere responsabilizzato, dopo averlo fatto socializzare nei “gradini” precedenti, e dovrebbe essere fatta una prima scelta su chi ha più probabilità di avere successo nel prosieguo degli studi: ha presente quel diplomatico “si consiglia l’inserimento nel mondo del lavoro”?
    Allo stesso modo ogni Istituto Superiore faceva una selezione durante i vari anni scolastici, su chi fosse davvero al posto giusto riguardo al percorso di studi scelto, fino all’esame finale.

    In teoria anche adesso si potrebbe operare allo stesso modo, pur se i Governi succedutisi negli ultimi trent’anni hanno di fatto smantellato il sistema scolastico pubblico: perché non c’è l’obbligo ufficiale per le varie classi di promuovere anche cani e porci, quindi – sempre in teoria – si potrebbe arrivare all’Esame di Stato con Quinte, i cui alunni alla fine si giocherebbero solo il voto, non il Diploma in quanto tale.
    Però qui l’ipocrita buonismo degli italiani, anche quelli che insegnano, ha dato una sponda fortissima al progetto governativo di costruire una società fondata sull’analfabetismo funzionale.

  12. Caro Mauro,
    sono consapevole che rispondere troppo puntualmente a una boutade rischia di cadere in quel difetto di senso dell’umorismo che ho già evocato nel mio scritto scorso. Però la tua “modesta” proposta mi colpisce così da vicino che ho deciso di correre il rischio.
    Innanzi tutto per la questione delle (maledette) verifiche in presenza. Che, nell’ottica, pur miope o presbite, in ogni caso non realistica, che è quella di noi tutti, è stata anche la mia esperienza empirica nelle scuole in cui mi muovo o di cui ho notizia verificata (non pochissime, non solo in Toscana, pur sempre statisticamente irrilevanti). E che mi paiono uno degli elementi che ha ammorbato, drogato, avvelenato il dibattito fin dal tempo della modulazione del ([l’]altrettanto maledetta frase) “resta salva la possibilità” dell’infausto DPCM del 03/11 (le leggi non dovrebbero usare i congiuntivi, i condizionali e la possibilità, questo imputo ai DPCM sulla scuola, ritraslati pari pari dai Conti ai Draghi – dell’emergenza sanitaria non dico, insegno lettere, e sono molto grata alla mia bravissima medica di base del fatto che non mi viene a dire come devo insegnare Shakespeare alla 4L).
    E’ una boutade la tua, e chiaramente se una legge mi dicesse quando devo fare obbligatoriamente le verifiche scenderei in piazza a difendere la sacrosanta libertà di insegnamento. Ma forse formazione, su questo punto, una formazione che rifletta anche sul concetto di “asincrona” che non dovrebbe essere declinato per ore singole ma per periodi, una formazione sul fatto che nel momento in cui introduco l’idea di FAD l’idea stessa del monte ore minimo di presenza per essere scrutinati cade e basta, varrebbe la pena di pensarla, insieme ad altre formazioni, per iniziare a traguardare oltre questo presente del giorno per giorno che pure è essenziale per non sbattere la testa al muro.
    Anche la boutade della fine a maggio, colpisce nel (mio) segno, e qui però ci inserisco anche l’elemento normativo: perché l’art. 231 bis della L 77 (che converte il decreto rilancio di maggio) prevede, all’art. 1 di autorizzare i dirigenti locali a varie deroghe tra cui (lettera c)): ” prevedere, per l’anno scolastico 2020/2021, la conclusione degli scrutini entro il termine delle lezioni”. Si tratterebbe dunque solo di ricordare, magari, agli USR di fare questa benedetta deroga, stante che la maggior parte delle istituzioni scolastiche ha già previsto gli scrutini prima della fine della lezioni, per non trovarsi a rimodularli dopo, e dunque la scuola delle (maledette) verifiche in presenza in progettazione già finisce a maggio, e dunque forse basterebbe poi non ridursi al ritardo come per l’ordinanza last minute sui libri di testo dell’anno scorso. E finire a maggio, e scrutinare a giugno come già per l’appunto previsto dalla bozza della maggior parte dei piani annuali.
    E, già che siamo in tempo di boutade, ci aggiungo l’ucronia, pur a ordinanze 53 e 54 uscite, abolire gli esami di Stato e dedicarsi invece a modulare come restituire ai figli della scuola minore le ore di laboratori professionali che no, non hanno fatto e basta, e non si tratta di chiedersi quanto sia meglio o peggio la DaD.

    Infine, una piccola curiosità: a settembre 2020 pubblicasti qui sopra un articolo “Come non schiantarsi” in cui, sempre con una boutade provocatoria (lo chiaristi nei commenti), parlavi di “populismo no DAD”. Che cosa, come, e perché e quanto in fretta è cambiato, da allora, per portarti a promuovere convintamente l’appello di Condorcet con quelle parole e, ora, questo pezzo?

    Grazie per le riflessioni e la dialettica!

  13. Caro Rizzi,
    il suo ragionamento è coerente. Io non lo condivido, perché penso che la scuola debba essere inclusiva, non selettiva. Ma per dimostrare questo ci vuole almeno un articolo, lo capisco.
    Ci sono però due difficoltà, rispetto al suo ragionamento:
    1) l’obbligo scolastico arriva fino a 16 anni, quindi mettere una selezione alla fine della prima, a 15 anni, è incongruente, perché ferma gli studenti in pieno obbligo; e questo avviene perché c’è una incoerenza tra la fine del primo ciclo e la fine dell’obbligo;
    2) il problema fondamentale è la dispersione scolastica, cioè la quantità di studenti che lasciano la scuola: è un dato di fatto che essa tocca il massimo in prima superiore e tra la prima e la seconda: la scuola democratica non può espellere dal sistema scolastico gli studenti; riorientarli è una cosa, espellerli un’altra, non ci si pu limitare a dire “non sono portati per lo studio”.
    Ma su tutto questo tornerò con un lavoro serio, non si chiarisce in poche righe.

    Cara Orsetta,
    ogni punto della proposta può essere presto sul serio o no, è vero.
    1) Verifiche in presenza, c’è un problema; non si può regolare per legge, si può fare formazione, hai ragione; per me era importante sollevare il problema, perché poi la risposta non può essere data da regole, ma dal buon senso sostenuto da una buona relazione didattica.
    2) Fine al 30 maggio: certo, se si devono fare gli scrutini a inizio giugno, è ipocrita continuare fino al 10 giugno, anche qui siamo d’accordo.
    3) Su abolire gli esami di stato sfondi una porta aperta, così come sul recupero dei laboratori. Però gli esami di stato sono intoccabili in Italia, non li può smuovere neanche una rivoluzione.

    Sul “populismo no DAD”: all’epoca avevo usato l’espressione in modo pesante, spogliata della carica di aggressività e semplificazione volevo criticare chi demonizza la DAD. Non ho cambiato posizione, né abbiamo cambiato posizione come Condorcet: la DAD è necessaria e preziosa come strumento di emergenza; è utile come strumento ordinario integrato alla didattica in presenza; però periodi troppo prolungati di “DAD di emergenza” non possono che provocare dei danni nella formazione degli studenti, perché la relazione didattica ne risente enormemente. Ecco perché la nostra proposta è diminuire i periodi di DAD e aumentare i periodi in presenza, programmando il calendario (anche a settembre). Ma tutto quello che è successo mi ha reso molto pessimista: vedrai che anche l’anno prossimo la scuola inizierà non prima di metà settembre, e diverse regioni del sud inizieranno oltre il 20.
    Ho appena scoperto che a Benevento la scuola quest’anno è iniziata il 1 ottobre; e ha richiuso tre settimane scarse dopo.
    Tutto questo si ripeterà, e noi continueremo a fare gli struzzi.

  14. Egregio Sig. Piras,

    riguardo alla faccenda dell’obbligo scolastico, di incoerenza ce n’è una più grossa di quella che lei ha notato.
    “Obbligo scolastico” significa che l’alunno ha l’obbligo di frequentare un corso scolastico, ma l’ipocrita buonismo che la fa da padrone ha interpretato la cosa come “obbligo a promuovere l’alunno”: l’alunno DEVE uscire da quell’Istituto con un pezzo di carta in mano, che attesti d’aver raggiunto un livello di conoscenze, competenze ecc. che magari non ha; se ciò non accade, la colpa è degli insegnanti a prescindere dal comportamento scolastico dell’alunno. Naturalmente questo agire è del tutto idiota; e masochistico dal punto di vista delle ricadute sulla società: ma il perché fargli credere questo e perpetrare questo falso in atto pubblico, ha delle ragioni che travalicano il pezzo che stiamo commentando.

    Il problema della scuola inclusiva e non selettiva (anche se non si capisce perché le due cose debbano essere antitetiche) è risolvibile cercando altri sistemi di istruzione: il primo che mi viene in mente è quello Steineriano, ma ce ne sono altri e immagino che lei lo sappia meglio di me. Purtroppo a monte di questo c’è un problema, secondo me: che non si può passare di punto in bianco da un sistema all’altro. Forse lo si potrebbe, se stessimo ancora parlando della scuola della Riforma Gentile.
    Ma con la deregulation che c’è stata, abbiamo un sistema scolastico modulato sulla deresponsabilizzazione e l’analfabetismo funzionale.
    A mio parere, per poter effettuare questo cambiamento, occorrerebbe tornare prima a una scuola selettiva per un periodo di alcuni anni, in modo da testare con calma i vari sistemi educativi ad essa alternativi; e poi sostituirla con uno di essi grado a grado.

    Lei capisce che stiamo parlando di fantapolitica: non esiste in Italia una classe politica che voglia operare in questo modo (cioè, in generale, per implementare la qualità della vita della popolazione); e quel che è peggio, non c’è un popolo con una maggioranza tra gli aventi diritto al voto in grado di esprimerla.
    In altre parole i giochi sono fatti ed è sancita la divisione in due della società: tra una maggioranza sempre più alienata e incapace di analisi critica; e quella che provocatoriamente chiamo “minoranza sana”: incapace però, almeno finora, di organizzarsi seriamente per iniziare a cambiare le cose; o almeno a proporre strutture, che le permettano di sopravvivere fino all’implosione del sistema.

    Ma qui stiamo uscendo dal tema trattato dal suo intervento.

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