di Laura Pugno

 

[E’ appena uscito per Ponte alle Grazie Musa e getta. Sedici scrittrici per sedici donne indimenticabili (ma a volte dimenticate), un libro a cura delle attrici romane Silvia Siravo e Arianna Ninchi in cui 16 scrittrici contemporanee raccontano 16 grandi donne vissute all’ombra di grandi uomini. Pubblichiamo il testo di Laura Pugno dedicato a Sabina Spielrein].

 

1. Uno spazio che ci sembra un teatro

 

Siamo in uno spazio che ci sembra un teatro, ma come ci sembrano le cose dei sogni. Tutto è buio, con delle piccole luci in fondo. Vediamo appena, ma a poco a poco i nostri occhi si abituano, cominciamo a scorgere qualcosa. Il buio, la situazione inconsueta, dovrebbero darci affanno, angoscia, e invece.
Intravediamo una scena, forse un palcoscenico, ma subito dopo ci sembra che sotto i nostri piedi la terra sia terra battuta.
Una figura viene avanti, verso di noi.
È una ragazza, ci fa segno di avvicinarci, sembra che voglia sfiorarci la mano. È così giovane, avrà non più di diciannove anni. Ubbidiamo. Sentiamo la sua voce. Chiudiamo gli occhi. Lei ci invita a sederci, a rannicchiarci accanto a lei, accanto alle piccole luci, e dice:

 

2. La stanza

 

Pensa, ora, a una stanza completamente chiusa, senza finestre, nel mezzo di una grande casa. Così era la stanza d’analisi di Sabina Spielrein a Rostov-sul-Don, in Russia, nella casa in cui visse e lavorò dal 1924.
È ancora possibile vedere la casa, e quindi la stanza.
Perché Sabina ha scelto proprio quella stanza?
Cosa cercava, Sabina?
(E quindi, la vera domanda è, chi era?)

 

Un luogo dove è possibile chiudersi completamente,
dove è possibile perdersi,
dove è possibile curare?

 

Scrive di lei Coline Covington: “Durante questo periodo della sua vita la Spielrein fu descritta dai parenti come una figura solitaria, intensa, seria, che lavorava molte ore, puritana nel vestire, solita a indossare vestiti vecchi e anche logori, così da non dovere spendere soldi per sé. (…) L’ultima notizia di lei risale all’estate del 1942 quando fu vista con le sue due figlie in una colonna di ebrei intruppati dai nazisti verso la forra di Zmeyevsky”.

 

Sabina ha 57 anni.
Muore la morte di milioni di altri, di infiniti altri.
Muore quella che è sempre stata, nella stanza chiusa all’interno di sé, una mistica.
Qualcuno che cerca la via del fuoco, l’amore di dio.

 

3. Figure

 

Mentre sentiamo queste parole, un’altra figura femminile avanza dal fondo e viene verso di noi. Si siede per terra accanto alla ragazza che abbiamo già visto, quella che ci sta parlando. È una donna anziana, eppure lei e la ragazza si somigliano, hanno i capelli lunghi, lunghissimi, il volto troppo distante e in ombra perché possiamo vederlo. Sono un doppio e uno specchio.
La donna e la ragazza si prendono per mano. Prendono per mano anche noi. Formiamo un cerchio. Percepiamo, nello spazio-teatro, la presenza di altre persone, spettatori? Dietro di noi, intorno a noi.
Sogniamo che questo non sia un teatro ma un cerchio di corpi intorno a un fuoco, a un giro di luci led che illumina e non brucia, a un fuoco che brucia.

 

4. Le lettere

 

Nel 1977, a Ginevra, un fascio di lettere di Sabina Spielrein a Carl Gustav Jung e Sigmund Freud viene ritrovato nei sotterranei del Palais Wilson, che era stato la sede dell’Istituto di Psicologia.
A questo ritrovamento, ne seguiranno altri, di altri documenti, in particolare del fondo Edouard Claparède.
È l’apparizione di Sabina Spielrein.
(Prima, quindi, Sabina era scomparsa.)
Diventata una nota a piè di pagina nei manuali, nei libri di storia della psicoanalisi.
Il “caso difficile” di cui Carl Jung scrive a Sigmund Freud, dicendogli che sta applicando il suo nuovo metodo.
Ci si dovrà quindi chiedere se la scomparsa faccia necessariamente di lei (di noi) una vittima, se non renda invece più liberi, o anche solo liberi.
Scrive Nicolle Kress-Rosen: “Coloro che scoprirono Sabina la inventarono anche, e da allora abbiamo continuato a farlo”.
Scomparire nello spazio della Russia e nel tempo della storia. Scomparire da cosa. Per fare cosa?
Portare la psicoanalisi in Russia.
Creare un asilo, l’Asilo Bianco, un luogo di educazione e di istruzione nuovo, per bambini come la bambina che era stata.
L’Asilo Bianco fu chiuso da Stalin.
Sabina Spielrein fu uccisa dai nazisti. Con le sue due figlie.
Conosciamo la Storia.
Continuiamo a sorprenderci di queste morti atroci.
Pensiamo ora indietro, verso l’apparizione.

 

5. Giocare pulito

 

È il 1977 quando le lettere vengono ritrovate. Sabina, nel 1924, partendo per la Russia, non le ha portate con sé.
Ha lasciato indietro ciò che in quelle lettere era?
È il 1980 quando Aldo Carotenuto, psicoanalista junghiano, pubblica “Diario di una segreta simmetria”, in cui racconta per la prima volta al pubblico la storia di Sabina, la ragazza che si trovò tra Jung e Freud. La paziente, l’allieva, l’amante di Jung. Poi l’allieva, la collega, la corrispondente di Freud.
Spiel-rein, in tedesco, significa “giocare pulito”.
Giocare pulito.
È proprio intorno al “caso Spielrein” che l’amicizia tra i due uomini per la prima volta s’incrina, per il comportamento di Jung con la ragazza quando, temendo uno scandalo, rompe con lei. Il resto avverrà – per motivi dottrinali, per successione mancata, per ambizione e rivalità – due anni dopo. La psicoanalisi nascente ha il suo scisma.
Da paziente diventata medico, Sabina lo rifiuterà.
Ma andiamo con ordine.

 

6. Il manicomio e l’hotel

 

L’hotel Bauer en Ville, sulla Paradeplatz di Zurigo. Esiste ancora, potreste dormirci, volendo. Oggi è un cinque stelle, nel cuore della città, con i bagni di marmo.
Un alto edificio bianco, una scala a chiocciola art déco, tovaglie bianche e bicchieri di cristallo.
Intorno i tetti scuri, i campanili, le piazze della città svizzera.
Possiamo immaginarlo senza fatica più di cento anni fa, nel 1904, con la luce del cielo d’estate.
È il 17 agosto. Aspettiamo che scenda la notte. Aspettiamo Sabina.
Eccola.
Entra in scena con furia.
Sono le dieci e trenta di sera.
Scrive Sabine Richebächer: “La figlia del ricco commerciante ebreo Naphtul Spielrein di Rostov-sul Don fa una tale scenata che deve essere ricoverata nella clinica psichiatrica Burghözli”.
Abbiamo le sue cartelle cliniche, abbiamo la diagnosi di Jung, il giovane medico di Basilea che l’ammette in reparto.
Isteria. C’è chi parlerà di isteria psicotica, chi addirittura di schizofrenia.
Isteria: tutto il corpo diventa un sintomo.
Tutto il corpo dice.
Quella notte, Sabina è accompagnata da uno zio medico, il fratello di sua madre Eva, e da una guardia. L’hanno dovuta portare via dall’hotel. Grida, ride, contrae le gambe, fa smorfie, ha dei tic.
Urla di avere mal di testa.
Urla di non essere pazza. All’hotel c’era troppa gente, la luce, il rumore.
Avrà un’infermiera privata e una stanza tutta per sé. La famiglia Spielrein pagherà, di retta, 1250 franchi a trimestre, la tariffa privata, perché in Svizzera Sabina è straniera. Esattamente quello che il suo medico, Carl Gustav Jung, scrive Angela Graf-Nolde, guadagna in un mese.

 

7. Non per la prima volta

 

Sabina non è al suo primo ricovero. È già stata per un mese a Interlaken, presso la Clinica e Terme dr. Heller, specializzata per malati di nervi. Trattamento clinico. A Zurigo, doveva essere ricoverata presso la clinica privata del dr. Costantin Monakov, emigrato russo. In città c’è una vera e propria colonia russa. Lì in Svizzera, l’Università è aperta alle donne, in Russia no.
A Zurigo, le donne possono studiare Medicina.
Il dr. Monakov è uno specialista di anatomia cerebrale. Ma come Jung scriverà nella cartella clinica di Sabina, rifiuta la nuova giovane paziente perché “troppo agitata”.
La scenata all’hotel Bauer non avrà aiutato di certo.
Così, Sabina arriva al Burghözli.
Presso il Centro diretto dal professor Eugen Bleuler, le isteriche sono poche. Pazienti meno gravi rispetto agli schizofrenici – allora classificati come affetti da dementia praecox – possono essere, forse, trattate con successo con il nuovo metodo del professor Freud di Vienna.
L'”Interpretazione dei sogni”, di Freud, è uscito nel 1899. Anche se non è ancora molto chiaro in che cosa la “psicoanalisi” consista.
Ma Vienna non può ancora rivaleggiare con Zurigo: il Burghözli è una clinica di fama, che Eugen Bleuler – “il tipo d’uomo che riuscirebbe a dare un buon nome al patriarcato”, scrive John Kerr” , gestisce come una comunità terapeutica. O un monastero psichiatrico.
I medici, con le loro famiglie – e tra loro anche Jung con la moglie Emma, incinta del primo figlio – vivono presso il Centro, in appartamenti privati. Medici e pazienti pranzano insieme, e i pazienti possono anche collaborare, come assistenti, alle attività. Sarà il caso di Sabina. Suo zio è medico, sua madre è dentista, anche se esercita più per piacere che per denaro, dato che la famiglia Spielrein è ricca.
E proprio dalla sua famiglia il Burghözli riesce a tenere Sabina lontana, perché solo quella lontananza, insieme alle cure, potrà guarirla. Ancora più di Jung, Bleuler sarà fermo su questo, fino a vietare al padre di Sabina di farle visita “per prenderle le misure di un vestito”. Potrà, scrive Bleuler, mandare dalla figlia la sua sarta. Quando uno dei fratelli di Sabina si trasferisce a Zurigo, di nuovo Bleuler scrive a Naphtul/Nikolaj Spielrein che questo è male per la sua paziente, e che sarebbe meglio evitare ogni richiesta e ogni contatto.
Solo in solitudine Sabina potrà avere libertà.
Se Sabina è ricca, Emma Rauschenbach, la moglie di Jung, figlia di industriali, è ricchissima. Carl Gustav no, la sua famiglia, pur di alta estrazione sociale – pastori protestanti e rettori di università – negli anni si è impoverita. Si favoleggia in casa di una lontana, illegittima, discendenza da Goethe.
Quando Jung ha tre anni, nel 1978, sua madre, Emilie Preiswerk, entra in depressione. Viene ricoverata, lontana da casa. A occuparsi del piccolo Carl, in quei lunghissimi mesi, sarà una giovane domestica, una ragazza bruna. Il secondo amore, la seconda madre.
Il doppio sarà ovunque, nella vita di Jung. Perché anche sua madre Emilie non è una, è due. La donna che regge la casa, pratica, raziocinante. E un’altra donna che di notte parla con gli spiriti, o a sé stessa con un’altra voce, una seconda personalità che appare solo a tratti, o quando si spengono le luci. Che diventa parte, come lo diventano queste cose inspiegabili, della vita della casa.
Il corpo parla attraverso gli spiriti. Attraverso i sintomi.
Anche la cugina di Jung, Helene Preiswerk, diventata adolescente, si crederà una medium. Su di lei Carl condurrà i primi esperimenti psicologici. Di lei si innamorerà, su di lei scriverà la sua tesi di Medicina.
Poi partirà per Parigi.
Sono passati molti anni da allora. Ora Carl Gustav Jung è un giovane psichiatra in ascesa, il numero due della famosa clinica Burghözli, qualcuno che cerca il modo di dimostrarsi al mondo.

 

8. La cura

 

Ed ecco Sabina, il suo corpo un groviglio di nervi, un non detto che pervade.
Il corpo che parla selvaggiamente, che sente tutto ciò che la mente dice.
Che la mente non dice.
L’infanzia, la primissima infanzia in Russa. L’educazione con violenza. L’umiliazione di mano di suo padre, davanti ai fratelli. Il dilagare di sua madre. Il masochismo che ne deriva. Le fantasie fecali, l’eccitazione, il turbamento. La convinzione – lei discendente di grandi rabbini, come Jung lo è di sacerdoti e pastori – di essere chiamata a grandi cose, in un tempo e un Paese che non lo rende possibile a una giovane donna.
La perdita di dio, il desiderio di dio.
La morte per tifo a quattro anni, di sua sorella, la sua sorellina Emilia, che la manda in pezzi. Le difese crollano, l’Io non regge più.
Sabina diventa un corpo che urla e si contorce, una bambina in apparenza demente che minaccia il suicidio, che aggredisce le infermiere, che si tocca in continuazione, freneticamente, non appena qualcuno la costringe, le fa del male. Sabina desidera che le si faccia del male. Niente di più facile.
Una giovane russa, ricca, colta. Jung intravede la sua opportunità. Sarà il suo primo caso da trattare con il nuovo metodo dell'””Interpretazione dei sogni”, e con il test, che Jung stesso ha sviluppato, della libera associazione di idee.
Freud commenterà: “È qualcosa di positivo che la sua russa sia una studentessa. Le persone non colte sono per il momento per noi troppo impenetrabili”.
E Sabina stessa, nella prima lettera che abbiamo per Jung – solo un frammento, di prima del 1911 – scriverà: “Nella mia anima si è fatta luce e così dovrebbe avvenire anche nella Sua. Il mio scopo principale è sempre di coltivare in Lei tutte le cose meravigliose, ma per fare ciò è necessario che mi ami. I Suoi stati d’animo idealistici coincidono con l’amore per me: io sono il Suo ‘primo successo’; i dubbi che Lei ha sulle proprie forze si manifestano anche nella Sua resistenza nei miei confronti; se ha dei dubbi, Lei per me diventa soltanto il dottore. Io voglio vederLa grande!”
Solo poco tempo prima, Jung ha annotato nel suo taccuino un caso immaginario, una certa Sabine S. Forse, quando prende in cura Sabina, l’immaginazione che si trasforma in realtà, il giovane Jung ha già l’intenzione di scrivere a Freud.
In certo senso, Sabina è una strana, misteriosa esca.
Già il 25 settembre 1905, su richiesta della madre di Sabina, Eva, Jung prepara una “relazione” per il professor Sigmund Freud di Vienna, in cui descrive il caso di Sabina e per così dire gliela affida, perché la paziente ha avuto la sventura di innamorarsi di lui.
Sull’intestazione c’è scritto, “Relazione sulla signorina Spielrein per il professore Freud in Vienna, recapitata alla signora Spielrein, da usarsi nel caso se ne presenti l’opportunità”.
Poi non accade nulla.
L’amore non pone problema, per ora.
Sabina continua la cura con Jung.
Non c’è nessuno scandalo, nel 1905. Nessuna crisi, nessuna rottura. Tarderà ancora anni, perché?
Amore di traslazione, transfert: non c’è ancora il nome, ma già si conosce la cosa.
Jung la conosce. Non è la prima volta che le sue pazienti si innamorano di lui. Ancora tutto è molto oscuro, presentito più che pensato: che sia l’amore, insieme alla parola, la materia della cura.
Ma stavolta, misteriosamente, anche Jung si innamora. Ricambia, brevemente, la passione di quella ragazza bruna. Perché accada ci vorranno anni. Dovrà arrivare il 1908.
Il 20 giugno, nella prima lettera d’amore e non d’amore, Jung scrive a Sabina:
“Mia cara Sig.na Spielrein,
Lei è davvero riuscita a toccare il mio inconscio con la Sua lettera mordace. Una cosa così poteva succedere solo a me.
Lunedì sono impegnato tutto il giorno con il dr. Jones. Tuttavia verrò in città martedì mattina e mi piacerebbe incontrarLa alle 11.00 al pontile di attracco del vaporetto nella Bahnhofstrasse. Per poter essere soli e parlare indisturbati, prenderemo una barca e usciremo sul lago. Nella luce del sole, e sulle acque aperte, sarà più facile trovare un orientamento chiaro per uscire dal tumulto di questi sentimenti. ”
Lì, sulle acque del lago, per Jung, come le scriverà, l’immagine di Sabina cambia completamente. Lei diventa per lui qualcun altro.
Sabina scriverà a Freud: “Il mondo intero era per me come una melodia: cantava la terra, cantava il lago, cantavano gli alberi, ramo per ramo” .

 

9. Cosa resta

 

Controtransfert, Anima, Ombra.
Tutte queste parole-idee, che prima Jung scambierà con Freud, e poi, quando tra loro sarà finita, quando tutto sarà silenzio, da solo – nascono intorno a Sabina, con Sabina.
Queste parole, e l’idea di distruzione.
La distruzione come causa della nascita, sarà il titolo del primo saggio di Sabina.
Freud lo rifiuterà per anni, fino, a suo modo, a convincersene.
Controtransfert, Anima, Ombra, pulsione di morte.
Sabina diventa un luogo in cui si pensa.
Sabina pensa, scrive. Diventerà medico. Una donna medico, nell’Europa del primo Novecento.

 

10. Il corpo dovrà essere cremato

 

Sabina Spielrein entra al Burghözli, Istituto di cura e terapia, il 17 agosto 1904. È la paziente n. 8793. Viene dimessa il 1 giugno del 1905. Le sue condizioni sono migliorate, tanto che si iscrive alla facoltà di Medicina. Jung le scrive delle referenze, ma non basta. È un’ex paziente psichiatrica, e questo le getta un’ombra addosso. Dovrà intervenire il Direttore, Bleuler. Il 27 aprile del 1905, su richiesta di Sabina, scrive:
“La signorina Sabina Spielrein di Rostov-sul-Don, che risiede in questo Istituto e che intende immatricolarsi nel semestre estivo presso la facoltà di Medicina, non è malata mentale. È stata qui per un disturbo nervoso con sintomi isterici. Pertanto la raccomandiamo per l’immatricolazione” .
Potrà proseguire gli studi.
Prima di lasciare la clinica, Sabina fa testamento. Il suo corpo dovrà essere cremato in segreto, nessuno potrà assistere, le ceneri divise in tre parti. Una parte dovrà essere inviata a casa e sparsa sulla terra del campo più grande della famiglia. Lì dovrà essere piantata una quercia con la scritta: “Anch’io fui una volta un essere umano. Il mio nome era Sabina Spielrein”.

 

11. L’uno e il due

 

Nelle dimissioni dal Burghözli, Sabina è detta curata. Non guarita?
Cos’è guarire?
Diventare medico.
Guaritrice ferita.
Tutti i guaritori sono feriti.
La storia di Sabina e di Jung è una storia d’amore, una storia del due?
(Per quello che accade tra loro, Sabina usa la parola poesia).
In realtà, la storia di Sabina non ha a che vedere col due. Né con amore ricambiato, né con carnefici e vittime.
Come la poesia, ha a che vedere con l’uno.
Con – ironia della sorte, o giustizia poetica – il diventare sé. Quell’individuazione, quella cura come fine e non come causa, che sarà la ragione interna della teoria di Jung.
La teoria per cui romperà con Freud, che lo ha scelto come erede. Per le sue qualità intellettuali, per il suo prestigio, e perché è ariano, nell’Europa antisemita che cova in sé il nazismo senza ancora saperlo, e che potrebbe fare della psicoanalisi una scienza ebraica.
Quando le cose d’amore andranno come è facile immaginare che sarebbero andate – la moglie di Jung, Emma, che scrive alla madre di Sabina una lettera anonima; Eva che minaccia lo scandalo; Jung che reagisce gettando fango, scrivendo lettere che poi i suoi eredi tarderanno anni a pubblicare, per proteggere il suo nome – Sabina fa una cosa.
Scrive a Freud.
Non chiede un prezzo per il suo silenzio, chiede di continuare a cercare un destino.
Nella psicoanalisi nascente, oltre a Jung, prima di Jung, c’è solo Freud, che possa portarla verso quel destino. L’unica sostituzione possibile, l’unico rimedio per non scomparire nel corpo, di nuovo, per sempre.
E Jung racconta a Freud mezze verità.
All’inizio, Freud difende Jung. I due giocano tra loro il gioco più pericoloso, padre e figlio, re e principe, fondatore ed erede. Non potrà funzionare, ma ancora non lo sanno.
Quando s’incontreranno per la prima volta a Vienna, il 3 marzo del 1907, parleranno per tredici ore.
Tra loro, Sabina crea una complicità. Anche Freud ha rischiato di scottarsi, con altre incandescenze, e lo scrive a Jung. Il 18 giugno del 1909 gli scrive,
“Si ricordi del bel paragone di Lassalle a proposito dell’alambicco spezzato in mano al chimico “Un leggero corrugare della fronte per la resistenza della materia, e poi il ricercatore prosegue il suo lavoro”. Data la natura del materiale con cui lavoriamo, piccole esplosioni di laboratorio non potranno mai essere evitate”.
Sabina, la materia alchemica. Ma presto le cose cambiano. Come sempre nell’alchimia, come Jung imparerà a sue spese, ogni cosa si rovescia nel suo contrario.
Il 4 dicembre del 1908, Jung le scrive:
“La mia mente ha raggiunto il fondo. Io, che ho dovuto rappresentare una salda torre per molte persone deboli, sono il più debole di tutti. Lei mi perdonerà se sono come sono? Mi perdonerà se La offendo nell’essere così e nel dimenticare i miei doveri di medico nei Suoi confronti? Comprenderà che io sono uno dei più deboli e dei più instabili tra gli esseri umani? E non si vendicherà mai su di me per tutto questo, con le parole, i pensieri o i sentimenti? Sono alla ricerca di qualcuno che capisca come amare, senza penalizzare l’altro, renderlo prigioniero o dissanguarlo completamente; cerco questa persona non ancora realizzata che renda possibile un amore indipendente da vantaggi o svantaggi sociali, così che l’amore possa essere sempre un fine in sé, e non solo un mezzo teso a uno scopo. Per mia sfortuna io non posso vivere senza che nella mia vita vi sia la gioia dell’amore, dell’amore impetuoso e sempre in trasformazione (…) Qual è la cosa migliore da fare? Non lo so e non me la sento di dirlo, perché non so che cosa Lei farà delle mie parole e dei miei sentimenti. (…) Ora mi restituisca qualcosa dell’amore, della pazienza e dell’altruismo che io riuscii a darle nel momento della sua malattia. Ora sono io il malato” .

 

12. Adesso guarda

 

Alza per un momento gli occhi da quello che stai leggendo. Smetti, ora, di ascoltare questa voce. Per un momento. Accendi il computer, se non è già acceso, o prendi il telefono. Voglio farti vedere una cosa.

Un video.

 

La donna più giovane si alza, va verso un enorme schermo e con un telecomando l’accende. Il Sole invade la stanza. È qualcosa di ipnotico e di enorme. Il suo colore è il colore oro, il suo lento movimento su sé stesso rende impossibile alzare gli occhi. Il video è un time-lapse, dal 1 giugno 2010 al 1 giugno 2020, ogni secondo un giorno. Sono le osservazioni del Sole raccolte da un telescopio spaziale della Nasa, il Solar Dynamics Observatory, che da dieci anni orbita intorno alla Terra. La giovane donna torna a sedersi vicino a noi, e alla sua compagna.
L’altra donna, che avrà poco meno di sessant’anni, si accarezza le spalle, le braccia. Sembra percepire, come lo percepiamo noi, il calore del sole sul suo corpo. Abbiamo la sensazione di assistere a un rito, ai gesti di una religione. La ragazza riprende a parlare.

 

Questa è la forma che prende l’amore di Sabina. Crede a Jung come a un dio solare, sogna – per anni, per anni – di avere da lui un figlio, Sigfrido, destinato a un grande destino, a ricongiungere i mondi. Sigfrido, l’eroe delle saghe, l’uccisore di draghi. La musica di Wagner la incanta, Sabina stessa desidera, per anni, diventare musicista. Nei suoi sogni, Sigfrido è una luce, una candela, un libro, una crisalide, qualcosa, qualcuno che va amato in altro modo, perché così vuole la vita.
Una scintilla.
Ma Sabina stessa è il suo Sigfrido. O deve diventarlo, se vuole continuare a vivere.
Tra Jung e Freud, non sceglierà, non si farà costringere a scegliere.
Il 3 dicembre 1917, quando già l’amore è finito da tempo e la distanza consumata, due anni prima che smettano di scriversi, Sabina Spielrein scrive a Jung:
“Caro Dottore,
Rileggendo la sua lettera, mi rendo conto che forse non ho capito bene ciò che Lei intende dire. La prego di avere la pazienza di leggere la lettera acclusa, che avevo già scritto, e le 4 domande che desidero farLe.
1) Che cosa significa per Lei “vivere qualcosa simbolicamente”, visto che Lei concepisce il simbolo come qualcosa di reale?
2) Come si fa a vivere qualcosa simbolicamente?
3) A cosa ci serve una vita simbolica?
4) Se, per esempio, il simbolo mi dice che ho un “atteggiamento eroico”, questo lo so anche senza simbolo. Che cosa rivela l’analisi di questo simbolo?”
La quinta domanda, aggiunge Sabina, l’ho dimenticata.
Cinque anni dopo, nel ’23, torna in Russia. Prima di partire, chiede consiglio a Freud, che approva. Il 9 febbraio, nell’ultima lettera tra loro, le scrive, “Lì può fare cose eccellenti. Questi sono tempi difficili per tutti noi” .

 

13. Tutte le altre

 

L’artista Alessandra Calò, nel suo progetto “Secret Garden”, raccoglie lastre negative dei primi del secolo, ritratti di donne, ragazze, bambine. I loro nomi sono perduti e così, sono altre donne, artiste, scrittrici, ad inventare una nuova vicenda per queste figure. Ogni lastra è poi inserita in una scatola nera che contiene anche un piccolo erbario, un hortus siccus, e costituisce un’installazione, un giardino buio, appena illuminato da luci che si levano da terra. Ada, Adelina, Amelia, Antonietta, Bruna, Caterina, Constance, Egle, Elisa, Faezeh, Fedora, Fernanda, Irma, Jana, Lucia, Maria, Nora, Ruth – o non c’è, o non c’è ancora, una Sabina, eppure in qualche modo sono Sabina, tutte loro.

 

14. Andare via

 

Il 2 settembre 1911, Sabina Spielrein si laurea in Medicina all’Università di Zurigo, con una tesi dal titolo Sul contenuto psicologico di un caso di dementia praecox – il nome che allora si dava alla schizofrenia. Poi, lascia Zurigo. Parte per Monaco, poi Vienna, dov’è Freud. Diventerà psicoanalista, ammessa alla cerchia interna, ai “seminari del mercoledì”
Inquieta, inquieta sempre, viaggerà moltissimo. Berlino, Rostov-sul-Don, Losanna, Château d’Oex, Ginevra – dove nel ’21 sarà l’analista di Jean Piaget – Mosca, poi di nuovo Rostov-sul-Don, per restare.
Il 1 giugno 1912, Sabina improvvisamente si sposa. Con un medico russo, Pavel Sheftel, che ha conosciuto a Rostov. Ma ancora nel maggio del ’13, incinta, scrive a Freud, che intanto ha rotto del tutto i rapporti con Jung, di consumarsi di nostalgia per il suo antico amore. Freud le consiglia di aggrapparsi al presente e alla vita, “almeno per metà del suo tempo”. E Sabina chiamerà la sua prima figlia Renata, rinata. Renata non è Sigfrido, Renata è una bambina, Renata, nella realtà, è il sopravvivere al sogno. Il matrimonio non durerà a lungo, anche se la separazione sarà seguita da una riconciliazione, e nel 1926 nascerà la seconda figlia di Sabina e Pavel, Eva. Ancora un nome che significa un inizio.
Il nome di sua madre.

 

15. Whiteout

 

L’Asilo bianco, un foglio bianco, bianco all’interno e all’esterno. Cercare la chiarezza, trovarla.
Nei primi anni Venti del Novecento Sabina è a Mosca.
Nel suo diario, nel 1909, scriveva: “Non potrei mai dedicarmi a una vita tranquilla in seno alla famiglia. Io temo la tranquillità assoluta. Devo avere intorno a me delle persone con grandi aspirazioni, devo calarmi [erleben] nella vita di molti individui, devo riempirmi l’anima di sentimenti forti e profondi, devo essere circondata di musica e di arte. È vero, non potrei mai accontentarmi. Il mio ideale giovanile, come quello degli antichi filosofi greci, era di andare in giro per il mondo, circondati da un gruppo di studenti, e insegnare loro all’aperto, immersi nella natura. Vorrei insegnare loro un amore non artificiale, ma sincero per tutto ciò che è nella natura”.
Quando, nel ’24, Stalin decide di vietare la psicoanalisi, Sabina ritorna a Rostov.
Continua a praticare la cura che le ha salvato la vita, diventa fuorilegge.
In una stanza chiusa.
In una stanza invisibile al Novecento lì fuori, in un luogo segreto dove può compiersi l’opera al nero.
Ma il dentro non può vincere, il fuori, lo sappiamo, è armato fino ai denti.
Nel ’36 Stalin dà inizio al Grande Terrore.
I tre fratelli di Sabina, Ian, Emil e Isaac, i bambini che insieme a lei venivano battuti dal padre, vengono giustiziati. L’accusa è di appartenenza a organizzazione controrivoluzionaria, spionaggio.
Altri intorno a Sabina muoiono di malattia o di crepacuore: Pavel Schleftel di infarto, Vera Schmidt, durante un intervento chirurgico per il tumore che l’ha colpita alla tiroide.
Sabina è ormai quasi sola. In quel quasi ci sono le sue figlie.

 

Improvvisamente ci rendiamo conto, anche noi, di essere rimasti soli. La donna e la ragazza sono scomparse, così silenziosamente che non l’abbiamo notato. Si leva un vento leggero che fa turbinare le foglie, abbiamo freddo, ci accorgiamo di stare tremando. Dietro di noi non c’è più nessuno, il fuoco – ma era un vero fuoco, o solo un bagliore? – comunque si spegne. Sappiamo che è ora di andare.
Abbandoniamo la scena.

 

16. Qualcosa che aveva solo vagamente intuito

 

Il 16 settembre 1919, in quella che sarà una delle ultime lettere scambiate tra loro, Jung scrive a Sabina:
“L’amore di S. per J. ha reso quest’ultimo consapevole di qualcosa che in precedenza aveva solo vagamente intuito, cioè di un potere dell’inconscio che decide il nostro destino. Un potere che in seguito l’ha portato verso cose della massima importanza. La relazione doveva essere ´sublimata´, perché altrimenti avrebbe condotto alla delusione e alla pazzia.
Talvolta sembriamo del tutto indegni di vivere.”
La famiglia negherà per molti anni il permesso di pubblicare le lettere di Carl Gustav Jung a Sabina Spielrein. Usciranno, nell’edizione tedesca di “Una segreta simmetria”, solo nel 1986.
Nell’ultima lettera che abbiamo di Sabina a Jung, scritta probabilmente il 27 o 28 gennaio del 1918, lei conclude: “Ancora molte domande sorgono in me, ma per ora basta”.

 

17. Non riusciva a credere

 

C’è chi dice che nell’agosto del ’42, Sabina Spielrein si sia consegnata spontaneamente ai nazisti, insieme alle figlie, per essere rinchiusa nella sinagoga di Rostov, e da lì portata alla morte. Di certo, non ha tentato di fuggire.
Non riusciva a credere che la Germania potesse volerle fare del male.

2 thoughts on “La via del fuoco. Laura Pugno racconta Sabina Spielrein

  1. Racconto bellissimo. La storia era in gran parte nota ma il modo di ricostruirla di Laura Pugno mi appare particolarmente buono. Con un andamento ellittico che procede per frammenti e citazioni- illuminazioni Laura restituisce la complessità della vicenda e la sofferenza di tutti i protagonisti (compresi la moglie di Jung e i familiari di Sabina). Senza mai troppo “dire”, ma allineando , accostando, parole e fatti. Così al lettore appare trasparente l’anima grande di Sabina e quella in sostanza “piccola” dei personaggi comprimari (ben più famosi di lei). Sì, l’amore avrebbe potuto (dovuto?) costituire, più delle parole, “la cura”.

  2. Mi sembra che l’immagine in capo alla pagina non sia di Spielrein ma di Lou Andreas-Salomé.
    Il racconto è estremamente suggestivo. Allusivo, cosa particolarmente adatta a un personaggio così addentro ai meccanismi impenetrabili della psiche.

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