di Claudio Lagomarsini
Sette documenti di partenza, sette storie. Anche se il titolo del nuovo libro di Lorenzo Tomasin – Europa romanza. Sette storie linguistiche (Einaudi, in libreria dal 16 marzo) – evoca la sola storia linguistica, che è effettivamente il nucleo del saggio, al termine della lettura si ha l’impressione di aver imparato molto di più. Perché la storia della lingua, quando è affrontata con intelligenza, non può non andare di concerto con la storia delle idee, delle condizioni materiali, degli istituti giuridici, degli oggetti. Di tutte le cose, insomma, di cui si occupano le parole.
All’inizio – siamo a Venezia ai primi del Trecento – c’è l’archivio familiare di Guglielma de Niola, vedova del mercante Stefano Venier e discendente di commercianti aquitani. Leggendo i suoi attergati, cioè le annotazioni in volgare ai documenti di famiglia, non si penetra solo nel curioso impasto linguistico di veneziano e provenzale che caratterizza la lingua scritta di questa stirpe di mercanti, ma anche nell’esistenza complicata di una donna che, rimasta sola in un mondo di uomini, deve farsi carico di infinite questioni pratiche, decifrare atti in latino (la «grammatica» dell’insegnamento scolastico dal quale le donne erano normalmente escluse), rimettere ordine nell’archivio e nella famiglia.
Da Venezia ci spostiamo poi nell’Egeo, dove nel 1355 Pietro d’Alamanno, scrivano di bordo su una nave commerciale, stende il resoconto di un attacco di pirati. Il suo rapporto verrà copiato in Grecia, inviato in Francia, copiato ancora, infine trascritto a Venezia. Il risultato – piuttosto sorprendente per chi maneggia testi medievali in volgare – è un testo veneziano che, nonostante i vari passaggi della trafila, conserva intatti molti elementi del siciliano “marinaresco” di Pietro. E nel parlarci di questo singolare episodio, Tomasin ci invita a conoscere il Mediterraneo medievale, le parole che circolano nei porti, nelle dogane, sulle galere. Quando infine approdiamo al paragrafo sulla lingua franca, potremmo anche trovarci in un manuale universitario, e invece siamo immersi in un racconto avvincente.
Le scoperte più curiose, per la lingua e non solo, vengono da dove i più si attenderebbero unicamente la noia: le lettere commerciali, i registri di cancelleria, gli inventari, i testamenti. Ma prendete il carteggio di Bondì de Iosef, mercante ebreo di Arles che, mentre si sforza di scrivere un italiano di matrice toscana (dove restano inevitabilmente impigliati provenzalismi e giudaismi), fa chiedere notizie di una certa Lionor, una giovane ebrea che, come molti conversos dell’epoca, è fuggita di casa e ha fatto perdere le proprie tracce. Oppure considerate il caso dello speziale valenziano Bartol de Cavalls, che fa recapitare una lettera in toscano catalaneggiante a Maiorca, dove ha sede un fondaco italiano con cui è solito intrattenere commerci, per sapere se ci sono notizie di Lorenzo, il figlio scapestrato che avrebbe dovuto trovarsi da tutt’altra parte, a Venezia…
Il nuovo libro einaudiano di Tomasin, dopo Il caos e l’ordine. Le lingue romanze nella storia della cultura europea (2019), ha al centro i problemi teorici e metodologici di quella che gli addetti ai lavori chiamano “linguistica di contatto”, il ramo delle scienze linguistiche che si occupa di studiare situazioni in cui due o più lingue interagiscono tra loro, entrano in conflitto, pongono le basi per la nascita di lingue terze. Buona parte della linguistica di contatto si è finora concentrata sui testi letterari: si pensi per esempio al caso – interessantissimo – del cosiddetto «franco-italiano», la lingua d’arte con cui i giullari medievali adattavano alle parlate dell’Italia settentrionale il testo delle canzoni di gesta francesi, escogitando un idioma di compromesso che traduceva senza davvero tradurre. L’invito di Tomasin, ribadito nell’introduzione, è di guardare con nuovo interesse anche alla galassia dei testi pratici – in particolare a quelli mercantili, come per esempio alle scritture commerciali del ricchissimo Archivio Datini di Prato –, dove sono conservati tesori linguistici inestimabili per la conoscenza del vivace plurilinguismo (e mistilinguismo) nell’Europa medievale.
Lascio al lettore il piacere di scoprire le altre storie custodite in questo libro: si inizia dal Trecento e si arriva alla fine del Quattrocento, con una suite cinquecentesca che ci porta nel mondo della musica. Intanto si viaggia dall’Italia al Mediterraneo, alla Catalogna, ai ghetti ebraici d’Europa, alla Svizzera, all’Inghilterra, in territori dove le lingue romanze si impastano delle lingue sorelle o si arricchiscono con elementi di provenienza ancora diversa. È un manuale che non è un manuale di linguistica, una serrata analisi di documenti che è anche una godibile raccolta di racconti “tratti da una storia vera”.