di Corrado Costa

Con un’intervista di Tommaso Di Dio a Chiara Portesine

 

[Esce il 27 maggio in libreria Corrado Costa, Poesie edite e inedite (1947-1991), a cura di Chiara Portesine, il secondo volume (già disponibile in pre-ordine), del progetto di pubblicazione di tutta l’opera del poeta di Bazzano presso la casa editrice Argo Libri, che raccoglie tutte le poesie edite in volume e in rivista, assieme ad una nutrita sezione di inediti. Pubblichiamo alcune domande alla curatrice del volume e alcune poesie inedite dall’opera Pseudo-Pseudobaudelaire.]

 

TDD: Il progetto editoriale a tua cura e meritoriamente promosso da Argolibri ci permette di leggere, finalmente su di un testo affidabile, tutta la geniale produzione di questo autore scaleno del secondo Novecento italiano. Il libro accompagna il lettore dalle poesie del capolavoro combinatorio Pseudobaudelaire del 1964 a quel libro indefinibile che è The complete films (1983), di un’ironia spiazzante, modernissima e assai rara nella poesia italiana, passando per Le posizioni del 1972. Innanzitutto, mi piacerebbe che mi raccontassi come ti sei avvicinata a questo autore che nei recenti anni non è stato certo agevole leggere; e poi volevo che mi raccontassi in che modo hai lavorato sulle carte: quanto la perlustrazione dei materiali concreti e delle modalità compositive dei testi ha contribuito a modificare l’idea che avevi della sua poesia?

 

CP: Il mio avvicinamento a Costa è stato tutt’altro che lineare. Avevo iniziato a frequentare la Biblioteca Panizzi ai tempi della mia tesi triennale su Emilio Villa; passavo le giornate tra i manoscritti e, per evitare che venissi risucchiata dalle sibille, una sera Aldo Tagliaferri aveva organizzato una cena a Cavriago. Tra tigelle e vino rosso (decisamente troppo forte, per una genovese abituata alla “bianchetta” ligure), avevo conosciuto Amedea Donelli. Lei, scherzando in modo estremamente serio, mi aveva chiesto: «Perché non ti occupi anche di Corrado?» (e, aggiungendo a bassa voce, per non farsi sentire da Tagliaferri: «Detto tra noi, è molto più divertente di Villa»). Così è iniziata l’avventura costiana.

 

Provenendo da studi sui labirinti villiani (e sui laborinti dei Novissimi), ero sicura che avrei trovato tra le carte costiane una parentesi di ristoro da una certa forma di complessità e di ricerca (o sabotaggio) alle radici linguistiche della comunicazione. Non che mi aspettassi un poeta ‘facile’, beninteso, ma già pregustavo una sorta di linearità brillante e spigliata – è innegabile l’influenza esercitata dalle registrazioni delle performance di Costa, in cui la pagina scompare per diventare teatrino vocale o proiezione di ombre cinesi (o platoniche) nella mente dello spettatore. La sua vocalità, roca e caldissima, sembra tenere per mano il pubblico e prendersi cura del ‘piacere del testo’ – a differenza del distanziamento pedagogico caldeggiato da Sanguineti, per il quale il lettore deve essere educato a un approccio non empatico ma critico, all’insegna di una programmatica «ambivalenza nel rapporto con il fruitore – ti dispiaccio piacendoti e ti piaccio dispiacendoti».

 

Via via che leggevo i fittissimi taccuini conservati alla Panizzi mi rendevo conto, al contrario, che ogni verso di Costa nasceva con fatica, da una lotta (a volte tragica) con il pericolo del silenzio assoluto. Anche Costa, insomma, era tormentato dallo spettro dell’afasia – e questo è stato forse il testimone più ingombrante lasciato in eredità dal magistero di Villa.

 

TDD: In una ironica autobiografia del 1989, di sé dichiarava: «Corrado Costa sono due fratelli». Corrado Costa sembra trovare un equilibrio fra la professione borghese di avvocato e quella di istrionico poeta-performer del Mulino di Bazzano. Questa doppia anima, come si mostra nei suoi testi? Mi incuriosisce sempre in autori così apparentemente lontani dalle perifrasi dell’Io quanto la biografia entri nella scrittura e operi fino a piegarne la forma. In che termini i due fratelli si incontrano? Davvero l’uno censura del tutto l’altro?

 

CP: Come tutti i fratelli, anche l’avvocato Costa e il poeta Costa vivono un rapporto fatto di conflittualità, bisticci e burrascose riappacificazioni. Ci sono alcuni testi, in particolare tra gli inediti, in cui l’avvocato presta letteralmente la propria cartellina di lavoro allo scrittore. È il caso, ad esempio, di alcune poesie raccolte sotto il titolo di È nocivo. Abitiamogli la casa. Il tema centrale in questo breve aggregato di testi riguarda, essenzialmente, un’idea tossica del concetto di «abitare», collegato al lavoro alienato in fabbrica. L’operaio rientra a casa con un salario da fame, che lo costringe il giorno dopo a tornare a lavorare in un luogo «nocivo» e contaminante. Questo discorso sulla nocività del lavoro deriva, con ogni probabilità, da un grave episodio verificatosi a metà degli anni Settanta in un mangimificio di Rubiera, dove un giovane operaio era morto improvvisamente durante un turno di lavoro (forse per un’intossicazione). Costa aveva rivestito il ruolo di avvocato difensore dell’azienda, seguendo da vicino il dibattito sulla salubrità degli impianti alimentato dalla cronaca locale. Questo è un esempio abbastanza curioso di come l’esperienza avvocatesca arrivasse a influenzare la scrittura poetica, addirittura fornendo i temi di alcune poesie (una sorta di Musa togata).

 

Per quanto riguarda, poi, la rimasticazione di un certo lessico avvocatesco, ci saranno delle poesie (penso ancora una volta a un inedito, Teste d’accusa) in cui interi sintagmi o espressioni specialistiche verranno riversate direttamente in poesia – e forse sarebbe interessante indagare in questo senso l’intero Pseudobaudelaire, interpretandolo come un (camuffato) tribunale di poesia (istituito contro il potere? contro Dio? contro la stessa letteratura?).

 

TDD: In una poesia fra le mie preferite di Le nostre posizioni, dal titolo Alzare le gru ad alta voce, Corrado Costa riesce a creare uno straordinario dispositivo testuale che mostra la precaria connessione fra nome e realtà: «che nome è che gridano/ alle gru spaventate dal loro nomevolano via inseguite dal nome che le insegue/ che vola via sta insieme con le gru/ senza sapere che nome è». È un tema ricorrente nella poesia di Costa, che si presenta anche esplicitamente in Collocazione dei nomi, fino a trasformarsi nei paradossi ironici di The complete films. È come se ci fosse nella sua poesia una volontà di tenere presente la differenza fra segno e realtà, ma senza che diventi mai occasione di violenza sulle parole adoperate. Alla luce delle carte che hai studiato, ti sembra corretta questa affermazione? Come contribuisce secondo te questa attitudine alla parallela passione per il disegno?

 

CP: Le nostre posizioni è una raccolta interamente giocata sull’arbitrarietà del linguaggio e sulla precaria convivenza tra segno e referente, due separati in casa sempre sul punto di annunciare ufficialmente il divorzio. Come rilevi giustamente, questo mancato appuntamento tra linguaggio e realtà rappresenta uno dei macrotemi strutturali della poetica costiana. Addirittura, in un testo intitolato Affinità per ulteriori affinità (pubblicato nel catalogo di una mostra dell’artista Omar Galliani, allestita a Parma nel 1978), Costa costruisce una falsa definizione delle parole «fiume» e «fumo». In un’impaginazione che imita tipograficamente quella del vocabolario, Costa si diverte a scambiare i significati di due parole imparentate soltanto dal significante («FIUME sm. Quella specie di nuvola grigia che si eleva da cose che bruciano ed è un miscuglio dei residui della combustione» e «FUMO sm. Corso perenne che sbocca in un altro fumo, in un lago nel mare»).

 

Per quanto riguarda il Costa disegnatore (forse un terzo fratello, in questa famiglia allargata delle identità costiane), bisogna premettere intanto che, rispetto ai quaderni giovanili – in cui parola e immagine, verso e scarabocchio si intrecciavano, confermandosi o contraddicendosi nello spazio della stessa pagina–, nei taccuini successivi assistiamo perlopiù a una divisione professionale dei due ambiti. Il disegno acquista progressivamente una propria autonomia creativa e un’ironia ‘esteticamente scorretta’ (passatemi il neologismo) immediatamente riconoscibile. Ecco, forse nel disegno si può trovare una parziale conciliazione tra realtà e linguaggio, funzionale a creare delle vere e proprie satire di costume – dal momento che una parodia amara del potente (e, dell’essere umano in generale) ha bisogno di mantenere una certa riconoscibilità referenziale se non addirittura una fiducia nel segno e nelle sue potenzialità comunicative. Se avesse ragione il fratello disegnatore o il fratello poeta, poi, saranno la storia (e i lettori) a decretarlo.

 

*

 

Pseudo-Pseudobaudelaire (1962-1966)

 

Oroscopo

 

A questo punto della situazione

la giornata è sicura: cederete

al delicato esperimento, alla

tentazione extraconiugale. Sentimenti:

il consulente sessuale raccomanda eleganza.

La stagione moltiplica segnali favorevoli.

L’amore è il fenomeno più esteso

senza che per domani sia sicuro

un pronostico, i nati sono inquieti,

i mari sono agitati e mossi.

 

Segreto

 

stando, restando giù

           fuori hai sentito che ci sono notti più lunghe di noi

                          siamo costruiti al riparo – una ruo-

ta socchiusa

                         i movimenti tagliati via:

                                                                         essere

 

essere è ancora rimanere ai limiti

pericolosi del vento

                                della pioggia esterna

 

                                                                         su noi (la nostra pelle)

hanno contato un numero di occhi invisibili a occhio nudo

 

avere per soffrire e/o

non valere la pena e/o non

avere

 

Cacciatori di teste

 

sulla tua testa mutilata cresce ancora una

lingua apre la bocca dirige una risposta

per dare senso ai decollati hanno biso-

gno di una testa con persuasione stacche-

ranno la tua è giusto essere convinti di

morire se ce n’è una ragione ch’è di

là da venire se ce n’è dopo di noi

un congresso di muti con la bocca in collera

un congresso di ciechi in vista del futuro

un congresso d’artisti in lingua autorizzata

a nascere.

 

Risorse umane

 

accesa la luce: la giacca gli indumenti dei suoi presa la piega

con le due orecchie sinistre in silenzio che cadono: accesa in faccia

fra le altre cose in fondo, al buio, accompagnato all’interrogatorio

con chi è stato chiamato sotto il tavolo sottovoce sta in piedi

insegue il movimento delle labbra cercando senza fretta di vestirsi

per non volere uscire spontaneamente dalla storia cammina da seduto

con rispetto non risponde gli aprono la bocca ha tutto il peso

del corpo sulle gambe tagliate o lo chiamano: un altro per il braccio

tenuto in qua – stanno di là o lo lasciano andare: uno per mano

con qualcheduno uno Gesù sconfitto, uno dei suoi, uno dei nostri.

 

[Immagine:  Taccuino di Corrado Costa].

2 thoughts on “Pseudo-Pseudobaudelaire

  1. Non è dalle riviste patinate che si scopre un poeta… tuttavia è dalle riviste patinate che si esercita la critica di ogni genere; anche da queste. C’è da dire comunque che non è intervistando un benemerito sconosciuto che si rende noto un altro benemerito sconosciuto. Per quanto noti alle “piccole cerchie” gli sconosciuti restano tali anche dopo un’intervista priva di qualsiasi interesse a critici in cerca di notorietà! Piuttosto, se non si vuol essere una rivista di nicchia pubblicate poesie, come siete soliti fare, anche di poeti minori, tenendo presente quanto di grande ci può essere in una poesia ben scritta, sempre nella tradizione che la ha generata, spirito libero o meno che sia il suo autore.

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