di Fabio Pusterla
[Esce in questi giorni per L’arcolaio, nella collana Φ diretta da Gianluca D’Andrea e Diego Conticello, Truganini, di Fabio Pusterla. Pubblichiamo i primi sette frammenti seguiti dalla nota dell’autore al testo].
1.
Con ninnoli crestine
con paroline stucchevoli
tutto è stato distrutto
tutto è stato rubato.
Truganini non può dire io
Truganini non può ricordare nulla
perché io non esiste non è più neanche un altro
e la memoria è fuori corso senza parole
le cose della memoria non sarebbero riconoscibili
come cose vere tangibili.
Il mondo di adesso è fatto di cose diverse
non vuole ricordare quelle di prima.
2.
Giuggiole, zenzuini, arabeschi di pizzo:
e sotto lividi bluastri cicatrici.
Anche le fruste hanno impugnature cesellate d’avorio
anche la guerra nera diventerà una bella canzone.
3.
Bim bum bam
Truganini nella spam
Truganini brutta merda
che maltempo la disperda
Bim bum bam
Truganini nella spam
Truganini Truganini
coi zampetti dei gallini
con i baffi e con gli artigli
senza uomo e senza figli
Bim bum bam
Truganini sotto il tram
4.
Cantano i lupicini nell’attesa
di farsi come tutti crudelmente lupi.
Allora Truganini apre la bocca
lascia uscire il suo fiato di drago
e di fango. I lupicini scappano
terrorizzati e contenti.
5.
Per millenni da soli
estati autunni inverni primavere
e quante foglie cadute e risorte
quante stelle nel cielo
mille per mille lune
leggende di antenati.
Poi vennero le navi nere.
Scomparvero i corpi.
6.
Cos’è una roccia? un fiore?
Cosa una teleferica, cosa una mongolfiera,
un sentiero, un animale morto, una stella?
Cos’è un bastone, un’aquila, un fiume,
cos’è una frusta, una pallottola, una malattia,
la fine di tutti, una rondine caduta? E il male cos’è?
Truganini saprebbe tutte le risposte.
Truganini conosce tutte le domande.
E l’ultima fa più male chiede perché.
Si affaccia sul vuoto o sulla storia.
Sul vuoto della storia. Truganini
lo sa e si sporge. Li inquieta.
7.
Da tavolini per bridge o canasta,
da prati verdissimi su cui corrono variopinte nullità
giunge mellifluo insistente l’invito.
Vieni, possiamo giocare insieme. E dai, vieni anche tu.
Promettono promettono quelle voci melliflue.
Chiedono oblio, non dichiarati perdoni, viltà.
Dimenticare in parodie di rito.
Truganini non gioca con loro.
Non mai e non più.
*
Nota dell’autore
Truganini, secondo le cronache, fu l’ultima aborigena della Tasmania: l’ultima a morire, dopo il genocidio del suo popolo, verso la fine dell’Ottocento (armi utilizzate, le solite: uccisioni, guerra nera, malattie, campi di prigionia e di estinzione). In una fotografia d’epoca, Truganini appare orribilmente agghindata in foggia occidentale. Nel frammento 4, «lupicini» rinvia a Dante, Inf., XXXIII, 29. Nel successivo, si allude all’isolamento geo-antropologico della Tasmania, i cui abori-geni sono vissuti per millenni in totale, verosimilmente felice, solitudine.
La piccola silloge fa parte di un lavoro più ampio e non ancora ultimato, che ha come filo conduttore il motivo delle sbarre o delle gabbie.