di Roberta Salardi

 

[E’ uscito negli scorsi mesi Trilogia della scomparsa, di Roberta Salardi, per Effigie. Ne riprendiamo un brano]

 

Non è facile salvarsi se uno ne ha cinque o sei alle calcagna. Se si è in due, è probabile che uno si salvi e l’altro venga preso, perché il gruppo tende a restare compatto durante l’inseguimento. Verrà catturato quello che corre più piano oppure sbaglia strada perché si spaventa di più. È praticamente sicuro che uno si salvi e l’altro resti indietro. C’è sempre qualcuno che si salva.

Io e mia sorella, nel sogno del fiume, scivolavamo dentro l’acqua, come due foglie, due piroghe, due pesci che si muovono lentamente. I rami sopra il nostro capo intrecciavano disegni chiari e scuri, il sole con un pennello lasciava chiazze di colore qua e là. Giocavamo a foca ferita e a foca morta portandoci in salvo a vicenda.

Avevamo l’approdo vicino, le sponde molto basse. La bambina che era con noi era figlia dei ragazzi del fiume. Concepita da Fabiola durante una breve prigionia nella tenda del nemico, la nutrivamo con bacche ed erbe profumate. La tenevamo nascosta nella capanna e i ragazzi dell’altra sponda non ne sapevano niente. Talvolta le insegnavo a pescare.

Il fiume, un torrente spesso asciutto. Si dava battaglia sul greto, noi di qua, loro di là. Mia sorella aveva paura di tutto, dell’acqua come delle bisce; a me invece piaceva unirmi alla banda per le esplorazioni. In tali occasioni si faceva una tregua.

Il giorno dell’imboscata andavamo in fila indiana. Un-due, un-due… All’improvviso, quelle ombre dietro gli alberi…

«Diserzione!»

«All’attacco!»

«Ho perso un sandalo…»

Chi arriva prima è perduto. Chi si salva è perduto.

«Chi siete? Che volete?»

«Il primo libera tutti, l’ultimo fa penitenza.»

«Ho perso un fermaglio… »

«Ma il padre chi è?»

«Vai zitta in fila indiana.»

«Tieni in ordine la tua camera.»

«Lavati le mani, non vedi che sei sporca?»

«Pulisciti la faccia. Come ti sei ridotta?»

«Ho preso una storta.»

«Non ti vergogni? Vi siete picchiati? Come fa una bambina a ridursi come un maschiaccio?»

«Chi arriva per ultimo rifà la strada da solo.»

Dire, fare, baciare…

«E adesso come si fa? Si è rotta la collana…»

«Chi arriva per ultimo è un gatto, un topo, un lombrico…»

«Una è scappata.»

«E Fulvio dov’è?»

«Io non ti conosco.»

«Adesso rifai tutto da capo.»

Avevo preso una storta ma continuavo a camminare. Mi sanguinava il labbro, ma parlai come se niente fosse. Dissi a mio padre ch’era stata una caduta, una scivolata nel fiume. A mia madre non dissi niente.

La gonna era scucita, ma immaginai di salire le scale…

«Hai raccolto dei fiori?»

«No, sono scivolata.»

«Dove hai la testa? E tuo fratello dov’è?»

«Non so, ero da sola.»

«Devi badargli, stare più attenta.»

«Ci proverò.»

«Una volta che ti sei distratta è caduto nel fiume…»

«E tu dov’eri?»

«Chi lavora qui secondo te?»

Al fiume ci sparpagliammo, io e Fabiola corremmo in direzione opposta. Lei fu presa e fece penitenza. Io feci un giro più lungo e altri incontri…

Fabiola è la tua amichetta immaginaria.

Fulvio invece il tuo figlio immaginario. Come giustifichi che adesso Fabiola ha una figlia e vive con noi?

Io non ho mai visto né lei né sua figlia.

E mio fratello allora? Qualcuno ha mai visto mio fratello?

Nessuno ne sa più niente da quando è scappato di casa a sedici anni.

Non era handicappato per causa mia allora, come dici sempre; non ce l’avrebbe fatta a scappare. Scappare è una delle cose più difficili.

… Immaginai di salire le scale in pantaloni.

«Vado a sentire un po’ di musica.»

«Come ti chiami?»

Dopo la curva, già dalle prime case, trattenni le lacrime.

«Chi piange, lo lasciamo per ultimo.»

Il sangue, l’asciugai col fazzoletto.

«Cos’hai al ginocchio?»

I capelli, li riavviai con le dita. Avevo perso un fermaglio ma…

«E sulla guancia?»

… ma il sole lo faceva brillare tra le foglie. Il sole spargeva chiazze di colore anche nel sottobosco. Lo raccolsi. Provai a puntarlo; un dentino si era spezzato. Le perline della collana… forse qualcuna si riusciva ancora a trovarla… No, ne mancavano diverse. Rifeci la strada al contrario per vedere…

 «Ti sei fatta male?»

… per vedere se c’erano ancora gli slip da qualche parte.

 «Scusa, sai l’ora?»

Ma non si vedeva niente.

«Come si fa a vedere qualcosa con questo buio?»

«Il corpo dev’essere affondato.»

«Ma non sapeva nuotare?»

Serviva un altro fazzoletto. Usare la gonna per lo zigomo, per il naso…

«Hai stirato la camicetta?»

Massaggiare la caviglia prima…

«Perché andare da sola quando si può stare in compagnia?»

… prima di affrontare quella parete di sassi.

«Mi aiuti a allacciare la stringa?»

«Prima di risalire, ispeziona ancora il fondo. Dev’essere qui.»

«È meglio da quella parte.»

«Accidenti, l’ho persa, m’è scivolata.»

«È un bambino o una bambina?»

Il ginocchio si può tamponare con le foglie…

«Ma tutte le erbe sono velenose?»

… oppure si può usare una manica, cercando di sciacquarla poi al fiume.

Le bambine maturano prima dei maschi.

Il sandalo, non riuscii a ripescarlo, era andato a fondo. Come si può tornare a casa senza una scarpa? Slacciai anche l’altra e la gettai in acqua.

«Ho perso l’equilibrio mentre cercavo di pescare. Non mi son fatta niente.»

Ecco, sì, adescavi i ragazzi cercando di rigirarteli come piaceva a te.

Se rimane un’ombreggiatura…

«C’è un’ombra più scura là sotto.»

«Non è troppo corta quella gonna?»

… se rimane un’ombreggiatura, nessuno la vedrà.

Il parto non è una cosa difficile.

«Proviamo a tirarla su con gli argani.»

«Vado a sentire un po’ di musica.»

Quando non c’è nessuno in casa, si fa tutto più in fretta.

«Ti sei rifatta il letto?»

«Ma non vedi com’è piccola?»

«Era una biscia o una lucertola?»

«Chi l’ha mai vista? Non è di queste parti.»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *