PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE FRANCO FORTINI
(VI EDIZIONE)
La cerimonia di premiazione, con la proclamazione dell’opera vincitrice, del premio Franco Fortini, si terrà giorno 26 settembre 2021 a Milano, presso Palazzo Litta, Corso Magenta 24, a partire dalle 11.00, all’interno della due giorni La cosa fra le cose. Poesia, azione pubblica, organizzata da MTM (Manifatture Teatrali Milanesi) e in collaborazione con la Fondazione Palazzo Litta per le Arti ONLUS e sarà introdotta da una Lectio Magistralis di Bernardo De Luca, dal titolo Guerra e tempo in Fortini.
La Giuria, presieduta da Christian Sinicco e composta da Maria Borio, Bernardo De Luca, Tommaso Di Dio, Carmen Gallo, Paolo Giovannetti, Luca Lenzini, Fabrizio Lombardo, Francesca Marica, Giuseppe Nibali (segretario), Niccolò Scaffai, Francesco Terzago e Italo Testa, dopo aver selezionato una prima lista di quaranta libri e dodici semifinalisti, ha scelto la cinquina dei finalisti: tagliati e taglienti, in forma breve e in serie, i testi di Alessandra Carnaroli (Miraggi Edizioni 2019) da Poesie con katana desiderano cogliere i contesti di crisi, mimando la brutalità, ad esempio, di ciò che accade a uomini e donne con la migrazione; il viaggio nostalgico in cui si realizza alla fine il distacco è il filo conduttore di Da sponda a sponda (Arcipelago itaca 2020) di Luciano Cecchinel, un fiume poetico dove le acque melmose che fanno da sfondo alle ruote dei battelli prepara alla visione delle praterie sconfinate, ed esplora come una vicenda familiare legata all’emigrazione negli Stati Uniti possa sviluppare argomenti sociali e culturali, trovando nel paesaggio americano un possibile elemento unificante; all’area in cui si posiziona il toro ferito e a quell’’attimo di sospensione nell’arena al riparo dalle armi del torero, rimanda il titolo di Lorenzo Mari: Querencia (Oèdipus Edizioni 2019) è infatti un’opera che rielabora i temi della violenza in quella zona di silenzio che è la poesia; in Concerto per l’inizio del secolo (Arcipelago itaca 2020) Roberto Minardi affronta i temi dello sconforto nei confronti del mondo contemporaneo e dei suoi rapporti con natura e ambiente per“accordare” le diverse umanità descritte al “moto magmatico” della vita, nonché al fluire stesso e agli strumenti del linguaggio poetico; l’amore è al centro della raccolta di Laura Pugno Noi (Amos Edizioni 2020) attraverso un linguaggio che tenta di ricucire, in modo sperimentale e intimo, il rapporto tra essere umano e mondo, immergendo l’identità nei simboli riferiti alla realtà, ma anche alla natura e al paesaggio, per scoprire nuovi elementi di noi stessi. I cinque poeti finalisti potranno essere ascoltati il 24 giugno a Fano durante le giornate di Passaggi Festival (https://www.passaggifestival.it/).
Il premio Fortini è promosso da Poiein APS, con il Patrocinio del Comune di Milano, il contributo della Fondazione per la critica sociale e il Patrocinio del Dipartimento di Filologia e critica delle letterature antiche e moderne dell’Università di Siena.
Da Guerra e tempo in Fortini di Bernardo De Luca
«Fortini, io penso, ha bisogno di sentirsi in guerra, perché solo in tal caso egli esiste, e trova una necessità al proprio esistere […]. Fortini non ha mai avuto diritto alla pace. E questo me lo rende fratello e caro». Così Pasolini ritrae Fortini in una recensione, polemica più che elogiativa, ad una plaquette di versi fortiniani del 1969. Ma Pasolini leggeva nelle ossessive immagini belliche solo una metafora del presente: l’emergenza dell’attualità (la fine degli anni Sessanta) indurrebbe Fortini a trasformare il poeta in «uno stratega, in un soldato», che solo nei momenti di sosta può aprire i suoi quadernetti e scrivere, ripensando alla lotta. Date le divergenze sugli anni della contestazione, Pasolini non poteva che concludere: «non siamo in guerra». Senza dubbio, nelle fasi in cui più chiari si facevano i conflitti sociali, Fortini ricorreva alla metafora bellica per rappresentare, con versi scolpiti e assertivi, la necessità di una decisione. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che l’esordio poetico è strettamente legato all’esperienza della Seconda Guerra Mondiale: come per molti della sua generazione, la guerra si presenta come un evento verticale che divide l’apparente omogeneità del tempo. Il senso della temporalità che emerge dal primo libro poetico, Foglio di via, e che informa il tessuto dei singoli componimenti, sarà una costante della sua poesia, pur conoscendo diverse declinazioni dovute al mutare dello stato di cose. Fino a Composita solvantur, il tempo non è lineare divenire oppure ciclica ripetizione naturale, ma palinsesto per i rapporti tra la comunità dei vivi e quella dei morti e dei non-nati. Le immagini belliche (metaforiche o reali) sono, allora, il luogo privilegiato in cui si manifesta quella «assoluta sincronicità tendenziale del mondo presente e passato» (Le mani di Radek) che informa la dialettica e la poesia fortiniane.
Chiediamoci ora che rapporto c’è tra il dramma esterno, materiale, storico (l’esperienza della guerra negli anni 1941-45) e l’atteggiamento soggettivo di scissione, di «coscienza infelice» dello scrittore. Il costante ripudio della guerra che caratterizzò poi, fino alla sua morte, le sue posizioni da dove viene?
Un anno prima della morte di Fortini, Berardinelli, in Stili dell’estremismo (Diario 10 1993) ha scritto: «Fortini ha elevato in tutta la sua opera un altare di lugubre e tormentosa devozione barocca alle idee di guerra, guerra di classe, antagonismo, conflitto, contraddizione […]. È come se Fortini spiasse di continuo la scena spaventosa in cui corpi umani sono dilaniati e straziati da altri corpi. Questa angoscia dell’uccisione e della sopraffazione fisica diventa la fonte di innumerevoli metafore ossessive, non solo poetiche, ma anche ideologiche»» (6).
Se togliamo la patina postmoderna e liquidatoria che caratterizza questo saggio di Berardinelli (un infelice autodafé, a mio parere) e non separiamo il fondamento psichico individuale dal terreno storico del Novecento (evitando il determinismo materialistico che una volta si diceva «volgare» e ogni psicanalismo astorico), quello che a Berardinelli appare un limite di Fortini (l’attaccamento ad un fantasma riconducibile al suo inconscio personale e senza base reale) a me pare tutt’altro. La tragicità del «secolo degli estremi» (Hobsbawm) ma soprattutto il ritorno minaccioso della guerra come mezzo di soluzione dei problemi internazionali non solo fanno risultare nient’affatto paranoico l’atteggiamento di Fortini, smentendo Beradinelli ma sembrano svuotare anche i frettolosi tentativi alla Revelli di proiettarsi «Oltre il Novecento» o di Negri e Hardt di delineare una postmodernità imperiale dai tratti progressisti. La capacità di Fortini di guardare all’aspetto tragico della storia e della condizione umana mi pare renderlo più che mai attuale e vicino; e, invece che ossessive o ideologiche, le sue metafore poetiche appaiono orientate da una coscienza etico-politica vigile e mai cinica.
(da “Fortini, la guerra, la pace” di Ennio Abate, Punto rosso Milano 28 apr 2004)