CREPITA LA CARTA. LIBRI E VERTIGINI
DI EMILIO VILLA
Dal 9 Ottobre al 7 Novembre
Biblioteca Mozzi Borgetti – Macerata
Attraversando a ritroso l’attività febbrile di Emilio Villa, e le miriadi di costellazioni e arcipelaghi editoriali da lui fondati e affondati, creati dal nulla per esplosioni magmatiche e intuizioni geniali, o più semplicemente condotti da “magister” e alchimista della parola come materia instabile e pluriforme, assume un ruolo di fondamentale importanza la leggendaria avventura della casa editrice “Foglio OG” (in seguito rinominata “La Nuova Foglio Editrice”) di Pollenza, per la quale, nel bel mezzo degli anni ‘60, in compagnia degli artisti maceratesi Silvio Craia e Giorgio Cegna, Villa diede vita ad una delle più sorprendenti e avanguardistiche esperienze editoriali delle Marche e, ça va sans dire, dello stivale intero.
Presentare proprio a Macerata una mostra su Emilio Villa (curata da Andrea Balietti, libraio e collezionista) e colmare le antiche teche della Biblioteca di curiosi oggetti poetici, libri d’artista unici e perlopiù introvabili, e rare carte manoscritte sparse e disperse dell’immaginario villiano, significa riscoprire e, almeno in parte, ‘restituire’ una delle più prolifiche e singolari esperienze che questa città abbia mai ospitato in fatto di ricerca poetica e sperimentazione artistica. Da questa straordinaria stagione provengono i libri sulle celebri “Idrologie” (sfere testuali di plastica trasparente contenenti acqua e firmati Villa, Craia, Cegna); i titoli perduti della fantomatica collana “Lapsus” diretta dallo stesso Villa (che riunisce autori quali Claudio Parmiggiani, Corrado Costa, Giulio Turcato, ecc.); l’inudibile disco in cartone intitolato “DISCOrso”; il fuori-formato “Green”, opera-libro polimaterica, tesa alla ricerca di una estrema concrezione testuale su materiali poveri; o ancora il cibernetico “Brunt H Options 17 eschatological madrigals captured by a sweetromantic cybernetogamig vampire, by villadrome”, realizzato in pochi esemplari partendo dai tabulati emessi da un calcolatore elettronico, recuperati nel corso di un viaggio in California. Queste opere, insieme a molte altre pubblicate in Italia e all’estero dagli anni sessanta ad oggi, tra cui la Scrittura luminosa realizzata a partire dalle confezioni in cartone ‘forato’ degli imballaggi delle banane, o le misteriose carte dei “Tarocchi” create dall’artista Mario Padovan (con testi originali di Villa), a manifesti in copia unica e a ‘crepitanti’ fogli sciolti e manoscritti (come non citare una preziosa agenda del 1980 contenente gli studi preparatori per il celebre catalogo “Pittura dall’India tantrica : Mantra Mandala Yantra”) saranno esposte come tracce da seguire – o come sonde – per immergersi nella straripante ricerca di Emilio Villa (1914-2003) poeta, scrittore, promotore d’arte, traduttore e biblista, geniale e polimorfo interprete di quella che Stelio Maria Martini definì una «avanguardia permanente».
La carta crepita e risuona, si riverbera anche nella cura del catalogo, immaginato come un ‘campionario’ di carte differenti, palpitanti, in cui alle copertine dei libri d’arte esposti si alternano lacerti, appunti sparsi e labirinti verbovisivi dell’autore.
Il volume, ideato da Lucamatteo Rossi e curato da Giorgiomaria Cornelio e Andrea Balietti, è stato realizzato dai maestri artigiani delle Grafiche Fioroni in 100 preziose copie numerate, ed è pubblicato in co-edizione da Argolibri e Catap.
VERNISSAGE – 09. 10. 2021
Biblioteca Mozzi Borgetti
17:00 Sala degli specchi — apertura mostra
17:30 sala auditorium — Talk
“All’inseguimento di un origine: arcani, sybillae e labirinti di Emilio Villa”
intervengono: Marco Giovenale, Bianca Battilocchi e Gabriella Cinti.
18:30 sala auditorium — Performance
“Omo en procinto de mortale letale jactura”
Giovanni Fontana rovescia lo sguardo sui Tarocchi di Villa.
Estratto dal catalogo della mostra:
Andrea Bailetti
«L’autorità giace nelle mani dei non-corpi»
Divinazione elettronica e logocidio computerizzato in “Brunt H Options 17 eschatological madrigals captured by a sweetromatic cybernetogamig vampire, by villadrome”
«la riscrittura su schede fornite da un qualsiasi cervello elettronico costituisce un momento di estasi sciamanica, labile fin che si vuole ma psichicamente vera, o, meglio, verificabile. (…) (comunque sappiamo che Villa è tornato dagli Stati Uniti incantato dalle “dimensioni” degli oggetti e dai computers, così come Artaud è tornato imprigionato dal peyotl dal suo viaggio in Messico)», Adriano Spatola
«E’ nel fondo del corpo (la voce dal fondo dell’abisso?) il vuoto, dove il linguaggio sta come un evento da distruggere.
Qui il dio divora chi parla. (…) tutto ciò che viene designato deve essere succhiato, leccato, mangiato, divorato. Incorporato.». Corrado Costa
«Tentare il massacro svelto e soave di ogni qualifica di linguaggio, in direzione di senso e di non-senso; tentare l’incrinatura la sfaldatura dei nuclei emozionali previsti e approssimativi, la deflessione degli strati mnemonici in stato attivo, e dei valori vaneggianti (i valori precostituiti)» erano le urgenze presentate da Emilio Villa nel volume delle “idrologie”, annesso alle stesse Sfere Idrologiche, quasi come manuale d’istruzioni per attivare i celebri congegni testuali. Le medesime premesse sembrano porsi alla base di un altro libro realizzato da Villa, a Macerata, nello stesso anno, il 1968: “Brunt H / Options / 17 eschatological madrigals captured by a sweetromantic cybernetogamic vampire by villadrome”. Qui si immagina una «radura sferica dove l’incolumità dei sentimenti esplode» e, «need to murder here the proposition» è, appunto, l’impellente bisogno espresso fin dall’inizio del testo, la cui natura mutante è già tutta anticipata nel contorto e mostruoso titolo. In esso sono sapientemente assemblati vocabolario letterario, scientifico, filosofico-religioso e, l’ibrido che scaturisce dall’improbabile mescolanza, fa pensare a certe strambe invenzioni ascrivibili al cinema fantascientifico degli anni cinquanta-sessanta; Il fatto che l’idea di “Brunt H” nacque, effettivamente, in un laboratorio scientifico, rimanda invece all’immagine prometeica dello scienziato e della sua aberrante creatura. Durante il suo primo viaggio in California, Villa rimase rapito dalla visione delle indecifrabili informazioni codificate dai primi calcolatori elettronici ed estratte da suo figlio, fisico delle particelle, a tal punto da riconoscere in queste un valore puramente enigmatico. «Reversible Enigmes or Enigmic Retributions»: questa equazione contenuta nel libro pare voler riassumere il principio dell’economia oracolare, ricordando che «Il dio, il cui oracolo è a Delfi, non rivela né nasconde, ma indica (…) non insegna, segna. Non dimostra, mostra. Compie delle designazioni e basta. (…) Questo dio che siede a Delfi, che non dice né il vero né il falso, ma dà indicazioni, è il dio della Letteratura.» e queste insensate designazioni fornite dalla macchina, sono assimilate come particole alfabetiche di una nuova carne, proliferazioni enigmiche e insvelabili da ricevere e riscrivere sulla carta, «scatola furtiva di vita umorale». «Has no-one preroborated the new flesh?»: in “Brunt H” la scrittura del poeta è graficamente e letteralmente sovrimpressa a quella del calcolatore e questa struttura mimetica, principale caratteristica del libro è lì a raccontare l’avvenuta incarnazione del messaggio (della macchina, o, del dio) nell’autore.
«Scrivi, perciò, fino alla nudità», «Possessing out», «Decapsulating out», «abbandona la tua mente, siamo liberi dalle catene, a un livello più molle», «su questa superficie del profondo, che è la pelle, che è l’esterno all’esterno dell’essere»: «L’oracolo delfico della Letteratura indica all’uomo di discendere verso il suo corpo», nella «bara profonda» o «nido numbricale», affinché l’immensa «eco di visione prematura» possa essere registrata nell’ «indiviso e inestensibile microcito».
Laboratorio californiano come piramide, antro, scavo ed obelisco dove il «profeta-quantuum» annuncia la morte dell’umanità mentre il dio spiffera il suo ultimatum e l’archeologo, folgorato, fa razzia di papiri, formule futuribili e nuove cosmogonie. Gli arcani tabulati riportati in Italia da Villa sono «nudi escrementi», «glandi peptici», «germogli gustativi di sempiternità» secreti dal «Super-Cervello» o «Cervo volante», madrigali d’amore e morte, catturati nelle crepe del futuro dal vampiro cibernetico, cadaveri rivelatori da dare in pasto al technomante.
«Il mondo è diventato caos, ma il libro rimane immagine del mondo, caosmos-radice secondaria, al posto di cosmos-radice»: nella sovrascrittura o embolia lessicale che Villa mette in atto, la poesia si disfa di sé stessa per consegnare le sue spoglie al grottesco e reinnestarle nel «folgorato corpuscolo dove tutti gli intervalli e le scissioni di Nullo-Tempo viaggiano». E’ un degenere, parossistico sovraccarico d’immagini, degno delle più visionarie pagine del surrealismo e firmato Villadrome, soprannome che Marcel Duchamp aveva affibbiato al poeta in occasione del loro incontro avvenuto a casa di Gianfranco Baruchello. «E’ una vittoria, un assalto, una pura cerimonia / ah! ah! ah!» popolata da soffi, oblii, «guerre musicali», «ninfe apomorfiche», «preghiere geografiche», «cervelli confluenti» e «numeri disfiniti», mentre «golfi ghiandolari» e altri illogici panorami fanno da sfondo supremo allo «svanire dei fatti».
«Il sangue dei sogni è verde»: “Green” (1972) è il titolo di un noto libro-oggetto fecondato dalle immondizie romane e partorito, anch’esso, nel grembo maceratese da Emilio Villa. Questo colore che sotto forma di titolo, suona come un manifesto, si ritrova in Brunt H come elemento pregnante e, più direttamente costitutivo, dell’anatomia del libro. A cominciare dalla copertina, ogni singolo carattere scritto dal calcolatore è stampato in serigrafia nelle più varie declinazioni del verde, con particolare tendenza alle tonalità più acide, elette vie cromatiche da seguire per entrare nella pagina e innescare l’immersione visiva.
«l’entrata del labirinto / è all’uscita, / al coerente delirio delle zone vegetali»: Il caotico sovrapporsi, mimetico e convulsivo brulicare di camaleontici testi informatici si associano a un’idea di vegetalizzazione alchemica che interessa l’uomo e la macchina, al sentore di una transformazione «ultra naturam» che striscia già tra i rottami abbandonati del mondo, che già serpeggiava nelle vene umane come nei corridoi delle schede perforate IBM.
«Down tetra trans infinit box (brain)», un virus aleggia al di là del tempo come spettro cerebrale, «greatful dark drive VIRUS», «and instantaneus Virus», «and sky of the GREAT VIRUS».
«La vita biologica continua, tutto il resto è morto. Un riflesso, come di una macchina, come un insetto condannato a ripetere all’infinito dei modelli.» e il naufragio nel mare elettronico, il peso di un’eterna deglutizione, portano il libro a concludersi con un urlo che «decapita l’aria», «decapita la voce», «deietta» e, disperatamente annuncia: «entbiologisierung!! / (THE END)».