di Franco Buffoni
[Esce oggi per FVE editori Vite negate, il nuovo libro di Franco Buffoni composto di 51 capitoli (più un’introduzione) dedicati alle vite clandestine di una galleria di personaggi che hanno dovuto nascondere la propria omosessualità per accordarsi ad una norma eterosesuale. Pubblichiamo qui come anticipazione del libro il capitolo dedicato a Pessoa, seguito dall’indice del libro].
Dopo quel mancato appuntamento per il giorno successivo a piazza del Rossio, Ophelia non ebbe più notizie da Fernando per due settimane. Poi improvvisamente l’11 di febbraio, nelle vicinanze di casa sua, le si fece incontro un uomo, che si presentò come Alvaro de Campos. Le disse che Fernando non sarebbe più venuto a trovarla, perché il suo lavoro di scrittore lo impegnava troppo. E che questa sua totale dedizione alla scrittura gli impediva di poter prendere in considerazione un progetto matrimoniale. Aggiungeva anche che il suo vero nome non era Fernando Pessoa e che mai potevano essere felici perché in realtà egli non l’aveva mai amata. Ophelia scoppiò a piangere e volgendo le spalle all’uomo scappò via per i vicoli della vecchia Lisbona, il viso rigato di lacrime, le trecce scosse dai singhiozzi e dal passo veloce.
In questa narrazione è contenuta l’essenza della vita negata di Fernando Pessoa: il ricorso forsennato agli eteronimi – ne sono stati contati centoventisette – per uscire da sé, per dimenticare e dimenticarsi; e l’illusione diabolica e crudele – perché vissuta a scapito di una fanciulla sprovveduta – di voler sposare Ophelia e davvero amarla. Situazioni parossistiche che potevano darsi più facilmente un secolo fa, quando era concepibile che per mesi, per anni, due “fidanzati” si frequentassero tenendosi per mano o al più baciandosi sulla guancia.
Tutto era cominciato in un giorno di primavera quando in ufficio si era presentata Ophelia Riqueiroz, bruna e graziosa diciannovenne, per essere assunta come dattilografa. Pessoa aveva trentuno anni e già sul suo volto apparivano i primi segni di ipocondria e alcolismo, tenuti assieme da timidezza e goffaggine. Il corteggiamento è discreto, fatto di sguardi e strette di mano, di passeggiate all’uscita e di sorrisi. E soprattutto delle lettere che i due si scrivono frequentemente. Dopo due mesi Ophelia, nella sua ingenuità, è convinta che sarebbe stata chiesta in moglie.
Dopo la rottura del “fidanzamento” con Ophelia, Pessoa mise ancora maggiore impegno nella sua opera di autodistruzione, svolgendo con uno scrupolo alla Bartleby le sue ripetitive mansioni di impiegato affetto da grave miopia, e finendo ogni giornata nell’assenzio e in altre sostanze alcoliche. Ma trovando anche il modo di continuare a creare nuove mappe astrali nella più assoluta solitudine, inventandosi eteronimi per altre pagine di scrittura. E nuove pagine di scrittura per altri eteronimi, come il filosofo Alberto Caiero, o Ricardo Reis, che abbandona il Portogallo per andare a vivere in Brasile.
Eteronimi e non pseudonimi perché Pessoa inventò anche l’esistenza di altri scrittori, che vivevano con lui e dentro di lui, con altre date di nascita e morte. E perché infine – con l’eccezione degli anni dell’adolescenza vissuti a Durban nell’Unione Sudafricana – la vita di Pessoa si svolge interamente nel ristretto quadrilatero rappresentato dal centro storico di Lisbona. Nella convinzione che viaggiare sia inutile (“Ovunque mi trovassi con chi starei se non con me stesso?”) e mettendo in pratica la massima wittgensteiniana – poi fatta propria da Vittorio Sereni – secondo la quale è possibile diventare profondi scrittori solo continuando a scavare il medesimo terreno nei propri immediati dintorni. Pessoa condusse dunque un’esistenza per molti aspetti simile a quella vissuta dal suo quasi coetaneo Constantinos Kavafis, tranne che per un aspetto essenziale: Kavafis in letteratura sceglie sin da giovane il coming out più esplicito e creativo; Pessoa mimetizza fino all’ultimo la sua genialità gay nelle multiformi pieghe caratteriali dei suoi eteronimi, avviandosi a una precoce morte per cirrosi epatica a quarantasette anni.
“Quando si presentava come Alvaro de Campos mi appariva un po’ confuso”, raccontò Ophelia in una delle rare interviste concesse in vecchiaia. “Allora mi diceva: oggi non sono io, oggi è venuto il mio amico Alvaro de Campos. Erano i giorni in cui si comportava in modo assurdo. Diceva cose senza senso…”.
Ecco, cara Ophelia, in quelle cose senza senso (ti diceva che non ti amava, che non ti poteva sposare) era la “verità” di Fernando Pessoa.
Ricordiamo anche che Alvaro de Campos, nella monumentale finzione letteraria escogitata da Pessoa, nasce a Tavira il 13 ottobre del 1890 ed è ingegnere navale oltre che scrittore. E nella sua figura Pessoa concentra persino un mutamento di poetica con il deciso passaggio dalla giovanile fede simbolista alla corrente futurista.
Ma Pessoa fu anche editore, fondatore nel 1921 a Lisbona della casa editrice Olisipo, che durante tre anni di vita riuscì a pubblicare quattro libri, tutti di intonazione omosessuale: A Invenção do Dia Claro di José de Almada Negreiros, Sodoma Divinisada di Raul Leal, Decadéncia di Judith Teixeira e Canções di António Botto. Con quei titoli e quei contenuti, nel Portogallo dei primi anni Venti – che pareva come in trepida attesa della svolta autoritaria – si trattava soltanto di capire quale partito o associazione avrebbe scagliato per primo l’accusa di immoralità contro Olisipo. Ed essa immancabilmente giunse da parte della “Lega d’Azione degli Studenti di Lisbona”, un’associazione integralista cattolica manovrata dalla destra reazionaria, che per “igiene morale e sociale” pretese il sequestro delle opere in catalogo con relativo rogo di libri sulla pubblica piazza, nonché la chiusura della casa editrice. L’occasione fu data nel gennaio del 1923 dalla pubblicazione di Sodoma divinizzata, in cui Raul Leal afferma – per il tramite di precisi riferimenti cabalistici – che l’omosessualità è il mezzo più efficace per ricomporre l’unità divina della sessualità.
Pertanto Pessoa – così come si serviva dell’eteronimo Alvaro de Campos per dire a Ophelia ciò che veramente pensava di lei e del loro “amore” – allo stesso modo si serviva di amici in carne ed ossa – le cui opere pubblicava nel catalogo di Olisipo – per affermare pubblicamente ciò che pensava dell’omosessualità. Nella fattispecie è risaputo che Fernando si divertì moltissimo quando lesse le giustificazioni esoteriche escogitate dall’amico Raul per sostenere l’importanza e il ruolo dell’”amore greco”, e decise di pubblicarle.
La reazione a catena non si fece attendere: se in gennaio avvenne la pubblicazione di Sodoma divinizzata, in febbraio il foglio reazionario “A Epoca” diede notizia della nascita della Lega di Azione degli Studenti di Lisbona, e in marzo la città venne tappezzata di manifesti della stessa Lega che chiedevano esplicitamente alle autorità preposte di “rendere giustizia” alla moralità vilipesa dalla casa editrice Olisipo di Fernando Pessoa. Un racconto da cui emerge con oscena limpidezza la realtà omofobica e cripto-fascista di quella parte della popolazione di Lisbona che in seguito avrebbe preso il potere con Salazar. Al punto che Pessoa stesso si decise ad intervenire irridendo alla spontaneità dei giudizi degli studenti, e invitando a cercare i responsabili della campagna denigratoria nell’ambiente che tali giovani aveva prodotto. Scrisse Pessoa: “Ci sono tre cose con cui lo spirito nobile, di vecchio o di giovane, non gioca mai, perché giocare con esse è uno dei segni distintivi della bassezza d’animo: sono gli déi, la morte e la pazzia… Solo l’ultima delle canaglie di strada insulta un pazzo, e in pubblico. Solo una canaglia ancora peggiore si appropria, divulgandolo, di questo insulto, sapendo di mentire”.
Che altro restava a Pessoa se non l’esilio e la fuga? Per un breve periodo prese seriamente in considerazione l’ipotesi di sradicarsi per sempre da Lisbona. Ma fu costretto a rinunciare per i palesi segnali di mancanza di forze che il suo fisico minato dall’alcol ormai gli inviava. Allora si adagiò da un lato sulla squallida e fugace compagnia di qualche ragazzo di vita, dall’altro sulle lettere da inviare e ricevere da Ofelia. Che sarebbero restate a futura memoria per permettere a legioni di critici dominati dal neutro accademico eterosessuale di perpetuare la leggenda del sogno d’amore di Antonio innamorato di Ophelia.*
Ma torniamo ad Alvaro de Campos per comprendere a fondo la negazione esistenziale vissuta da Fernando Pessoa. Ad Alvaro e al suo soggiorno a Glasgow tanto drammaticamente troncato dall’omofobia britannica nei primi anni Venti. Lì Alvaro aveva conosciuto l’amore della sua vita nel viso d’angelo dal corpo muscoloso di Joy Ferdinand, giovane tecnico specializzato nella società di cantieristica navale dove il neo-ingegnere Alvaro de Campos stava compiendo il tirocinio. L’innamoramento era stato immediato e reciproco. Anche Joy scriveva poesie e teneva un diario in cui registrava incontri e emozioni. Se l’intesa sul lavoro fu subito eccezionale, non di meno fu quella nella vita: i due giovani divennero inseparabili, finendo col farsi notare dai “virili” compagni di lavoro. Che presto decisero di dare una lezione a quei due faggots. Una notte nel buio di un vicolo, all’uscita dal pub dove i due amanti avevano trascorso la serata, otto “sconosciuti” li aggredirono con estrema violenza, lasciandoli a terra privi di sensi. Alvaro si risvegliò in ospedale con tre costole rotte e il ginocchio destro rovinato per sempre nella rotula e nei legamenti; Joy dal coma non si risvegliò: gli avevano spaccato il cranio provocandogli lesioni irreversibili al cervello.
* Nessuno meglio di Guido Gozzano nei versi conclusivi della Signorina Felicita sa riassumere questo meccanismo di ipocrita impietoso inganno ai danni di un’ingenua fanciulla: “ed io fui l’uomo d’altri tempi, un buono / sentimentale giovine romantico… / Quello che fingo d’essere e non sono!”.
Indice del volume
Premessa
Zenone, una negazione d’antan
Eliogabalo martire
Le aureole intrecciate di Sergio e Bacco
Dante e la negazione del maestro
Edoardo II d’Inghilterra
Innocenzo Santino
Enrico III di Francia
La negazione dei nipoti
George Hepburn e Thomas White
William John Bankes
Franz Schubert o Schobert?
Leopardi
Chopin e la negazione polacca
La melodia di Goffredo Mameli
Algernon Charles Swinburne
Walter Pater e Mr Sanctuary
Ciaikovski e la negazione russa
Gerard Manley Hopkins
Ludwig e Ulrichs
Rimbaud e Verlaine al Panthéon?
Prince Albert Victor
Max Beerbohm e la maschera di cera
Eulenburg e Borgese
Il maschio sollazzarsi di Gozzano
Marino Moretti e il compagno Poggiolini
Il re bello di Aldo Palazzeschi
Lo spirito irregolare di Clemente Rebora
La musa uranista di T.S. Eliot
La “verità” di Fernando Pessoa
Carlo Emilio Gadda con i “pennerasti”
Emanuel Carnevali va in America
La camera oscura di Libero De Libero
Il vizio di forma di Cesare Pavese
Gottfried von Cramm e Manasse Herbst
Il matrimonio di Fiorentino Sullo
Le tre negazioni di Pierre
Arrivederci, Umberto Bindi
Joe Orton e Mr Sloane
Il merengue di Emile Griffith
Mario o Salvatore Pappalardo?
Il rapimento di Ermanno
Mario Mieli
La cassetta di Alessandro
Björn Andrésen nega Visconti
La negazione di Simone
Il male di Luca
Il chirurgo di Torino
Ayrton Senna e Junior
Victor, Héctor e Hig
I ritiri di Marco Lehmann
Olimpiche conclusioni
[Immagine: Foto di Duane Michals].