a cura di Silvia Righi

 

[Presentiamo un estratto dell’intervista al poeta cinese Han Dong andata in onda il 09/09/2021 a Radio Festivaletteratura, la web-radio del Festivaletteratura di Mantova, all’interno del programma Due punti a cura di Silvia Righi]

 

– Nella raccolta Un forte rumore, tradotta da Rosa Lombardi, c’è un verso in cui dici: “Bisogna immaginare un mondo vuoto dentro”. Il vuoto, nelle sue declinazioni più diverse, è un elemento ricorrente della tua poesia. Che cosa accade all’essere umano quando si confronta con il vuoto? Il vuoto va colmato, quindi respinto, oppure accettato?

 

Il concetto di vuoto, è vero, è ricorrente nelle mie opere, tanto nella poesia quanto nelle opere in prosa, ed è connesso a quello che potremmo definire l’ambiente, il background spirituale in Cina. In Cina esiste una sorta di vuoto se parliamo in termini di fede come sistema sociale, e per questo si crea uno spazio, uno spazio che può essere visto come una mancanza di fede molto forte; tuttavia questo non deve essere considerato un aspetto negativo in assoluto, perché se si riesce ad avere una posizione di vuoto, se si riesce a liberarsi da concetti e da idee particolari, ci si avvicina di più alla realtà. Quindi, questa situazione di vuoto può essere una premessa alla situazione della realtà e della verità, perché siamo circondati da una moltitudine di cose e di persone ma non per forza quello che ci circonda è sempre vero o sempre reale; perciò possiamo riconoscere che esiste una verità, ma se qualcuno mi si avvicina e mi dice “Questa è la verità” all’istante mi suscita un dubbio, perché io mi domanderò se questa possa davvero essere la verità. Soltanto svuotandosi dall’interno, creando una situazione di vuoto nella propria posizione ci si può avvicinare di più alla verità, per questo nelle mie poesie il senso di vuoto (come quello che si trova nel verso che citavi, “bisogna immaginare un mondo vuoto dentro”) è connesso alla mia visione del mondo. Esistono diverse teorie del vuoto, ce n’è una in particolare che sostiene che siamo in grado come esseri umani di fare qualsiasi cosa nel mondo e che non esista un vero e proprio potere superiore che sia lì a giudicarci e a controllarci. La cosa importante è riconoscere che il vuoto ci avvicina alla verità.

 

Nella poesia Nel vicolo un uomo e una donna che a vent’anni stavano insieme, si rincontrano da adulti e passeggiano, anche se lui è consapevole che per il loro amore è troppo tardi; ci sono molte altre poesie che riflettono sul desiderio o sull’amore tra un uomo e una donna e in tutti questi testi vengono descritte situazioni che non è chiaro se appartengano al ricordo del passato, al presente oppure a un futuro sognato. Pensi che l’amore possa costituire un cortocircuito nella percezione che un individuo possiede del trascorrere del tempo?

 

In realtà proprio su questo tema ho scritto un intero romanzo che si chiama Io e te, in cui oltre alla storia vera e propria c’è anche una riflessione teorica sull’amore. L’amore di per sé è qualcosa di naturale, di bello, è qualcosa da apprezzare, tuttavia, soprattutto dopo il Romanticismo, il ruolo dell’amore è diventato sempre più preponderante e ha iniziato ad avere una posizione sempre più centrale, soprattutto in un Paese in cui, e qui mi ricollego alla domanda sul vuoto, c’è una mancanza di fede a livello nazionale, e quindi tutta la passione, tutto l’impulso, tutta la ricerca di qualcosa in cui credere fa sì che l’amore diventi, a volte, un obiettivo grande, qualcosa da perseguire, e che proprio il soggetto di questo amore venga innalzato troppo oltre, e allora l’amore diventa addirittura un sostituto della fede. In questo modo il sentimento assurge a senso ultimo della vita e l’amore tra donna e uomo, tra uomo e uomo, tra donna e donna, diventano tutte forme di amore molto forti, e questo impulso, questa ricerca verso l’amore che normalmente sarebbe un sentimento apprezzabile, un nutrimento positivo, diventa, se gli viene dato un significato troppo grande, qualcosa di spaventoso; per questo nelle poesie, nei romanzi, quando esploro il concetto di amore voglio portare alla luce questo tema. L’amore è una forza grande, positiva, ma ha anche dei limiti che non devono essere superati.

 

La poesia non è l’unico linguaggio di cui fai uso, sei anche un saggista, un critico, un narratore. Ti sei cimentato, tuttavia, anche con il cinema, sia come attore che come regista. L’esperienza del cinema ha influito sulla tua scrittura, e in particolare sulla tua poesia? Ci sono delle similitudini tra la penna e la macchina da presa?

 

Sì, esatto, io mi sono spostato verso il cinema nonostante la parte più importante delle mie opere rimanga quella letteraria, quindi i romanzi e le poesie. Il punto di incontro che vedo tra il cinema e la letteratura è che tutte le opere che nascono da questi diversi metodi creativi siano per me opere d’arte; quello che cerco di creare quando scrivo romanzi o poesie è un capolavoro. Cosa intendo per capolavoro? Una grandissima opera che venga riconosciuta da tutti? No, non per forza, bensì qualcosa che sia un’opera d’arte, che abbia un valore artistico che può essere paragonato a quello di un quadro, di un altro oggetto d’arte. Io ho una grande passione per le opere d’arte e quello che vedo in comune tra le poesie, i romanzi o i film è che sono tutte opere d’arte, sono frutto di un processo di creazione artistica, mettono in luce la creatività dell’artista stesso, e non vengono indicizzate tramite un approccio di apprezzamento o di rifiuto, bensì vengono categorizzate con un indice di gradimento che è artistico. La differenza che invece vedo tra il cinema e la letteratura è sicuramente la metodologia: come si opera, cosa si fa quando si scrive. Con un’opera letteraria si lavora da soli, mentre il film è un’opera collettiva, un’opera che si fa in squadra, in cui la propria conoscenza di artista va a finire insieme a tutta un’altra serie di competenze e di conoscenze come quelle della fotografia, degli attori stessi; per questo, a volte, il cinema incontra anche degli ostacoli, perché c’è una commistione di creatività che si incontrano, in cui subentrano aspetti che vanno oltre la creatività stessa, come ad esempio la ricerca di finanziamenti o l’ipotesi sui profitti che verranno dopo la proiezione del film. Questi sono aspetti che non hanno niente a che vedere con la creatività: quando mi domandano se mi piacerebbe girare un secondo film rispondo sempre che quello che mi piacerebbe fare è solo il lavoro creativo. Quindi sì, girerei un secondo film, ma solo se non dovessi andare io a cercare i finanziamenti, a interfacciarmi con le autorità governative e a dovermi occupare di tutti gli aspetti che vanno aldilà del processo creativo. Per quanto riguarda la mia opera letteraria: ho quasi sessant’anni, ho iniziato a scrivere che ne avevo venti, quindi parliamo della maggior parte del mio lavoro e della mia carriera; è un lavoro sicuramente solitario che può portare ad avere contatti sociali ma, nel mio caso, sono stati abbastanza rari perché ho sempre cercato di rifuggirli il più possibile. Andando avanti nel tempo, ammetto che il lavoro in solitudine mi permette di essere molto concentrato sul processo creativo ma sono emersi anche degli aspetti non troppo positivi di questa solitudine quindi, da questo punto di vista, credo che il mondo del cinema, con tutti i suoi contatti interpersonali e sociali, potrebbe portare un po’ di equilibrio nella mia vita di scrittore.

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