di Luca Illetterati

 

Il difetto principale dei filosofi, diceva Hegel – che un po’ se ne intendeva – è la pretesa che essi hanno di insegnare al mondo come il mondo dovrebbe essere. Come se il mondo fosse ogni giorno lì ad aspettare che arrivasse il pensatore di turno a dirgli che vestito indossare al sorgere del sole. Questa malefica tentazione sembra diventata tanto più evidente all’interno del periodo di crisi pandemica che stiamo vivendo. E non si sta qui parlando solo delle posizioni oramai notissime di Giorgio Agamben contro le quali chi scrive ha anche aspramente e pubblicamente polemizzato ritenendole posizioni che rischiano di sfociare in forme di complottismo populistico, o che comunque dimostrano quanto gli occhiali ideologici dei dispositivi che si sono elaborati per leggere il mondo rischino di deformare radicalmente ciò che il mondo mostra di sé. A leggere infatti la lettera ‘contro Agamben’ firmata da un numero considerevole di filosofi italiani e pubblicata il giorno 16 ottobre sul “Fatto quotidiano” viene davvero da pensare che questi oppositori filosofici delle posizioni agambeniane siano forniti di occhiali perlomeno altrettanto deformanti e, verrebbe da dire, anche un po’ più dozzinali di quelli di cui vorrebbero mostrare la debolezza e gli effetti distorcenti. La lettera muove da un tono scandalizzato per il fatto che Giorgio Agamben è stato audito in una commissione al Senato sulla questione Green Pass. Scandalo, evidentemente, del tutto immotivato. Agamben non è stato invitato in quanto rappresentante di una comunità filosofica che andrebbe perciò difesa dal rischio di essere confusa con le posizioni assai controverse di un singolo filosofo, ma in quanto persona autorevole – piaccia o meno, rientri o meno nelle pagelline che pretendono di dare patenti di filosoficità, è il filosofo italiano più noto al mondo – che ha una posizione molto discutibile (e forse anche per questo interessante) sulla questione del Green Pass. Una posizione che taluni pensano sia un bene che chi legifera abbia presente. Non necessariamente per accoglierla, ma ad esempio anche solo per capire se offra argomenti che possono essere tenuti presente per fare poi, con maggiore consapevolezza, magari il contrario di quello che Agamben vorrebbe. Dopo di che la lettera entra nel merito di ciò che Agamben ha sostenuto in quella audizione (e in generale in questi mesi). In primis, dicono i filosofi che sembrano certi di abitare dalla parte giusta del mondo e della storia, è falso sostenere, come ha fatto Agamben nell’audizione, che i vaccini anti-covid19 siano in una fase sperimentale. Giusto. I vaccini sono stati infatti testati. Ribadendolo, però, forse non sarebbe fuori luogo dire che è altrettanto vero che la somministrazione dei vaccini è iniziata – a mio parere giustamente e per un atto di responsabilità politica che andrebbe esplicitamente rivendicato e non nascosto – prima che tutti gli step cui solitamente viene sottoposto un farmaco fossero conclusi. Come noto, infatti, solo nell’agosto del 2021 (quando cioè il vaccino era già in uso) la Food and Drug Administration americana ha fatto uscire il vaccino Pfizer-Biontech da quella che non a caso viene chiamata – con un termine che fa evidentemente gioco ad Agamben –  emergency use authorization, ovvero approvazione emergenziale. E infatti solo da quel momento un governo che si volesse assumere quella responsabilità potrebbe introdurre l’obbligo vaccinale. Per l’Agenzia Europea del Farmaco, invece, i vaccini sono ancora sottomessi a CMA (Conditional Marketing Authorisation), ovvero ad autorizzazione al commercio condizionata, la quale è lo strumento utilizzato per accelerare l’approvazione dei medicinali durante un’emergenza sanitaria pubblica o per affrontare esigenze mediche non soddisfatte. Non dire queste cose e far credere che la somministrazione del vaccino abbia seguito una prassi standard vuol dire o non voler riconoscere l’eccezionalità decisionale che la situazione ha richiesto o voler far credere qualcosa che non corrisponde al vero.

 

Il secondo punto su cui si sofferma la lettera dei filosofi che non vogliono essere confusi con Agamben è che sarebbe improprio sostenere che ci troviamo in un’epoca in cui l’eccezionalità è diventata la regola al fine di esercitare da parte dello Stato un controllo sulla cittadinanza, sul modello di quanto fatto da forme di dispotismo come quello sovietico. Le analogie sono sempre pericolose, tanto più quando mettono di mezzo la storia e il dolore che la attraversa. E Agamben su questo è spesso fastidiosamente e gravemente fuori luogo. Tuttavia, non riconoscere che c’è una parte importante della riflessione filosofico-politica contemporanea che insiste sulla giustificazione sempre più emergenziale delle forme del potere politico, vuol dire aver deciso a priori che c’è in tutto il mondo una discussione che non dovrebbe trovare in realtà ospitalità nel mondo. Il che o rientra nella patologia denunziata da Hegel, o è una posizione frutto di ignoranza, o, più probabilmente, è, ancora una volta, una posizione banalmente ideologica.

 

Il terzo e il quarto punto della lettera sono forse i più delicati. Contro quanto sostenuto da Agamben, i filosofi che si vogliono corretti e informati sostengono che l’adozione del Green Pass non induce nessuna discriminazione tra classi di cittadini e non è, di conseguenza, in alcun modo una forma di repressione delle libertà individuali. Sostenere il contrario – dicono – sarebbe come sostenere che l’istituzione della patente di guida, fatta per limitare il più possibile il numero e l’entità degli incidenti stradali, determini una distinzione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, ovvero che l’obbligo della patente sia anch’esso una forma di lesione delle libertà dell’individuo. L’argomento della patente, come è noto, è uno degli argomenti preferiti sui social media, in particolare su Facebook, e francamente da una così prestigiosa comunità scientifica ci si poteva forse attendere qualcosa di più. In realtà è ovvio che il Green Pass produce una forma – niente affatto banale – di discriminazione. A cittadini che non stanno trasgredendo nessuna legge (perché non vaccinarsi è legale e legittimo) è di fatto impedita una forma di vita sociale minima degna di questo nome: essi, infatti, se non muniti di Green Pass non possono entrare in un’aula universitaria, in una biblioteca, in un teatro, nel luogo di lavoro, su un treno ad alta velocità, a una riunione di partito, a un’assemblea condominiale, in un locale pubblico. E tutto questo non sarebbe discriminatorio? Certo che lo è! All’argomento di Agamben che denunzia le implicazioni discriminatorie del Green Pass non si dovrebbe rispondere negando l’evidenza, ovvero, detto altrimenti, contrapponendo ideologia a ideologia. Una risposta forse un po’ più seria dovrebbe dire: sì, il Green Pass è una norma discriminatoria della quale dobbiamo farci carico, è una forma di ‘ingiustizia’ della quale una società degna di questo nome in certi momenti è chiamata a farsi problematicamente carico, sapendo e dicendo che sta facendo una cosa del tutto fuori dalla norma. Una società responsabile è una società che riconosce esplicitamente le situazioni di deviazione che la sua sopravvivenza richiede. Si chiama – verrebbe da dire – politica, ossia capacità di assumere decisioni non garantite circa il loro esito, di intraprendere azioni che escono dagli automatismi di ciò che è già deciso. Dire ad Agamben, come dicono i tanti filosofi che hanno firmato la lettera, che non è vero che c’è discriminazione, significa, di fatto, dare ragione ad Agamben, fornire cioè argomenti ancora più forti alla sua narrazione.

 

Il filosofo – è sempre Hegel che lo dice – è colui che è chiamato a problematizzare l’ovvio, a mostrare le implicazioni che abitano in esso, a evidenziare le conseguenze che la sua mera assunzione produce. Forse è questo quello che ci si attende dalla filosofia nel momento in cui entra nel dibattito pubblico. Non che ci dica, cioè, quali sono gli occhiali buoni per vedere “davvero” il mondo; ma che ci aiuti invece a capire cosa un certo tipo di occhiali o un altro ci impediscono di fatto di vedere.

22 thoughts on “Sulla lettera dei filosofi contro Agamben

  1. L’idea che si trovi un esempio perfetto calzante con l’utilizzo del green pass, è velleitario. L’esempio della patente, non convince perché evoca la sicurezza stradale e non la salute pubblica. D’altra parte nessun filosofo , che io sappia, ha mai azzeccato l’esempio. Ma proprio perché il riferimento esemplare non ha pretese di esaustività. Vuole solo dire il ” come” pressapoco, ma non contiene riferimenti euristici.Quanto ai dissenzienti, confondono la libertà con l’anarchia.

  2. La mancanza di ragione e pensiero critico è un problema molto rilevante oggi, e lo si sta vedendo uscire sempre più prepotente da ogni parte. Questo articolo evidenzia bene il problema, ma forse evidenzia troppo poco come vari pensatori passati (e per fortuna non solo hegel) questa ragione e questo pensiero critico li ebbero e ne diedero fiera testimonianza per i posteri. Forse andrebbero ristudiati con più umiltà e sempre ricordando che le epidemie e le sventure, per quanto possano sembrare grandi, hanno sempre avuto dei limiti, l’irrazionalità e l’incoscienza no.

  3. Io credo che la risposta ad Agamben sia stata scritta per il grande pubblico, da qui la necessità di utilizzo di concetti semplificati. Poi certo… possiamo anche discutere del fatto che pure l’aspirina sia tuttora di uso sperimentale (le notizie sui benefici o possibili danni si alternano come la stagioni) ma sta di fatto che l’eminente filosofo ha incredibilmente preso una cantonata grande come una casa su ogni argomento che ha toccato.

  4. Mi va bene tutto, però chi dissente dovrebbe o avrebbe dovuto formulare proposte concrete per uscire dal COVID, da confrontare con la “pochezza” delle proposte di governa o governava, per uscirne ancora meglio e prima. Volendo sarebbero sempre in tempo

  5. Innanzitutto grazie per aver rilevato in modo efficace le inopportunità dell’appello dei cento filosofi contro Agamben.
    Nondimeno, mi sia consentito dissentire da questa sua affermazione:
    «Una società responsabile è una società che riconosce esplicitamente le situazioni di deviazione che la sua sopravvivenza richiede. Si chiama – verrebbe da dire – politica, ossia capacità di assumere decisioni non garantite circa il loro esito, di intraprendere azioni che escono dagli automatismi di ciò che è già deciso.»
    No, a mio avviso neanche ci fossero stati l’Ebola o la Peste bubbonica una società liberale e democratica avrebbe dovuto assumere decisioni o intraprendere azioni che hanno sospeso (e quindi annullato sotto l’egida di Stati d’Eccezione a tempo indeterminato) i diritti fondamentali che la costituiscono.

  6. Io trovo invece l’intervento di Illetterati molto condivisibile in toni e contenuto (anche quando l’articolerei altrimenti).
    Non capisco invece a chi si riferisca Marchese con la frase apodittica finale: “Quanto ai dissenzienti, confondono la libertà con l’anarchia.”
    Sarebbe utile argomentare un po’ queste frasi-accetta, sennò non ne veniamo fuori, no? Sempre che si voglia discutere e non trincerarsi dietro un “io ho ragione e gli altri sono dei cretini”.
    Ma sono sicura che qui si vuol discutere e argomentare, quindi provo a formulare un paio di domande: Chi sarebbero i dissenzienti? E dissenzienti da cosa? E perché il dissentire sul GP dovrebbe essere sintomo di anarchia? Se si riferisce solo ai violenti che sfasciano oggetti e menano persone sotto pseudoetichette “no vax”, siamo d’accordo.
    Se invece – ma forse capisco male – i dissenzienti sono in genere coloro che non trovano il GP uno strumento “neutro”, ossia coloro che cercano di argomentare in toni pacati i che il GP crei una discriminazione, concordo con Illetterati nel ricordare che “A cittadini che non stanno trasgredendo nessuna legge (perché non vaccinarsi è legale e legittimo) è di fatto impedita una forma di vita sociale minima degna di questo nome”, a meno che non abbiano disponibilità economiche e di tempo molto ampie. (e in questo senso è doppiamente discriminatorio il GP).
    Che la gratuità del vaccino non possa essere posta come alternativa ai tamponi a pagamento per andare a lavoro quale opzione da scelta libera, ma si configuri per coloro che non si sono vaccinati come esito di un ricatto (economico e morale) mi sembra confermato non solo dalle dichiarazioni istituzionali e ufficiali (alla proposta di fornire test gratuiti o quasi la reazione è stata “no, perché sarebbero un disincentivo alla vaccinazione”, l’argomentazione economica è stata successiva), ma anche dalla totale NON volontà di trovare forme di mediazione, a costo nullo o contenuto, non lesive né degli interessi dei datori di lavoro, né delle casse pubbliche, né di quelle private, né dell’obbligo di GP né della libera e legittima scelta a non vaccinarsi: penso in particolare alla revoca del lavoro da remoto per tutti coloro che avrebbero potuto senza nessun problema continuare la loro mansione in tale forma. Ma sono sicura che tanti più intelligenti di me avrebbero altre soluzioni per rispettare la libera scelta di ognuno. La politica ha invece abdicato ad ogni forma di mediazione, su questo punto, e quindi a una delle sue principali funzioni.
    Ma il problema vero, a me pare, non è nemmeno la natura discriminatoria del GP, è – come dice Illetterati – il rifiuto a non dichiararlo tale e a non farsene carico politicamente e giuridicamente. Gli effetti nefasti sono due, mi pare.
    Il primo è che non facendosi carico di questo dispositivo discriminatorio e quindi della sospensione della “norma” questo Paese può eludere anche la domanda che tutti con forza dovremmo invece pretendere di formulare assieme o di veder formulata da chi di dovere: su quali criteri si stabilisce forma e durata di sospensione della norma? Se la pandemia mi obbliga ad accettare una “ingiustizia” perché non ci sono alternative migliori, su quali parametri statistici e epidemiologici si definisce lo stato di emergenza e la sua cessazione? In quale modo si sta concretamente cercando di trovare forme di mediazione per ridurre il più possibile la sospensione della norma anche in fase di emergenza? In sintesi, uno stato di emergenza non significa l’aleatorietà pura delle regole del gioco, ma una contrattazione a priori (non a posteriori e non sempre novamente riformulabile) temporanea di quelle stesse regole del gioco.
    Il secondo effetto nefasto del non prendersi carico politicamente e giuridicamente di questa sospensione della norma è la traslazione del confronto sul piano morale ed ideologico. La sospensione della norma diventa oggetto di una scissione indiscutibile fra i buoni e i cattivi, quelli che sanno che cos’è la libertà e quelli che la confondono con l’anarchia, democratici e fascisti. E questa polarizzazione, che impedisce la riflessione critica e quindi – magari – la riformulazione del GP o una sua migliore giustificazione e articolazione o una sua sospensione, chiude il cerchio: perché così immersi nella lotta fra bene e male (ça va sans dire, ognuno convinto di essere dalla parte del bene!) dimentichiamo lo sforzo di cui al punto uno, ossia di contrattare ed esigere la contrattazione di regole chiare su modi e tempi della sospensione della norma.

  7. @Giulio A., è un anno e mezzo che si dice abbia preso una cantonata, ma poi di fatto le cose stanno andando grossomodo come anticipava lui. Poi, per carità, Agamben assume certe posizioni in modo troppo radicale, e lascia delle aperture agli attacchi che fanno cadere le braccia. Però andiamoci piano con l’aver capito tutto, perché se Illetterati, in questo articolo, parla di una “forma di ‘ingiustizia’” di cui la società è “in certi momenti chiamata a farsi problematicamente carico”, sottintendendo che va accettata solo in quanto eccezionale e temporanea, sta per forza di cose esprimendo un’opinione ottimista; di sicuro non può avere la certezza che così andranno le cose, come non ce l’ha Agamben. Invece a me sembra che troppe persone stiano dando per scontate intenzioni buone che nessuno, tra coloro che governano, ha mai confermato.

  8. Buongiorno e complimenti per il blog. Vorrei lasciare un’opinione sulla “questione” Agamben. Mi sembra che la discriminante riguardi non solo la pessima forma giuridica del decreto reiterato, ma la stessa modalità di comunicazione e di gestione dello stesso strumento utilizzato. Le contraddizioni, le correzioni, le vere e proprie mancate giustificazioni delle misure ogni volta proposte danno l’idea non tanto di un percorso definito quanto di un esercizio di potere arbitrariamente assunto nel tentativo di dominare i comportamenti che favorirebbero la pandemia. Ciò che è dominante nella definizione dello strumento stesso e più ancora nella comunicazione delle misure, è il sentimento della paura, che è ben diverso dalla prudenza anche accentuata in relazione a un evento. L’esercizio del potere governativo, nelle democrazie, è delegato condizionatamente e richiede un’accorta gestione; forti responsabilità di governo, in situazioni di emergenza, richiedono grandi capacità di ascolto e non atteggiamenti discriminatori che provocano penose e dannose esclusioni. La dimensione sostanzialmente autoritaria dell’attuale atteggiamento governativo diviene palese nella declamazione degli obiettivi crescenti di contrasto alla pandemia, del loro raggiungimento e del loro superamento con toni che per molti versi ricordano quelli in uso nei piani quinquennali dell’Unione Sovietica.

  9. Purtroppo o per fortuna, il senso della “sospensione della democrazia” sta nella necessità di “efficientare la macchina” … metterò tra virgolette per cercare di riprodurre i feticci degli opposti discorsi … . Dato che la politica italiana, fin dai tempi dell’ingresso nell’Euro. non se ne è mai dimostrata capace o peggio non ha mai avuto contezza della necessità “per il futuro dei nostri figli”, tocca farlo ora “e finalmente” con atti tecnocratici d’imperio, col pretesto del “mettere a terra” i 200+ miliardi europei, “miliardi non assimilabili ad un Superenalotto” da sperperare “come al solito”, ma funzionali ad un misurabile ammodernamento della macchina statale che, nelle “buone intenzioni tecnocratiche” porterà ad un ammodernamento anche delle pratiche e dei discorsi. Non è un caso che soffrano gli estremi dell’arco costituzionale: un governo scientista, efficientista e pragmatico è l’antitesi di un governo politico, ideologico ed assistenziale. Purtroppo o per fortuna, finché dura Draghi, gli “inadeguati” ed i “disallineati” (culturali, attitudinali, strategici) non avranno agibilità e strepiteranno in vario modo, appellandosi ognuno ai fantasmi preferiti: il fascismo, il complotto plutocratico, le scie chimiche… fino alla sospensione della democrazia, che è giusto la maniera più sofisticata di esprimere il medesimo “ribellismo” che va “contro il futuro dei nostri figli”.

  10. Ringrazio Illetterati di queste articolate e belle riflessioni che condivido in parte ma che, a mio avviso, hanno anche il pregio di non essere faziose. A mia volta ho trovato piuttosto misere le argomentazioni dei filosofi preoccupati di dissociarsi dalle posizioni di Agamben. Apprezzo i commenti di Stefania e di Burratti che mettono in evidenza rilevanti sfaccetature. Vorrei aggiungerne una: la questione vaccinale rappresenta un problema di bioetica poichè riguardano il rapporto tra la comunità, lo Stato e il corpo fisico di ogni individuo/cittadino, dato che una comunità è pur sempre “fisicamente” composta di individui. Come tutte le questioni di bioetica avrebbe richiesto una discussione e un confronto ben più estesi e approfonditi di quanto non si sia fatto con un’aggressiva più che tempestiva decretazione di urgenza. A me pare che questo governo così fragilmente legittimato sia orientato a un pragmatismo che ha finito per appiattire tutte le complessità con un’assertività ottusa. Su questioni come aborto ed eutanasia continua ad arrollevarsi ogni società civile anche dopo aver legiferato, e ritengo che questo sia ineluttabile perchè, al di là delle posizioni pro o contro, e in virtù della differenze ed esperienze individuali della vita, della morte e della malattia, ci sono domande che bisognerebbe continuare a porsi con un atteggiamento dialogico in cui non si pretenda di dire stretti a un timer l’ultima parola.

  11. Il Green pass non è propriamente discriminatorio, perché la libertà di non vaccinarsi è conservata e se si vuol andare a lavorare o a mangiare una pizza basta farsi il tampone 2 giorni prima. Del resto, quando non c’erano i vaccini, durante le chiusure forzate, non era antidemocratico impedire alle persone di uscire di casa? Purtroppo i difensori della democrazia, di un concetto di democrazia idealizzato come se questo significasse concedere tutto a tutti, ritengono che l’ideale sarebbe lasciare libertà di vaccinarsi o meno senza imporre nulla, nemmeno di fare i tamponi, oppure di fare i tamponi a tutti i non vaccinati ma gratuitamente, con costi enormi e insostenibili anche da un punto di vista logistico. Come se uno stato democratico dovesse pagare qualsiasi trattamento o dispositivo di screening sanitario alla popolazione, quando in realtà non è così già nel nostro Stato, che ha sì una sanità universalistica e gratuita per costituzione, ma solo per un certo numero di prestazioni ritenute essenziali. Inoltre, se non si desse un incentivo indiretto a vaccinarsi come il Green pass, non avremmo mai lontanamente raggiunto l’80% attuale di vaccinati, col rischio di chiusure periodiche e di un’occupazione ben più massiccia dei posti letto negli ospedali e altri esorbitanti costi, sia in termini di vite che economici. Basti pensare che secondo recenti stime, gli attuali “pochi” soggetti che occupano posti letto e terapie intensive in Italia costano 70 milioni di euro al mese alla collettività: a quanto ammonterebbe questo costo se avessimo costantemente 10 volte i numeri di adesso, raggiunti solo grazie alla diffusione dei vaccini?
    E infine: dalle argomentazioni delle persone, più o meno dotte, che sostengono posizioni no-green-pass, emerge scavando scavando, sempre un pregiudizio di fondo (questo sì distorto) sugli effetti di questo vaccino sulla salute umana, sul fatto che il covid sia una malattia curabilissima a casa (se solo si volesse) come una normale influenza, persino sugli effetti collaterali dei tamponi infilati nel naso o del respirare con la mascherina. Si tratta di idee frutto a volte dell’ignoranza coltivata sui social media, altre di una propensione paranoica di fondo di molte persone esacerbata dal terrore innescato dalla pandemia, altre ancora del desiderio di destabilizzare il sistema vigente creando e diffondendo false informazioni. In ogni caso di idee con le quali non si può scendere a compromessi, a meno di non voler vivere in una sorta di medioevo tecnologico in cui domina la superstizione.

  12. Gentile Marco,
    mi appoggio al suo commento per riflettere assieme, visto che abbiamo opinioni diverse.
    Discriminatorio ed antidemocratico non sono sinonimi. Anche all’interno di un sistema democratico possono darsi regole e comportamenti discriminatori. Più difficile il contrario. Non mi addentro ora sulla presunta (io non la reputo tale) antidemocrazia delle imposizioni durante i primi lockdown (folle a mio parere è stata piuttosto la comunicazione, che ha creato nel tempo un clima di tensione che non ha pari in EU). Ma trovo necessario tener distinti i piani.
    Resto sul green pass, che rimango dell’idea sia volutamente discriminatorio. Lei ha ragione, il non vaccinato può ottenerlo con un tampone, ma un conto è se deve andare al cinema o al ristorante (attività la cui rinuncia non mette in discussione l’esistenza), un altro conto se lo deve fare per lavorare (quindi per un’attività essenziale, a cui è costretto). In questo secondo caso dire al vaccinato di farsi un tampone ogni due giorni (con i costi e i disagi che ciò implica) se proprio non vuole cambiare idea e optare per due iniezioni gratuite è un ricatto travestito da sfottò. Non è un’alternativa. E lascio stare la stigmatizzazione morale che a ciò s’accompagna. Ma va bene, si può fare, solo almeno si abbia il coraggio di dirlo. Questo il punto su cui mi pare riflettesse – giustamente – anche Illetterati.
    Invece ci si ostina a travestirla come una crociata per il bene dove gli altri sono degli irresponsabili o degli spostati. E chiunque osi sollevare anche solo dei dubbi sull’articolazione di questa crociata è un cretino oppure uno che ha “un concetto di democrazia idealizzato come se questo significasse concedere tutto a tutti,”. No, almeno riferito al mio discorso è una sineddoche impropria: posso sollevare delle questioni di merito su un preciso aspetto o su un problema tecnico senza per questo essere una sostenitrice del “faccio il ***** che voglio”, o come diceva Marchese senza confondere la libertà con l’anarchia. Criticare il GP non significa mandare a scatafascio o anche solo contestare tutto l’apparato normativo di uno stato – che è il significato di anarchia. E’ un’operazione diversa, se la si vuole considera. Se – ipotetico.
    Qui quindi un primo punto su cui occorre chiarirsi: vogliamo discutere e confrontarci, rispettandoci a vicenda o si pensa che chi non è con noi è un cretino che non ha capito nulla? Nella prima ipotesi, che io scelgo, val la pena conversare, e sì democraticamente. Nella seconda ipotesi, chiudiamola qui, tanto non se ne esce.
    Vede, io personalmente non ho mai sostenuto “un pregiudizio di fondo (questo sì distorto) sugli effetti di questo vaccino sulla salute umana, sul fatto che il covid sia una malattia curabilissima a casa (se solo si volesse) come una normale influenza, persino sugli effetti collaterali dei tamponi infilati nel naso o del respirare con la mascherina.” C’è un’ampia fetta di poveri cristi come me che ragiona in tono meno manicheo. Io non ho ipotesi sulla pericolosità del vaccino, non credo la covid sia curabile come un’influenza, non ho remore a far un tampone quando serve e tantomeno a mettere la mascherina. Solo credo che tutto questo non c’entri nulla con il discorso sul GP, di cui io sto parlando.
    C’entrerebbe di più se il GP fosse uno strumento sanitario, ma non lo è se non in minima parte. Per stessa ammissione di medici e forze politiche non è stato introdotto perché assicura ambienti covid-free, ma per spingere i restii a vaccinarsi. Sulla durata della protezione del vaccino dal contrarre e diffondere il virus ci sono ormai dei primi studi seri e riconosciuti che danno una direttiva più concreta alle ipotesi di lavoro su cui si è indirizzata la ricerca scientifica. Il vaccino abbassa per un periodo abbastanza limitato (e di sicuro ampiamente inferiore ai 12 mesi) la possibilità di infettarsi. Su questo siamo tutti concordi credo. O almeno questo è concordamente accettato altrove, senza patemi d’animo. Nell’università tedesca per cui lavoro, nel campus, è stato istituito un punto tamponi (PCR) gratis per gli studenti e per tutti i lavoratori, professori etc. Per tutti. Nelle FAQ c’è il quesito “perché devo fare il tampone se sono vaccinato e/o guarito?”. La riposta è (traduzione mia, ma se vuole le invio il testo tedesco e il link): “Anche le persone vaccinate e guarite possono infettarsi e trasmettere il virus, anche se asintomatiche (catene di infezione asintomatiche). Tutti vogliamo tornare alla normale attività didattica e alla normale vita universitaria, ma lo possiamo responsabilmente ottenere solo se individuiamo possibili focolai e preveniamo la diffusione incontrollata. Quindi non si tratta tanto di proteggere se stessi, ma di controllare l’incidenza dell’infezione nel campus.” I tedeschi, che hanno tanti difetti, non sono esattamente degli anarchici, glielo assicuro. E al di là di questo io personalmente trovo questa posizione molto più razionale, più fattualmente orientata al bene comune e molto più onesta di quella che spaccia il GP ottenuto tramite vaccino come assicurazione di covid-free e rende per contrapposizione il non vaccinato come l’appestatore unico che se non si fa un tampone ogni giorno è un pericolo per la società, un irresponsabile, un criminale. Di nuovo, basterebbe dire la verità, chiarire che il GP è solo uno strumento per spingere più persone possibili a vaccinarsi (pur essendo il vaccino scelta libera), al di là della sua utilità limitata (non nulla, sia chiaro) nel mantenere sotto controllo la pandemia. E portare le conseguenze della scelta fatta.
    Infine, sul discorso economico. Tralascio i costi al SSN dei pazienti ricoverati non vaccinati perché lo trovo, personalmente, argomento informulabile: chi sta male va curato, punto. E chiedo venia per questa posizione tranchant, ma mi tocca per altre ragioni sul vivo. Mi concentro sul costo dei tamponi, che è invece tema su cui è giusto ragionare. Mi muoverei in maniera molto concreta e come proponevo nel primo commento avrei cercato forme di mediazione. Perché se lo scopo finale non fosse stato solo spingere a prescindere più persone possibili al vaccino (come di fatto è) tali mediazioni sarebbero state possibili. Il fatto che non le si sia cercate per me la dice lunga su una mancata buona volontà per evitare che il GP diventasse uno strumento discriminatorio. Ok, abbiamo le finanze scalcagnate e non possiamo fare come l’Austria e pagare i tamponi ai lavoratori senza vaccino (per ora previsti mi pare fino al marzo prossimo). Ma un paio di loro idee – di buon senso – non ci potevano venir in mente? Per esempio che chi non è a contatto né con pubblico né con colleghi non ha bisogno del GP? Almeno il camionista o il libero professionista che lavora da casa poteva continuare a lavorare senza farsi un tampone ogni 2 giorni? L’uso delle mascherine FFP2 può essere un ausilio per ridurre il numero di tamponi? Oppure, come suggerivo nella mia scarsa fantasia, non si poteva permettere uno smart working (almeno parziale) a tutti quelli che non vaccinati lo richiedevano? E quei tamponi risparmiati non si potevano usare per uno screening (sì, gratuito! tanto più in uno stato di emergenza causa pandemia dovrebbero essere gratuiti) anche fra i lavoratori vaccinati? Dico, concretamente, questo non sarebbe più a favore di un controllo della pandemia? Non avrebbe preservato molto meglio capra (la salute pubblica) e cavoli (la scelta libera e legalmente riconosciuta di non vaccinarsi e con essa la pace sociale)? Ecco, un GP con queste modalità mi sarebbe sembrato meno discriminatorio o comunque meno una presa in giro.
    Come vede propongo comunque delle regole, cerco come posso però anche una mediazione per rispettare la posizione della minoranza. Io credo sia possibile sotto tutti i punti di vista. E credo che la politica, soprattutto in democrazia, sia soprattutto questo lavoro di mediazione.
    Poi, ripeto quanto detto in precedenza: Il GP non è di per sé il problema che ci deve attanagliare, ma i modi e i criteri con cui lo stato di emergenza che giuridicamente lo rende possibile trovano applicazione e soprattutto fine e conclusione. Mi unisco a Burratti: le buone intenzioni, ossia la volontà di chiudere quanto prima questa fase andrebbe confermata dando indicazioni precise e concrete sui criteri che devono essere raggiunti per riprendere uno stato giuridico normale.
    Ultima riflessione: riusciamo a parlare delle cose, delle norme, delle idee senza giudicare malamente anche solo indirettamente le persone che le formulano? Se possibile eh… Possiamo parlare del GP senza esprimere giudizi morali su chi lo sostiene e chi lo critica? Credo aiuterebbe molto a non perdere di vista la questione che sta a cuore a tutti e formulare assieme ipotesi di soluzione. Dovrebbe essere questa l’unica cosa che ci interessa.

    Aggiungo un pensiero relativo al commento di Giulio A. – tralasciando l’aspirina sperimentale di cui non ho notizia – o forse il termine “sperimentale” è soggetto ad oscillazioni incontrollate a me di nuovo insondabili. Lei scrive “Io credo che la risposta ad Agamben sia stata scritta per il grande pubblico, da qui la necessità di utilizzo di concetti semplificati.” Semplificato non può voler dire impreciso o inappropriato. E comunque: il grande pubblico non è una massa di mentecatti o deficienti. C’è il rischio però che a forza di pensare che lo siano e trattarli in quanto tali un po’ lo diventino nel tempo. Io credo piuttosto che possiamo parlare anche in maniera complessa, perché una buona parte capirà. Non tutti, ma pace. Dei pochi che non capiscono alcuni non leggeranno (e viviamo bene lo stesso) alcuni magari si sforzeranno un po’ e alla fine capiranno. A meno che non si cerchi un consenso ampio e facile e allora sì, il semplice va come un cappotto 4stagioni. Però se invece cominciamo a pensare che chi legge è dotato di intelletto alzeremo il livello del dibattito, e alzando il livello del dibattito ci sforzeremo tutti di capire meglio e di ragionare meglio, che male non fa. Provare per credere.

  13. Grazie, Professor Illetterati.
    Condivido ciò che qui esprime, e mi sento dalla sue parole (finalmente) rappresentata.
    Considero essenziale, e quindi vitale, l’onestà intellettuale.
    Grazie, e buon lavoro!

  14. Faccio i miei complimenti a Stefania per il tono sempre aperto e disponibile al confronto. Concordo nel suo dissentire nei confronti del commento di Marco. Aggiungo solo che non mi sembra si affrontino a sufficienza due aspetti: il primo (verificabile dai rapporti dello ISS e quindi non da fonte complottista) è che è chiaro che coloro che sono da proteggere con la massima attenzione dal covid sono gli over 60, ci sono sempre eccezioni naturalmente, ma non c’è margine di discussione. E che la mortalità del Covid è – per fortuna – molto bassa. Per questo un atteggiamento che punta a vaccinare indiscriminatamente in questa situazione, usandolo anche in modo ricattatorio è quantomeno discutibile e poco scientifico. Sui danni provocati dal lasciare le persone in ‘vigile attesa’ e con tachipirina ci sono persone molto più qualificate di me che ne parlano in modo onesto. È un approccio sbagliato. Personalmente ho avuto il covid e mi sono curato da solo, sin da subito, con argento colloidale (che è stato studiato nella sua efficacia anche verso il coronavirus) e oli essenziali, con eccellenti risultati. Non la vendo come soluzione, ma forse vale la pena studiare di più l’aspetto della cura. E poi, senza falsa coscienza, bisognerà pur smetterla di usare i posti letto come manganello. Anche senza aprire il capitolo della gestione della sanità in Italia, che pure forse basterebbe a chiudere la questione come subdola e mirante a far litigare i cittadini tra di loro mentre i responsabili si godono la loro pensione. Il covid, detto brutalmente, uccide (sempre con qualche eccezione, così come in incidenti di auto muoiono anche le persone senza patente, passeggeri e pedoni) le persone già fragili, che sono tenute in vita dallo stesso sistema sanitario e che altrove (ad esempio nei paesi del terzo e quarto mondo) sarebbero già defunti da tempo. Perché non hanno una medicina che gli permette di sopravvivere al cibo spazzatura legalmente promosso e diffuso a basso costo, al consumo smodato di tabacco e alcol, al vivere in città inadatte al contesto umano e inquinate sotto ogni aspetto: acustico, dell’aria. Faccio il terapista e vedo tutti i giorni quanto sia pessima la qualità della vita degli anziani. Che però sono clienti preziosi per l’industria della salute e del benessere. Con tutto questo, non sono contrario a misure straordinarie di vaccinazione e controllo, purché fatti davvero scientificamente con riscontri e mirate ai casi necessari, senza abusi. Vaccinare i ragazzi dai 12 ai 20anni mi sembra inutile, non voglio dire potenzialmente dannoso, però l’abuso di farmaci mi sembra debba essere un cardine della vera cura della salute. Sostengo la necessità di un ‘pass’ dallo scorso anno, ma non con questi modi punitivi tipici italiani, del paese più corrotto, colluso e illegale dell’occidente. Per evitare le chiusure si potevano strutturare tamponi a tappeto già dalla scorsa estate (2020) senza far chiudere le attività, a fronte di tamponi negativi. Basterebbe non specularci sopra, una volta tanto. Il margine della discriminazione (oltre a quanto ben rilevato da Stefania) passa anche da tutti questi argomenti mai affrontati seriamente, lasciando i cittadini a subire le conseguenze. Come dice l’autore dell’articolo, forse la politica oggi riesce a sopravvivere solo così, poiché ha perso ogni credibilità e autorevolezza. Un cordiale saluto a tutti.

  15. Concordo con l’assunto dell’articolo, ma non sono d’accordo sul commento al Green Pass; si dice: “A cittadini che non stanno trasgredendo nessuna legge (perché non vaccinarsi è legale e legittimo) è di fatto impedita una forma di vita sociale minima degna di questo nome: essi, infatti, se non muniti di Green Pass non possono entrare in un’aula universitaria, in una biblioteca…. E tutto questo non sarebbe discriminatorio? Certo che lo è!” Ricordo che il Green Pass non è precluso a nessuno (basta farsi un tampone), quindi non ci vedo alcuna discriminazione (la patente, invece, discrimina in non vedenti, per dire…). Io ritengo il Green Pass un espediente legale più blando rispetto all’obbligo vaccinale, ma altrettanto “legale”. Se il governo obbliga all’uso del Green Pass in determinati ambiti, quello è legge e non ottemperare è trasgressione, ergo non discrimino ma metto paletti (come la patente ?).

  16. Gentile, gradirei conoscere la fonte della citazione di Hegel ad inizio articolo. Grazie

  17. Evito di rispondere a Marco e Flammini perché, dopo tot mesi, sono stanco di dialogare con persone che parlano di democrazia e poi tirano fuori argomenti che portano inevitabilmente alla sanità privata (Marco) o che ancora tirano fuori quel paragone ridicolo con la patente (Flammini). Mi permetto solo di aggiungere due cose ai commenti di Stefania e Gianluca (che non rispecchiano del tutto la mia posizione, ma sicuramente ci si avvicinano): 1) ricordiamoci sempre che il primo a trattare i cittadini e le cittadine come infanti imbecilli è stato il Governo, e continua a farlo, con un tono paternalista che molti ormai hanno introiettato ma al sottoscritto ancora non va giù; 2) il Green Pass ha anche una discriminazione ulteriore, palesemente classista, perché la persona ricca può tranquillamente permettersi di non vaccinarsi e buttare 200 euro al mese in tamponi, quella che guadagna 1000 euro al mese invece no. Si tratta dello stesso tipo di classismo occorso per le multe fisse durante le restrizioni, per le quali poi ci siamo ritrovati con i ricconi che facevano il festone perché tanto pagare la multa non gli costava niente.

  18. Concordo con entrambi i punti sottolineati da Burratti. Il primo è mi pare centrale perché strutturale. Il tono paternalistico sta in quel “folle” che riferivo alla comunicazione da inizio pandemia. Meriterebbe una riflessione adeguata a parte. Però quel tono paternalistico (che non so se molti hanno introiettato negli ultimi due anni, credo sia piuttosto in buona parte proprio connaturato al carattere culturale del nostro paese, per ragioni storico-confessionali) è la chiave della tacita legittimazione dei dispositivi di esercizio di potere e quindi di violenza cui assistiamo. Sia che lo si eserciti, sia che lo si accetti/assumi, il paternalismo. Per me questa è l’urgenza, capire questo slittare del lessico e quindi dei meccanismi che ci guidano e ci creano collettivamente verso una violenza divina (per usare Benjamin del ’20/21, pur in contesto odierno a lui lontano) volta alla giustizia negli scopi più che alla gestione del potere nella modulazione dei diritti.

  19. Una piccola riflessione, ex post: ma se ormai comincia a essere una verità condivisa il fatto che il vaccino anti-Covid esaurisca la sua capacità di protezione in mediamente 6 mesi (ma anche se fossero 8 nulla cambia), non è evidente che una terza vaccinazione, come sponsorizzata attualmente da governo, media, generali, virologi ecc., non farebbe che spostare il problema di 6/8 mesi? E questo spostamento funzionerebbe tendenzialmente all’infinito, visto che il vaccino oramai c’è, ed è quello attuale (non credo Big Pharma voglia crearne-sperimentarne un altro)?

  20. La fiducia e la discriminazione

    Lo dico subito: il bell’articolo di Luca Illetterati, collega e amico cui mi legano convegni e collaborazioni antiche e recenti sui temi della filosofia classica tedesca, mi ha spinta a riflettere a fondo sui temi proposti ma mi ha lasciato molte perplessità, nonostante la chiarezza delle argomentazioni contro la lettera dei “filosofi per bene” (in cui non è presente la mia firma). Ho avuto bisogno di tempo per di trovare buoni argomenti per dare forma alle riflessioni che mi ha suscitato. Argomentare a favore o contro una determinata tesi (e non pro o contro chi la sostiene) ha sempre fatto fare passi avanti al pensiero filosofico e a quello scientifico; per questo una discussione aperta e approfondita rientra nelle migliori tradizioni della disciplina.
    La prima tesi discussa nell’articolo riguarda la questione sul carattere o meno “testato” dei vaccini che sono stati prodotti e sulla necessità di ammetterlo pubblicamente. Certo è vero che quando sono stati immessi sul mercato i vaccini non erano stati sottoposti a tutte le verifiche standard che normalmente sono previste, ed è solo da agosto che l’agenzia americana della salute lo ha definito sicuro e ha fornito un’autorizzazione definitiva e non emergenziale al suo uso, dopo i molti miliardi di test cui è stato sottoposto nel mondo. Che si sia stati in un certo senso oggetto di sperimentazione per molti mesi senza prove definitive è dunque ammissibile, ma si è trattato di un scelta indispensabile, benché rischiosa, in ragione dell’emergenza di una pandemia che lasciava pochissimo tempo per correre ai ripari. È vero dunque che inizialmente l’argomento del carattere sperimentale del vaccino aveva una sua pregnanza, ma questo non spiega come mai allora ce lo siamo fatti inoculare a milioni fidandoci senza riserve delle indicazioni ricevute; siamo stati forse tutti presi da una sorta di improvvisa sudditanza nei confronti della scienza o del potere politico da cui saremmo stati illuminati fino a sfiorare una subalternità totale? Non credo si sia trattato di questo.
    Questa fiducia non era infatti cieca, ma basata su un ragionamento per analogia, che certo non è valido in tutti i casi, ma che costituisce una forma iniziale di legittimazione: esprimendo sostanzialmente una proporzione matematica, essa costituisce un valido strumento per orientarsi in termini generali su una questione, e, pur non essendo dimostrativo, può svolgere una utile funzione euristica lì dove non possiamo usare in tutti i casi l’esperienza o la logica. L’analogia che abbiamo usato era quella tra il successo dei vaccini precedenti e quelli attuali: quelli si sono dimostrati validi a debellare malattie di cui forse oggi ci si ricorda poco, come il vaiolo, che ci ha lasciato definitivamente da tempo, o la poliomielite, che invece è riuscita ad attaccare persone ancora oggi ben vive e vegete, che hanno contratto la malattia poco prima che il vaccino Sabin, sperimentato nel 1957 e approvato nel 1962, mettesse fine alle difficoltà deambulatorie di molti. L’analogia ci dice che il concetto e la tecnica della vaccinazione, messa a punto negli anni in maniera sempre più perfezionata, ha reso obsolete, senza importanti danni collaterali, le rilevanti menomazioni fisiche e psicologiche di coloro che venivano, loro sì, spesso emarginati per la loro evidente non conformità allo standard. Inoltre, per quanto riguarda la necessità di testare, si può concludere che storicamente la verifica dell’efficacia e non pericolosità è andata a buon fine.
    Certo non possiamo escludere del tutto possibili danni sul lungo periodo di un vaccino che non ha potuto essere testato per anni come i precedenti, ma abbiamo buoni motivi per attenderci il contrario in base allo storico. Su questo si basa la nostra fiducia, intesa come una sorta di “ragionamento induttivo del sentimento”, fondato sull’esperienza positiva passata che ci legittima ad aspettarci il bene anche quando non ne abbiamo tutte le prove. Molti amici che frequentano le medicine “alternative”, alcuni dei quali hanno spostato la causa no-vax, non condividono questa fiducia, e hanno invece una prevenzione nei confronti dei vaccini perché sostengono una concezione della malattia come una prova che va superata e non evitata in quanto capace di produrre naturalmente gli anticorpi rafforzando il fisico. Un’idea molto importante in passato quando il tasso di mortalità infantile e anche adulta era molto più alto di adesso. Chi sopravviveva era più forte, certo.
    Il secondo punto è il più complesso perché riguarda l’argomento più ampiamente usato dai no vax e no green pass, e cioè il tema della discriminazione. Qui a mio avviso va fatta una precisazione: si discrimina quando si esclude qualcuno dal godimento di un diritto in base a una qualità intrinseca al soggetto: essere donna, essere nera, essere ebrea, essere appartenente a un’altra etnia e così via. La persona in questo caso non può fare nulla per ottenere quel diritto se non opporsi alla stessa legge discriminatoria, che di fatto lede il diritto di appartenere a quella comunità, che la esclude in quanto tale. Il caso del green pass è molto diverso: nessuno viene escluso per ciò che è ma per ciò che fa, non per una qualità ma per un comportamento, in questo caso un’omissione, cioè per ciò che non ha fatto e che è sempre libero di fare benché non sia obbligato. Un comportamento è un criterio molto diverso da una caratteristica essenziale per il semplice fatto che il primo si può cambiare e la seconda no, e questo è un dato molto importante che rende ovviamente fuorviante ogni analogia con le persecuzioni contro gli ebrei e qualsiasi altro gruppo sociale, evidentemente stigmatizzato ed escluso in quanto tale.
    Nel caso del green pass invece si è certamente liberi di non vaccinarsi (anche se i motivi sono spesso basati su argomenti antiscientifici) ma ci si astiene da un comportamento che è stato dimostrato fondamentale per la fuoriuscita dalla pandemia, quindi da un comportamento che potremmo forse definire “virtuoso” in quanto mirato al bene proprio e altrui, ma che soprattutto è appropriato come mezzo adeguato per ottenere un fine. Il fine in questo caso non è il bene morale, che naturalmente può essere soggetto a scelte valoriali diverse e, se usato dai decisori come criterio d’azione, indicherebbe la presenza di una politica da stato etico, ma il bene sanitario, la salute e la ripresa economica e della vita sociale. Questa può essere senz’altro definita come bene comune, a prescindere dai valori e dagli orientamenti politici e culturali di ciascuno. In questo senso, a mio avviso, non si tratta dunque di una vera e propria discriminazione, dato che è sempre possibile assumere quel comportamento e recuperare ogni prerogativa eventualmente perduta.
    L’analogia con la patente in effetti è inappropriata perché in quel caso si acquista un’abilità senza la quale non è possibile un dato comportamento, mentre in questo caso si acquista una protezione (non totale, ma efficace sui grandi numeri) che consente ogni comportamento, con il quale cioè si è liberi di agire in ogni ambito, rendendo possibile il libero arbitrio, cioè la possibilità di scegliere una cosa e anche il suo contrario, in base ai valori dei singoli. Si tratta quindi davvero di discriminazione? Certo, se si intende questo termine in senso generale, come esclusione dal godimento di determinati diritti, possiamo dire che si tratta di questo, ma a me sembra che si faccia qui un uso generico di quel concetto, cioè troppo ampio per essere adeguato in tutti i casi e fuorviante in questo caso particolare.
    Allora: i “filosofi per bene” sono davvero tanto superficiali nelle loro argomentazioni o forse spinti da una sorta di invidia o gelosia nei confronti di personaggi come Agamben e per la sua audizione in parlamento? Una reazione di questo genere non è certo da escludere: è ben noto i filosofi non si sottraggono a nessuno dei peggiori difetti dell’uomo. Accolta l’osservazione di Illetterati che il suo nome sia stato fatto in ragione della sua ampia notorietà internazionale (un convegno con il pensiero di Agamben protagonista è stato da poco annunciato) e non come rappresentante della categoria, sembra tuttavia più che comprensibile il fatto che molti sentano di dover differenziarsi dalle sue posizioni e di rendere pubblico un approccio diverso; il pensiero filosofico è ricco da sempre di molte voci, non tutte rappresentabili attraverso la prosa evocativa ed elusiva di Agamben e dalle sue molto discutibili posizioni ideologiche. In cui è difficile individuare metodi e analisi rigorose; di pensatori di questo tipo si può solo diventare epigoni, in sedicesimo naturalmente. E non è quello che qualcuno si augura.

  21. Articolo prezioso laddove esercita il diritto di critica e invita alla riflessione.
    Quello che mi pare non si sia capito è che il greenpass non è la meno peggio soluzione, ma è solo un modo sbrigativo per ammettere che quando il gioco si fa duro non ci sono veri duri che sappiano giocare con l’arma della gentilezza e di una responsabile avvedutezza. Il greenpass in costanza di segreti di stato, carenza diffusa di trasparenza amministrativa e regimi legali di deresponsabilizzazione affatto giustificati, è la mera constatazione di ció che siamo, del fallimento di un’idea di società che si prende cura di se stessa senza dover mortificare i valori umani ed i diritti inviolabili, naturali, quelli che preesistono all’ordinamento giuridico.
    Non a caso i padri costituenti l’art. 32 disciplinante il diritto alla salute lo pospongo ai diritti fondamentali che si trovano nei primi dodici articoli.
    Perchè il virus dell’oligarchia, e del totalitarismo è certamente più pericoloso del virus pandemico che è vera minaccia più per il sistema economico che per le salute pubblica, anche in termini numerici.
    I padri costituenti sapevano quello che facevano, solo non potevano prevedere lo sviluppo tecnologico così repentino che in costanza di un vuoto legislativo sul conflitto di interessi e separazione dei poteri, non potevano prevedere che la tv, internet ed i media potessero influire in modo distorsivo ed iniquo sulla formazione del consenso, con conseguenze tangibili in termini di mancata protezione dei diritti e della dignità del singolo.
    Un governo che chiede pieni poteri è un governo che tenderà ad abusarne ed il fine non giustifica i mezzi.
    Oggi è tutto precario e temporaneo, anche la governabilità, e quindi aggrapparsi ad una visione scientifica della coscienza risulta l’unico modo per rendere l’esistenza individuale meno effimera. Idolatrare la scienza in ogni occasione corrisponde al nostro bisogno di vincere la paura della povertà, la paura dell’ignoto, la paura del dolore, la paura che diventa angoscia di vivere laddove non riusciamo ad avere la vita sotto controllo, abituati come dismo ormai a controllare ed essere controllati in ogni istante.
    Non siamo ancora pronti per avere un governo di filosofi, troppo innamorati del nostro “benessere”, troppo adagiati sulle nostre abitudini, sui nostri vizi, troppo intenti a sentirci potenti indossando i nostri giocattoli tecnologici individuali e di stato a cui diamo un aurea di sacralità ed oggettività.
    Il greenpass ci ricorda chi siamo, non dove vogliamo andare, ci lascia lo smarrimento e lo spettro di essere impotenti difronte all’universo, incompiuti signori del puaneta terra di cui siamo ospiti, forse indesiderati.
    Eppure almeno si potrebbe eliminare ogni dubbio sulla bontà delle azioni di governo dando un valore sociale alla salute individuale nel rispetto della riservatezza, senza che i dati possano essere oggetto di trattamento pubblico e filtrati dai giornali. La prova della circolazione del virus dovrebbe risultare unicamente dalla condivisione dei referti dei tamponi individuali, non da comunicati istituzionali.
    In questa legislatura abbiamo votato politici che volevano aprire le istituzioni ed il parlamento come una scatoletta e raggiungere un nuovo rapporto cittadino istituzioni più trasparente con le sedute in diretta straming. Gli stessi politici eletti ora moltiplicano segreti di stato, scudi penali, nella più assoluta segretezza dell’operato della pubblica amministrazione.
    I governanti non si curano di realizzare i programmi per cui sono stati eletti. Se democrazia è partecipazione, diritto di critica, condivisione, tutela di una pluralità di interessi l’epoca che stiamo vivendo è un passo evolutivo all’indietro, la prova che le democrazie occidentali come la nostra, o presunte tali, non sanno affrontare un’emergenza senza autoritarismo, senza toccare i diritti inalienabili naturali, che non sono oggetto di concessione governativa.
    Ma vale la pena di vendere speranza nelle nostre bottegucce, come diceva Rodari, per non cadere un’altra volta così in basso.

  22. Era doveroso smontare quella lettera come un dozzinale tentativo di non dare ospitalità, nel nostro mondo, ad una forma di critica; per me questo è Giorgio Agamben.

    Se il filosofo dice “Tutto fa pensare che i decreti-legge che si susseguono l’uno all’altro quasi emanassero da una sola persona vadano inquadrate in un processo di trasformazione delle istituzioni e dei paradigmi di governo tanto più insidioso in quanto, com’era avvenuto per il fascismo, si compie senza alterare il testo della costituzione.”, non significa per forza che si vive adesso in un incubo totalitario.
    Dov’è realmente la presa sul reale del pensatore?

    La carica dei cento e più filosofi si è mossa con la medesima superficialità e reticenza di chi ha trasformato il green pass in un oggetto politico. Così questo provvedimento di emergenza, vera e propria pezza sopra l’incertezza del vivere durante il covid, diventa un elemento di conflitto e di contraddizione. Il filosofo con i suoi occhiali ideologici mette il dito nella piaga e, per un attimo, fa apparire tutto questo status quo come fosse privo di fondamento e il politico come un’anarchia del potere…

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