di Jean-Charles Vegliante
La suite di poesie Esperienze è tratta dal libro di Jean-Charles Vegliante Où nul ne veut se tenir (La Lettre Volée, 2016). L’intero ciclo è attraversato da immagini d’acqua, di pioggia, di mare, di rugiada d’alba, che comunicano con separazioni, dolori e crisi dell’esperienza, e in qualche modo li mitigano, avvolgendoli di un ritmo ondulante. Questo ritmo non è solo tematico, ma stilistico, si innerva nello scorrere e nelle modulazioni del verso, fin negli accenti, unendo la classicità dei versi a improvvise spezzature e torsioni. Impossibile rendere del tutto questo suono in italiano, ho cercato di avvicinarmi ad esso con l’utilizzo quasi sistematico dell’endecasillabo, cercando di dare un’eco alla cadenza dell’originale, quasi battere ritmico di onda sulla riva. Per consiglio dell’autore, sono spesso passato dai cinque versi originali a sei, per evitare inutili forzature, il che d’altra parte ha comportato qualche leggera dilatazione della misura del verso francese. Questa traduzione è stata un’esperienza molto interessante. Tradurre un poeta contemporaneo richiede ad un tempo maggiore fedeltà ma anche più attenzione al timbro sonoro dell’originale: una traduzione prosastica farebbe perdere questo confronto di suoni, una troppo libera porterebbe a una “variazione” più che a una traduzione: cosa legittima con un testo classico (per esempio Dante lo faceva con gli autori latini), meno nel caso di un testo contemporaneo. La ricerca di un equilibrio tra variazione e traduzione è del resto il momento cruciale del rapporto tra lingue diverse, e ciò che reciprocamente le illumina. (Mario Pezzella)
ESPERIENZE
(Esperienza del nero)
I sogni che si disfano e poi vanno
verso i suburbi del corpo che giace,
la pelle, le unghie di colui che dorme,
i suoi rantoli sparsi, fino ai fili
che dentro a sotterranei di notte
l’inviano sottili e lì s’annodano
(Esperienza del dubbio)
Come corrono i tubi nel soffitto
nascosti simili alle ife di sotto
al pavimento ai fondi sotterranei
delle cantine comuni e poi come
dal portafiori dell’essere scorre
l’umore bruno come il tuo sospetto
(Esperienza del niente)
Qui c’è silenzio, e quello che si scrive
quasi come un distratto evitamento
di ciò che nel passato ha spinto
a dire, a scegliere questa parentesi
in cui persiste ancora ciò che taci
e nello sciame delle voci vibra
(Esperienza della lontananza)
Vorrei poter dormire, ritornato
a te vicino, volto al muro che umido
il mare afferra, freddo in paesaggi
che senza fondo passano rifusi
da sonni antichi, ma poi il tutto nero
ci trattiene violento, e ci separa
(Esperienza dell’acqua)
Come anni fa (io a Deauville una domenica)
hai tentato la morte anche tu,
t’ho vista scendere fin dove il filo
del debole richiamo è tagliato,
nel naufragare improvviso discendere,
ritornando nel fondo inconoscibile
(Esperienza d’allegria)
All’angolo improvviso il vento sembra
che venga a togliere ogni peso al corpo
e questo senta entro di lui qualcosa
un’idea che un attimo trascorra,
sotto la pelle un brivido, dissolto
il male, ed una voce: è tua la gioia
(Esperienza di lettura di A.R.)
Lui l’alba estiva saluta che ancora
vibra dei freddi amori della notte,
getta il seme nel vento (il cielo ondeggia),
di colpo grave, come se vedesse
riapparire la sua mamma morta
sotto la folle rama delle rose
(Esperienza di un alessandrino)
La dolce ondata culla nel mattino
a rive ci avvicina in tenue luce,
nell’acquietato dolore dei giorni
che seguono la più insistente insonnia.
Il muro si ritrae, e poi si espande,
se ai rumori il respiro s’accompagna
Esperienza della pioggia d’estate
Non osi dirti oraggio, nel deserto
respiro di fucina, tu piovosa
tregua, al disastro che ci opprime e incalza.
Il tuo filo avvelena dolcemente
tenere foglie, come noi ingannate
Esperienza invecchiare
Talvolta in notti lunghe come un tempo
e ghiacciate, si cercano l’un l’altro
i corpi, col bisogno d’un calore
comune, calma fugace d’un sogno,
che muore prima che sua ombra ricordi
(toccarsi, privilegio dei viventi)
(Esperienza del pronto soccorso)
Le parole non servono più a niente:
grazie Madame Robert, ma grazie a voi,
buongiorno, auguri a voi, parole mute,
durata di respiri acuminati
nelle meningi, dura-madre, e un grido
attraversa le costole a trafiggere
(Esperienza ancora del verde)
Nelle città, sotto il cielo invisibile
bagnati, con piaceri di sospetto
privi, quasi di vita altra a venire,
ancora a tutto il verde offerta,
a ogni alba colma d’aria
(Esperienza, esfoliazione)
Cadon le foglie, i capelli e le maschere
presto anche noi cadremo, ed in così
gran numero io non avrei mai creduto
che morte tanti n’avesse disfatti,
Lei, la Livida, senza occhi per piangere
sopra le nostre anella di cipolla
Esperienza:
Piogge del sud, piene di grandi collere
fuggite, sempre ci lasciate a riva;
ma certo non saremo noi a svanire
né il dire che senza posa affina
il dolce fiore che nutrono e perdono
Ex-
donna che ancora è bella ma sfiorita
mormora: dove vado? A che punto
mai siamo, fuori-uscita degli artisti,
ometto screpolato mai cullato
bambino triste nella sua rivolta
umano che più non sa che cosa
(Traduzione di Mario Pezzella)
EXPÉRIENCES
(Expérience du noir)
Les rêves se défont, se déplacent vers
les périphéries du corps gisant, la peau,
les ongles du dormeur, ses râles épars
jusqu’aux filaments subtils qui le destinent
aux souterrains de nuit où ils se renouent
(Expérience du doute)
Comme dans le plafond courent des tuyaux
cachés comme les hyphes sous le plancher
des caves communes en bas souterrains
comme s’écoule de la jardinière-être
une humeur brune comme ta suspicion
(Expérience du rien)
Il y a ce silence, il y a tout ce
qu’on écrit comme un évitement distrait
de ce qui une fois a poussé à dire,
à choisir cette parenthèse où subsiste
ce qui est tu, qui vibre en voix essaimée
(Expérience du loin)
à R. de loin
Je voudrais pouvoir dormir près de toi re
venu, retourné contre le mur qui happe
humide mer, froid en paysages passent
sans fond, refondus par des anciens sommeils,
mais le tout noir nous tient violent, et sépare
(Expérience de l’eau)
Ainsi qu’il y a des années (moi à Deauville
un dimanche) tu as toi aussi essayé
la mort, je t’ai vue descendre jusqu’où se coupe
le fil du rappel ténu, descendre et sombrer
d’un coup, dans le méconnaissable revenante
(Expérience d’allégresse)
À l’angle soudain le vent semble enlever
tout poids au corps si bien qu’il sent quelque chose
qui le traverse un instant comme une idée
un frisson sous la peau, plus mal nulle part,
quelque chose qui dit : c’est comme ton bonheur
(Expérience de lecture d’A. R.)
Il salue l’aube d’été qui vibre encore
un peu des amours froids de la nuit, il jette
sa semence dans le vent (le ciel ondule),
grave tout-à-coup comme s’il voyait sa maman
morte là sous le bouquet fou d’églantines
(Expérience d’un alexandrin)
Une ondée douce au matin berce vers les rives
où nous accosterons dans la lumière pâle,
dans la douleur apprivoisée des jours qui suivent
beaucoup d’insomnie. Le mur recule, s’étale
si la respiration accompagne ces bruits
(Expérience de la pluie d’été)
Pleuye tu n’as pas osé te dénommer,
pluviale accalmie dans le désert souffle
de forge, à ce désastre qui nous accable :
nous l’avons. Ton fil doucement empoisonne
les tendres feuilles, trompées comme nous sommes
(Expérience vieillir)
Parfois quand les nuits sont longues comme avant
et glacées, les corps se cherchent l’un l’autre
sans autre besoin que d’une chaleur en
commun, calme passager comme un songe
qui meurt avant la mémoire de son ombre
(se toucher : privilège des vivants)
(Expérience des urgences)
Quand les mots ne servent plus à rien : Merci
Madame Robert, merci à vous, mots muets
bon courage, très belle journée à vous, durée
des respirations aiguës dans les méninges
dure mère, entre les côtes cri exquis
(Expérience encore du vert)
Trempés sous le ciel invisible des villes
c’est au delà des soupçons leur plaisir
comme d’une autre vie à venir
encore offerte à tout le vert
à toute aube comblée d’air
(Expérience, exfoliation)
Tombent les feuilles, tombent les cheveux, les masques
et nous autres bientôt nous tomberons, en si
grand nombre que jamais on n’aurait cru qu’en eût
autant défait celle qui n’a pas de regard
pour pleurer sur nos couches d’oignons, la camarde
Expérience :
Pluies du sud, porteuses de grandes colères
enfuies, nous laissant à jamais sur ce bord :
mais non, ce qui disparaîtra n’est pas nous,
n’est pas ce dire où s’affine sans repos
la fleur tendre qu’elles nourrissent puis perdent
Ex-
femme regardable marmonne où je vais
où on est là, ex-issue des artistes
bonhomme gercé jamais bercé
enfant tout bas dans sa révolte
humain qui ne sait plus quoi
(da: Où nul ne veut se tenir, 2016)
Prolungando l’eco, giustamente convocata da Mario Pezzella, potrei cominciare col dire che anche l’essere tradotto da un contemporaneo comporta leggere ma illuminanti scoperte di sfaccettature implicite, non sempre consapevoli per il lettore forse privilegiato, lettore comunque, che è l’autore del testo poetico di origine. Tra testo originario e testo di destinazione (in altra lingua-cultura) si instaura così una sorta di dialogo dall’esito imprevedibile, come tutti i veri dialoghi. E come l’esistenza verace del testo, per e nella sua lettura: sia pure, in alcuni casi, fuorviante, ma pur sempre di grande interesse esegetico (vedi il “beau contresens” di Proust che spesso mi piace citare).
La questione della cadenza, del ritmo incarnato – nero su bianco, senz’altro – in un dato metro, è fondamentale per tutta la letteratura-arte, e non solo in versi (vedi Proust, di nuovo). Ma per quanto mi riguarda, devo ammettere, quasi fino all’ossessione. Il traduttore diventa allora co-autore a pieno titolo, ed è il caso qui, a me pare. Per noi umani, nondimeno, il ritmo (e la musica) in poesia non può esistere se non attraverso un certo messaggio – in quanto tale anche comunicativo – e quindi tramite parole, costrutti sintattici, morfologia, valenze denotative e connotative di frasi espressioni, ecc. Ecco che prende importanza la lingua di tutti, non per forza conosciuta in maniera perfetta, professorale, ma nella simpatia della duplice o pluri-appartenenza, cioè dell’apertura all’altro in ogni senso del termine. Apertura significa spesso, in questa sede, distanza dal linguaggio più trito dei vari media, soprattutto “social”, raramente adeguati a quella che Leopardi chiamava “social catena”, purtroppo. Un consiglio a un “giovane poeta”, se volessimo parafrasare Rilke al giorno d’oggi, potrebbe essere di diffidare da tutte quelle parole che l’IA dei microprocessori anticipa sulla battitura, per veloce che sia, e a volte addirittura corregge (bisogna starci attenti, e rileggere – mettiamo – il mio sovrapposto al personale moi, oppure la camarade subentrata fulminea al corretto meno scontato camarde che là si voleva mettere)… Scrivere – e tradurre – significa infine riconquistarsi una fratellanza e una libertà fuori della strada maestra di una cosiddetta singola “identità” ripiegata sulla propria illusoria chiusura. (Jean-Charles Vegliante)