di Franco Buffoni
[Esce oggi per le Edizioni Curci Non tocchiamo questo tasto. Musica classica e mondo queer, di Luca Ciammarughi. Pubblichiamo la prefazione di Franco Buffoni].
Più di trent’anni fa, il 17 maggio 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sancì definitivamente che l’omosessualità è una variante naturale dell’umana sessualità. Quindi: nessuna malattia e di conseguenza nessuna cura o terapia riparativa. Ne consegue che – non esistendo più un modello unico di orientamento sessuale da darsi per scontato a priori – si può finalmente accedere con nuovo sguardo anche alla storia della letteratura e della musica. A tale modello unico, però, buona parte della cultura e dell’accademia italiana è ancora profondamente legata. Producendo una sorta di persistente patina di “neutro accademico eterosessuale”. Perché scoprire che il sentimento amoroso è lo stesso – quale che sia la nostra identità di genere – ancora disturba, spaventa.
Se è vero – come Grillparzer scrive a Beethoven – “che in musica si può dire talvolta più facilmente ciò che in letteratura verrebbe censurato”, tali e tante sono state per secoli le ipocrisie e le reticenze inflitte alle biografie di molti musicisti, da rendere nel 2021 l’uscita di questo libro di Luca Ciammarughi non solo “necessarissima”, come avrebbe scritto Leopardi, ma anche un raggio di luce nel nostro panorama degli studi musicali. Non certo perché sia un mistero l’omosessualità di Chopin o di Ciaikovskij, ma perché l’accademia e i conservatori, a partire dai maggiori luminari, continuano ad avere un serio problema di omofobia. Interiorizzata o meno, poco importa. E questo persino dopo Menotti e il suo attraversamento del nostro Novecento. Prevedo infatti che, anche per questo libro, vi saranno studiosi che sosterrano che per loro l’orientamento sessuale di un musicista non è assolutamente rilevante. Quindi: gente che passa la vita a cercare di scoprire una variante sui pentagrammi, sosterrà che in fondo non importa nulla conoscere quale fosse il mondo dei desideri, delle allusioni e dei tabù di un autore! Studiosi così intrisi di omofobia culturale da non rendersene nemmeno conto.
Anche per questo libro documentato e dotto, ben scritto ed entusiasmante, capace di spaziare dalla letteratura alla filosofia tenendo sempre la musica come perno della narrazione, sono certo che risentiremo il coro di prese di posizione, di distinguo, di precisazioni. Riassumibili nella frase: anche se fosse, l’omosessualità di Schubert (o di Britten o di Cole Porter) non è importante per definirne l’opera e non ne inficia il valore. Perché certa intellighenzia italiana, ignorante in materia di studi di genere, non comprende la gravità di certe affermazioni. E continua a rapportarsi con imbarazzo di fronte all’orientamento sessuale “non conforme” di molti autori e autrici. Omofobo, arrogante e maschilista: questo il paradigma culturale profondo che ha formato e continua a formare gran parte dei giovani nel nostro Paese. E questa è la ragione prima del mio convinto sostegno a questo libro e al metodo di ricerca che lo pervade, ispirato agli studi di genere e al loro impatto non solo sugli studi letterari e musicali, ma anche sulla funzione pedagogica della narrazione biografica.
Il nostro Paese ha bisogno come il pane di una normalizzazione delle reazioni emotive di fronte alla non univocità del desiderio amoroso e – conseguentemente – di ammettere gli studi sulla sessualità e di genere nel canone letterario e musicale. Questo libro – pedagogico nel senso più alto – con eleganza, garbo, intelligenza e anche un pizzico di humour va proprio in questa direzione, nel convincimento che per studiare l’opera di un artista si debbano ricostruire le condizioni della sua “normalità” sociale. E dunque anche le possibilità concrete che si aprivano e chiudevano per condurre quell’esistenza (in)felice, che inevitabilmente poi nutrì anche i temi della sua produzione musicale. Un orientamento sessuale da tenere nascosto, da vivere come una vergogna e un’infamia in un tempo tutt’altro che pronto ad accettare le diverse sfaccettature della sessualità, non è un dettaglio di poco conto nella comprensione e nell’analisi dell’opera di un musicista.
L’assunto ideologico da cui nasce quest’opera di complessa e puntuale documentazione filologica è dunque quello di far comprendere al lettore che l’omosessualità di un artista in un contesto sociale marcatamente omofobico non è una questione di gusto personale, ma la questione centrale della sua esistenza e quindi della sua opera.
Restituire a una biografia la pienezza della sua verità ha più di un significato: è in primis un dovere di giustizia; quindi rappresenta la possibilità di leggere e di interpretare la produzione di un artista nella sua autentica complessità. E chiarendo chiama a una presa di coscienza. Senza clamori, con la sola forza della verità dei fatti, rimettendo in discussione dalle basi un modo di pensare alla storia della musica attraverso lenti focali uniche, eterosessiste, inadatte a cogliere l’alterità di genere.
Indice del volume
- Introduzione
1) • Antichi segnali
– Preludio: Lamento sul Rodano severo
– Händel, quel sassone così caro ai cardinali
– Gli amori di Apollo e Giacinto: Bach censurato
2) •Romanticismo disvelato
– I pavoni di Schubert
– Il Wanderer come diverso
– I turbamenti del giovane Chopin
– Ciaikovskij e il Paradiso perduto
3) •Turbamenti fin de siècle
– Siegfried Wagner, o dell’omoerotismo sulla Collina Verde
– Re Ruggero e gli efebi di Szymanowski
4) • Parigi tra estasi e follia
– Reynaldo Hahn, l’incantatore
– Sessualità parigina e gusto camp in Saint-Saëns e Poulenc
– Dandismo e segreti: Ravel e Satie
5) • Amori proibiti in Albione
– Ethel Smyth, la pioniera
– Benjamin Britten, oltre le maschere
6) • Il mondo nuovo
– Il commando di Copland
– I dilemmi di Bernstein
– Da Cole Porter a Henze: i mille volti del Novecento
[Immagine: Gábor Melegh, Ritratto di Franz Schubert].
Riprovo a lasciare un commento già postato. Vediamo se stavolta passa.
L’omosessualità è senza dubbio un dato da prendere in conto ma non tutte le omosessualità sono uguali e hanno lo stesso influsso nell’opera: quella di Britten non è quella di Ciaikovskij, che non è quella di Schubert.
In questo senso mi pare che, sebbene per ragioni giustificabili, Buffoni rispolveri vecchie e grevi metodologie positiviste .
Nell’ultimo articolo, per altro molto bello, affermava ad esempio il chiaro legame tra omosessualità e alcolismo in Pessoa. Che pensare allora di tutti gli scrittori etero amici della bottiglia ? Idem per il il legame tra eteronimia e omosessualità , perché non mi pare che tutti gli scrittori omosessuali repressi si siano dedicati alla creazione di eteronimi. Ne consegue,che fosse qualcosa di specificamente pessoiano, prima di essere qualcosa di genericamente omosessuale.