di Simone Giorgio

Il romanzo di Alessandro Cinquegrani, Pensa il risveglio (TerraRossa Edizioni), è fondato su una struttura simmetrica esibita: il corpo centrale della narrazione, infatti, è incastonato fra un prologo e una parte finale che costituiscono entrambi delle deviazioni improvvise rispetto a quella che, al momento di incominciare la lettura, crediamo essere la realtà della narrazione. Eppure, soprattutto per il prologo, basterebbe confrontare una descrizione di questa parte con una della narrazione principale per rendersi conto che il mondo tratteggiato ha qualcosa che non va, possiede degli elementi che ci disturbano: alcune recensioni hanno chiamato in causa Inception; si potrebbe però invece istituire un paragone proficuo con uno dei migliori testi di fantascienza del Novecento, Tempo fuor di sesto di Philip Dick. Come nel romanzo americano, infatti, la realtà in cui veniamo immersi ispira immediatamente un senso di diffidenza: ciò vale sia per il mondo del prologo, che è appunto una finzione, ma anche per la parte centrale del romanzo, dove quel susseguirsi di viaggi in auto e villette suburbane in Lombardia contribuisce a creare un clima di irrequietudine e di attesa dell’individuazione delle «crepe» (parola che ricorre spesso nel libro). La storia principale può essere riassunta come segue: Alberto, sceneggiatore cinematografico, indaga sulla scomparsa del suo amico e collega Lorenzo assieme alla compagna di lui, Cate; di Lorenzo non c’è più traccia e dunque Alberto si trasferisce nella loro casa, di fatto sostituendo il suo amico. Su questo tronco narrativo si inseriscono vari episodi che accompagnano Alberto nella sua nuova vita, su tutti le riflessioni sul film scritto con Lorenzo e già uscito, una distopia con richiami al nazismo, e il lavoro al seguito di questo film.

 

È proprio la gestione del tempo – per richiamarci ancora al titolo di Dick – a risultare straniante: le cose, in Pensa il risveglio, sembrano accadere in un tempo sospeso; gli eventi si succedono senza che a legarli intervenga, come ci aspetteremmo, un rapporto di causa ed effetto: ogni situazione risulta valida di per sé, pretende di essere autosufficiente e di spiegarsi da sola – anche quando ciò, evidentemente, non è possibile; proprio questa inspiegabilità genera la diffidenza verso il narratore e lo straniamento verso la narrazione. Questo doppio effetto è conseguito da Cinquegrani sul piano tecnico attraverso il ricorso all’uso del presente: questo, assieme alla prima persona, contribuisce a creare quel clima di straniamento perché è come se assistessimo agli eventi non tanto nel loro farsi quanto nel prodursi nella mente di Alberto, il protagonista; a ciò contribuiscono anche le descrizioni cristalline, nitide, contrassegnate da una minuziosità fin troppo sospetta: in un certo senso, sono proprio le cascate di dettagli con cui Alberto descrive le sue azioni a farci sospettare che egli sia un narratore inaffidabile, perché è come se dietro queste descrizioni ci fosse l’ansia di un’assenza di realtà. E proprio per questo anche gli altri personaggi della narrazione risultano tutti ancillari rispetto all’io narrante, dal momento che il punto di vista è saldamente nelle mani di Alberto, e non possiamo mai capire cosa pensano e cosa provano gli altri.

 

Queste due caratteristiche del romanzo – opacità degli altri personaggi, trasparenza straniante delle descrizioni – evocano nel lettore il sentimento di diffidenza di cui parlavamo prima, sentimento che è però raddoppiato dalla diffidenza stessa del protagonista verso ciò che sta succedendo: la narrazione si configura, essenzialmente, come un insieme di tentativi di interpretazione dei segni da parte di Alberto. Questi tentativi sussistono a più livelli: Alberto prova a capire cosa pensa Cate, sua nuova amante; prova a capire i messaggi cifrati che pare rivolgergli Lorenzo dalla sua misteriosa latitanza; il suo lavoro di sceneggiatore gli impone di cercare di capire le possibili evoluzioni dei personaggi dei film a cui lavora; tenta di interpretare i comportamenti dei suoi nuovi vicini di casa e infine, al livello più estremo, sviluppa una sorta di sentimento paranoico su ciò che gli sta accadendo.

 

Il rapporto tra Alberto e Cate è, in questo, paradigmatico fin dalla prima apparizione della donna: sebbene sia evidente che i due si conoscono, Alberto è sorpreso dal suo atteggiamento, non riesce a comprenderlo, ne è confuso; infine, si stupisce della facilità con cui lo accoglie al posto di Lorenzo. Così con gli altri personaggi: talvolta essi sono portatori di messaggi indecifrabili (è il caso del dialogo tra Alberto e il vicino di casa ustionato, il Bruciato); talvolta, all’opposto, sembrano in grado di rivelare verità importanti per Alberto (come accade fin dall’inizio, con il vecchietto che ha trovato l’auto di Lorenzo in Svizzera). Lorenzo, invece, è l’unico altro personaggio prodigo di segni: sembra disseminare, lungo tutto l’arco del racconto, indizi sulla sua sorte; questo è uno dei fattori che porta Alberto sull’orlo della paranoia, anche perché cominciano ben presto a fioccare somiglianze tra la vita della famiglia di Lorenzo e la trama del film che hanno scritto insieme. Più in generale, Cinquegrani confonde spesso i piani, istituendo corrispondenze tra mondi finzionali e mondo reale: è anche questo continuo movimento di creazione di aspettative e disattesa delle stesse a produrre quel sentimento di disorientamento e timore nel fidarsi della voce narrante, Alberto. Qui si inseriscono in particolare delle riflessioni che paiono inizialmente di natura narratologica, e che poi si evolvono in riflessioni sulla propria esistenza. Sono quelle di Alberto su Morini e Gerhard: si tratta di due personaggi del film che hanno scritto, ma anche in loro i due amici sembrano specchiarsi. Sebbene la trama del film non sia mai esposta distesamente, si intuisce che Morini e Gerhard hanno un rapporto complicato col regime distopico del mondo fittizio; in particolare, Gerhard ha la possibilità di uccidere il ministro, e Alberto deve capire che direzione far prendere a questo racconto: in questo, il simbolo della sua stessa indecisione, dei dubbi sulla sua paternità, sul suo ruolo nella scomparsa di Lorenzo.

 

Il distacco tra i pensieri e le azioni è la cifra più importante del personaggio di Alberto: molte sono le scene che lo ritraggono mentre esegue azioni meccanicamente, e nel frattempo è perso in varie elucubrazioni riguardanti gli avvenimenti. È in questo genere di scene che si inseriscono le riflessioni sulla dicotomia alla base del romanzo, quella in cui si specchiano i due personaggi di Alberto e Lorenzo: parlo del confronto tra le figure di Albert Speer, architetto del regime nazista e collaboratore strettissimo di Hitler, e Josef Mengele, il famigerato medico di Auschwitz, esecutore di esperimenti disumani sui prigionieri. Essi forniscono a Lorenzo e Alberto (e a Cinquegrani) due modi diversi di raffigurare il male: se Mengele è il male assoluto, di cui è facile avere orrore, Speer rappresenta il volto gentile della crudeltà, ne simboleggia il potere seducente e, per questo più pericoloso. E non solo: se Mengele ha continuato a sfuggire alla giustizia latitando, Speer, proprio in virtù delle sue abilità mistificatrici, è riuscito invece a non farsi condannare a morte a Norimberga, e ha potuto vivere così la sua vita serenamente, dopo aver scontato la sua pena. In questa diversità di atteggiamenti stanno anche le differenze tra Lorenzo e Alberto: il primo, trascinato dalla follia delle sue idee, sparisce; il secondo, con grande nonchalance, ne prende il posto, apparentemente senza problemi. Al tempo stesso, l’uso simbolico di due personaggi così noti del nazismo, unito allo svelamento finale, costituisce forse la trovata concettualmente più interessante del romanzo: il nazismo, infatti, è qui contemporaneamente referente storico e simbolo; la fusione tra interpretazione privata e sociale del male non è risolta, ma le due polarità necessitano l’una dell’altra e rimangono tuttavia irriducibili. Per intenderci, nel testo Albert Speer agisce sia come simbolo che come personaggio, e l’uno e l’altro uso sono comprensibili solo se si tiene conto di entrambi.

 

D’altronde, che Speer sia al centro del romanzo è fatto sottolineato anche dai continui richiami alle sue opere architettoniche e, più in generale, dal legame intrattenuto dal libro con l’architettura. La struttura stessa della narrazione, come detto in apertura, risponde a un disegno architettonico: è anche per questo che lo spettro di Speer ricorre spesso in queste pagine (significativamente, il titolo scelto da Lorenzo per il loro film era Albert Speer è morto). I due poli opposti Speer-Mengele, apparentemente inconciliabili, si saldano invece nel finale, quando scopriamo il motivo per cui questo mondo sembrava così sfuggente e poco credibile, e capiamo anche perché, come narratore, Alberto sembrava così inattendibile. Ciò che è interessante notare, però, è che lo svelamento della vera natura delle visioni e delle vicende di Alberto non le ferma: alla narrazione a cui abbiamo assistito fino a quel momento, semplicemente, in quest’ultima parte (che fa da controcanto al prologo) se ne affianca un’altra, e le due storie cominciano ad alternarsi. La scelta autoriale di rappresentare così due mondi paralleli, senza privilegiarne davvero uno, è forse giustificabile con l’intenzione di presentarli come ugualmente autorevoli: cioè ugualmente portatori di senso, un senso che sembra sempre sfuggire ma che alla fine viene afferrato dal protagonista. I tentativi ermeneutici che costellano il racconto, infatti, trovano finalmente compimento nella parte finale della narrazione, in cui il saldarsi dei due mondi in cui vive Alberto genera fra essi una relazione di reciproca significanza: i due mondi tendono a giustificarsi e completarsi a vicenda (esattamente come accade per la presenza della figura di Speer).

 

In sostanza, Pensa il risveglio è un romanzo fortemente costruito su corrispondenze ambigue e sulla sistematica demolizione delle aspettative di realismo: in questo sembra apparentabile alle recenti narrazioni weird che stanno spostando in là l’asse della narrativa italiana, caratterizzate appunto dalla presenza di elementi non riconducibili né al fantastico né al realismo classico, ma più che altro ibride, capaci di convogliare un effetto di sur-realtà su un fondo prevalentemente naturalista – una vocazione antica della nostra letteratura, che in Cinquegrani trova un nuovo, recente episodio.

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