[In occasione del trentennale della scomparsa di Pier Vittorio Tondelli, si terranno a Reggio Emilia e a Correggio due giornate per ricordarne la figura. Pubblichiamo qui l’annuncio del programma complessivo della manifestazione “Pier Vittorio Tondelli non era invidioso” (11 e 12 Dicembre), seguito da un estratto dall’intervento che sarà tenuto il 10 dicembre da Jessy Simonini in occasione del XXI seminario Tondelli]

 

A trent’anni dalla scomparsa dello scrittore correggese Pier Vittorio Tondelli, Reggio Emilia e Correggio lo ricordano, l’11 e il 12 dicembre, in “Pier Vittorio Tondelli non era invidioso”, due giornate di dialogo e confronto dedicate allo scrittore, scomparso il 16 dicembre 1991, a soli 36 anni. L’evento vuole condurre alla scoperta di un lato poco esplorato dello scrittore: quello di scopritore di talenti, di autore aperto e curioso verso gli altri scrittori e i loro mondi narrativi.

Si inizia sabato 11 dicembre al Palazzo dei Principi di Correggio (Sala conferenze “A. Recordati”) dove dalle 9.00 si terrà il XXI SEMINARIO TONDELLI con la presentazione di tesi e studi inediti, coordinata da Gino Ruozzi. Alle 15.30 si prosegue con interventi dei giornalisti e critici Gabriele Romagnoli (Pier nel mondo. Tondelli giornalista culturale), Marco Belpoliti (Pier in Emilia. Tondelli e le radici), Roberto Carnero e Gino Ruozzi che presenteranno “VIAGGIATORE SOLITARIO – Interviste e conversazioni 1980-1991”, il volume appena uscito per Bompiani, a cura di Fulvio Panzeri. Verranno poi presentati brevi estratti di “CIAO LIBERTINI! Gli anni Ottanta secondo Pier Vittorio Tondelli”, un film prodotto da Sky Arte e diretto da Stefano Pistolini.

Alle 21.00 appuntamento al Teatro Ariosto di Reggio Emilia con un dialogo tra Gabriele Romagnoli, editorialista di la Repubblica/Robinson e autore scoperto da Tondelli, Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e Luciano Ligabue, che in un’intervista su Robinson proprio a Piergiorgio Paterlini, ha testimoniato, ad esempio, come il messaggio, meglio l’incoraggiamento che veniva da Tondelli “era che tutti abbiamo una realtà da raccontare. E che non c’è affatto bisogno di essere nati in una metropoli. Quello che è importante è lo sguardo con cui tu restituisci a tua volta quella realtà”.

Si conclude domenica 12 dicembre alle 11.00 al Ridotto del Teatro Municipale Valli, all’interno del ciclo autunnale di Finalmente Domenica, con “I “suoi” scrittori e i vizi della società letteraria”: un confronto tra alcuni autori scoperti da Tondelli come Romolo Bugaro, Giuseppe Culicchia, Guido Conti e gli scrittori che ne hanno amato il percorso letterario come lo scrittore e critico Paolo Di Paolo e la giornalista Simonetta Sciandivasci.

Eventi e iniziative di “Pier Vittorio Tondelli non era invidioso” sono promossi da Comune di Reggio Emilia, Comune di Coreggio, Biblioteca Panizzi, Centro Documentazione Pier Vittorio Tondelli, Fondazione I Teatri Reggio Emilia.

Ingresso gratuito su prenotazione. Per accedere agli eventi è necessario presentare Green pass e documento di identità in corso di validità.

 

 

Tondelli/ Fassbinder. Alcune (modeste) proposte di lettura

 

di Jessy Simonini

 

Ho faticato a scrivere questo intervento, perché per molto tempo mi è sembrato che Tondelli e Fassbinder non avessero proprio nulla in comune e fossero tuttavia molto simili, irreparabilmente vicini, quasi fratelli. E per molto tempo non sono riuscito a sciogliere né a spiegare questo conflitto apparente fra due autori che ho attraversato in così tanti modi e in così tante occasioni.

Certo, un critico più rigoroso e accorto di me si lancerebbe immediatamente a osservare le possibili intersezioni tematiche tra Fassbinder e Tondelli, gli sfregamenti che si esprimono sul piano del linguaggio e della poetica, la vicinanza fra i loro sguardi rispettivi; altri noterebbero come l’immaginario di Tondelli sia influenzato dall’incontro, forse precoce, con il cinema di autori quali Fassbinder, Herzog o altri del Neuer Deutscher Film. Proprio su Lope de Aguirre e sull’Aguirre di Werner Herzog, interpretato da Klaus Kinski, Tondelli scrive un breve saggio, contenuto in Un weekend postmoderno:

Ed è proprio così (solo in mezzo alla natura incontaminata e feroce dell’Amazzonia) che lo ritrae superbamente il cineasta tedesco Werner Herzog in “Aguirre furore di Dio” (1972), simbolo della follia umana di conquista che va alla deriva di se stessa: Klaus Kinski, allucinato sulla zattera, esce a fatica dai gorghi del fiume amazzonico, circondato e assalito da decine e decine di scimmie, immagine impotente e disperata di un’insensatezza che gira a vuoto, fino a sparire nel gorgo della follia.

Si potrebbe poi sviluppare un discorso più esteso sul rapporto fra Tondelli e il cinema, anche considerando la sua ricca produzione saggistica sul tema, dalle cronache che scrive come inviato del Carlino alla Mostra di Venezia fino alle tante presenze cinematografiche nei suoi “Scenari italiani” o anche nel raccontare Rimini d’inverno, città quasi sospesa, in “Fuori stagione”, fra La prima notte di quiete di Valerio Zurlini o I vitellloni di Fellini. Lo farò più avanti, proponendo alcune analisi a partire da tracce testuali precise; ma ora, per prima cosa, vorrei spiegare in che modo si è originato un legame fra questi due autori e come questo legame è poi inevitabilmente risuonato in me. Mi si perdoni, almeno per ora, la carenza di rigore scientifico, ma si tratta di una premessa necessaria.

Ho riflettuto a lungo, sono andato a cercare tutte le tracce di Fassbinder in Tondelli, ho annotato con cura i punti in comune, le citazioni, le differenze, le interpretazioni convincenti, quelle difficilmente argomentabili. E poi, a un certo punto, mentre ripensavo a una scena del Diritto del più forte, ho capito che questa associazione automatica fra Fassbinder e Tondelli nasce primariamente da un’istanza soggettiva, dalla mia esperienza come lettore e come spettatore, da un tentativo di riconoscimento che, almeno in passato, ho considerato necessario. È qualcosa che si situa oltre ogni possibile studio scientifico o riflessione critica, vive esclusivamente nella mia soggettività, è il risultato di una forma di autocoscienza o di rispecchiamento perché quei due autori, in modi e momenti diversi, hanno immaginato storie che mi hanno parlato, finalmente hanno detto qualcosa anche di me, proprio a me: come prendere la parola e poi liberarsi, dopo un lungo silenzio; come ritrovare se stessi nella parola e nel volto dell’altro, nel dolore dell’altro.

Per certi versi, questo processo mi ricorda ciò che scrive Didier Eribon quando racconta la scoperta di sé, che è passata anche da autori come Genet, Simone de Beauvoir, poi Baldwin. È forse così anche per Pasolini, che nei suoi primi anni di scrittura, si specchia in un altro marginale, François Villon. Avvicinare Tondelli e Fassbinder, dunque, nasce da un’esigenza di riconoscimento, in quanto entrambi gli autori hanno avuto un ruolo centrale per liberare la mia soggettività; e penso che anche altri abbiano vissuto lo stesso processo attraverso la scoperta di Tondelli e Fassbinder, o di altri scrittori, poeti e registi che hanno raccontato storie capaci di parlare a chi li stava aspettando da tempo, con un disperato bisogno di incontrarli: da Penna a Wittig, da Duras a Patroni Griffi, da Demy a Visconti.

Fassbinder è il regista che più di tutti ha tentato di mettere in crisi, attraverso il medium cinematografico, le strutture della società borghese occidentale, animato dal desiderio- dichiarato con chiarezza- di “creare disagio nelle strutture della borghesia”; è il disagio che si può ritrovare in due film durissimi come Le lacrime amare di Petra Von Kant, del 1972, e Il diritto del più forte, uscito qualche anno dopo. In entrambi i film, sono gli omosessuali a essere borghesi: non più dei marginali o degli esclusi, ma al contrario dei soggetti perfettamente integrati, escludenti, classisti e feroci. Petra, che maltratta la sua assistente Marlene, nel primo film. Il gruppo di omosessuali di Monaco che ne Il diritto del più forte si avvicina a Fox dopo il colpo vincente alla lotteria e poi lo abbandona a se stesso dopo avere sfruttato fino all’ultimo le sue cospicue risorse economiche. All’inizio, Fox, fidanzato con il proprietario di un circo, è un randagio, un marginale che tale resterà per tutta la durata del film, alieno rispetto agli omosessuali borghesi di città. Forse, almeno ai nostri occhi, si rispecchiano in Fox alcuni dei personaggi di Altri libertini. Eppure “creare disagio nelle strutture della borghesia” forse (quasi sicuramente) non è il principale obiettivo di Tondelli, ma – come mostrano gli strascichi giudiziari- Altri libertini crea scompiglio, si configura come un’opera disturbante, che attribuisce la parola agli omosessuali, ai drogati, agli ultimi, tutti animati- secondo Enrico Palandri- da un comune desiderio di fuga. E come Fassbinder, anche Tondelli mette in scena personaggi dalla sessualità divergente, rappresentando riti e momenti della vita omosessuale degli anni Ottanta, “lucidi e festaioli”: lo si può notare, ad esempio, in certi passaggi di Camere separate. Leggiamo in Un giorno è un anno è una vita, la biografia di Fassbinder, che il regista (siamo nei primi anni Settanta):

Quasi ogni fine settimana partiva con qualche amico, come Harry Baer, per la capitale francese – aveva affittato un appartamento a Montmartre, vicino alla chiesa del Sacre-Cœur – e lì frequentava assiduamente gli ambienti gay. Era per lui una «piacevole consuetudine» recarsi in certe saune, luoghi d’incontro che la Germania Federale, piccolo borghese com’era, non gli poteva offrire. Ma, da questo punto di vista, anche a Parigi la libertà sessuale era ancora oggetto di limitazioni (…).

In Camere separate, Fassbinder appare in una scena parigina, come termine di paragone per descrivere un personaggio, Michael, il jazzista americano amico di Leo. I due amici attraversano il Marais, si dirigono fino a Place des Vosges e poi giungono a un party. Proprio durante quel party, avverrà poi il fondamentale incontro fra Leo e Thomas:

Michael è un uomo di quarant’anni, di corporatura massiccia, con una grande barba che perde colore e biancheggia sul mento. Ha pochi capelli in testa e un viso che potresti benissimo definire un campo di patate: pieno di bugne, di bitorzoli e di  escrescenze. Indossa solitamente pantaloni militari sostenuti da bretelle di cuoio nero, camicie di lana e un cappello di feltro alla Rainer Fassbinder.

Michael è vestito “alla Rainer Fassbinder”, ma in realtà l’effetto di questa chiusa conferisce al personaggio di Michael un’aura ancora più fassbinderiana e l’immagine del jazzista quarantenne si sovrappone irrimediabilmente con quella del regista, già scomparso da tempo quando Camere separate viene pubblicato. Un tale termine di paragone ci lascia supporre come l’immagine del regista- che è anche attore in molti dei suoi film- sia ancora nitida nell’immaginario di Tondelli e, ipotizziamo, di un lettore italiano dei primi anni novanta. Infatti proprio negli anni Ottanta, il cinema di Fassbinder conosce una particolare fortuna e diffusione nel contesto italiano, forse ancora maggiore del decennio precedente. Ma Tondelli conosce Fassbinder forse già da allora: nella sua biblioteca di Correggio, oggi conservata dal Comune, si può trovare proprio un volume di Fassbinder, I film liberano la testa, uscito nel 1976.

Altre tracce dirette di Fassbinder si ritrovano nei saggi; in Un Weekend postmoderno, Fassbinder è ugualmente utilizzato come termine di paragone, ma in questo caso il riferimento è al suo cinema e, più precisamente, alla sua particolare estetica, identificabile come kitsch o, forse, come camp, paragonata allo “scoscettare” delle danze di balera

d’altra parte, non si può dar torto a tutta questa mezz’età eccitata dal cancan di valzerini libertini e mazurche sporcaccine che, appunto, lisce lisce non van giù, nemmeno nelle mastodontiche balere, uno scoscettare così kitsch da parere un Rainer Werner Fassbinder allo stato puro.

Ma la traccia più ricorrente è indubbiamente quella di Querelle de Brest che incide sull’immaginario di molti autori omosessuali della sua generazione: ed è un Querelle insieme fassbinderiano e genettiano quello che, anche in Tondelli, riappare, come presenza intertestuale e come testimonianza di una pratica insieme di lettura e di riconoscimento.

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