di Federica Gregoratto
L'amore ai tempi del neoliberalismo, rubrica a cura di Federica Gregoratto
Si sa che il mondo, agli occhi delle persone che amano, diventa un posto bello, accogliente. Intensificato nei colori, come per un filtro Instagram o una sostanza stupefacente, squadernato in alcune delle sue verità. E il disamore invece lo ingrigisce, rattrappisce, svuota. Il disamore per se stessi, addirittura, può disintegrarlo. Forse meno noto è che il rapporto degli esseri umani con il mondo dipende dalla con-figurazione e dalle pratiche di un’intera società: il Romanticismo, soprattutto nella versione più malinconica dei tedeschi, lamentava per esempio la perdita moderna di un intero mondo, della natura bella. Il capitalismo neoliberale ha fatto della depressione una patologia collettiva. Il disastro climatico sta distruggendo il mondo concretamente, la speranza di poterlo abitare ancora.
L’ultimo romanzo di Sally Rooney, Beautiful world, where are you? (Faber, 2021) parla di tutto questo – di sofferenza psichica, capitalismo, patologie climatiche e sociali (spunta anche il Covid, nelle ultime pagine). E con una mescolanza, un po’ raffazzonata, tra disperazione acuta e utopico ottimismo, fredda, millimetrante razionalità e esagerazioni del cuore, close-ups invadenti sull’intimità dei personaggi e prospettive dalla luna, suggerisce che la risposta al solito “Che fare?” sta ancora lì. Nell’amore, e dove se no, che non è una cosa ben chiara, ma un passaggio liminale e laborioso tra amicizia e passione, grandi quesiti e graziose meschinità, privato e pubblico. Un rifugio nei tempi bui à la Arendt, che non è al riparo però da invidie, risentimenti, e soprattutto dalle estenuanti necessità del lavoro che, intellettuale, politico o low skill, è sempre lavoro alienato e sfruttato. La soluzione è esitante (e si fa anche meno convincente nel finale – l’happy end di un improbabile Tinder affaire, la coppia pluridecennale amica/amico che, a voler riscattare con un colpo di reni l’ambivalenza dolorosa ma buona dei due protagonisti di Normal people, finisce per abbracciare entusiasta il modello più tradizionale). Ma è sempre quella della Rooney migliore, una conversation with friends, in cui più ci si parla, più si spalancano coni d’ombra, non minacciosi, forse brulicanti di possibilità.
Il mondo che conosciamo potrebbe scomparire, ma come ha scritto Jonathan Franzen in un articolo famoso, bisogna fare la cosa giusta per il pianeta, sì, ma anche qualcosa che si ama fare: “Any good thing you do now is arguably a hedge against the hotter future, but the really meaningful thing is that it’s good today. As long as you have something to love, you have something to hope for.” Chiudendo una delle molte email che le due protagoniste, Alice e Eileen, si scambiano dall’inizio alla fine del romanzo (e in cui per fortuna discutono di molte cose – filosofia, religione, politica – che non sono le loro vite sessuali e emotive), la prima si chiede, forse non retoricamente: “In the midst of everything, the state of the world being what it is, humanity on the cusp of extinction, here I am writing another email about sex and friendship. What else is there to live for?” Nella pagina forse più significativa, Alice e Eileen si ritrovano dopo molto tempo. Sul binario di una piccola stazione, si stringono a lungo, con gli occhi chiusi. Rooney le osserva da lontano: sono consapevoli, le due, si chiede freddamente, dell’aspetto un po’ ridicolo, comico, della scena? La melassa di un abbraccio da romanzetto per ragazzine, che stride con la brutta volgarità del paesaggio ordinario che s’impone ovunque intorno a loro. No, non lo sono, sembrano inconsapevoli, o meglio, “più che inconsapevoli”, ché riescono per un momento a cogliere un lampo di qualcosa di più profondo, “non l’irrealtà ma una realtà nascosta: la presenza in ogni tempo, in ogni dove, di un mondo bello.” (p. 250)
Queste sono un po’ di canzoni che raccontano il romanzo (solo la prima è farina del sacco di Rooney, in effetti l’ispirazione diretta del titolo):
Franz Schubert, Schöne Welt, wo bist du? (Die Götter Griechenlands, D. 677b, 1819)
David Bowie, The man who sold the world (The man who sold the world, 1970)
The Cure, Homesick (Disintegration, 1989)
Bonnie “Prince” Billy I see a darkness (I see a darkness, 1999)
Elliot Smith, Say Yes (Either/Or, 1997)