di Walter Siti

 

Quando mi hanno scritto che era morta Cristina Annino poco dopo aver compiuto gli ottant’anni, non ho potuto fare a meno di pensare che la sua morte assomigliava alle sue poesie: antisentimentale, stridente, non consolata né consolatoria. Ci sono poeti che interpretano, non si sa come, l’aria del tempo; intercettano il silenzio sociale che stava in agguato, gli danno voce, diventano la voce di tutti: i piccoli durano una stagione, i grandi diventano classici – sono i poeti aperti. Poi ci sono i poeti chiusi, quelli che si attorcigliano intorno a una loro vocazione sicura ma idiosincratica, fatta di pochi temi staccati dal tempo, poeti ossessivi che non attraversano e non si lasciano attraversare; creano intorno a sé una piccola schiera di adepti ferocemente convinti, scompaiono con la scomparsa dell’ultimo di loro o vengono celebrati in piccole conventicole, salvo imprevedibili misteriose resurrezioni.

 

Cristina Annino apparteneva a questa seconda categoria: cresciuta a Firenze, tra il magistero di Mario Luzi (il più chiuso tra gli ermetici) e gli esperimenti della neo-avanguardia degli Anni Sessanta, non si è mai veramente assimilata a nessun gruppo o tendenza. Ha avuto ammiratori di gran valore (per esempio Elio Pagliarani) ma non è mai entrata nel giro dei “poeti di cui si parla”. Ne soffriva ma non faceva niente per apparire gradita: non aveva un carattere facile e soprattutto non avrebbe mai accettato di piegare nemmeno un virgola a uno stile di moda. Quando a Roma prese atto dell’esclusione, si gettò furiosamente a dipingere: quadri selvatici, sgrammaticati, che creava in uno sgabuzzino senza finestre intossicata dall’odore delle vernici. Non ammetteva nessuna forma di spiritualismo, nemmeno la mistica della Poesia; “la poesia mica bisogna amarla, bisogna odiarla”, mi disse un giorno.

 

I suoi temi erano inamovibili, quotidiani e bizzarri allo stesso tempo: la madre vedova ritratta nella sua gigantesca piccolezza, con un amore che rasentava la crudeltà; il cane vitalissimo a cui mancava una zampa, il suo “cane dei miracoli”; e poi Madrid, la città d’elezione di cui rimpiangeva il periodo franchista, non per fede politica ma per voglia di pulizia, di disciplina, di luce senza sbavature. Sugli uomini aveva idee che ora, col clima di fluidità imperante, sarebbero inconcepibili ma anche trenta o quarant’anni fa erano un bel po’ controcorrente: si innamorò di un generale spagnolo che la recluse e dovette fuggire dalla finestra, poi in Italia si sposò con un militare macho e gelosissimo che odiava le sue poesie e vedeva rivali dappertutto (perfino io dovetti cambiare numero di telefono per sfuggire a quei deliranti monologhi aggressivi). Un amore vero, masochista, cannibale, su cui Cristina scrisse un romanzo (Connivenza amorosa) forte e completamente trascurato dai critici.

 

Io non la conoscevo quando Aldo Rostagno mi portò un fascicolo di versi dicendomi che erano di una sua amica; rimasi colpito dal fatto che fossero tutti scritti con un io lirico maschile e all’inizio mi convinsi che fosse un escamotage di quel burlone di Aldo per farmi leggere in realtà versi suoi – poi una sera mi presentò Cristina e scoprii che non era nemmeno lesbica: un suo gemello, mi spiegò, era morto durante il parto e lei si era data come missione di scrivere per conto del gemello mai nato. Decisi di includere una parte di quei versi nell’antologia einaudiana che stavo curando: mi colpivano la metrica puntuta, volontaristica e obbligata allo stesso tempo, la totale indistinzione tra animato e inanimato, il suo realismo ateo e senza pietà, le metafore tese al massimo del consentito ma senza nessuna esibizione sperimentale – Cristina vedeva davvero le cose con occhi metamorfizzanti: ricordo una volta che un barboncino ci venne tra le gambe al bar Giacosa e lei con grande naturalezza commentò di sfuggita “sembra un golf”.

 

Una mia riserva è sempre stata che in fondo scriveva sempre la stessa poesia, e gliel’ho pure detto; alcune sfidavano l’oscurità ermetica, ma anche lì senza esibizionismo, è che non le piaceva spiegare. Di una, su Pound prigioniero a Coltano, provai a farmi esegeta e ottenni che modificasse una preposizione (odiandomi, credo). Nelle ultime raccolte aveva provato a farsi più direttamente “politica”, parlando di degrado ambientale e caos mentale contemporaneo – ma non erano le sue corde, avevo torto io, le sue poesie dovevano restare ossesse e monotone. Ormai ho rinunciato a convincere la critica mainstream che si tratta di una delle voci più interessanti degli anni Settanta e Ottanta e Novanta del secolo scorso; forse il modo per farle pian piano conquistare il posto che le spetta è quello di antologizzarla – scegliendo magari per ora i versi più accessibili: quelli sulla madre sia in vita che in morte, alcuni di quelli sul marito violento, una misteriosa poesia su un’usanza filippina di divorare il cervello di scimmia. E le sue amiche spagnole. E’ morta sola, senza amici e con un bizzarro amore lontano, di cinquant’anni più giovane di lei. Mi sento in colpa per averla persa di vista dopo la sua breve permanenza milanese; il saluto migliore che posso mandarle è la mia certezza che, al di là della sua vita coraggiosa e indomabile, al di là di quello che ad alcuni giovani deve essere sembrato il suo “personaggio”, a durare saranno i suoi versi.

9 thoughts on “Un poeta sottovalutato. Per Cristina Annino

  1. Ricordo molto bello. Peccato però che della poesie in questione non si citi nemmeno un frammento, nemmeno una parola. E questo, nonostante Siti affermi che di Annino, al di là del personaggio, “a durare saranno i suoi versi”…

  2. Gentile Pietro, di Annino si trovano online vari testi, per esempio a questi link: https://www.nazioneindiana.com/2010/02/15/%e2%80%9cmagnificat-poesie-1969-2009-%e2%80%9d-di-cristina-annino/

    https://issuu.com/poesia2.0/docs/inediti_n.25_-_cristina_annino/17

    https://www.criticaletteraria.org/2012/07/pillole-dautore-cristina-annino.html

    Dovrebbero bastare per farsi una prima idea. Aggiungo che mi sembra molto bello e toccante il ricordo di Walter Siti, anche se dire che non aveva amici nei suoi ultimi istanti non corrisponde esattamente al vero. Sulla ‘chiusura’ e ‘oscurità’ dei versi di Annino mi trovo d’accordo a metà: per riprendere le categorie di Steiner, quella di Annino è senz’altro una difficoltà ‘strategica’ (le deformazioni testuali) e ‘modale’ (capirla impone di guardare il mondo come lo guardava lei, e quindi il problema sta proprio nel volerla leggere ‘linearmente’). Però il suo sguardo era aperto e curioso, e se si leggono le sue poesie come ‘azioni sul mondo’, rappresentazioni o allestimenti, le si intende, proprio a livello esperenziale e teatrale piuttosto che puramente semantico-contenutistico. Secondo me.

  3. Chi abbia letto Cristina non avrà difficoltà a riconoscere in questa nota i suoi testi fortissimi e importanti. Una perplessità: sottovalutata da chi? Walter Siti stesso, Franco Fortini,. Vittorio Sereni, Guido Almansi, Piero Chiara, Giorgio Linguaglossa, e potrei fare molti altri nomi (si veda https://it.wikipedia.org/wiki/Cristina_Annino) hanno espresso il parere che Cristina Annino sia un autore di prima classe. Senza menzionare i critici letterari di nuova generazione che stanno lavorando ad un volume che ambisce ad essere fondamentale per continuare il lavoro critico sulla sua opera. Quindi caro Dr. Siti non si senta parte di conventicola! Il vostro è un gruppo di critici letterari di primo rango. Quanto agli amici e alla vita privata, Cristina era in contatto giornaliero con la sorella Paola e ha avuto la fortuna di essere stata assistita fino all’ultimo da persone che le sono state vicine in questi anni. Per favore correggete l’errore sulla differenza d’età – gli anni anagrafici che separavano Cristina dall’ultimo amore della sua vita sono 34 non 50. E chi voglia vada a rileggere le poesie altissime di quel vero e proprio canzoniere amoroso che apre Le perle di Loch Ness, Arcipelago Itaca, Òsimo, 2019).

  4. Bel ricordo.
    Molti dubbi che la Madrid franchista fosse più pulita e ordinata dell’attuale.
    Purtroppo.

  5. Originale e singolarissima… mi aveva donato la sua poesia “Vaso siamese” da Chanson Turca quando era ancora un inedito, per un’opera antologica bilingue di poete italiane contemporanee, che stavo preparando per farle tradurre ad un amico e poeta turco… Purtroppo per diversi motivi, non ultimo la situazione politica in quel paese, non si è ancora riusciti a portare a termine l’impresa!! AD

  6. Probabilmente è vero che Annino fosse tra i “poeti chiusi”, ma di certo non tra quelli che alimentano schiere «di adepti ferocemente convinti», e poi «scompaiono con la scomparsa dell’ultimo di loro o vengono celebrati in piccole conventicole». Mi pare che questo lo chiarisca anche il finale stesso del ricordo di Siti. Si parla di antologizzazione e criterio dell’accessibilità: a questo proposito, penso sia utile ricordare sia la presenza di Cristina nell’antologia di Daniela Marcheschi, sia che qualche analisi pensata per la didattica scolastica è già stata fatta: https://www.letteratour.it/analisi/A02_anninoCristina_casa_del_folle.asp
    I testi di Annino sono difficili, sì, ma di una difficoltà diversissima da quella ermetica, neoermetica o sperimentale-destrutturante a cui siamo abituati in Italia. Per questo, come ha già detto qualcuno, sarebbe forse utile citare più testi e meno amori (ma la poetessa in questione, di tutto ciò, avrebbe riso fragorosamente e con leggerezza).

  7. Purtroppo l’ho scoperta tardi ma ho divorato quanto mi è stato possibile della sua straordinaria e “nuova” poesia. Spero in una pubblicazione integrale della sua sensibilità.
    Daniele Pinni

  8. Se Annino non e’ autrice affine alle tendenze degli studiosi contemporanei (perche’ non ha lavorato su libri coerenti ma su testi singolari; non rientra nelle piagnucolazioni oggi popolari; si e’ de-letteraturizzata per farsi poeta poeta invece che poeta operatrice culturale o insegnante), aiuterebbe forse diffonderne meglio i dieci o venti testi piu’ rappresentativi, magari introdotti in saggio o articolo da chi ne supporta gli esiti e li ritiene meritevoli di attenzione oppure originali?

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