di Luisa Lorenza Corna

 

Museo del Novecento, Milano, 10 settembre 21 – 13 febbraio 22

 

Anna Valeria Borsari scrive da vent’anni un libro che indaga i mutamenti del ruolo sociale dell’artista. Il testo si compone davanti ai nostri occhi sullo schermo di un computer, collocato in un angolo, quasi nascosto, all’interno nella personale di Borsari al Museo del Novecento di Milano. È l’ultima opera dell’artista, nonché l’unica concepita appositamente per questa piccola, ma densa antologica, curata da Iolanda Ratti e Giorgio Zanchetti, che traccia con rigore ed eleganza il percorso di una figura sfuggente, che ci interpella ‘da remoto’.

Il titolo, ‘da qualche punto incerto’ è scritto tutto in minuscolo, come a rimarcare distanza da pretese di grandezza. Nello stesso tempo, però, segnala un’opposta inclinazione alla modestia, intesa come misura e riserbo, qualità morale tanto più adatta a scandagliare, con un certo puntiglio, i temi dell’identità e della memoria.

 

 

L’estetica di Borsari è precisa: l’immagine fotografica e la parola scritta (tanto inclusa nell’opera o impiegata per descriverla) reciprocamente si interrogano. Del resto, la sua formazione si snoda tra linguistica e arte. Ha studiato filosofia del linguaggio con Segre ed Eco, logica con Gualtiero Gaboli. Inoltre, la frequentazione di  Paolo Bonaiuto, l’ha introdotta al lavoro concettuale dei collettivi americani ‘Art& Language’ and ‘The Fox’.

 

L’insieme di queste influenze si ritrova nel gruppo di opere degli anni ‘70.  In ‘Testimonianze’ (1976), per esempio, Borsari giustappone una serie di frasi scritte in prima persona a sei immagini fotografiche, che ne illustrano il contenuto in maniera quasi tautologica. Una foto in bianco e nero di una palla appare immediatamente sotto la scritta stampata ‘ho giocato con la palla. La palla’; la fotografia di un giardino è esposta sotto la frase ‘Ho giocato in giardino: il giardino’. Sembrerebbe un rapporto tra immagini e testo che lascia poco spazio all’immaginazione.  Al più potrebbe evocare la ricerca concettuale delle Three chairs di Joseph Kosuth. E invece no: qui Borsari scrive e descrive in prima persona, protagonista di un’indagine sul linguaggio lontana dall’astrazione algida dei colleghi americani.

 

 

 

Il suo lavoro, insomma, non capitola di fronte alla narrazione. Semmai usa l’immagine fotografica per tracciare trasformazioni, a volte impercettibili, coinvolgendo lo spettatore in un gioco alla ricerca delle differenze, delle tracce lasciate dal passaggio umano. Come nel testo fotografico intitolato ‘Chi ha vissuto qui?/ Qui ha vissuto’, che documenta i segni di deterioramento della presenza umana in uno spazio domestico, apparentemente abbandonato. Con occhio investigativo, Borsari raccoglie dettagli incongrui che suggeriscono azioni opache e mai definite. Da una tenda veneziana non completamene abbassata entra uno spiraglio di luce (è intenzione o dimenticanza?). Appoggiato nel lavandino vi è un secchio di plastica (pronto per essere riempito o svuotato?). L’indagine fotografica, ci suggerisce il titolo, sembra produrre uno slittamento dal soggetto al luogo: non è il ‘chi ha vissuto’ ad interessare l’artista in fin dei conti, ma il come; il modo di stare al mondo, abitare, interagire: o soltanto esserci.

 

 

È proprio l’esser-ci, o forse meglio l’enigma dell’identità, uno dei nodi principali del percorso estetico di Borsari. Identità, però, intesa non come fondamento sicuro del soggetto, ma come insieme di tracce disperse nel mondo che rimandano ad un individuo sempre irraggiungibile. E, soprattutto, identità che prende forma nella relazione, nel gioco di sguardi e corrispondenze che costituiscono un rapporto. Vi è un implicito rimando all’autocoscienza femminista in questa postura ontologica, a quella che Carla Lonzi chiama ‘risonanza’ del sé nell’altra, e che consente al soggetto femminile ‘imprevisto’ di emergere dagli abissi della storia. Non a caso, forse, il tema della riflessione autoanalitica si fa insistente nel decennio ‘76-77. In Senza titolo [ritratto di Carlo Gajani], 1967]b vediamo una giovane Anna Borsari fotografata da Carlo Gajani mentre tratteggia a matita il profilo del fotografo. Un ritratto nel ritratto, potremmo dire, ma soprattutto una riflessione sull’autoritratto come rappresentazione che rende reale la possibilità di vedersi dal di fuori, anche attraverso lo sguardo (infedele) dell’altro.

 

 

Simile è Foto di Carla B, un’opera che assembla immagini fotografiche inviate a Borsari da una sconosciuta con una serie di brevi testi che l’artista scrive a commento. Simile a Senza titolo [ritratto di Carlo Gajani] perché, di nuovo, la fotografia diventa testimonianza di una relazione: in questo caso specifico, infatti, la costruisce, senza che le due donne si incontrino. L’incipit del lavoro è singolare e richiede di essere raccontato.  Borsari riceve una telefonata da una paziente del marito psicoanalista che le comunica il suo malessere. L’episodio si ripete, ma Borsari non si sottrae, piuttosto cerca di trasformare questa intromissione in un rapporto terapeutico che si serve della fotografia, al posto della parola.  Le suggerisce quindi di riprendere in mano una vecchia macchina fotografica, fare degli scatti e poi inviarglieli. Le Foto di Carla B sono l’esito di questo invito a distogliere l’obiettivo da sé e puntarlo verso il mondo. Si tratta di immagini sgranate, scattate senza troppo calcolo, sempre ad una certa distanza dal soggetto, come se la macchina fotografica offrisse accesso al mondo esterno, ma al tempo stesso protezione e riparo.

 

 

Quasi dieci anni dopo, invitata dalla galleria Cavallino di Venezia, Borsari costruisce un’opera composita che unisce video, fotografia, disegno e performance intitolata Autoritratto in una stanza.  L’artista entra nello spazio della galleria e traccia con una matita i contorni del suo corpo sulle pareti. Poi si sdraia su un cumulo di terra umida e ne prende il calco. Alla sequenza di immagini che documentano la prima parte  della performance, segue una seconda in cui la camera esce dalla galleria e riprende la strada, i passanti e il mare. L’orizzonte si allarga, indicando una transizione su cui ritornerà in un’intervista con Iolanda Ratti e Giulia Kimberly Colombo inclusa nel catalogo. Fino al ‘76/ ‘77 dichiara, “mi sono posizionata di fronte ancora alla cosiddetta finestra albertiana, ad osservare il mondo dietro un vetro; mentre intorno al 1976, sono per così dire entrata nel mondo”. Questa frase segnala l’inizio di una nuova serie di interventi nel paesaggio.

 

 

Il lavoro che meglio si colloca a metà tra le due fasi è Rappresentazione, presentazione, azione (1977-1979), una serie di performance in cui una Borsari in veste di artista di strada realizza delle madonne di monete e cereali su marciapiedi di città italiane. Il ritratto come genere rappresentativo rimane, ma prende ora forma nel contesto aperto e imprevedibile della piazza e, soprattutto, è ‘offerto’ al suo pubblico. Poco dopo essere terminata, la Madonna viene consumata dai passanti e dai piccioni. Le foto scattate e ordinate in sequenza a comporre una storia, mostrano un gruppo di piccioni che si avvicina alla Madonna da lontano; poi inquadrano i volatili mentre si scagliano, verso il mangime, e accanto, quasi speculare, il movimento delle mani dei passanti che raccolgono, rapidi, le monete. L’accelerazione progressiva della sequenza termina improvvisamente con un’immagine vuota della piazza. Tutto è sparito o, meglio, offerto e inevitabilmente perso.

 

 

E di offerta e perdita ci ‘parla’ l’installazione ‘Lotteria’, ricreata appositamente per la mostra al museo del Novecento. Evocando le sagre popolari e il rito del gioco ad estrazione che le accompagna, Borsari allestisce un banchetto su cui ripone i premi, che non sono qui oggetti anonimi, ma i suoi personali. Un quadro, una palla, un gioco in scatola, un abito di pizzo, un orologio vengono messi in palio in una lotteria a tema di Anna Valeria Borsari. È un ultimo atto di frantumazione del sé e di dispersione nel mondo –  non fusione panica, però, ma gesto calcolato e preciso, compiuto da remoto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *