di Francesco Deotto
[Riprendiamo un saggio dall’ultimo numero della rivista di poesia, arti e scritture L’Ulisse, uscito nelle scorse settimane, la cui sezione monografica è dedicata al tema “Riscrivere la natura / attraversare il paesaggio”]
«La poesia e la fogna, due problemi
mai disgiunti (ma non te ne parlai)».
(Montale, da Satura)
Lungi dall’essere un fenomeno specifico del mondo contemporaneo, la produzione di rifiuti è una caratteristica strutturale di ogni forma sociale. Da sempre, inevitabilmente, una qualsiasi civiltà, come ogni forma di vita, non può non produrre degli scarti e non confrontarsi, non sia che in modo evasivo e sbrigativo, con la loro gestione. Malgrado l’universalità dei rifiuti, le modalità specifiche della loro produzione e gestione possono però variare enormemente a seconda dei diversi contesti, ed è solo negli ultimi decenni che la questione dell’immondizia ha iniziato ad imporsi nel dibattito pubblico come una tematica di assoluta gravità e urgenza.
Emblematico è il fatto che in questi anni diversi studiosi abbiano proposto di definire il nostro tempo come una vera e propria epoca dell’immondizia. Ad esempio, il sociologo Baptiste Monsaingeon ha parlato di Poubellocène (neologismo reso con Spazzaturocene dal suo traduttore italiano(1)) per definire la nuova epoca in cui stiamo entrando. Secondo Monsaingeon a questa nuova epoca corrisponde anche un nuovo tipo d’uomo, l’homo detritus, che è chiamato a scegliere tra due modalità opposte con cui rapportarsi ai rifiuti: scelta in base alla quale ne andrà del nostro futuro e di quello delle prossime generazioni. Da un lato, vi è l’unica modalità su cui sembra puntare l’attuale sistema produttivo e di consumo. Corrisponde al diffondersi della figura dell’ecocittadino, ovvero alla figura di un cittadino sempre più attento nella raccolta differenziata e di una società sempre meglio organizzata nella gestione dell’immondizia, secondo una logica che corrisponde a «un processo di disincanto in cui la sporcizia perde la propria dimensione simbolica per ridursi a quella tossicologica»(2). L’altra via ipotizzata da Monsaingeon è molto più incerta, ma forse più feconda: è rappresentata dalla figura del cenciaiolo (chiffonnier), «emblema di un immaginario di ibridazione» che corrisponde a «un rapporto con i resti che si configura come un dialogo tra lo scarto e l’ambiente che lo accoglie, naturale e non, umano e non»(3).
In modo distinto ma analogo, Marco Armiero, storico dell’ambiente e direttore dell’Environmental Humanities Lab del Royal Institute of Technology a Stoccolma, ha invece promosso l’impiego del termine Wasteocene, utilizzandolo come titolo di un volume appena pubblicato dalla Cambridge University Press. Come per Monsaingeon anche per Armiero il nostro tempo può essere considerato come una nuova epoca caratterizzata prima di ogni altra cosa proprio per la presenza sempre più massiva dei rifiuti («The Wasteocene assumes that waste can be considered the planetary mark of our new epoch»(4)). Diversamente da Monsaingeon, egli sottolinea però soprattutto il peggioramento dei rapporti sociali, il divenire loro stessi una forma di spazzatura, col diffondersi di relazioni che perseguono solo il profitto tramite lo sfruttamento degli altri. Per Armerio tale peggioramento, parallelo al diffondersi di ecologie tossiche («toxic ecologies»), è legato anche a delle pericolose forme di discorso pubblico («toxic narratives») che mirano a naturalizzare la logica di sfruttamento, e in opposizione alle quali egli cerca di difendere delle logiche e narrative di condivisione e di solidarietà.
Evidentemente, delle proposte come quelle di Monsaingeon e Armiero non sono prive di aspetti problematici, anche perché la comunità scientifica non è ancora unanime neanche a proposito della stessa pertinenza della categoria di antropocene. Al di là delle posizioni che si possono assumere a proposito di questa questione, e dell’opportunità di definire una nuova epoca a partire dal nostro rapporto coi rifiuti, prospettive come quelle di Monsaingeon e Armiero sono però indicative di almeno due aspetti importanti: la sempre maggiore presa di coscienza che si ha dell’importanza del tema dei rifiuti e il fatto che tale tema sia presente in forme sempre più diverse di discorsi e di testi, tra le quali non mancano neanche opere poetiche e letterarie, né testi di critici, storici e teorici della letteratura. Meglio, non solo non mancano opere poetiche e letterarie che tematizzano apertamente la questione dei rifiuti, ma in alcuni casi esse possono rivelarsi estremamente preziose per pensare criticamente, al di là dei più diffusi stereotipi e luoghi comune, il nostro rapporto coi rifiuti. Evocando solo alcuni degli autori nelle cui opere il tema dei rifiuti e dell’immondizia è esplicitamente posto in primo piano, si possono ricordare, ad esempio, Daniel Pennac, Michel Tournier, Iain Sinclair, John Cheever, Roberto Saviano, E. L. Doctorow, Thomas Pynchon, Don DeLillo, Orhan Pamuk, Paul Auster(5).
In un contesto così vario e in constante sviluppo, nel presente saggio non cerchiamo di offrire uno sguardo sistematico ed esaustivo sul rapporto tra letteratura e rifiuti, ma piuttosto di mettere in evidenza la complessità e la ricchezza di tale rapporto. Proviamo a farlo considerando in particolare il lavoro di Don DeLillo, Nada Gordon e Fabio Pusterla: tre autori che malgrado le enormi differenze che li separano hanno in comune non solo il fatto d’avere prestato grande attenzione ai rifiuti, ma soprattutto quello di non essersi limitati a considerarli come un semplice problema di cui occorre sbarazzarsi, ma come un aspetto essenziale e ineliminabile della nostra forma di vita. Prima di analizzare le loro opere vorremmo però considerare anche un altro autore, Georges Bataille, che sebbene sia nato alla fine dell’Ottocento (il 10 settembre del 1897) e morto all’inizio degli anni sessanta (il 9 luglio del 1962), ci sembra di una sorprendente attualità: sia in generale, per pensare in modo non convenzionale i rifiuti e l’immondizia, sia più specificatamente per interpretare e discutere le opere degli scrittori e dei poeti contemporanei che si confrontano oggi con l’emergenza climatica e con quella della gestione dei rifiuti.
1.
Nel corso della sua vita, Bataille ha pubblicato, talvolta col proprio nome, talvolta con uno pseudonimo, testi di natura e di forma molto varia: poesie, un libro intitolato La haine de la poésie, romanzi e racconti erotici, un romanzo sulla guerra civile spagnola, articoli di antropologia, scienze umane, critica e teoria letteraria, storia dell’arte, recensioni, manifesti, lettere aperte ecc. Al di là delle specificità di ognuna delle sue opere, esse hanno però in comune un punto essenziale: una costante attenzione per ciò che viene normalmente considerato un rifiuto o uno scarto, come può essere osservato in modo particolarmente chiaro in suo articolo dei primi anni trenta, La valeur d’usage de D.A.F. de Sade(6).
Da un lato, si tratta di un testo relativamente marginale nel corpus batailliano: quantomeno nella misura in cui non è stato pubblicato in vita dal suo autore. Malgrado ciò, La valeur d’usage de D.A.F. de Sade è anche un saggio su cui numerosi commentatori si sono già soffermati, considerandolo una via d’accesso privilegiata per comprendere la prospettiva del suo autore e più specificatamente per chiarire il suo rapporto con il surrealismo. Tutta la prima parte di questo testo corrisponde in effetti a un duro attacco a Breton e a quei surrealisti che pur presentandosi come ammiratori di Sade avrebbero in realtà rimosso gli aspetti più scandalosi della sua opera. Contro questa tendenza, Bataille rivendica invece l’esigenza di una nuova scienza che si occupi proprio di tutto quanto viene normalmente rimosso: una scienza (strettamente connessa alla sua pratica della letteratura) di «ciò che è tutt’altro», e per la quale utilizza principalmente il nome di eterologia. In questo quadro generale, una precisazione contenuta in una breve nota è particolarmente decisiva a proposito del tema dei rifiuti. In essa Bataille afferma che la nuova scienza alla quale pensa potrebbe avere altri due nomi oltre a quello di eterologia: quello di agiologia (in quanto scienza sia di ciò che è sporco che di ciò che è santo) e quello di scatologia (in quanto scienza dei rifiuti):
Scienza di ciò che è tutt’altro. Il termine di agiologia sarebbe forse più preciso ma bisognerebbe sottintendere il doppio senso di agios (analogo al doppio senso di sacer) tanto sporco che santo. Ma è soprattutto il termine di scatologia (scienza dei rifiuti [science de l’ordure]) che conserva nelle circostanze attuali (specializzazione del sacro) un valore espressivo incontestabile, come doppione di un termine astratto quale eterologia.(7)
Apparentemente marginali, questa nota e il relativo invito a considerare l’eterologia come una «scienza dei rifiuti» rivelano tutta la loro importanza non appena si inizia ad approfondire ciò Bataille intende per eterologia e quale sia il ruolo che questa svolge nell’insieme della sua opera. Innanzitutto, va precisato che il tema dell’eterologia, così come il suo rapporto essenziale coi rifiuti, può essere posto in stretta continuità con l’insieme dei contributi che Bataille ha composto nel 1929 e nel 1930 per la rivista Documents. Si tratta al tempo stesso di testi più teorici e generali che di articoli più specificatamente dedicati a singoli fenomeni dall’apparenza sconveniente e scandalosa. Tra questi ultimi si possono ricordare, tra gli altri, un contributo dedicato all’alluce, uno alla polvere, uno al «sole putrido», uno al mattatoio. Tra gli articoli più teorici, particolarmente significativo è invece Le bas matérialisme et la gnose, dove, come sintetizzato da Rocco Ronchi, viene rivendicata l’esigenza di un materialismo fondato sul sudiciume dei marciapiedi delle metropoli: «solo quel sudiciume potrà dotare il materialismo di un fondamento veramente materialista: un materialismo che, a differenza di quanto avveniva con quello dei “filosofi”, non implichi l’assunzione in cielo»(8).
Oltre a Documents, non meno stretto è poi il legame di La valeur d’usage de D.A.F. de Sade con le altre opere che Bataille ha composto nei primi anni trenta, tra le quali segnaliamo in particolare La structure psychologique du fascisme (apparso in due parti tra la fine del 1933 e l’inizio del 1934) poiché include anche una forma piuttosto dettagliata di inventario di ciò che Bataille considera come eterogeneo:
Oltre alle cose sacre propriamente dette, le quali costituiscono il terreno comune della religione o della magia, il mondo eterogeneo comprende l’insieme dei risultati dello spreco [dépense] improduttivo (le cose sacre formano esse stesse una parte di questo insieme). Ossia tutto ciò che la società omogenea respinge in quanto scarto oppure in quanto valore superiore trascendente. Si tratta dell’escrezioni del corpo umano e di certe sostanze analoghe (rifiuti, parassiti, ecc.); le parti del corpo, le persone, le parole o le azioni che hanno un valore erotico suggestivo; i diversi processi inconsci, come i sogni e le nevrosi; i numerosi elementi o forme sociali che la parte omogenea è incapace di assimilare: le folle, le classi guerriere, aristocratiche e miserabili, le diverse specie di individui violenti o che, quantomeno, rifiutano le regole (pazzi, sovversivi, poeti, ecc.).(9)
Ma torniamo più direttamente a La valeur d’usage de D.A.F. de Sade. Coerentemente anche con gli altri testi di Bataille che abbiamo appena evocato, è essenziale precisare che l’eterologia non è una scienza per così dire accessoria o di contorno, e che ancor meno può essere considerata come una scienza che si limita a applicare ad oggetti eccentrici e inconsueti i metodi delle scienze tradizionali. L’eterologia batailliana è al contrario una scienza che ha la duplice pretesa di occuparsi di qualcosa di essenziale per l’uomo e di farlo in modo alternativo sia all’approccio della filosofia che a quelli della religione e della poesia. La filosofia, infatti, almeno nelle sue forme tradizionali presenterebbe il limite di tendere a normalizzare l’eterogeneo, comprendendolo «sotto forme astratte della totalità (nulla, infinito, assoluto)»(10). Potrebbe allora sembrare che la religione sia più adatta per approcciare la natura sacra dell’eterogeneo. Il problema della religione è però che opera «all’interno del dominio sacro una scissione profonda, dividendolo in mondo superiore (celeste e divino) e in mondo inferiore (demoniaco, mondo della corruzione)» e «una tale scissione – aggiunge subito Bataille – porta necessariamente all’omogeneità progressiva di tutto il dominio superiore (solo il dominio inferiore resistendo a ogni sforzo di appropriazione)», con Dio che «perde rapidamente e quasi del tutto gli elementi terrificanti e i tratti desunti dal cadavere in decomposizione per divenire, all’ultimo termine della degradazione, il semplice segno (paterno) della omogeneità universale»(11). Quanto alla poesia, da un lato, può essere molto efficace, «in quanto permette di accedere a un mondo interamente eterogeneo»(12). Dall’altro, essa è però «sempre stata in balia dei grandi sistemi storici di appropriazione»(13); così anch’essa si rivela inadeguata.
Alternativa tanto alla filosofia, alla religione e alla poesia (o quantomeno alle loro forme tradizionali), l’eterologia è una scienza al tempo stesso teorica e pratica, con Bataille che insiste molto sul suo potenziale rivoluzionario e sul fatto che essa richiede una partecipazione attiva: partecipazione che può condurre a una forma di emancipazione (nella misura in cui prescrive di «lasciare agli sfruttatori questa abominevole morale appropriativa che ha loro permesso per lungo tempo orge di ricchezza»(14)), ma che non è priva di ambiguità. Basti pensare al fatto che per Bataille l’eterologia implica «la rivendicazione delle soddisfazioni violente implicate dalla esistenza sociale»(15). Oppure alla convinzione batailliana secondo la quale occorre «una complicità profonda con le forze della natura come la morte nella sua forma violenta, le effusioni di sangue, le catastrofi repentine ivi comprese le orribili grida di dolore che le seguono, le rotture terrificanti di ciò che sembrava immutabile, l’abbassamento fino alla putredine infetta di ciò che era elevato»(16).
Se i rischi e l’ambiguità dell’eterologia non si possono sottovalutare, va però anche sottolineato che è proprio a partire dall’eterologia (e quindi dai rifiuti e dagli scarti che la costituiscono) che Bataille ha costantemente preso posizione contro il fascismo, rispetto al quale, già all’inizio degli anni trenta è stato tra i primi ad avere proposto un’interpretazione filosofica, che può ancora oggi aiutare a comprenderne gli enormi pericoli. Più precisamente, da un lato, è vero che anche il fascismo ha delle caratteristiche che permettono di associarlo al mondo eterogeneo. Come osservato da Michel Surya, il fascismo ha «la forza, la violenza, il carattere di trauma o di “choc”»(17) del mondo eterogeneo, con i suoi leader che «suscitano la cerimonia e l’enfasi, il tripudio, l’estasi e la violenza, che a loro volta li trascendentalizzano e li eterogeneizzano un po’ di più»(18). Ciò detto, vi sono però in particolare due caratteristiche essenziali del fascismo che implicano una rottura netta con l’eterogeneità batailliana e che rendono quest’ultima incompatibile col fascismo: il potere assoluto del capo e il fatto che lo stato fascista tenda a identificarsi senza residui con esso. Queste caratteristiche conducono strutturalmente a un rovesciamento radicale degli aspetti eterogenei del fascismo: «la polarizzazione dell’energia infuocata e affascinata verso il capo fascista abbassa stranamente l’eterogeneo verso l’unità del mondo omogeneo. Al punto che il capo fascista, per quanto eccessivo, non si distingue più, almeno nella sua natura, da quelli che Bataille chiama gli “elementi imperativi” del mondo omogeneo (lo Stato, la polizia, l’esercito […])»(19). In altre parole, il fascismo, lungi dal corrispondere alla realizzazione del mondo eterogeneo, non può che condurre a una repressione e omogeneizzazione estremamente profonda di tutto ciò che è impuro e basso: «Questo mondo “sporco, senile, rancido” che Bataille ha spesso difeso […], il fascismo […] lo esclude, ancora più violentemente del mondo omogeneo, del mondo borghese, col pretesto della sua necessaria purezza. […] Il fascismo integra solo ciò che è nobile, non ciò che non lo è»(20).
2.
Veniamo a DeLillo, ricordando in prima battuta Americana, il suo primo romanzo, del 1971, e White Noise, del 1985. Già in Americana, in effetti, è possibile trovare un passaggio dove l’importanza dei rifiuti è esplicitamente riconosciuta: un dialogo nel quale Buford Long, addetto alla manutenzione di sei condomini di Manhattan, parlando delle proprie mansioni che includono il raccogliere i sacchetti dell’immondizia davanti agli appartamenti e il portarli giù, afferma: «Si impara di più dall’immondizia che non dalla convivenza con una persona»(20) («Garbage tells you more than living with a person»). Quanto a White Noise, è un romanzo nel quale la questione ecologica gioca un ruolo centrale, essendo ambientato in un’area del Midwest che viene improvvisamente investita da una nube tossica. Soprattutto, a proposito di rifiuti e immondizia, come è stato osservato da Nicola Turi, i rifiuti sono una presenza costante all’interno di questo romanzo:
E ancor più colpiscono […] le ripetute e capillari descrizioni di rifiuti per così dire “tipo”: maleodoranti e smisurati punti di approdo di strumenti di vita quotidiana utilizzati, usurati, scartati oppure marcescenti; segni ricorrenti del deperimento e della dismissione dal rumore guarda caso cromaticamente, sinesteticamente consonante con quello della morte che intitola l’opera; e insieme appunto deiezioni (affini a quelle che il protagonista consegna preoccupato a un laboratorio di analisi mediche) di una società autolesionista e distratta, incapace di calcolare gli effetti di un indiscriminato accumulo di beni e oggetti, di confezioni necessarie alla loro conservazione e al loro commercio, di miasmi necessari alla loro produzione (salvo poi appunto preoccuparsene fino alla paranoia: avventatezza che trova una declinazione esemplare nel protagonista del romanzo, spinto all’assassinio e poi immediatamente impegnato a porvi un rimedio).(22)
È però con un’altra opera, ovvero con Underworld (1997), l’opera che a detta di molti è anche il suo capolavoro, che DeLillo ha affrontato nel modo più maturo e sistematico la questione dei rifiuti. Lo ha rivendicato lui stesso, a più riprese, tra le quali ricordiamo un’intervista rilasciata alla fine del 2015 a Sebastiano Triulzi, in occasione dell’uscita di Zero K. A distanza ormai di quasi vent’anni dalla pubblicazione di Underworld, DeLillo ritorna qui sulla sua opera più celebre presentandola esplicitamente come il tentativo di «rispondere alla questione dei rifiuti» e ricordando come le più diverse forme di immondizia siano al centro delle principali scene del suo libro; dalle semplici carte che vengono gettate nel Polo Grounds di New York per festeggiare la storica vittoria dei Giants del 3 ottobre 1951, descritta in apertura del libro, ai rifiuti nucleari dei quali è piuttosto questione nell’ultima parte di Underworld:
Nel romanzo Underworld ho cercato di rispondere alla questione dei rifiuti, a tutti i livelli: inizia con una partita di baseball, dove delle persone sono sedute sugli spalti e stracciano il segnapunti gettandolo sul terreno di gioco: è una carta innocente, rifiutata; alla fine tratto dei rifiuti nucleari nascosti sotto terra in Siberia, e questa è l’evoluzione del rifiuto, diventa più ampio, pericoloso, e invade il nostro spazio. In Nevada ci sono rifiuti dell’industria nucleare sotterrati nel deserto, che succederà se queste scorie dovessero uscire fuori? È così dappertutto, intorno a noi, come possiamo metterlo da parte, farlo sparire, come possiamo nasconderlo a noi stessi?(23)
Dei rifiuti sono in effetti presenti – praticamente senza soluzione di continuità – dall’inizio alla fine di Underworld, conformemente a una delle frasi più celebri di questo romanzo, una fulminante battuta detta a un suo collega meno esperto da Nick Shay, dirigente della Waste Containment e probabilmente il personaggio che più di ogni altro può essere considerato come il principale protagonista del libro: «Se vedi immondizia dappertutto è perché è davvero dappertutto»(24) («You see it [garbage] everywhere because it is everywhere»). Se dal punto di vista di uno studio sul rapporto tra letteratura e rifiuti Underworld è ancora più interessante di White Noise, non è tuttavia solo per la sistematica presenza di rifiuti e immondizia. Ancora più rilevante è il fatto che in Underworld il fenomeno della spazzatura emerga ancora meglio in tutta la sua complessità, mostrandosi più chiaramente nella sua irriducibilità a un semplice problema da risolvere. Si può osservarlo a partire da almeno tre caratteristiche dei rifiuti che vengono messe in evidenza da Underworld: il loro rapporto col processo di riciclo, la loro dimensione religiosa, la loro importanza da un punto di vista archeologico e investigativo.
a) A proposito del rapporto tra immondizia e riciclaggio, si tratta di un tema che ci conduce in un universo complesso e differenziato, all’interno del quale, oltre alle classiche forme industriali di riciclo, si possono riconoscere, riprendendo una distinzione proposta da Turi, almeno tre modalità alternative di riuso e di rigenerazione: una possibilità architettonica, una possibilità ludica e una possibilità artistica.
La prima, la possibilità architettonica, può essere esemplificata dalle Watts Towers, l’enorme complesso progettato e costruito con materiali di recupero a Los Angeles da Sabato Rodia, oppure dall’invito che «Jesse Detwiler, l’archeologo della spazzatura»(25), rivolge a Nick Shay: «Non nascondete le vostre strutture. Create un’architettura fatta di immondizia. Progettate fantastiche costruzioni per riciclare i rifiuti e invitate la gente a raccogliere la propria spazzatura e a portarla alle presse e ai convogliatori»(26). Della possibilità ludica, invece, ricordando la propria infanzia, ne parla il maestro di scacchi e professore in pensione Albert Bronzini: «Mi ricordo che frugavamo nella spazzatura. Trasformavamo i rifiuti in giochi. Strappavamo il sughero dai tappi delle bottiglie. […] Tappi, cerotti, lattine, mezzo pattino, vecchi pezzi di linoleum che tagliavamo e usavamo per quelle pistole giocattolo»(27). La possibilità artistica è infine legata a un personaggio che compare a diverse riprese in Underworld: Klara Sax, un’artista divenuta celebre per il fatto di dipingere dei bombardieri B-52 abbandonati nel deserto, ma che già da giovane aveva iniziato la sua carriera interessandosi ai rifiuti, come lei stessa lo riconosce: «Prendevamo i rifiuti e li conservavamo come forma d’arte»(28).
b) Venendo alla dimensione religiosa dell’immondizia, è probabilmente al tempo stesso una delle caratteristiche più commentate (e più sorprendenti e affascinanti) di Underworld e uno degli aspetti che maggiormente può giustificare un suo confronto con la prospettiva di Bataille, come può essere osservato, ad esempio, nel seguente paragrafo dove è presente un’affermazione («Waste is a religious thing») che decontestualizzata potrebbe perfino venire direttamente attribuita all’autore di La valeur d’usage de D.A.F. de Sade:
La mia azienda si occupava di rifiuti. Noi manipolavamo rifiuti, trattavamo rifiuti, eravamo i cosmologi dei rifiuti. Viaggiavo fino alle pianure costiere del Texas e controllavo uomini in tuta spaziale che seppellivano bidoni di rifiuti pericolosi in giacimenti di sale sotterranei vecchi di milioni d’anni, i resti disseccati di un oceano mesozoico. Nel nostro mestiere era una convinzione religiosa, che questi depositi di salgemma non avrebbero lasciato trapelare le radiazioni. I rifiuti sono una cosa religiosa [corsivo aggiunto]. Noi seppelliamo rifiuti contaminati con un senso di reverenza e timore. È necessario rispettare quello che buttiamo via.(29)
A parlare in questo brano è di nuovo Nick Shay, che lungo tutto il romanzo continua, nei più diversi contesti, a offrire ai lettori delle osservazioni e delle azioni che testimoniano di una certa sacralità dei rifiuti. Lo fa, ad esempio, con l’estrema precisione e meticolosità con cui si occupa della gestione della raccolta differenziata a casa propria(30); oppure accompagnando la nipotina a visitare un capannone adibito al riciclaggio, nel quale, osservando la luce che «cade sui grossi macchinari con uno splendore magico», ipotizza che «forse proviamo reverenza per la spazzatura, per le qualità redentrici delle cose che usiamo e scartiamo»(31) («maybe we feel a reverence for waste, for the redemptive qualities of the things we use and discard»); o ancora riflettendo sul proprio passato e arrivando a descriversi, lui e i suoi colleghi, pionieri nella progettazioni delle discariche, come « i Padri della Chiesa dei rifiuti («the Church Fathers of waste») in tutte le loro trasmutazioni»(32).
Esempi simili, in cui viene utilizzato un linguaggio religioso parlando della spazzatura, si potrebbero letteralmente moltiplicare (anche in riferimento ad altri personaggi), con ognuno di essi che meriterebbe un approfondimento. Rimanendo su un piano più generale, sottolineiamo però soprattutto un aspetto trasversale osservato da Alessandro Portelli a proposito della «sacralità dei rifiuti» in Underworld, e sul quale ci sembra che anche Bataille sarebbe stato perfettamente d’accordo, ovvero la presenza di un rapporto dialettico – di tensione e complementarità – tra contenimento e riconoscimento. Da un lato, «il contenimento e la conservazione del garbage sono forme di purificazione (depurazione), di rinnovo e rinascita – le cose morte e sepolte continuano a vivere»(33). Dall’altro, «il riconoscimento del sacro è l’opposto della strategia ossessiva del contenimento»: «accettare il sacro significa accettare l’imperfezione, il disordine, l’infezione e la contaminazione – il terrore e il mistero – che sono intrinseci alla vita»(34).
c) Quanto all’importanza archeologica e investigativa dell’immondizia, può infine essere esemplificata con un brano riguardante due dei numerosi personaggi realmente esistiti che compaiono in Underworld: Edgar Hoover, che per quasi quarant’anni ha diretto l’FBI, dal 1935 fino alla sua morte nel 1972, e Clyde Tolson, il suo più stretto collaboratore. Si tratta di un dialogo nel quale Clyde rivela al suo capo di come un fantomatico gruppo di «guerriglieri dell’immondizia» («a so-called garbage guerrilla») stia per realizzare un raid proprio nella sua abitazione, al fine di impossessarsi dei suoi rifiuti. Da quanto risulta a Clyde, tale gruppo avrebbe il progetto di organizzare perfino una tournée con la spazzatura di Hoover. Al tempo stesso, nel commentare questa notizia, Hoover e Clyde non possono non riconoscere d’avere loro stessi ispirato tali guerriglieri, poiché quella di ispezionare e trafugare la spazzatura è una tecnica lungamente sperimentata – con successo – dall’FBI:
Clyde disse: – Sapevo che sarebbe stato un errore rendere pubblici i metodi che usiamo nei confronti di esponenti del crimine organizzato.
– Quali metodi?
– Rovistare nella loro spazzatura.
– È una trovata che da ottimi risultati.
– Sì, ma è anche facile da copiare. Adesso ci ritroviamo in una situazione da incubo a livello di pubbliche relazioni. Per esempio, indovina un po’ qual è la spazzatura presa di mira dai cosiddetti guerriglieri dell’immondizia, capo?
– Ti prego, mi sto godendo il mio scotch. Alla fine della giornata un uomo ha il diritto di godersi un bicchierino.
– Certo, mentre quelli rovistano nella tua spazzatura, – disse Clyde.
Edgar non riusciva a credere alle proprie orecchie.
– Almeno, stando a quello che dice la nostra fonte confidenziale –. E Clyde sfogliò rumorosamente le pagine che stava leggendo per ottenere un effetto di massimo fastidio. – Una squadra di guerriglia urbana sta organizzando un raid della spazzatura al 4936 di Thirtieth Place, Northwest, Washington, D.C. […]
– La nostra fonte confidenziale dice che hanno in mente di organizzare una tournée con la tua spazzatura. Affitteranno sale da congresso nelle principali citta. Faranno analizzare la spazzatura da sociologi di sinistra, pezzo per pezzo. Troveranno qualche hippy disposto a strofinarsela sul corpo nudo, producendosi in atti sessuali di qualche tipo con i tuoi rifiuti. Convinceranno qualche poeta a scriverci sopra delle poesie. E alla fine, nell’ultima citta della tournée, hanno in programma di mangiarla.
Edgar intravedeva parte della facciata est del Plaza, a una dozzina di isolati di distanza.
– E di espellerla, – continuò Clyde. – In pubblico.(35)
In relazione a questo brano ci sembrano possibili anche alcune ipotesi d’ordine più generale sul rapporto tra scrittura e rifiuti. In primo luogo, si può affermare che lo stesso DeLillo scrivendo Underworld abbia realizzato una strategia analoga a quella messa in campo dall’FBI e dai guerriglieri che hanno cercato di colpire Hoover con le sue stesse armi. Come per loro, per Hoover, e a suo modo anche per Bataille, anche per DeLillo i rifiuti e l’immondizia sono una via privilegiata per comprendere la realtà e quello che di volta in volta è l’oggetto più specifico delle proprie ricerche, oggetto che nel caso di Underworld corrisponde a nientemeno che a ciò che sono stati gli Stati Uniti e la società americana durante la seconda metà del Novecento. In altre parole, se DeLillo è riuscito ad offrire un affresco magistrale – forse impareggiabile per la sua complessità – dell’evoluzione della società americana dagli anni cinquanta agli anni novanta, è anche merito della sua capacità d’interrogare in modo inedito la questione dei rifiuti, e più in particolare del fatto che sia riuscito a farlo svincolandosi dall’idea comune che li riduce a un problema di cui occorre liberarsi.
Ciò detto, è vero che è anche possibile ritenere che un approccio come quello di DeLillo possa risultare pienamente efficace solo in un contesto come quello della società di massa del secondo Novecento che è caratterizzato per l’imporsi di capitalismo e consumismo e quindi per la relativa moltiplicazione dell’immondizia. Al tempo stesso, però, anche un’altra opzione di lettura è possibile: ritenere che le virtù archeologiche dei rifiuti valgano in qualsiasi contesto. E proprio quest’ultima sembra essere anche la convinzione di DeLillo, almeno se si prendono sul serio dei brani come il seguente, dove l’immondizia è presentata come «la storia segreta»:
Perché l’immondizia è la storia segreta, la storia che sta sotto [the secret history, the underhistory], il modo in cui l’archeologo dissotterra la storia delle culture precedenti, ogni mucchio d’ossa e strumento rotto, letteralmente dissotterrato.(36)
3.
Sebbene meno conosciuta e studiata di Bataille e di DeLillo, Nada Gordon è a sua volta l’autrice di un’opera che può rivelarsi estremamente pertinente per cercare di riflettere sul rapporto tra letteratura e rifiuti, soprattutto se la si considera come una delle principali rappresentanti della poesia Flarf, il controverso movimento letterario sviluppatosi negli Stati Uniti all’inizio del millennio, di cui Gary Sullivan ha sia coniato il nome che dato la sua definizione più celebre:
Flarf: A quality of intentional or unintentional “flarfiness”. A kind of corrosive, cute, or cloying, awfulness. Wrong. Un-P.C. Out of control. “Not okay”.
Flarf (2): The work of a community of poets dedicated to exploration of “flarfiness”. Heavy usage of Google search results in the creation of poems, plays, etc., though not exclusively Google-based. Community in the sense that one example leads to another’s reply-is, in some part, contingent upon community interaction of this sort. Poems created, revised, changed by others, incorporated, plagiarized, etc., in semi-public.
Flarf (3) (verb): To bring out the inherent awfulness, etc., of some pre-existing text.
Flarfy: To be wrong, awkward, stumbling, semi-coherent, fucked-up, un-P.C. To take unexpected turns; to be jarring. Doing what one is “not supposed to do”.(37)
Questa definizione ha diversi meriti, poiché riesce a mettere in evidenza numerose caratteristiche essenziali della poesia Flarf: il suo carattere apertamente provocatorio, una certa ironia irriverente e corrosiva, il ricorso sistematico a internet e al suo più celebre motore di ricerca, il senso di comunità che ha unito i suoi rappresentanti portandoli spesso a collaborare(38). Malgrado la sua efficacia nel sottolineare questi aspetti, la definizione offerta da Sullivan ha però il limite di non esplicitare lo stretto legame tra il Flarf e l’immondizia, un legame che troviamo invece brillantemente descritto da Kenneth Goldsmith:
Il collettivo Flarf ha frugato nei risultati di Google alla ricerca del peggio, per ricontestualizzarlo in forma di poesia. Se le persone considerano internet come la più grande discarica linguistica al mondo, con le sue flame war, le pubblicità del Viagra e lo spam, Flarf sfrutta questa condizione contemporanea reinquadrando tutta quella spazzatura in forma di poesia. È un pozzo senza fondo.(39)
In altri termini, quello che definisce il Flarf non è solo la scelta di riutilizzare in maniera provocatoria e irriverente dei testi o dei temi trovati su internet. Decisivo è il fatto che tale operazione di riuso e di riappropriazione avvenga proprio cercando sul web quanto vi è di più imbarazzante e sconveniente; ciò che normalmente è squalificato come spazzatura e che, per quanto abbia un suo pubblico e un suo mercato, viene normalmente nascosto, deriso, rimosso o condannato nei discorsi ufficiali. Vediamolo proprio a partire da una poesia di Gordon, Unicorn Believers Don’t Declare Fatwas, pubblicata per la prima volta nel 2009 in Poetry e inclusa più recentemente nell’antologia Flarf: An Anthology of Flarf (2017), curata dalla stessa Gordon insieme a Gardner, Mesmer, Mohammad e Sullivan. Eccone la prima parte:
Oddly enough, there is a
“Unicorn Pleasure Ring” in existence.
Research reveals that Hitler lifted
the infamous swastika from a unicorn
emerging from a colorful rainbow.
Nazi to unicorn: “You’re not coming
out with me dressed in that ridiculous
outfit”. You can finally tell your daughter
that unicorns are real. One ripped the head off
a waxwork of Adolf Hitler, police said.
April 22 is a nice day. I really like it.
I mean it’s not as fantastic as that Hitler
unicorn ass but it’s pretty special to me.
CREAMING bald eagle there is a tiny Abe
Lincoln boxing a tiny Hitler. MAGIC UNICORNS
“You’re really a unicorn?” “Yes. Now
kiss my feet.” Hitler as a great man.
Hitler… mm yeah, Hitler, Hitler, Hitler,
Hitler, Hitler, Hitler… German food is so bad,
even Hitler was a vegetarian, just like a unicorn.(40)
Come osservato da Goldsmith, tanto in questo brano che in generale nella poesia flarf né la scelta dei materiali trovati su internet né il modo in cui vengono ricomposti è casuale. Si tratta invece di «una poesia attentamente costruita» e tale da mostrare come «la riorganizzazione del linguaggio trovato – anche se è sporco e basso come questo – può essere alchemizzato in un’opera d’arte»(41).
Tra gli elementi «sporchi e bassi» ripresi qui da Gordon soffermiamoci in particolare sul riferimento al nazismo e a Hitler. Da un lato, Unicorn Believers Don’t Declare Fatwas non ha certamente la forma di un classico poema engagé. Per un altro verso, però, si tratta nondimeno di un testo dall’innegabile dimensione politica: almeno nella misura in cui può essere letto come uno sberleffo al nazismo (e ai suoi ridicoli tentativi di darsi una legittimazione mitologica) e forse ancor più come uno sberleffo a quanti oggi simpatizzano sul web con esso senza neanche conoscerlo.
Questo aspetto – una certa dimensione politica della sua scrittura – è una caratteristica che Gordon condivide con molti altri autori flarf; una caratteristica anch’essa lasciata sottotraccia nella definizione proposta da Sullivan, ma che proprio quest’ultimo ha ben evidenziato in un altro testo, Flarf: From Glory Days to Glory Hole, del 2009, dove arriva ad associare il movimento flarf a una forma di reazione contro il clima reazionario e repressivo instaurato dall’amministrazione Bush in seguito all’11 settembre 2001. Più precisamente, Sullivan prima ricorda come inizialmente la mailing-list usata dai primi membri del gruppo (una mezza dozzina al momento della sua apertura nel marzo 2001) fosse soprattutto «uno spazio in cui le persone a cui piaceva scherzare e fare battute – battute interne, sul mondo della poesia, per lo più – potevano ritrovarsi e parlare. E scrivere orribile poesia»(42), spesso parodiando quella che gli capitava di ascoltare negli spazi pubblici. Nei mesi successivi all’11 settembre, dopo alcune settimane di silenzio generale, tutto cambia: «invece di battute interne su piccole scocciature, il bersaglio era la Nuova Era. Se l’ironia, il sarcasmo e l’antiamericanismo generale erano crollati con la caduta delle Torri, la lista di Flarf era troppo ubriaca per seguire tale promemoria. Tutti hanno postato in gran quantità le più offensive riscritture di pezzi “think” del New York Times, di preoccupati blog-post e di altre ben intenzionate dichiarazioni pubbliche»(43).
Ma consideriamo anche un poema più recente di Gordon, appartenente a una fase successiva della scrittura flarf, nella quale, finita la presidenza Bush, l’opposizione a ciò che quest’ultima rappresentava è meno frontale. Si tratta di Poetry is Junk, tratto da Vile Lilt (2013), di cui proponiamo un estratto della parte iniziale:
[…] A large placenta emerges
smelling of maple and bluejays. Poetry is junk [corsivo aggiunto].
I ache out the law of soaring, my human brain dividing
the spoils, describing a lacy arabesque on ice until
something just breaks. The ear of a woman is usually
clear pink, not ill-shaped, and there is a note of
individuality about it, the attractiveness of which
one should emphasize, not conceal. I want all of you
here with me. Hi! Hi everybody! Femmage [corsivo aggiunto].
I’m here as a passionate dunce, still skating the well-
worn arabesque, sincere as butter but twice as musical.
Look, this a zither of affect: its octaves are multiplied
by the vocabulary of others, and if I feel it more intensely
then so will you. The beautiful girl inserts the dildo
and turns it around, shivering in pleasure. It gets covered
with her secretions: primal cream. The writing is the dildo
and the girl, and the secretions. It’s like learning other languages. […](44)
Pur in modo meno sistematico rispetto a Unicorn Believers Don’t Declare Fatwas, degli elementi associabili all’immondizia (o legati, come il dildo, a qualcosa di cui è normalmente inappropriato parlare in pubblico) sono ben presenti anche in questo poema, a partire dal termine junk che compare fin nel suo titolo. Come noto, si tratta di un termine ricco di varie significazioni, col dizionario Ragazzini che ne propone sette, seguite da una ricca lista di espressioni correnti, tra le quali però manca proprio una delle più pertinenti per capire il lavoro di Gordon, ovvero l’espressione junk language che designa il linguaggio spazzatura, sempre più diffuso sul web, da cui lei spesso riprende degli elementi per riutilizzarli:
1. scarti (pl.); cascami (pl.); rottami (pl.); 2. ciarpame; cianfrusaglie (pl.); paccottiglia: a room full of junk, una stanza piena di cianfrusaglie; 3. robaccia; scemenze (pl.); fesserie (pl.): He writes junk, scrive robaccia; 4. junk food; 5. (slang) eroina; 6. (naut.) cordame vecchio; 7. (naut., stor.) carne sotto sale.
junk art, arte fatta con materiali di scarto; junk artist, artista della «junk art» (sopra); (fin.) junk bonds, obbligazioni (o titoli) spazzatura; (USA) junk bottle, bottiglia di vetro grosso (verde o nera); junk dealer, robivecchi; rigattiere; (biol.) junk DNA, DNA spazzatura; junk DNA; (Internet) junk e-mail filter, filtro per la posta indesiderata; junk food, cibo spazzatura; (slang USA) junk heap, junker; junk jewellery, bigiotteria (di scarso valore); junk mail, stampe pubblicitarie o propagandistiche; posta spazzatura junk shop, negozio di rigattiere; junk yard, deposito rottami(45)
Ugualmente rilevante in Poetry is Junk è poi l’uso del termine femmage, che viene messo in evidenza anche nella quarta di copertina di Vile Lilt, dove viene ripreso un commento di Rodney Koeneke che presenta questo libro come «a prismatic manifesto of Poofism and Femmage»(46). Ricordiamo che femmage è un termine con una precisa origine, ben radicata nella storia del femminismo americano. Introdotto da Miriam Schapiro et Melissa Meyer, designa principalmente delle opere plastiche e visive realizzate da donne a partire da dei materiali di scarto. Più precisamente, Shapiro e Mayer lo hanno definito attraverso una lista di 14 criteri, dei quali almeno la metà devono essere soddisfatti affinché si possa parlare di femmage:
1.It is work by a woman. 2. The activities of saving and collecting are important ingredients. 3. Scraps are essential to the process and are recycled in the work. 4. The theme has a woman-life context. 5. The work has elements of covert imagery. 6. The theme of the work addresses itself to an audience of intimates. 7. It celebrates a private or public event. 8. A diarist’s point of view is reflected in the work. 9. There is drawing and/or handwriting sewn in the work. 10. It contains silhouetted images which are fixed on material. 11. Recognizable images appear in narrative sequence. 12. Abstract forms create a pattern. 13. The work contains photographs or other printed matter. 14. The work has a functional as well as an aesthetic life.(47)
Rispetto a questa nozione, la scrittura di Gordon si pone senz’altro in una forma di continuità, soprattutto rispetto al secondo e al terzo criterio che prescrivono l’attività del raccogliere e del salvare e considerano essenziali l’uso di scarti e rottami da riciclare. Nel parlare di continuità è però importante anche precisare che quella di Gordon non è una semplice ripresa, ma quasi una reinvenzione del femmage: non solo per il modo molto meno rigido (assolutamente non prescrittivo) con cui questo termine viene utilizzato, né solo per il suo impiego in ambito poetico piuttosto che plastico(48), ma soprattutto per l’impressionante eterogeneità delle immagini e dei materiali linguistici che, spesso proprio a partire dal junk language, Gordon riesce a mobilizzare nei suoi testi.
4.
Sempre a proposito di poesia, consideriamo infine un ulteriore poeta, anche lui molto attento ai rifiuti e agli scarti, e le cui opere sono a loro volta molto diverse da quelle degli altri autori che abbiamo considerato: Fabio Pusterla. Nel suo caso è in particolare nelle sue prime raccolte che il tema dei rifiuti è più evidente, a partire dal suo primissimo libro, Concessione all’inverno (1985), dal quale riprendiamo la prima sezione della poesia Due paesaggi:
Le acque della pianura
si smistano in intrichi di canali;
sul fondo si immaginano gibbosità,
protuberanze melmose, rifiuti solidi.
Appena invece sommersi, o galleggianti,
fluttuano ciuffi d’alghe,
copertoni nerastri,
resti odorosi d’incerta provenienza
(oscuro è il viaggio delle inutili cose:
alcune arriveranno agli estuari
ad ingombrare spiagge, intralciare bagnanti;
s’incaglieranno, altre, nelle chiuse
pescate forse da pescatori ignari).
Fra canale e canale stanno i campi
popolati di ranocchie rospi e topi.
L’assenza di rilievi montuosi e le nebbie
velano a volte gli occhi; e insensato
appare l’ordine delle cose, mostri gli aratri
su strade definite da incomprensibili crocicchi.
In giorni d’eccezionale tersità
sbucano tuttavia, quasi a mezz’aria,
le cime delle Alpi, tra nuvole:
le rincorre il pittore, trasognato,
in lontani triangoli rosa.(49)
Commentando proprio questa poesia, Niccolò Scaffai ha giustamente sottolineato la distanza di Pusterla da una prospettiva che associ la natura a una forma di sublime: le sue poesie hanno come «sfondo una natura riposta, colta con uno sguardo che non indugia romanticamente sul paesaggio, ma che si concentra sulla materia geologica, la pietra, la torba»; una natura che sembra situarsi in «un tempo quasi geologico ormai posteriore alla “fine della Storia”» e nella quale «i relitti del degrado tecnologico galleggiano come estremi residui di una civiltà ridotta ai suoi minimi elementi, in cui la presenza umana compare accidentalmente sullo sfondo»(50).
In questo contesto, anche alla luce degli altri autori che abbiamo considerato, i rifiuti e i detriti presenti nei testi di Pusterla ci sembrano allora significativi per almeno due ragioni, tra loro complementari: sia per la conferma che possono offrire all’idea di una dimensione archeologica dei rifiuti; sia perché Pusterla articola una tale dimensione in un modo ancora alternativo rispetto a quelli di Bataille, di DeLillo o di Gordon.
a) Quanto alla conferma di questa dimensione(51), già la citata prima sezione di Due paesaggi è molto indicativa. Versi come quelli dove si parla di «copertoni nerastri, / resti odorosi d’incerta provenienza», oppure quello relativo al «viaggio delle inutili cose», rinviano infatti esplicitamente a un passato incerto di cui simili resti e rifiuti sono delle tracce.
Ancora più che in Concessione all’inverno, questa dimensione è poi tematicamente presente soprattutto in Bocksten (1989) e in Le cose senza storia (1994), ovvero nel secondo e nel terzo libro di Pusterla, con Bocksten che è proprio costruito attorno a una specifica scoperta archeologica, quella del cosiddetto uomo di Bocksten (Bockstsensmannen, in svedese), le cui spoglie, risalenti verosimilmente al XIV secolo, furono rinvenute nel 1936 in una torbiera dell’entroterra svedese, accompagnate solo da un abito rozzo e dai pioli con cui fu ucciso trafitto al petto. Come le seguenti poesie lo mostrano, Pusterla evidenzia tra l’altro come i resti di quest’uomo (di cui non si sa praticamente nulla) siano emersi in un contesto dove quasi non vi sono tracce umane che non siano detriti, coi quali le stesse spoglie si confondono:
Le formiche salgono ordinate dai tubi
dell’acqua dei condotti; l’enigma è là sotto
brulicante di zampe, di vermi, di bave.(52)
***
Bocksten, uomo di terra,
ossuto resto reso carbone,
dal groviglio dei secoli riemerso,
caso, muta protesta, accusa, vita
inchiavardata nel fango.(53)
***
Per anni frugammo le pietre, raccogliendo indizi,
E i sentieri dei boschi? L’abbandono delle case diroccate?
Argini, casse d’orologi, fotografie stinte,
tutto un bisogno di parola, insoddisfatto.
La terra dei padri, la sfuggente
mano callosa del mondo. Una promessa
di senso polveroso fra i rottami.
Ma i padri sono morti, non ha voce il passato,
o ha voce incomprensibile al presente.(54)
***
Ma il mondo è tutto qui,
un corpo e la sua storia,
speranze, desideri,
e tre pioli che premono fuori;
cose uguali per tutti,
come vedi.(55)
b) Emblematiche della stretta relazione che unisce rifiuti, archeologia e scrittura, queste poesie sono al tempo stesso molto efficaci anche per comprendere la specificità dell’approccio di Pusterla e per considerare almeno alcuni aspetti che lo distanziano sia da Bataille che da DeLillo e da Gordon. A proposito di quest’ultima è soprattutto la differenza di tono che è immediatamente evidente. Diversamente da quello barocco, eccessivo e sovrabbondante di Gordon, troviamo ora piuttosto una certa ironia(56), amara e disincantata, che accompagna contemporaneamente una forma di «sfiducia nella parola»(57) e «un’attenzione estrema per gli oggetti, nominati sempre con precisione»(58). Rispetto a Bataille si può invece osservare come malgrado la centralità in entrambi del tema della morte, in Pusterla non vi siano l’ambiguità e la fascinazione per la violenza che caratterizzano le opere dell’autore di La valeur d’usage de D.A.F. de Sade. Infine, in rapporto a DeLillo, ci sembra importante sottolineare soprattutto la maggiore resistenza che resti e rifiuti oppongono a ogni tentativo di comprenderli. Come viene detto in una delle poesie di Bocksten che abbiamo citato: «non ha voce il passato, / o ha voce incomprensibile al presente». Ciò però non vuol dire che Pusterla sia in qualche modo meno sensibile di DeLillo al passato e ai suoi resti, detriti, rifiuti. Anzi, nei suoi testi, resti, detriti e rifiuti interrogano nel modo più diretto e più potente il lettore, dandogli l’impressione che – malgrado la loro inaccessibilità – in essi ne vada del nostro stesso senso.
In questa prospettiva, ricordiamo anche un’intervista del 2000 nella quale Maurizio Chiaruttini rivolge a Pusterla un’esplicita domanda sul suo rapporto con «scorie, rifiuti, fango, detriti, sterpaglie». L’autore di Concessione all’inverno non solo ammette di esserne sempre stato affascinato, ma afferma anche di avere pensato che essi corrispondano a «ciò che di vitale riusciva a sopravvivere sotto l’arroganza di una realtà che si pretendeva unica e indiscutibile»:
J’ai déjà fait allusion à ma vieille familiarité presque infantile avec ces éléments. Je me trouve à mon aise parmi les choses usées, même parmi les scories; je suis attiré par les paysages marginaux, périphériques, davantage que par la perfection du centre et des belles images. Je pense que cet aspect de ma manière d’être a pris diverses significations au fil du temps, et qu’il s’est progressivement modifié. Au début, peut-être que l’horizon était défini par un vers d’Eugenio Montale qui se trouve dans son quatrième recueil de poésies, Satura, et qui dit: “La poésie et les égouts, deux problèmes non disjoints”. Plus tard, j’ai cru pouvoir identifier dans les détritus, les scories, ce qui parvenait à survivre de vital sous l’arrogance d’une réalité qui se prétendait unique et indiscutable: quelque chose dont on n’avait plus l’usage, et qui était rejeté en marge, continuait à survivre, sans plus pouvoir être classé exactement. Ce pouvait être un déchet, bien sûr; mais aussi une forme d’existence (et de résistance) qui n’avait pas encore trouvé un nom: un espoir, en somme [corsivo aggiunto]. Mais ce sont des choses que je dis un peu à contrecœur, et toujours a posteriori; en fait, les matériaux de rebut me fascinent. (59)
5.
In conclusione torniamo però anche su ciò che unisce Bataille, DeLillo, Gordon e Pusterla, ovvero, in primo luogo sul fatto che per tutti questi quattro autori i rifiuti non sono riducibili a un problema da eliminare. Oltre a questo aspetto ci sembra che si possa ora anche meglio vedere come tutti e quattro dimostrano con le loro opere quanto la letteratura e la poesia possono essere estremamente feconde per pensare il nostro rapporto con i rifiuti. Tutti e quattro, seppure ciascuno a suo modo, dimostrano l’inaggirabilità e l’importanza dei rifiuti ed il fatto che non ci si può accontentare di un approccio manageriale per gestirli e affrontali. Ciò allora conferma anche più in generale l’importanza politica della letteratura e della poesia: un’importanza che non dipende tanto dalla capacità di un romanzo o di un poema d’offrire una soluzione precisa a uno specifico problema, e neanche nella capacità di offrirne una descrizione esatta, ma soprattutto nell’offrirci nuovi modi di vedere e di pensare.
Note
(1) B. Monsaingeon, Homo detritus. Critica della società dei rifiuti [Homo detritus. Critique de la société du déchet, 2017], tr. it. di M. Miniati, Giunti, Firenze-Milano 2019, p. 11.
(2) Ibidem, p. 184.
(3) Ibidem, p. 232.
(4) M. Armerio, Wasteocene: Stories from the Global Dump, Cambridge University Press, Cambridge 2021, p. 2.
(5) Tra i più recenti testi critici che analizzano il rapporto tra letteratura e rifiuti si vedano in particolare: F. Valdinoci, Scarti, tracce e frammenti: controarchivio e memoria dell’umano, Firenze University Press, Firenze 2019; N. Scaffai, Letteratura e ecologia, Carocci, Roma 2017; A. Zaccuri, Non è tutto da buttare. Arte e racconto della spazzatura, La scuola, Brescia 2016.
(6) Come osservato da Francis Marmande, la datazione esatta di La valeur d’usage de D.A.F. Sade rimane incerta: «J. Pierrot [le] date de 1932 et peut-être même de 1933, contrairement à l’éditeur des Œuvres complètes [Denis Hollier] qui semble le situer en 1930» (F. Marmande, Georges Bataille politique, Presses Universitaires de Lyon, Lyon 1985, p. 49).
(7) G. Bataille, Il valore d’uso di D.A.F. de Sade, in Id., Critica dell’occhio, tr. it. di S. Finzi, Guaraldi, Rimini 1972, p. 127, nota. L’interscambiabilità dei termini “scatologia” e “eterologia” è ugualmente esplicita in una nota ora inclusa nelle opere postume di Bataille, ma che questi non aveva conservato nel testo finale di La valeur d’usage de D.A.F. de Sade: «Le terme d’hétérologie voisin d’hétérodoxie a l’avantage d’opposer cette forme d’activité à toute espèce d’orthodoxie possible, mais il est opportun de lui préférer comme terme ésotérique celui de scatologie, beaucoup plus concret et expressif» (G. Bataille, Œuvres complètes II. Écrits posthumes 1922-1940, Gallimard, Paris 1970, p. 424). Per un approfondimento sull’eterologia batailliana, segnaliamo in particolare il recente numero speciale (Special Issue: Bataille and Heterology) di “Theory, Culture & Society” (vol. 35, n. 4-5, luglio-settembre 2018) diretto da Marina Galletti e Roy Boyne.
(8) R. Ronchi, Filosofia della comunicazione, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 42-43. In questo libro Ronchi propone un interessante parallelismo tra la prospettiva del giovane Bataille e un passaggio del Parmenide nel quale Socrate sembra affermare che i rifiuti in qualche modo eccedono il dominio delle idee: «Io credo invece che quelle cose [capelli, fango, sporco] che vediamo, esistano così come le vediamo» (Parmenide, 130 d 3-4).
(9) G. Bataille, La struttura psicologica del fascismo, in Id., Scritti sul fascismo 1933-34, a cura di G. Bianco e S. Geroulanos, trad. it., Mimesis, Milano-Udine 2010, p. 71.
(10) G. Bataille, Il valore d’uso di D.A.F. de Sade, cit., p. 126.
(11) Ibidem, p. 127.
(12) Ibidem.
(13) Ibidem.
(14) Ibidem, p. 131.
(15) Ibidem, p. 128.
(16) Ibidem, p. 133.
(17) M. Surya, Sainteté de Bataille, L’Éclat, Paris 2012, p. 55 (traduzione nostra).
(18) Ibidem.
(19) Ibidem, p. 56. Per un approfondimento sull’opposizione al fascismo di Bataille e dell’eterologia, segnaliamo anche M. Galletti, Il mostro bicefalo. Percorsi nell’eterologia di Georges Bataille, Artemide, Roma 2020 e S. Pellarin, Georges Bataille: il soggetto al limite, Qudulibri, Gorizia 2021.
(20) M. Surya, Georges Bataille: la mort à l’œuvre, Gallimard, Paris 1992, pp. 217-218 (traduzione nostra). Emblematica è la figura dell’intoccabile che Bataille discute in La structure psychologique du fascisme. Da un lato, anche il leader fascista è a suo modo intoccabile. Una certa intoccabilità è anzi inseparabile dal suo potere e dalla dimensione sacra che gli viene riconosciuta. D’altra parte, però, Bataille è ancora più interessato a una forma completamente diversa di intoccabilità: quella esemplificata dalle classi miserabili dell’India, una forma nella quale Surya vede giustamente la figura delle diverse “forme di inferiorità” che il fascismo ha cercato di omogeneizzare, o addirittura di schiacciare: «Intoccabile serve qui a designare ciò che abbiamo chiamato il dissociato razziale; ma la sua designazione deve essere estesa a tutte le forme di “inferiorità” che il nazionalsocialismo considererà tali: il non ariano, a fortiori l’ebreo e lo zingaro, lo storpio, il pazzo, l’omosessuale, ecc.» (M. Surya, Sainteté de Bataille, cit., p. 57, nota).
(21) D. DeLillo, Americana [1971], tr. it. di M. Pensante, Einaudi, Torino 2008.
(22) N. Turi, A partire da «Underworld». Don DeLillo e il romanzo del terzo Novecento, Firenze University Press, Firenze 2020, pp. 75-76.
(23) S. Triulzi, La catastrofe di domani è già iniziata, “Il Venerdì di Repubblica”, 31 dicembre 2015, p. 81.
(24) D. DeLillo, Underworld [1997], tr. it. di D. Vezzoli, Einaudi, Torino 1999, p. 300.
(25) Ibidem, p. 298.
(26) Ibidem, p. 303.
(27) Ibidem, pp. 707-708.
(28) Ibidem, p. 419.
(29) Ibidem, p. 91.
(30) Cfr. ibidem, p. 92 e p. 107.
(31) Ibidem, p. 861.
(32) Ibidem, p. 107.
(33) A. Portelli, “We Do Not Tie It in Twine”. I rifiuti, la storia e il peccato in Underworld di Don DeLillo, “Acoma. Rivista Internazionale di Studi Nordamericani”, vol. 19, 2000, p. 11.
(34) Ibidem.
(35) D. DeLillo, Underworld, cit., pp. 594-596. Ricordiamo che alcuni giornalisti hanno realmente trafugato l’immondizia di Hoover per renderne conto all’opinione pubblica (cfr. J. Anderson, Hoover’s Trash Shows He’s Human, “The Washington Post”, 27 marzo 1971).
(36) D. DeLillo, Underworld, cit., p. 841.
(37) G. Sullivan, A Brief Guide to Flarf Poetry, “Poets.org”, 2003. Oltre a Gordon e Sullivan, tra i principali autori flarf si possono ricordare Jordan Davis, Katie Degentesh, Drew Gardner, Mitch Highfill, Rodney Koeneke, Michael Magee, Sharon Mesmer, Mel Nichols, K. Silem Mohammad, Rod Smith.
(38) È un aspetto che è stato ben evidenziato da Gautam Naik: «Flarf is a creature of the electronic age. The flarf method typically involves using word combinations turned up in Google searches, and poems are often shared via email. When one poet penned a piece after Googling “peace” + “kitty”, another responded with a poem after searching “pizza” + “kitty”. A 2006 reading of it has been viewed more than 6,700 times on YouTube. It starts like this: “Kitty goes Postal/Wants Pizza”» (G. Naik, Search for a New Poetics Yields This: “Kitty Goes Postal/Wants Pizza”, “Wall Street Journal”, 25 maggio 2010).
(39) K. Goldsmith, CTRL+C, CTRL+V (scrittura non creativa) [Uncreative Writing, 2011], tr. it. di V. Mannucci, Nero, Roma 2019, p. 218.
(40) N. Gordon, Unicorn Believers Don’t Declare Fatwas, “Poetry”, vol. 194, n. 4, 2009, pp. 324-325.
(41) K. Goldsmith, CTRL+C, CTRL+V (scrittura non creativa), cit., p. 220.
(42) G. Sullivan, Flarf: From Glory Days to Glory Hole, “Brooklyn Rail”, 2009 (traduzione nostra).
(43) Ibidem.
(44) N. Gordon, Vile Lilt, New York, Roof Books 2013, pp. 13-14.
(45) G. Ragazzini, il Ragazzini 2021. Dizionario inglese-italiano italiano-inglese, Zanichelli, Bologna 2020.
(46) N. Gordon, Vile Lilt, cit., quarta di copertina.
(47) Miriam Schapiro, Melissa Meyer, Waste Not Want Not: An Enquiry into What Women Saved and Assembled – FEMMAGE, “Heresies”, vol. 4, 1977, p. 69. Sul rapporto di Gordon con la tradizione del femmage si veda anche E. Lyndal, Vile Lilt by Nada Gordon (A Review), “Sundog Lit”, 24 luglio 2013.
(48) La stessa Gordon, d’altra parte, oltre che a scrivere e a insegnare, lavora anch’essa, almeno in parte, con materiali tessili, realizzando artigianalmente bambole, vestiti e accessori che si possono acquistare in un negozio on-line: www.etsy.com/shop/ScentedRushes.
(49) F. Pusterla, Concessione all’inverno [1985], Casagrande, Bellinzona 2012, p. 61.
(50) N. Scaffai, Letteratura e ecologia, cit., p. 181.
(51) Sulla dimensione archeologica dell’opera di Pusterla si veda anche G. D’Andrea, Archeologia e comunità: appunti sull’opera di Fabio Pusterla, “puntocritico.eu”, 23 dicembre 2012.
(52) F. Pusterla, Bocksten [1989], Marcos y Marcos, Milano 2003, p. 29.
(53) Ibidem, p. 35.
(54) Ibidem, p. 50.
(55) Ibidem, p. 51.
(56) La particolare ironia di Pusterla è stata ben evidenziata da Maria Corti già nella sua prefazione a Concessione all’inverno: «Sia ira che ironia alternativamente o parallelamente si reggono su una graffiante operazione linguistica che va dal vivace ricorso alle altre lingue della Confederazione, francese e tedesco (un po’ nella maniera di Sandro Sinigaglia) ai ludi retorici («le case / le chiese, le chiuse»), alle rime interne, alle citazioni esplicite o occulte» M. Corti, Prefazione a Concessione all’inverno, Casagrande, Bellinzona 1985, p. 11).
(57) M. Cavadini, Il poeta ammutolito. Letteratura senza io: un aspetto della postmodernità poetica. Philippe Jaccottet e Fabio Pusterla, Marcos y Marcos, Milano 2004, p. 129.
(58) M. Borio, Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000, Marsilio, Venezia 2018, p. 257.
(59) F. Pusterla, Entretien, con M. Chiaruttini, “Feuxcroisés”, 2, 2000, pp. 140-141.
[Immagine: © Museo Aero Solar; Photography by Studio Tomás Saraceno, 2012].