di Sergio Benvenuto
[Riceviamo questo articolo da Sergio Benvenuto: lo pubblichiamo per aprire un confronto e una discussione sulla guerra in Ucraina, auspicandoci la partecipazione di molte voci].
E’ la prima volta nella mia ormai lunga vita (sono del 1948) che mi sento in guerra. Finora, per me, le guerre erano sempre quelle di altri.
A meno che Putin non accetti la sconfitta subito, ovvero di ritirarsi dall’Ucraina, l’Unione Europea sarà in guerra.
Non temo che aerei russi vengano a bombardare Roma, città dove abito. A meno che non si scateni una terza guerra mondiale a colpi di bombe atomiche, e allora… non sarebbe nemmeno più la guerra, ma l’Apocalisse.
Ho vissuto la guerra fredda, che appunto non era calda: una costante minaccia di guerra, ma le guerre si facevano altrove (in Medio Oriente, in Vietnam…). L’Italia poi ha partecipato a varie “missioni di pace” che erano di fatto, spesso, missioni di guerra, ma era come un tempo le guerre coloniali: erano cose di militari, di professionisti, la popolazione italiana non ne era coinvolta.
Ora invece mi sento davvero in un paese in guerra, anche se nessuno dei nostri politici e governanti osa dirlo. E questo anche se l’Europa non mandasse nemmeno un soldato a combattere i russi per difendere l’Ucraina.
Ormai sappiamo che una guerra non è più come la si concepiva un tempo, scontro militare in un campo di battaglia. La guerra basata su battaglie campali è finita. La guerra oggi non si fa solo con le armi da fuoco: si fa con le sanzioni economiche, agendo sul mercato del petrolio, con azioni di guerriglia, terrorismo, colpi di stato, attacchi informatici, persino con le elezioni… Guerra e politica ormai si intrecciano strettamente, così, affamare un popolo con dure sanzioni può fare più vittime che una battaglia di tank.
Essere in guerra significa, oggi, che la popolazione del paese in guerra ne paga in qualche modo i costi. Gli eserciti oggi sono professionali, di specialisti, ma paradossalmente c’è vera guerra quando un intero popolo è in guerra. Lo stiamo vedendo bene in Ucraina, ma lo abbiamo visto in Afghanistan, in Iraq, in Siria, in Libia… Nel 2003 il presidente Bush Jr. dopo la conquista di Baghdad dichiarò “missione compiuta” perché aveva ancora un’immagine arcaica della guerra. In realtà, come sappiamo, la vera guerra in Iraq è cominciata quando Bush pensava che fosse finita: fu dopo che fece centinaia di migliaia di morti. Attraverso il terrorismo, in quel caso. Terrorismo e guerriglia non sono sostituti della guerra, ma parte integrante della guerra stessa. In questo senso non è più vero, come diceva von Clausewitz, che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, e nemmeno quello che diceva Foucault, che la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. La guerra accompagna sempre la politica come un suo arto, la violenza è parte della politica, e la guerra guerreggiata è solo una modalità della violenza politica.
Per esempio, è probabile che ci saranno azioni terroristiche ucraine in territorio russo: in modo che la popolazione russa si renda conto essa stessa di essere in guerra.
In effetti, c’è un solo modo non militare per mettere in ginocchio la Russia di Putin: non comprare più il suo gas, perché l’economia russa si basa sul gas. Questo lo sanno anche le pietre. Ma gran parte dei paesi europei (non la Gran Bretagna, per sua fortuna) dipendono dal gas russo. Alcuni paesi addirittura al 100% dei loro acquisti di gas; 94% la Finlandia, 93% la Lettonia (in Italia il 43%). Ma se rinunciare al gas russo è l’atto di guerra più efficace, bisogna che la popolazione europea si rassegni a molti sacrifici per un certo tempo: dovrà imparare a vivere con poco gas. Ma siccome del gas non si può fare a meno, lo si dovrà prendere dalla Norvegia, dall’Algeria e dal Qatar, ovvero, il prezzo del gas schizzerà in alto. Da qui inflazione, con tutto quello che essa comporta. Con l’inflazione, le banche centrali dovranno alzare i tassi di sconto, quindi meno prestiti, meno investimenti… la crisi.
Eppure, se si vuol vincere una guerra il vincitore deve soffrire. L’idea, con cui oggi i politici cullano i loro elettori, secondo cui le guerre si vincerebbero senza sofferenze della popolazione, è un’illusione. Tempo fa, l’ex segretario di stato americano Colin Powell teorizzò una guerra senza vittime, cosa che provocò all’epoca una certa ilarità. L’ideale di una guerra fatta in poltrona, pigiando solo bottoni come in una play station, è un film che non regge. Combattere qualcuno significa infliggergli delle pene concrete, e ci sono tanti tipi di pene. Si può sparare al nemico, ma lo si può anche ridurre alla povertà, oppure costringerlo a una insostenibile interminabile guerra. Oppure obbligarlo a una paura continua, che è il fine principe della strategia terroristica: chiunque e ovunque è in pericolo di essere colpito da un atto terroristico.
Se l’Europa che dice di essere democratica vuole battersi contro la dittatura, deve quindi decidersi a soffrire, purché le sofferenze inflitte al nemico – in questo caso, Russia e Bielorussia – siano molto più cocenti delle nostre, fino a obbligarlo alla resa. Non ci sono vittorie senza perdite. E nel nostro caso, è perdere buona parte del nostro gas.
Dare armi agli ucraini è un’ottima cosa – anzi, perché non si è pensato di farlo prima? – ma non è possibile fare la guerra sempre col sangue degli altri. A un certo punto l’Europa occidentale dovrà versare il proprio sangue, se vuole vincere. E per sangue versato intendo anche sangue economico. Significa accogliere centinaia di migliaia di rifugiati ucraini, significa riarmarsi (ovvero, spendere in bombe e razzi invece che in scuole o in infrastrutture), significa rischiare rappresaglie da parte del nemico… Per vincere bisogna accettare di soffrire e di infliggere sofferenze al nemico. Purtroppo, bisogna augurarsi che il popolo russo soffra tanto… da far fuori Putin e la sua banda. E lo dico con il cuore rotto, perché ho tanti cari amici in Russia, e molti di loro odiano Putin, che chiamano Putler (Putin + Hitler). Mi dispiace, dovranno soffrire anche loro. Anche i tedeschi anti-nazisti soffrirono sotto le bombe anglo-americane.
Perché questo è l’altro lato che la retorica paciona di oggi non riconosce: che fare la guerra a Putin non è fare la guerra a lui e a qualche altro oligarca ma, ahimè, a tutti i russi. Perché solo se i russi si renderanno conto che Putin li porta alla povertà, allora potranno insorgere. Come i russi fecero nel 1917, reagendo a una guerra disastrosa contro la Germania a cui li aveva portati il dispotismo zarista. Ma ci volevano le terribili sofferenze nelle trincee della prima guerra mondiale perché finalmente lo zarismo venisse spazzato via. La storia ha sempre vie tortuose e crudeli anche per raggiungere i buoni fini.
Il punto è: siamo disposti a soffrire perché il pluralismo democratico trionfi sulla dittatura? Altrimenti, abbiamo già perso.
Analisi spietata ma lucidissima
Cari, ve lo dico pubblicamente: questo articolo, per posizionamento e complessità del discorso svolto, è irricevibile. Se siamo al “in guerra dobbiamo fare dei sacrifici”, sappiate che non ci sto
Questa è una guerra che ci chiama in causa direttamente. Diversa dalle altre. Coinvolge anche noi semplici cittadini. Quindi sarà necessario il nostro contributo in Sacrifici. Deve essere un contributo di solidarietà con il popolo ucraino. Sì perchè la sofferenza maggiore e di gran lunga, è la loro che combattono in tutte le città. Dobbiamo anche combattere contro Putin, “Zar” sanguinario, killer dell’umanità. Questo sta dimostrando ogni giorno quello che dovrebbe essere un capo di stato; ma in realtà si è dimostrato un dittatore solo assetato di potere. Che tra l’altro ha dichiarato apertamente di voler fare arretrare la nostra civiltà ai tempi zaristi con ciò che “madre” Russia possedeva allora. Quella che dobbiamo combattere quindi è una guerra di alto profilo. Con tutte le moltissime e sofferenti contraddizioni che questo comporta per un pacifista come me. Però penso che potrò vendicarmi almeno due volte. Una nell’immediatezza con i sacrifici e la solidarietà. L’altra con la creatività. Insieme agli altri dovremo inventare un nuovo modo di vivere il mondo. Questa non può essere la civiltà che vogliamo.
Io non mi capacito delle posizioni e discussioni lunari che avvengono in Italia su temi drammatici come l’aggressione. all’Ucraina o la pandemia. A leggervi dall’estero non ci si crede. A sinistra e negli ambienti intellettuali, soprattutto, ormai sembra che la pratica più diffusa sia rincorrere le voci da social e i sentori più beceri del momento. Nel campo della cultura e della militanza, a chi si beve la propaganda neozarista della Nato pericolo imminente per la Russia (quando invece sono le minacce di Putin a spingere paesi storicamente neutrali come Finlandia e Svezia nelle braccia della Nato) o dei nazisti ucraini (vent’anni e passa fa sarebbero stati i terroristi ceceni che avrebbero giustificato la distruzione a suon di bombe di Grozny, travestita da operazione militare preventiva) , fa da controcanto chi, come in questo pezzo, dice che siamo in guerra e definisce atti di guerra non solo sanzioni economiche, ma anche le elezioni. Tutto può essere guerra, dunque. La notte in cui tutte le vacche sono nere. Ma vi rendete conto di quanto è pericoloso questo atteggiamento intellettuale? Usate le parole con il significato che hanno, per piacere, ché le guerre si dichiarano e implicano una violiazione dell’integrità territoriale di un paese. Pezzi totalmente disinformati con questo tenore roboante (i terroristi ucraini in Russia, anche solo come ipotesi: ma stiamo scherzando?), fanno un pessimo servizio a un dibattito pubblico ormai votato a chi la spara più grossa. Datevi un calmata, e se volete capire qualcosa di questo momento leggetevi i lavori di chi si occupa di queste cose o in Russia e Ucraina ci vive, ci ha vissuto, o svolge lì attività scientifica.
Uno studente di 24 anni come me si trova per la prima volta in questa situazione; ma quello che mi sento di dire, e che a mio parere ha un valore assoluto, è che alla fine non ci troviamo a combattere contro tutti i russi: le immagini delle piazze di San Pietroburgo, dove le persone attendevano consapevolmente di essere arrestate perchè manifestavano contro il proprio paese, contro una guerra che non sentono loro, danno l’idea di una società che non può reggere a lungo il proprio despota, e paradossalmente l’unità dimostrata dai cittadini, dai miei colleghi studenti di tutta europa e non solo, si fa sentire anche in coloro che crediamo possano essere nemici. Credo che questo non sia da sottovalutare.
Il boomer va alla guerra
Concordo con Mimmo Cangiano: articolo irricevibile. Un proclama, una chiamata alle armi in stile dannunziano, a cui manca però l’enfasi e l’ampollosa retorica.
Articolo controproducente e per nulla condivisibile. Un conto è giustamente sostenere l’Ucraina in ogni modo e condannare senza indugi le azioni criminali di Putin. Altra cosa è sostanzialmente auspicare atti terroristici contro la popolazione russa (che peraltro sa benissimo di essere in guerra e ne è in larga parte ostile, anche perché i legami di amicizia o di parentela tra russi e ucraini sono frequentissimi) e inneggiare a “fare la guerra a tutti i russi”, dichiarazioni che sanno più di furia isterica che di sensata strategia per sostenere il fronte interno (che in Russia c’è già da decenni, senza che l’autore evidentemente lo sapesse). Spero che la ragione prevalga in tutti, anche qui da noi.
Gli articoli che appaiono su LPLC non esprimono mai un punto di vista unitario o collettivo. Non fa eccezione questo, come le righe introduttive intendevano chiarire. L’abbiamo pubblicato non perché ne condividessimo le tesi, che anzi in certi passaggi ci paiono molto problematiche, ma perché si aprisse una discussione pubblica su un evento di portata storica di difficile decifrazione che se su alcuni punti sta compattando l’unione pubblica europea, su altri (l’opportunità di fornire armi all’Ucraina, per esempio) la sta invece dividendo. Ripetiamo dunque quanto dichiarato dalle righe iniziali: auspichiamo repliche, discussioni, risposte, anche dure e ferme, che ci aiutino a capire. Come sempre, non pubblicheremo gli insulti.
Primo: sono venti anni che vado sia in Russia che in Ucraina, ho contatti quasi quotidiani con questi due paesi (sono psicoanalista e insegno psicoanalisi a Kiev e a S. Pietroburgo). Conosco quindi la realtà di cui parlo.
Secondo: non sono un interventista alla D’Annunzio. All’epoca si trattava di decidere se l’Italia dovesse entrare o meno in guerra. Ma qui SIAMO GIA’ IN GUERRA. Lo ha detto chiaramente Lavrov: chiunque darà armi agli ucraini, sarà nemico della Russia. Siccome diamo armi agli ucraini, siamo già nemici della Russia, Ovvero: la Russia ci ha dichiarato guerra. Non ve ne siete accorti?
Terzo. Anche le elezioni possono essere atti di guerra? Ma certo. Nel 2014 Putin indisse delle elezioni in Crimea per sancire la sua ammissione, e le vinse. Non erano quelle elezioni un atto di guerra?
Credo che certe reazioni a quello che scrivo illustrino un impulso umano, molto umano, che chiamerei “impulso dello struzzo”. Quando la realtà è sgradevole, non la si vuole guardare in faccia.
I più anziani ricorderanno il film “The Day After” del 1982. Nel film la guerra atomica sta per scoppiare, i media dicono agli americani che devono rifugiarsi nelle cantine, ma la housewife, la massaia, non vuol saperne: continua a rassettare la casa, a lavare le posate. E quando le dicono che non è tempo di farlo, urla e si agita… NON VUOLE ACCETTARE… Alcune critiche mi ricordano questo.
In guerra ci siamo già entrati più volte, in Europa quantomeno con la Serbia. Solo che era un avversario che potevamo contribuire a colpire senza conseguenze (almeno immediate) e che allora eravamo gli aggressori
Nessuna sindrome dello struzzo, ma un invito deciso e accorato, se si vuole parlate in quanto studiosi e intellettuali pubblici, a mantenere dei toni pacati e a produrre delle analisi il più argomentate e documentate possibile anche mentre si guarda dentro un buco nero.
Ribadisco il mio appunto: estendere il concetto di atto bellico in questa maniera non è concettualmente accettabile, perchè fra i flussi enormi del mercato bellico globale e le misure economiche e commerciali svantaggiose che si lanciano quotidianamente contro potenze come Russia, Cina e Usa sarebbe guerra ogni giorno. Ridurre il consumo di gas non può essere dipinto come un atto di guerra, perchè altrimenti ogni tentativo di andare in quella direzione per garantire indipendenza energetica di un paese o transizione ecologica sarebbe interpretabile come atto ostile. Tra l’altro, se così stanno le cose, si danno basi per giustificare l’unico atto di guerra finora esplicito e innegabile in questo contensto: quello di Putin contro l’Ucraina, ora ufficialmente riconosciuto come tale anche dalla diplomazia cinese. Si finirebbe a fare il gioco dell’aggressore. Questa idea è sbagliata e perniciosa sotto il profilo comunicativo, politico, militare, morale. Non può passare come accettabile nel dibattito pubblico. I referendum sono validi o non validi, possono essere provocatori e illegittimi in una situazione come quella della Crimea, ma non sono atti di guerra. Se vogliamo parlare, parliamo di fatti ed evitiamo di lanciarci in vaticini e previsioni, che in un momento di escalation come questo sono notoriamente infattibili anche per chi comanda le leve del potere.
Cari, mi dispiace ma l’idea di una redazione plurale (sacrosanta) va commisurata agli argomenti che si stanno trattando, e alla qualità dell’analisi con qui questi vengono trattati. In una situazione storica appunto di difficilissima decifrazione come questa, non si può passare un articolo che invita a mettersi l’elmetto, tanto più se quell’articolo ruota attorno a una disamina di livello infimo.
“L’Europa occidentale dovrà versare il proprio sangue, se vuole vincere” è una frase da giornaletto di propaganda nazionalista che da membro della redazione non voglio vedere sul LPLC. “Siamo disposti a soffrire perché il pluralismo democratico trionfi sulla dittatura?” è invece una frase da B-movie come il “The Day After” citato qua sopra. Tralascio il resto perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, e di sparare si parla già troppo nell’articolo. Benvenuto dice che insegna a Kiev e a San Pietroburgo e quindi sa di cosa parla. Io insegno a Venezia ma evito di parlare di idraulica o di maree.
Questo articolo è molto problematico per due motivi. Primo, perché a una prima, superficiale lettura dice qualcosa di molto banale, quindi inutile. È be fin troppo chiaro che siamo in guerra, e che soffriremo – alcun* enormemente più di altr* – coloro che stanno dalla parte sbagliata di un confine, coloro, da tutte le parti dei confini, che hanno subito le ripetute crisi economiche degli ultimi (molti) anni, e che vedono solo il buio davanti a loro. (Il riferimento alle “housewife”, “massaie”, del commento di Benvenuto è fuori luogo, nonché, ma che lo dico a fare, insopportabilmente sessista). Secondo, perché è un articolo che non dice i fatti, non descrive, ma vuole fare qualcosa: fomentare, alimentare emozioni negative: paura, desiderio di vendetta e di contro-aggressione. Da una prospettiva psicoanalitica, sarebbe da farsi qualche domanda.
“Il punto è: siamo disposti a soffrire perché il pluralismo democratico trionfi sulla dittatura? Altrimenti, abbiamo già perso.”
Il punto è precisamente quello e la strategia di Putin si basa anche sulla sua convinzione, non infondata, che gli Europei non sono disposti a soffrire.
@ Federica Gregoratto: la “housewife” è al singolare, ed è chiaramente un personaggio del film citato che si comporta in un certo modo, cioè come qualcuno che non si rende conto della situazione. Se la prenda col regista, caso mai.
Vorrei abbracciare Caterina Caruso ed Elena Grammann, che hanno capito, credo, quel che volevo dire (è un caso che entrambe siano donne?).
“Housewife”, massaia, non è un termine sessista in inglese. Non più che parlare della “massaia di Voghera”, personaggio a cui Nanni Moretti dette corpo in un film (Sogni d’oro).
Uno dice: “siamo in guerra” è cosa banale. Certo, la verità è spesso banale. Ma avete sentito qualche politico dire “siamo in guerra?” Eppure ogni politico non idiota sa bene che lo siamo.
Vedere il mio intervento come guerrafondaio è essere vittime di un enorme malinteso. Forse sono io colpevole di questo malinteso. Non è che DOVREMMO entrare il guerra, nella guerra CI SIAMO GIA’. La guerra ce l’ha dichiarata Lavrov qiuando ha detto: “Qualunque paese che darà armi agli ucraini sarà considerato nemico della Russia”. Si dà il caso che l’Italia stia mandando armi agli ucraini (con la sola opposizione illustre di Salvini), ergo – secondo le regole del sillogismo enunciate da Aristotele – la Russia ci considera nemici.
Purtroppo spesso le guerre non si scelgono, si subiscono. Quando nel 1941 Hitler attaccò l’Unione Sovietica, questa non scelse la guerra, la subì – e pagò il prezzo di venti milioni di morti… Perché quest’evidenza dà tanto fastidio allo “struzzo”?
Ho parlato di possibile tattica terroristica degli ucraini. Oggi il termine “terrosimo” ha un’aura molto negativa, in effetti chi lo pratica parla di “sabotaggio”. Terrorismo o sabotaggio non significa uccidere civili innocenti: si possono colpire obiettivi militari. E ce ne sono tanti in Russia, come caserme e commissariati. Non ho mai detto che auspico il terrorismo ucraino: ho detto solo che è un’opzione possibile (per gli ucraini, non per noi). La mia tesi era più generale: che oggi la guerra non si basa più su battaglie campali (è quel che il simpatico Barbero, esperto di cose militari, ha spiegato bene in uno dei suoi libri).
Sono psicoanalista, e mi chiedo perché il richiamo alla (banale) realtà crei reazioni così indignate. Forse è quel che intendeva Sorrentino, quando nel suo ultimo film fa dire a Fellini “La realtà è scadente”. Talvolta però “la realtà è orribile”. Ciò non le impedisce di essere realtà.
Ma ha davvero senso sostenere che l’Occidente è in guerra?
Mi sembra che siamo di fronte alla solita retorica ipocrita, che finisce per banalizzare le sofferenze di chi soffre davvero in questo momento.
Le terribili immagini di questi giorni dovrebbero rendere evidente che ricevere una bolletta estremamente salata non potrà mai essere paragonato alla visione di un palazzo che si sgretola sotto i propri occhi, così come assistere dei profughi di guerra è sicuramente molto meglio che esserlo.
Come sostiene Corrado Pirroddi, la guerra è una cosa precisa e francamente non capisco a cosa giovi estendere il suo spettro fino a ricomprendere qualsivoglia atto di ritorsione più o meno ostile.
Insomma, non siamo (ancora) in guerra.
Ci tengo a sottolineare che dalla constatazione precedente non traggo il minimo sollievo, anzi.
E’ proprio la consapevolezza del fatto che non siamo in guerra che dovrebbe generare molte domande.
Beninteso, prima di domandarci quanto siamo disposti a soffrire, credo che valga la pena interrogarci su come uscire dalla situazione attuale. Ci sono alternative all’escalation militare oppure dobbiamo ritenere che la stessa sia irreversibile? In quel caso, fino a che punto dovremmo spingerci?
Purtroppo l’intervento del prof. Benvenuto non offre il minimo spunto utile e costruttivo in questo senso, visto che si tratta di un semplice saggio di sgradevole retorica bellicista.
Antonio C. Pane
“ 2 maggio 1994 – Dice Longanesi 1943: « “ Credete che a Roma verranno a bombardarci? “ “ A Roma no, a Roma c’è il Papa e poi Roma è troppo bella… “ “ Credo anch’io. Meglio che bombardino Milano. “ L’unità d’Italia poggia su questi ideali. » “.
Credo che un aspetto di quanto sta accadendo non sia stato considerato né nel testo di Benvenuto né nella replica di Sferrazza. Questa guerra è di fatto una guerra civile. L’ultima e la più atroce delle guerre delle guerre post-sovietiche perché coinvolge chi più si assomigliava, chi più era intrecciato, assimilato, in vario modo indistinguibile dall’altro. Tra parenti, amici, persone che parlano – ancora per poco dopo quel che sta accadendo – la stessa lingua, hanno avuto una storia comune che entrambi, in diverso modo, vogliono rinnegare o superare ma che è ancora inscritta nelle cose che li circondano, nelle loro vicende familiari e personali. Sopra alla maggioranza delle popolazioni ucraina e russa si affrontano due oligarchie opposte ma speculari, intercambiabili, al di là delle apparenze, egualmente predatorie e indifferenti, con gli stessi affari globali e le stesse proprietà all’estero. Di guerre civili ne dovremmo sapere qualcosa, ne dovremmo ricordare almeno una molto vicina a noi che abbiamo contribuito ad alimentare e apparentemente a concludere, anche se non si sa quando una guerra civile possa finire, realmente. c’è corpo diplomatico che tenga, in una guerra civile, se chi combatte non giunge alla conclusione che sta distruggendo sé stesso prima dell’altro; occorre certo un corpo diplomatico, ma mi spiace non poter essere d’accordo con Sferrazza di cui condivido molte valutazioni, non sarà europeo perché l’Europa ha già indossato il famigerato elmetto, manda armi, vuole la pace, pensa di essere in guerra e non riesce più a distinguere, pensare, agire, nulla. Dovrà essere qualcun altro, abbastanza vicino da avere paura come tutti, abbastanza esterno da non temere di agire, di certo non occidentale e non democratico, con le mani sporche di sangue ma non di questo.
Questo parlare di “guerra civile” (Luca Ciaravella) serve solo a nascondere il fatto che c’è stata un’invasione non provocata. O ce la stiamo sognando?
E dire che l’Europa “non riesce più a distinguere, pensare, agire, nulla” è enfasi dannunziana alla rovescia. Al momento l’Europa, o meglio l’Occidente, si sta interrogando, fra le altre cose, su come comportarsi nei confronti di una personalità narcisista che, essendo narcisista, non può perdere: piuttosto spacca tutto, come i bambini. Dal che si ha, come interessante corollario, che la Storia dipende dalla psicologia ancor più che dall’economia.
Sul ruolo della Cina nella auspicabile cessazione della guerra, speriamo.
Totalmente d’accordo, ancora una volta, con Elena Grammann.
“La storia dipende dalla psicologia ancor più che dall’economia”. Ma certo!
Mi scuso se ne approfitto per fare pubblicità al mio ultimo libro “Il teatro di Oklahoma” (Castelvecchi), in cui sostengo qualcosa di molto simile.
Para il caso di ripeterlo: in guerra ci siamo già stati, in Europa, recentemente, nello stesso contesto geopolitico, sullo medesimo sfondo di confronto etnico. Solo che quella guerra l’abbiamo solo inflitta e non subita. Grossa differenza pratica, per nulla etica. A fare gli struzzi, Benvenuto e Gramman in testa, sono proprio cloro che fanno finta di svegliarsi all’anno zero della storia (recente).
@Filippo Bruschi
Mi scusi, ma non ho capito la metafora dello struzzo. Lo struzzo è quello che, di fronte, a un pericolo, infila la testa nella sabbia per non vederlo nella convinzione che, se lui non lo vede, il pericolo sparirà. Che mi sembra più l’atteggiamento dei diluitori del fatto nel discorso.
Quanto a quello che lei dice, che in guerra ci siamo già stati, è certamente vero, ci siamo stati un sacco di volte, in situazioni e con motivi diversi, come tutti. Ma la guerra che, se non la si può evitare, ci si trova via via ad affrontare è ogni volta la guerra presente, e come tale va affrontata . Non come quel contadino serbo che, intervistato dalla TV (non so più quale canale, e nemmeno se era un a TV italiana) disse che era giusto che i serbi cercassero di fare a pezzi i musulmani, perché i musulmani avevano sconfitto i serbi nella battaglia del Campo dei Merli del 1389. Che, mutatis mutandis, è l’atteggiamento putiniano. (Viceversa lei sarebbe paragonabile a un ipotetico contadino musulmano che avesse detto che era giusto che i serbi cercassero di farli a pezzi, perché i musulmani li avevano sconfitti nella battaglia del Campo dei Merli del 1389).
E che lo sfondo della guerra attuale sia uno sfondo etnico lo dice lei.
Non capisco a quale guerra già combattuta si riferisca il signor Bruschi, e perché “cloro” sarebbero struzzi.
Ho scritto a un mio amico che siamo in guerra e che non ho tempo di occuparmi di certi dettagli a cui lui teneva, e lui mi ha risposto sprezzante “No, io non mi sento in guerra”. Questa è quella che chiamo etica dello struzzo. Come se la guerra fosse qualcosa che si sceglie, non qualcosa che – spesso – si subisce.
Sono abbastanza vecchio per ricordami varie guerre a cui abbiamo partecipato (Libano, Kosovo, Iraq, Afghanistan…) ma questa è LA PRIMA VOLTA CHE MI SENTO IN GUERRA. Ovvero, in pericolo anche come persona, perché non escluderei una guerra atomica data la pazzia di Putin.
Considero pericolosissimi i pacifisti, non meno dei guerrafondai. Quando si dice “Pace in Ucraina” che cosa di fatto ci si augura? Si avrà presto la pace se Putin riuscirà a sterminare presto qualsiasi resistenza. Ma più l’Occidente darà armi agli ucraini, più la guerra diventerà lunga… Bisogna augurarsi che la guerra sia breve (leggi: vittoria finale di Putin) oppure che duri a lungo (Putin non riesce a soggiogare l’Ucraina)? Non ai posteri, ma a noi, l’ardua sentenza.
Trovo l’articolo di Benvenuto, e il suo ulteriore chiarimento nei commenti (per quanto mi riguarda non ne sentivo il bisogno, ma tant’è… c’è gente che travisa una lettura lucida e realistica dei fatti per un invito alle armi, e questo è sintomatico del fatto che siamo, noi europei, totalmente refrattari alla realtà della guerra, di fronte alla quale operiamo una purtroppo irrazionale rimozione, perché se per noi, europei occidentali cresciuti nella bambagia di un dopoguerra in cui siamo stati garantiti dall’ombrello americano, e abbiamo prosperato grazie al piano Marshall, la guerra è diventata un tabù, ahimè così non è per altri mondi e altre società. Certi commenti (“irricevibile”… “non ci sto”) sono infantilmente refrattari a prendere atto dei fatti a cui purtroppo stiamo assistendo. Pensare che non ci riguardino è illusorio, Putin guarda all’Europa e a cambiare gli assetti del mondo, e siccome è sufficientemente folle da prendere in considerazione l’opzione nucleare (cosa che conferma del resto l’attacco sconsiderato di ieri alla centrale di Zaporizhzhia), e noi siamo di fatto sotto ricatto, dare le armi alla resistenza ucraina e la via delle sanzioni sono le uniche cose che posiamo fare per contrastare la guerra che ha iniziato e le terrificanti finalità a cui è volta. Il fatto è che non si può non far nulla. La storia insegna, purtroppo, che il mondo è un posto pericoloso, violento e brutale, e questo è, lo dico con enorme angoscia e preoccupazione, il più crudele dei risvegli, un incubo ad occhi aperti.