di Guido Mazzoni

 

[È uscito, per la collana “Extrema ratio” di Nottetempo, Letteratura mondiale e metodo, il volume che raccoglie alcuni dei più importanti scritti teorici di Erich Auerbach. Il libro si apre con un saggio introduttivo di Guido Mazzoni di cui pubblichiamo le prime pagine].

 

1. Paradossi

 

“Finora non ho mai incontrato un individuo che usasse la parola paradosso a titolo di argomento e non fosse un imbecille”, scriveva Paul Valéry nei Cattivi pensieri, usciti negli stessi mesi del 1942 in cui Auerbach cominciava a lavorare a Mimesis[1]. Bene, la prima cosa che viene in mente quando si parla di Auerbach e della sua vita postuma è un paradosso. Mimesis è l’unica storia letteraria di lunga durata che abbia resistito allo scetticismo della nostra epoca; alcune delle idee su cui il libro si regge (la serietà del quotidiano, il realismo creaturale, la Stiltrennung, la Stilmischung) sono moneta critica corrente; si farebbe fatica a contare i saggi e le tesi di dottorato su Auerbach scritti negli ultimi quindici anni. Eppure nel suo capolavoro e nel suo metodo c’è qualcosa che molti nel XXI secolo non potrebbero accettare se Mimesis non fosse protetto dall’aura dei classici e dalla teodicea che li accompagna. “Il sottotitolo [della traduzione inglese], The Representation of Reality in Western Literature, oggi suona come una litania di termini percepiti come disperatamente atavici”[2], scriveva Michael Holquist nel 1993; pochi anni prima e dopo, Prendergast e Compagnon scrivevano più o meno la stessa cosa[3]. Nel 1975 una delle riviste che hanno importato la French Theory negli Stati Uniti, Diacritics, aveva pubblicato un saggio che faceva a pezzi le premesse di Mimesis[4]; tre decenni dopo Emily Apter, parlando della nascita della letteratura comparata, contrappone il modello buono di Spitzer al modello cattivo di Auerbach: Spitzer che lavora sui singoli testi diffidando dei grandi quadri di insieme, come un precursore del decostruzionismo[5], e arrivato a Istanbul si sforza di imparare la lingua per dialogare con studenti e colleghi turchi; Auerbach che si chiude in una Weltliteratur esclusivamente europea con la “dispepsia intellettuale” dell’esule in terra incognita[6].

 

Agli occhi di chi si è formato nella doxa critica nata col poststrutturalismo, Mimesis sembra poggiare su fondamenta inaccettabili: oggi sarebbe difficile scrivere rappresentazione, realtà e letteratura occidentale senza discutere del significato e del peso di categorie che da qualche tempo il comune senso critico considera scivolose oltre che vecchie. Auerbach le usava senza premesse e senza problemi. Il sentimento di inattualità diventa ancora più acuto se non si considerano solo le idee e la loro storia, ma la cultura in quanto ibrido di idee, istituzioni e pratiche: difficilmente un libro come Mimesis potrebbe nascere nell’atmosfera intellettuale e amministrativa delle università odierne.

 

Un segno di questo imbarazzo è la natura della bibliografia recente su Auerbach, che è copiosa ma strana. Una parte considerevole ha una forma velatamente o apertamente impressionistica, è fatta di saggi in cui l’autore mette su carta la sua lettura di Mimesis o riflette sul rapporto fra il campo specialistico di cui si occupa e le tesi del libro: saggi nei quali si estrapola senza situare, senza cercare di capire il mondo che ha generato l’opera di cui si parla. Un’altra parte riduce Auerbach alla sua vita allegorica, alla sua bella biografia (l’esilio, Istanbul, la cultura europea vista da lontano nel momento del pericolo, il gesto simbolico di salvare un pezzo di civiltà dalla catastrofe con un grande libro riassuntivo), di fatto trasformando Auerbach in un emblema o, se si preferisce, in una figura, nel senso che lui stesso attribuiva a questo termine nel saggio del 1938[7]: figura dell’esperienza di altri esili futuri o figura dell’intellettuale in quanto esiliato interno, in una catena di slittamenti metaforici che a volte ha un fondamento reale, come nel saggio che apre la riedizione americana di Mimesis scritto da Edward Said[8], ma che più spesso diventa una proiezione velleitaria, bovaristica, da parte di chi ha avuto una vita in tempo di pace senza grandi difficoltà e senza grandi esperienze, come tutti. Non tutti invece provano a capire che cosa c’è veramente scritto in Mimesis e quali presupposti l’abbiano reso possibile. In una lettera del 1951, Auerbach raccontava a Harry Levin la ricezione del libro in Europa: era contento che i primi giudizi fossero stati benevoli, ma dispiaciuto che Mimesis fosse stato letto solo come “una serie divertente di analisi stilistiche”, e che pochi ne avessero colto il disegno complessivo[9]. Ancora oggi è così.

 

Del disegno fanno parte gli scritti teorici che Auerbach scrive dagli anni venti agli anni cinquanta, e che sono premessa e conseguenza del suo capolavoro. Messi insieme, formano una delle più importanti riflessioni moderne sulla conoscenza storica, o, nel vocabolario di Auerbach, sullo storicismo; leggendoli in successione si misura bene l’attualità e l’inattualità della sua opera. Questo libro ne raccoglie alcuni dei più significativi.

 

Note

 

[1] Paul Valéry, Cattivi pensieri [Mauvaises Pensées et autres, 1942], a cura di F.C. Papparo, Adelphi, Milano 2006, p. 81. Valéry ha scritto, fra le altre cose, un Paradoxe sur l’architecte. Sullo statuto del paradosso in Valéry, cfr. Edmundo Henrique Morim de Carvalho, Le Statut du paradoxe chez Paul Valéry, l’Harmattan, Paris 2005.

[2] Michael Holquist, “The Last European: Erich Auerbach as Precursor in the History of Cultural Criticism”, in Modern Language Quarterly, vol. 54, n° 3, 1993, p. 373. Come si sa, nella versione italiana il sottotitolo di Mimesis, Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, è stato semplificato e frainteso (Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, trad. it. di A. Romagnoli e H. Hinterhauser, Einaudi, Torino, prima edizione 1956). La traduzione inglese è invece sensata.

[3] Christopher Prendergast, The Order of Mimesis: Balzac, Stendhal, Nerval, Flaubert, Cambridge University Press, Cambridge 1986, p. 212; Antoine Compagnon, Il demone della teoria. Letteratura e senso comune [Le Démon de la théorie, 1998], trad. it. di M. Guerra, Einaudi, Torino 2000, p. 100. Su questa distanza cfr. anche Federico Bertoni, “Auerbach, George Eliot e i paradossi del realismo”, in aa.vv., Mimesis. L’eredità di Auerbach, Atti del xxxv Convegno Interuniversitario, a cura di I. Paccagnella e E. Gregori, Esedra, Padova 2009, pp. 411-424, e Id., “The Burial of the Dead. Erich Auerbach e noi”, in aa.vv., Mimesis 1946-2016, Atti delle giornate di studio su Erich Auerbach, Pavia, Collegio Ghislieri, 27-28 aprile 2016, a cura di R. Colombo, F. Francucci, M. Quinto, Pavia University Press, Pavia 2017, pp. 53-63.

[4] David Carroll, “Mimesis Reconsidered: Literature. History. Ideology”, in Diacritics, vol. 5, n° 2, Summer 1975, pp. 5-12. Cfr. anche Luiz Costa-Lima, “Auerbach and Literary History” e Herbert Lindenberger, “On the Reception of Mimesis”, in aa.vv., Literary History and the Challenge of Philology. The Legacy of Erich Auerbach, ed. by S. Lerer, Stanford University Press, Stanford 1996, pp. 50-60 e pp. 203-204.

[5] Apter riprende un’idea che si trova nella prefazione di John Freccero a Leo Spitzer, Representative Essays (Stanford University Press, Stanford 1988), pp. xvi-xvii. Freccero era stato allievo di Spitzer a Johns Hopkins.

[6] Emily Apter, “Global Translatio: The ‘Invention’ of Comparative Literature, Istanbul, 1933”, in Critical Inquiry, vol. 29, n° 2, 2003, pp. 253-281. Sui rapporti fra Auerbach e la cultura turca, cfr. soprattutto Kader Konuk, East West Mimesis. Auerbach in Turkey, Stanford University Press, Stanford 2010.

[7] Erich Auerbach, “Figura” (1938), in Id., Studi su Dante, trad. it. di M.L. De Pieri Bonino, Feltrinelli, Milano 1981, pp. 174-220.

[8] Edward W. Said, “Introduction to the Fiftieth-Anniversary Edition”, in Erich Auerbach, Mimesis: the Representation of Reality in Western Literature, Princeton University Press, Princeton 2003, pp. i-xxiv.

[9] Cfr. Harry Levin, “Two Romanisten in America: Spitzer and Auerbach”, in Id., Grounds for Comparison, Harvard University Press, Cambridge (ms) 1973, p. 114.

 

 

[Immagine: Gerhard Richter, MV. 92, 2011 Lacquer on color photograph, © Gerhard Richter 2019].

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