di Antonella Anedda
[Nella collana “Alia” curata da Franco Buffoni e Roberto Cicala per Interlinea è appena uscito Le piante di Darwin e i topi di Leopardi, un saggio di Antonella Anedda. Pubblichiamo un estratto del primo capitolo].
Sintonie. Diffrazioni. Costellazioni
Leggere Darwin ci rende attenti, la sua sete di esperienza lo rende affidabile come un reporter sul campo.
Osip Mandel’stam, Viaggio in Armenia
Avevo sempre ammirato Darwin per quella «perfettamente inutile concentrazione, dimentica di sé» messa in luce da Elizabeth Bishop in una lettera del 1976, per il suo sguardo attento ma non avido, concentrato sulla realtà ma non su se stesso. All’ammirazione di Bishop si univa, andando indietro nel tempo, quella di un altro poeta: Osip Mandel’stam, morto esattamente un secolo dopo il ritorno di Darwin dal suo viaggio sul Beagle, nel 1937. Nelle prose del Viaggio in Armenia Mandel’stam scrive: «Ed ecco cosa ora devo assolutamente rilevare, Darwin ha messo al bando una volta per tutte l’oratoria e la retorica, ha messo al bando l’ampollosità della norma letteraria del naturalista». Lo stile di Darwin non è pomposo, non è inutilmente assertivo, “sgombra il campo”, spalanca in noi uno spazio di mobilità. «Darwin bandì ogni pathos teleologico sostituendo all’immobile sistema della natura la viva catena delle creature organiche». Non c’è più un Dio architetto né il «pathos teleologico». La rivoluzionarietà dei contenuti definisce un linguaggio non monolitico, ma aperto al dubbio, impressionato dalle sue stesse scoperte.
E ancora: «Alla natura Darwin non attribuisce nessun fine, le nega qualsiasi tipo d’intenzione benigna e meno di tutto pensa di attribuirle una volontà o una facoltà raziocinanti».
Alla natura Darwin nega qualsiasi tipo d’intenzione benigna. C’era un terzo poeta che avrebbe potuto ammirare Charles Darwin se non fosse morto nel 1837, proprio lo stesso anno in cui Darwin iniziava a formulare le prime ipotesi evoluzioniste: Giacomo Leopardi.
Mi aveva sempre colpito la vicinanza tra l’atteggiamento antiantropocentrico di Darwin verso il mondo e quello di Leopardi in opere come lo Zibaldone, le Operette, I nuovi credenti, i Paralipomeni della Batracomiomachia e infine La ginestra, dunque il Leopardi meno codificato, il più contraddittorio e proprio per questo aperto al dubbio, materialista, pessimista ma solidale, ironico ma pietoso. Ricordavo quanto spesso Leopardi utilizzasse la parola “specie”, il suo ridicolizzare la vanità dell’uomo che crede (come tutte le specie animali) il mondo fatto per lui. Ricordavo l’elenco di bestie catalogate nell’Ade dei Topi dei Paralipomeni, la beffa nei confronti di un possibile aldilà e la frase di Sebastiano Timpanaro secondo il quale il Leopardi autore del Frammento di Stratone Lampsaco, lo scienziato e filosofo allievo di Teofrasto a sua volta discepolo di Aristotele, non si sarebbe scandalizzato di Darwin.
Vedesi – scriveva Leopardi nel Frammento – in questo presente mondo un continuo perire degl’individui ed un continuo trasformarsi delle cose da una in altra; ma perciocché la distruzione è compensata continuamente dalla produzione, e i generi si conservano, stimasi che esso mondo non abbia né sia per avere in sé alcuna causa per la quale debba né possa perire, e che non dimostri alcun segno di caducità.
Ricordavo soprattutto la vicinanza tra il brano dello Zibaldone (4175-4177) spesso antologizzato come «Il giardino della sofferenza» e il passo di Darwin tratto da The Origin of Species dove la natura è un cieco meccanismo che uccide senza curarsi di nessuno. Il linguaggio in cui queste idee venivano esposte non era e non poteva essere retorico. Non nominava dall’alto credendo di sapere a priori, ma proponeva una lettura libera, dialogica e fondata su un socratico sapere di non sapere. Era un linguaggio – come chiede Leopardi nella Ginestra – “franco”, che non usava artifici, in grado di dire “io” in modo diretto e non compiaciuto, senza essere sopraffatto dal suo dominio. Bastino queste righe tratte dall’introduzione di L’origine delle specie:
Mentre ero a bordo del vascello di S.M. Britannica Beagle, in qualità di naturalista, rimasi profondamente colpito da alcuni fatti relativi alla distribuzione degli abitanti del Sud America e ai rapporti geologici tra gli abitanti attuali e quelli antichi di quel continente. Questi fatti mi sembrarono fare un po’ luce sull’origine delle specie.
Questi fatti mi sembrarono. C’è qualcosa di straordinariamente diretto e onesto nel tono di queste frasi. Anche Leopardi non sopporta l’arroganza di un linguaggio che afferma verità assolute, che non dubita mai. Entrambi detestano i bigotti, per entrambi l’essere umano non è signore e padrone dell’universo. Charles Darwin non si stanca di insistere sull’elemento del piacere che il più miserabile dei fuegini condivide con la mente di Newton. Entrambi, il fuegino e Newton, traggono soddisfazione dalle stesse cose, esiste tra loro uno spazio comune e in comune che dovrebbe far riflettere sulla nostra tentazione di stabilire gerarchie. A questo principio se ne aggiunge un altro, definito da Darwin «onnipotente», che è, parola leopardiana trasmigrata fino a Proust, l’abitudine.
È l’abitudine a rendere la vita sopportabile ed è l’emozione – spesso solidale e non prevaricante – a modellare con il suo movimento variazione e selezione. Al di là delle polemiche e soprattutto dei fraintendimenti (una visione addolcita e confessionale della poetica di Leopardi, una visione razzista e una superficiale identificazione del pensiero di Darwin con il darwinismo sociale) entrambi – come se tra loro esistesse davvero una sintonia spontanea – mi sembravano accomunati da una stessa visione, venata di sarcasmo in Leopardi, attraversata da humor in Darwin, ma reale e non sentimentale. Erano davvero «compagni segreti» come li definiva un sito trovato navigando in rete, ma né lo spazio né tanto meno il tempo sostenevano questa intuizione. Le date rendevano impossibile la conoscenza di Darwin da parte di Leopardi né è probabile la conoscenza da parte di Darwin di Leopardi. Ghan Singh in Leopardi e l’Inghilterra sottolinea come la “stroncatura” di Giuseppe Mazzini nel 1837 ne avesse ostacolato la diffusione, a parte l’apparizione del “Leopardi inglese”, ossia il poeta James Thompson, che nel 1867 aveva tradotto il Copernico. The City of Dreadful Night in A Book of Scottish Verse riprende in senso anticristiano il tema dell’indifferenza della natura, con una visione perfino più cupa di Leopardi. Solo con Gladstone la situazione migliora, e tracce di letture leopardiane si ritrovano in alcuni romanzi come Daniel Deronda di George Eliot, autrice sulla quale la studiosa Gillian Beer concentra parte della sua attenzione nel volume Darwin’s Plots, grande ricognizione sul linguaggio, sulle trame e le tracce darwiniane nella letteratura inglese.
Solo relativamente da poco Leopardi sembra aver trovato un riconoscimento non solo estetico ma anche filosofico ed etico: «Leopardi», scrivono Ann e Michael Caesar, «è stato la voce più forte e integra levatasi dalla letteratura italiana del XIX secolo»; ma per dare un’idea della lentezza della ricezione della sua opera nel mondo anglofono basterà ricordare che la traduzione dei Canti da parte di Jonathan Galassi è del 2010 e che la traduzione dello Zibaldone curata da Franco D’Intino e Michael Caesar appare solo nel 2013.
1. Triangolazioni. Un altro Darwin
L’ipotesi di vicinanza tra Charles Darwin e Leopardi sarebbe restata solo una suggestione se, per caso, non avessi “scoperto” il cognome Darwin a Recanati, nella biblioteca Leopardi. Non si trattava tuttavia di Charles ma di suo nonno Erasmus che, nato nel 1731 e morto nel 1802, era presente tra i volumi catalogati dallo stesso Giacomo Leopardi con un libro: Gli amori delle piante, unica parte tradotta del The Botanic Garden composto da The Economy of the Plants e appunto da The Loves of the Plants.
Di Erasmus sapevo poco, solo la curiosità che gli riservava Mario Praz in un articolo su “Il Tempo” del 1974 intitolato Il nonno geniale di Darwin. L’articolo anticipava l’interesse che soprattutto in Inghilterra sta suscitando questo autore, celebre ai suoi tempi e ricordato in seguito soltanto per essere il nonno di Charles Darwin, e invece oggi riletto e considerato fondamentale per la comprensione del pensiero e dell’opera del nipote.
Erasmus era medico, inventore, botanico, autore di libri in cui la scienza veniva cantata in poemi pieni di ninfe, gnomi e fiori. In realtà era stato molto di più. Il suo libro Gli amori delle piante, pubblicato per la prima volta nel 1789, anno della rivoluzione francese, fu un vero e proprio best seller (forse lo sarebbe stato anche oggi se pensiamo ai tanti studi recenti, un nome per tutti: Stefano Mancuso) e provocò reazioni entusiastiche come quella di Walpole, che non esitò a definirlo «il più delizioso poema sulla terra», ma anche critiche violente come quella di un gruppo di antigiacobini che parodiarono ferocemente il libro attaccando Erasmus per le sue idee progressiste.
Come ogni successo, Gli amori delle piante venne tradotto in molte lingue. La versione italiana appare nel 1805 a Milano. Il traduttore è il medico Giovanni Gherardini, collega di Francesco Puccinotti, amico fraterno di Leopardi. Il nome di Gherardini era anche conosciuto da molti altri medici e scienziati che frequentavano gli ambienti letterari di Firenze e soprattutto di Pisa. L’opera dunque era diffusa, tuttavia il punto che mi interessava non riguardava la ricezione del lavoro di Erasmus Darwin, ma la riflessione su quella che George Steiner in Vere presenze chiama «triangolazione». Un esempio per tutti: Omero letto da Dante e da Virgilio. Qui la “triangolazione” tra Leopardi, Erasmus e Charles Darwin non contempla la lettura impossibile di Charles Darwin da parte di Leopardi, ma quella possibile e documentabile di Erasmus da parte di Leopardi, e la conoscenza dell’opera (non della persona: Erasmus muore nel 1802 e Charles nasce nel 1809) del nonno da parte di Charles, tanto sicura da avergli procurato l’accusa di plagio quando fu pubblicata L’origine delle specie. L’accusa era infondata, ma Charles non ha mai negato il debito nei confronti delle intuizioni di Erasmus, né la comune passione per le piante: The Variation of Animals and Plants under Domestication. La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico pubblicata nel 1868 e Gli amori delle piante sono imparentate.
In queste letture che si moltiplicano, spesso affastellandosi, la figura che si descrive è un triangolo di cui l’opera di Erasmus è la base e Charles Darwin e Leopardi i cateti. In questo triangolo brucia una domanda: cosa può dire ancora Leopardi alla luce di due distanti ma reali presenze come quelle di Erasmus e Charles Darwin? Quale spostamento o anche conferma di prospettiva poteva generarsi dal riattraversamento delle loro parole?
È lo stesso interrogativo alla base di un libro, Amor che move di Manuele Gragnolati, che non parla né di Darwin né di Leopardi ma riflette sulla possibilità di leggere un autore (Dante, a fronte di Pasolini e Morante) nel corpo di due autori distanti da lui nel tempo, attraversando questo corpo come un territorio, e su quanto la sua opera continui ad agire modificando il nostro sguardo. Fin dalle prime pagine, Gragnolati evoca diversi alleati, il più sostanziale dei quali è l’epistemologa americana Donna J. Haraway che, rimeditando il fenomeno ottico della diffrazione, suggerisce una modalità di lettura non ostinata e specchiante, ma capace di accogliere testi diversi facendoli interagire.
Nella diffrazione, infatti, quando le onde colpiscono un oggetto non lo riflettono ma lo rifrangono, dando vita a una nuova forma che dipende sia dal tipo di oggetto che dall’angolo di incidenza del raggio luminoso. Pensiamo a una pietra che cade nell’acqua e cadendo disturba la calma della sua superficie. Le increspature causate dall’impatto amplificano i cerchi. Quando cade una seconda pietra, i cerchi dell’acqua interferiscono con il primo cerchio, creando un nuovo schema. La diffrazione differisce così radicalmente dalla riflessione. Se quest’ultima è legata alla ripetizione di quella che la studiosa chiama «The Sacred Image of the Same», lo schema della diffrazione registra e ritiene la storia delle interazioni e delle interferenze, degli incrementi e delle diversità.
Il libro di Gragnolati non solo è in sintonia con la posizione di Haraway, ma la sviluppa, sottolineando come il creare una nuova forma fosse inscindibile dalla vita dei libri. «Ho voluto», scrive Gragnolati, «creare una costellazione di testi che si illuminino a vicenda e proporre dialoghi incrociati fra essi anche quando i legami sembrano essere meno diretti».
La costellazione descritta dai testi di Erasmus, Charles Darwin e Giacomo Leopardi si addensa di dialoghi che si intrecciano e si illuminano tra loro, rivelando spesso ciò che era latente. Così le idee di Erasmus si rifrangono su quelle di Leopardi che, a sua volta, captando quegli annunci protoevoluzionistici presenti nell’aria del tempo, «getta», come dice un verso di Paul Celan, «le sue reti a nord del futuro» fino ad arrivare dove non era ma avrebbe potuto essere. Leopardi ha fiutato idee che hanno trovato terreno fertile e attecchito nel suo crescente distacco da una prospettiva di disegno intelligente e da un qualsiasi finalismo provvidenziale.
Il motivo principale per cui l’opera di Leopardi sembra anticipare l’evoluzionismo di Charles Darwin è che Leopardi ha avuto accesso agli scritti protoevoluzionisti di Erasmus, i quali hanno avuto sul suo pensiero un peso maggiore di quello che il suo silenzio possa farci supporre. Ecco perché l’antiantropocentrismo, il rifiuto dell’arroganza, la possibilità di trasformarsi proprio nell’errore, la compassione come elemento potenzialmente evolutivo sono le terre contigue in cui questi tre autori si incontrano.
Accogliendo e modificando, incastonando e trasformando ciò che attraverso incontri e letture arrivava in Italia dell’opera di Erasmus, Leopardi si è trovato a essere un precursore di Charles Darwin tanto da poter essere considerato un suo possibile spettro. Il termine non è casuale: viene da un libro intitolato Darwin’s Ghosts. The Secret History of Evolution, pubblicato nel 2012, in cui l’autrice, Rebecca Stott, ha riletto gli autori che avevano anticipato o intuito l’evoluzionismo, a cominciare dalla Historia animalium di Aristotele.
Il termine “spettro” è utilizzato anche da Franco D’Intino e Luca Maccioni nella recente Guida allo Zibaldone. Alludendo agli scrittori con i quali Leopardi si è misurato più profondamente, ma non esplicitamente, scrivono: «Sono spettri che affiorano poco o in modo obliquo, ma sono, come il padre di Amleto, tanto più decisivi per l’azione». Vico, Foscolo, Montaigne, ecco alcuni nomi di spettri, ai quali bisogna aggiungere Erasmus. È grazie a lui che Leopardi può diventare a sua volta uno “spettro” di Charles.
Seguire le tracce di Charles mi ha portato indietro fino a Erasmus, e attraverso Erasmus a ripercorrere la relazione di Leopardi con la scienza, e a investigare e confermare l’antiantropocentrismo del tardo Leopardi, il suo crescente fastidio nei confronti dei dogmi, il rifiuto di ogni innatismo, l’approdo alla resistenza solidale e anticreazionista sancita dalla Ginestra.
Darwin nonno e nipote, letti e ripensati insieme all’opera di Leopardi, ne testimoniavano – se mai ce ne fosse stato bisogno – la modernità e vitalità. E se il linguaggio di Charles, la sua ricerca, il suo costante sforzo di adeguarlo alla novità delle sue idee sembra davvero in sintonia con la prosa di Leopardi per Leopardi, e naturalmente ancora di più per Charles, la presenza di Erasmus non può essere trascurata.
Erasmus dunque è stato quello che in matematica si chiama denominatore comune o, se vogliamo pensare all’insiemistica, l’intersezione tra Leopardi e il nipote Charles. Molte sono le letture in comune tra Leopardi, Erasmus e Charles Darwin, prima fra tutte la Storia naturale generale e particolare (1749) di George-Louis Leclerc, conte di Buffon. Come scrivono ancora Franco D’Intino e Luca Maccioni: «Se nello Zibaldone si respira un’atmosfera che ci ricorda Lamarck e ci fa presentire Darwin (Cuvier, di una generazione più anziano, non viene mai citato) lo dobbiamo a questa assimilazione capillare di Buffon». Ora, Buffon come Cuvier sono due degli spettri che affollano il libro di Rebecca Stott e sono in compagnia di Erasmus Darwin, al quale la studiosa dedica un capitolo intitolato Darwin underground.
In seguito alla visita alle grotte con i fossili di conchiglie di Castleton, nel 1797 Erasmus aggiunge allo stemma di famiglia rappresentato da tre conchiglie il motto latino «E conchis omnia», tutto dalle conchiglie. Le grotte ancora oggi sono davvero impressionanti. Le stalattiti, le conchiglie e le piante fossilizzate, il fiume sotterraneo, la luce opalescente, tutto doveva sembrare agli attoniti scopritori di allora meraviglioso ma anche sinistro. Di questa seconda lettura e di una propensione a considerare quello spettacolo opera satanica sono rimasti i nomi che ancora oggi le indicano: Devil’s Arse, Culo del diavolo. E per il fiume sotterraneo: Styx, Stige.
La visita a Castleton non solo non spaventò Erasmus ma coincise con il radicalizzarsi del suo pensiero in senso evoluzionista, che da allora governò tutti i suoi scritti: dai poemi di The Botanic Garden, alle prose di Zoonomia, fino ai versi di The Temple of Nature, il poema pubblicato nel 1803, un anno dopo la sua morte. Il libro nascondeva ancora una volta dietro il repertorio mitologico posizioni anticreazioniste e antireligiose, anzi per molti decisamente atee.
Strumenti umani
Erasmus Darwin è il protagonista assoluto del recente libro della storica della scienza Patricia Fara, intitolato Erasmus Darwin, Sex, Science and Serendipity. Il libro non è stato solo fonte di informazioni preziose ma anche un’ispirazione per il modo in cui Fara ha scelto di condividere le sue scoperte con noi lettori. «Questo libro – scrive Fara nell’introduzione – presenta i miei risultati ma racconta anche le modalità con cui li ho conseguiti, sperando di dare a chi legge un’idea di come si realizzi davvero una ricerca. In questo processo, uno degli aspetti più difficili dello scrivere un libro è individuarne la struttura». È vero, si rischia di essere sopraffatti da un groviglio di informazioni; si è vittime, sempre, della tentazione di dire tutto nell’introduzione. Alcuni appunti presi in piena lucidità e apparentemente chiari ci si rivelano, riletti tempo dopo, enigmatici e quasi minacciosi. I piaceri coincidono con le inquietudini degli spostamenti in luoghi e tempi diversi. Da Shaftesbury, dove nel 2006 avevo potuto visitare una mostra e vedere i taccuini e i disegni di Charles Darwin, a Birmingham (dove ci sono due ritratti di Erasmus), a Recanati; da Pisa, dove Leopardi trascorre anni quasi felici, a Napoli nell’archivio e infine nella villa Ferrigni di Torre del Greco, luogo di composizione della Ginestra.
Dopo anni di ricerche, letture che non sempre si sono rivelate utilizzabili e consapevole di quanto ancora ci fosse/ci sia da scavare, ho provato a restituire a chi legge non solo la mia passione per le scritture di Leopardi e Charles Darwin, ma anche fornire una ulteriore prospettiva di Leopardi attraverso Charles ed Erasmus Darwin. Allo stesso modo mi sono avvicinata all’opera di Charles e in particolare di Erasmus Darwin lasciando che agisse sul pensiero di Leopardi e sul mio modo di leggerlo. E ancora, volevo difendere Charles dalle accuse di essere il padre del darwinismo sociale, il paladino del razzismo e della soppressione del più debole. Nulla di più falso. Ho trovato molto materiale nel volume di Adrian Desmond e James Moore La sacra causa di Darwin. Lotta alla schiavitù e difesa dell’evoluzione, ma anche frugando tra i versi antischiavisti di Erasmus. La demonizzazione di Charles Darwin è frutto di un fraintendimento e di un sentito dire che nuoce alla reale conoscenza della sua opera. Come precisano Desmond e Moore: «l’odio per la schiavitù ha formato l’opinione di Darwin sull’evoluzione umana».
La lotta contro lo schiavismo comportava infatti una serie di presupposti e conduceva a posizioni che scuotevano non solo i traffici ma le idee. Evoluzione significava possibilità di cambiamento. Una discendenza comune annullava qualsiasi gerarchia tra le razze: gli schiavi (come gli animali e le donne) erano sullo stesso piano degli uomini bianchi. A proposito di donne, il ruolo delle donne di casa Darwin (Casa Darwin è la libera traduzione del libro intitolato Annie’s Box in cui Randal Keynes, figlio di un bisnipote di Emma, la moglie di Darwin, rievoca la morte per tubercolosi di Annie, nove anni e adorata primogenita di Charles, a partire dalla scatola conservata dalla mamma) meriterebbe uno studio a parte, ma la loro influenza fu decisiva. Tutte, e in particolare il ramo Westwood, come sottolineano anche Desmond e Moore, erano profondamente coinvolte nella difesa dei diritti contro la schiavitù. Un libro dedicato a Emma Darwin è la biografia scritta da un’appassionata studiosa darwiniana, Chiara Ceci, e intitolata Emma Wedgwood Darwin. Ritratto di una vita, evoluzione di un’epoca.
2. Serendipity
In Darwin’s Ghosts. The Secret History of Evolution, Rebecca Stott racconta di come, cresciuta in una famiglia rigidamente creazionista, dopo aver visto il nonno strappare la voce “Charles Darwin” dalle pagine dell’Enciclopedia abbia deciso di scoprire cosa Darwin aveva detto davvero: «La pagina mancante mi ha solo reso più determinata a scoprire cosa Darwin avesse davvero detto», scrive. La stessa esigenza guida il libro di Fara. Come storica della scienza sa quanto appropriata sia la parola serendipity in ogni indagine di tipo scientifico. Serendipity (antico nome dello Sri Lanka) significa scoprire qualcosa che non si stava esattamente cercando. Il termine non sarebbe dispiaciuto a Leopardi, per il quale le scoperte sono quasi sempre nate dal caso:
Occorre osservare che la sfera del caso si stende molto più che non si crede. Un’invenzione venuta dall’ingegno e meditazione di un uomo profondo, non si considera come accidentale. Ma quante circostanze accidentalissime sono bisognate perché quell’uomo arrivasse a quella capacità. Circostanze relative alla coltura dell’ingegno suo; relative alla nascita, agli studi, ai mezzi estrinseci d’infiniti generi, che colla loro combinazione l’han fatto tale, e mancando lo avrebbero reso diversissimo (onde è stato detto che l’uomo è opera del caso); relative alle scoperte e cognizioni acquistate da altri prima di lui, acquistate colle medesime accidentalità, ma senza le quali egli non sarebbe giunto a quel fine; relative all’applicazione determinata della sua mente a quel tale individuato oggetto ec. ec. ec. Nello stessissimo modo discorrete di una scoperta fatta p.e. mediante un viaggio, mediante un’Accademia, una intrapresa pubblica, o regia ec. la quale scoperta si suol mettere del tutto fuori della sfera degli accidenti. E vedrete che siccome da una parte la sfera del caso, in tutte le cose, massime umane, si stende assai più che non si crede, così d’altra parte, o tutte o il più di quelle invenzioni ec. che ora sono d’uso creduto di prima necessità, ed essenziale alla vita umana, sono effettivamente dovute al caso (Zib. 836-837).
Leopardi non nega la scienza ma disprezza la convinzione di possedere una verità assoluta, una scienza infusa. Per questo celebra il ruolo che l’errore “fecondo” gioca nel sapere scientifico. La sua idea di sviluppo della conoscenza non è lineare, il progresso non avanza su binari prestabiliti ma è appunto casuale. C’è, per usare un’altra espressione di Mandel’stam, «l’inaspettato». Proprio come nei coralli per Darwin (Charles). Nel saggio intitolato I coralli di Darwin, lo storico dell’arte Horst Bredekamp dimostra come l’immagine dell’albero fosse non la ma una delle possibilità prospettate da Darwin nella visualizzazione del processo evolutivo. A differenza dell’albero, il corallo, ampiamente presente nei disegni di Darwin e osservato a lungo durante il viaggio sul brigantino Beagle, rimanda a una possibilità evolutiva anarchica, sorprendente, inattesa. È il corallo, che si ramifica casualmente in tutte le direzioni, il vero albero della vita.
Per Darwin il corallo era un modello più convincente di quello ad albero di Lamarck con i suoi tronchi atrofizzati, che potevano essere considerati come fossili delle specie estinte. Le sue ramificazioni non andavano solo verso l’alto e la sua struttura corrispondeva anche alla «doppia definizione darwiniana di legge e caso, le opposte forze che il naturalista inglese vedeva agire nell’infinito riprodursi di completezza e suddivisione delle forme».
Il progresso non è graduale: «La storia della vita non è un progresso costante verso una sempre maggiore eccellenza, bensì un percorso capriccioso e aleatorio, che si disperde in mille vicoli ciechi». Percorsi capricciosi, come i capricci malinconici del Dialogo di Tristano e di un amico ma anche come I capricci di Goya che forse Leopardi, suo contemporaneo, aveva avuto modo di vedere e con cui comunque condivide l’ironia e la consapevolezza dell’orrore per la follia fratricida degli esseri umani.
Si scopre per caso e a tentoni. L’unica possibilità di «progresso», scrive Leopardi, «ha infatti consistito finora non nell’imparare ma nel disimparare principalmente, nel conoscere sempre più di non conoscere, nell’avvedersi di saper sempre meno…» (Zib. 4190).
Si scopre anche per insoddisfazione: imbattutasi per caso nella parodia dei libri di Erasmus da parte di un gruppo dichiaratamente antigiacobino, e decisa a scoprire i motivi di questa ostilità, Fara è arrivata al vero Erasmus: non il tranquillo e bonario medico amante del vino, ma un avversario politico, portatore di idee sovversive, da combattere e colpire. Dietro i graziosi versi di Gli amori delle piante, così come in quelli di The Temple of Nature, come dietro le prose apparentemente solo scientifiche di Zoonomia, Erasmus sferrò una serie di attacchi alle convenzioni del suo tempo, chiedendo la libertà dei neri, prendendo posizione contro lo schiavismo, chiedendo compassione per le donne abbandonate che commettevano infanticidio e additando la società come responsabile. Era favorevole all’educazione delle ragazze. Il suo libro A Plan for the Conduct of Female Education, in Boarding Schools, Private Families, and Public Seminaries se per molti versi datato, è comunque interessante quando raccomanda per esempio di coniugare l’esercizio della compassione (più sviluppato a suo parere nelle donne) con gli studi scientifici. La figlia avuta con la governante dei suoi figli maschi fu educata con loro e più tardi aiutata e incoraggiata ad aprire una scuola.
Passaggi
Le coincidenze avevano giocato un ruolo importante durante il soggiorno di Leopardi a Pisa, dove trascorre forse il periodo più sereno della sua vita e dove, anche se in modo più saltuario, frequenta la stessa cerchia di «una certa signora Mason» amica e protettrice di Percy Bysshe Shelley e della compagna e in seguito moglie, Mary. Entrambi erano ferventi ammiratori di Erasmus. Cacciato da Oxford per aver scritto il suo libello in favore dell’ateismo, Shelley era entusiasta del materialismo anticreazionista che si respirava nei libri del “medico di Derby”. D’altro canto Mary, figlia di William Godwin e di Mary Wollstonecraft, morta dandola alla luce, era a conoscenza degli esperimenti di Erasmus sull’elettricità e sul galvanismo. A lui infatti dedicherà la prima edizione dello “zombie” Frankenstein, cugino se non fratello delle mummie cantanti di Leopardi del Dialogo di Federico Ruysch, ma anche imparentato, seppure alla lontana, con il Prometeo di un’altra operetta: La scommessa di Prometeo, con le sue amare scommesse sugli umani. Il titolo di Frankenstein è infatti completato dalla precisazione o il moderno Prometeo.
Amica di medici, compagna di un medico, la signora Mason si chiamava in realtà Lady Margaret King, contessa di Mountcashell, ed era nata nel 1773 a Mitchelstown, nella contea di Cork. Mary Wollstonencraft, autrice del celebre Sui diritti delle donne e madre appunto di Mary Shelley, era stata la sua istitutrice in Irlanda e aveva lasciato una traccia indelebile nella mente della piccola Margaret. Le sue idee sulla necessità della cultura per le bambine e sui diritti delle donne avevano contribuito non poco alla libertà di pensiero della futura Mrs Mason. Aiutare Mary Shelley, fuggita con un uomo sposato, senza mezzi e con la memoria recente di un figlio morto, era il modo migliore per ringraziare l’amica e maestra scomparsa.
A Pisa, Lady King viveva borghesemente con il nome di Mrs Mason (preso dal libro per bambini Original Stories for Real Life, Storie originali di vita vera, di Mary Wollstonecraft) insieme al compagno George William Tighe, dopo essersi separata dal marito, Lord Mountcashell. Animava un salotto e aveva fondato un’Accademia dei Lunatici, vero e proprio omaggio ai Lunar Men, il gruppo di scienziati, ma anche industriali, di cui faceva parte Erasmus e alla cui importanza Jenny Uglow ha dedicato il volume: The Lunar Men. Il titolo gioca anche con l’aggettivo lunatic (lunatico), eccentrico, e traccia uno straordinario affresco della società inglese ai tempi di Erasmus, raccontando la quieta rivoluzione di un pugno di uomini anticonformisti, geniali, eccentrici ma non oziosi. Non erano aristocratici ma imprenditori, industriali come Wedgwood, medici come Erasmus Darwin, che amavano discutere e incontrarsi al chiaro di luna. Il motivo non era romantico ma pratico. Le notti di luna illuminavano le strade e offrivano un viaggio di ritorno più sicuro.
Ingabbiato da rigide regole sociali e minato nel fisico, Leopardi non avrebbe mai potuto cavalcare da solo fino a una casa vicina al chiaro di luna per discutere di scienza, eppure l’operetta morale che vede la luna protagonista di un Dialogo insieme alla terra partecipava di idee non troppo diverse da quelle professate dai “Lunatici”.
Con Leopardi, appassionato di Galilei e autore giovanissimo di una Storia dell’astronomia, condividevano il modo di concepire la posizione degli esseri umani sulla terra, la critica del loro ostinato credersi al centro dell’universo e la polemica verso una scienza morta.
Nel vento d’incontri e coincidenze che sembra vorticare a Pisa, Shelley scriverà per Mrs. Mason un poema intitolato A Sensitive Plant dichiaratamente ispirato da Gli amori delle piante di Erasmus: settantotto stanze che celebrano la mutabilità del mondo, il suo fluire, la consapevolezza della fine.
Come le piante nel poema di Erasmus, i fiori nel poema di Shelley sono antropomorfizzati. La sensitiva è l’unica pianta in un universo di fiori, il suo desiderio di bellezza si affianca alla figura femminile di una Lady – la creatura più bella all’inizio della primavera –, che collocata fuori dal mondo mortale ha una funzione potenzialmente regolatrice ma è destinata alla sconfitta. Quando muore, con lei muore anche un sogno paradisiaco, l’entropia aumenta, il caos trionfa. A Sensitive Plant è un poema tragico sulla potenza della distruzione, sulla vittoria della violenza e della morte sulla bellezza. Il giardino passa da una condizione edenica alla desolazione. Solo il desiderio è eterno, in una vita dove tutto è apparenza, forse anche la morte è uno scherzo:
Ma in questa vita
di errore, ignoranza e conflitto – dove niente è
ma tutto sembra –
è una convinzione modesta
ammettere
che la morte stessa deve essere
come tutto il resto, una beffa.
La morte è una beffa. Mrs Mason un argine, una pianta che prova ad arginare il caos. La sensitiva è “umile” (aggettivo usato dai botanici, ma da ricordare più avanti: non è forse umile anche la ginestra?) e spinosa, si ritrae se viene colpita, sembra rianimarsi se viene accarezzata. Un ultimo punto. In questi paesaggi la luna che brillava per i “Lunatici” inglesi e che era oggetto delle meditazioni leopardiane ispirava anche a Mrs Mason un romanzo non finito, intitolato Selene.
A Pisa Leopardi si ferma dal 1827 al 1828 e partecipa ad almeno una serata organizzata dall’Accademia dei Lunatici. Ognuno deve scegliersi un soprannome. Leopardi, piegato dalla scoliosi, più basso della media, mostrando una non comune capacità di ridere di se stesso, si dà il nome di Giraffa.
Quali fossero i suoi rapporti con Mrs Mason, se di pura cortesia o di amicizia, non sappiamo, ma se non tra le coincidenze almeno tra le curiosità possiamo ricordare che una delle ragazze Mason – anzi Tighe – si chiamava Nerina. È vero, il nome rimanda a Tasso e nel testo si parla di una fanciulla morta, ma Le ricordanze vengono scritte a Recanati nel 1829, un anno dopo il soggiorno a Pisa dove era stata composta una delle più grandi meditazioni poetiche sulla vulnerabilità: A Silvia.
Non sappiamo invece se Leopardi abbia mai incontrato davvero gli Shelley. Se si incrociarono, di questo incontro non rimane traccia, né esistono prove di una possibile lettura da parte di Leopardi di Shelley, relativamente poco diffuso e ostracizzato per il suo ateismo. Eppure, come ipotizzano Cosetta Veronese e Pamela Williams nel libro The Atheism of Giacomo Leopardi, è possibile stabilire una vicinanza soprattutto tra La ginestra e il Mont Blanc di Shelley.
Per quanto riguarda l’“ateismo” e la religiosità di Leopardi, a dare un’idea dei fraintendimenti e dei giudizi contrastanti ecco cosa scriveva a proposito della canzone Alla sua donna Francesco De Sanctis nel 1855:
L’anima del Leopardi è profondamente religiosa, avida di un ordine di cose divino e morale, che gli sta improntato nel cuore e di cui non vede orma in terra. Quell’ideale, quella donna, che egli non trovava quaggiù, che cercava nelle stelle o tra le eterne idee, egli l’avea nel suo cuore, il più bel tempio che Iddio abbia avuto mai. Ma l’uomo non basta a sé stesso ed ha bisogno che qualche cosa risponda al suo concetto, ed egli non la trovò; sicché gli parve che Dio e virtù fossero mere parole, vuoti concetti della mente senza riscontro nella realtà.
Le Operette erano corredate dalla formula: «Donec expurgantur», cioè il libro restava proibito finché non corretto (ci si aspettava lo facessero i posteri, visto che Leopardi era morto nel 1837!).
È un altro dialogo a distanza che presuppone uno sguardo sul mondo che ridimensiona la presenza e il volere degli esseri umani. Comuni sono i temi dell’anticreazionismo e antiantropocentrismo, il tema dell’io e della sua dissoluzione, quello della materia e del “lavoro” degli elementi: neve, fuoco, lava.
A Pisa Leopardi incontra medici e scienziati. Da loro, come vedremo in un paragrafo specifico che prenderà spunto dal saggio di Gaspare Polizzi Leopardi e le ragioni della verità, avrà notizia di Erasmus e delle altre sue opere: Zoonomia e forse The Temple of Nature.
Erasmus anticipò molte idee di Charles, tanto da essere, come sappiamo, sfruttato da avversari di Charles come Samuel Butler, che lo usò per dimostrare come L’origine delle specie non fosse che un plagio di autori precedenti come Buffon, Lamarck e appunto Erasmus Darwin. Sappiamo anche che Charles non aveva mai negato l’importanza delle opere del nonno e lo aveva inserito nella lista dei suoi predecessori, nell’«historical sketch» che precede la più tarda edizione della sua L’origine delle specie. Come nota Rebecca Stott, Darwin è stato il primo ad ammettere che avrebbe dovuto fare riferimento a tutti quei filosofi della natura che prima di lui avevano avuto il coraggio di pubblicare idee evoluzioniste, uomini come suo nonno Erasmus Darwin.
Per quanto importanti, tuttavia, i predecessori di Charles, Erasmus compreso, non avevano tratto dalle loro teorie quelle conseguenze che avrebbero provocato la rivoluzionaria visione di Charles. Era vero, l’idea della discesa per modificazione apparteneva a Lamarck, a Buffon ed era stata espressa da Erasmus nella Zoonomia, ma – la selezione naturale – l’idea che la natura si fosse evoluta selezionando il più adatto a sopravvivere, era sua.
Erasmus era dunque un fantasma potente, ma Charles non era un impostore. Nella lettera al reverendo Baden Powell scrive: «neanche il più ignorante, potrebbe supporre che intendevo arrogarmi l’origine della teoria secondo cui le specie non sono state create indipendentemente».
Nessuna presunzione, e tuttavia la certezza di una sicura persecuzione da parte delle black beasts (le bestie nere), i bigotti, pronti, se non a bruciarlo a get the wood ready (a preparare la legna). Una persecuzione sperimentata da Erasmus, e da Leopardi con le Operette morali, prima sospese, poi messe all’Indice nel 1850 perché imbevute «di funesto scetticismo, e fatalismo il più desolato». Antonio Prete, dopo aver notato che «la storia della censura leopardiana è ancora tutta da fare», riporta un passo di una lettera di Leopardi che mostra quanto lui stesso fosse (ironicamente) consapevole delle sue posizioni: «Io, caro amico», scrive Leopardi, «ho un grandissimo vizio, ed è che non domando licenza ai Frati quando penso né quando scrivo, e da questo viene che quando poi voglio stampare, i Frati non mi danno licenza di farlo».
Serendipity: la Zoonomia di Erasmus era già finita all’Indice nel 1817.