A cura di Laura Pugno

 

Nel 2022 si compiono 15 anni dall’inizio della mia personale avventura con l’ibrido, la pubblicazione del mio primo romanzo, Sirene, nel 2007. Da allora, le figure più che umane, oltreumane, si sono moltiplicate, in letteratura e nell’immaginario, intorno a noi, fino a essere in un certo senso ovunque, o forse solo nell’occhio di chi guarda. La parola Chimera, oltre i Canti Orfici e i Dialoghi con Leucò, riecheggia oggi gli ibridi interspecie della scienza contemporanea insieme alla mitologia greca, etrusca ed egizia, e per questo ce ne serviamo qui: il campo delle ibridazioni, come si vedrà, è molto ampio (lp).




Marta Cuscunà, l’ibrido che ho scelto per te è doppio, Cyborg/Simbionte. Vuoi raccontarci, a modo tuo, la sua storia?

 

Cyborg/Simbionte è uno strano accrocchio di concetti. Due immaginari molto vasti dentro i quali provo a districarmi partendo dalle origini del primo.

La parola Cyborg è comparsa per la prima volta in un articolo pubblicato su Astronautics nel 1960. Manfred Clynes, insieme al suo collega Nathan Kline, stava cercando da settimane una parola per nominare il progetto di un sistema ibrido tra macchina e organismo che permettesse all’uomo di sopravvivere nello spazio, autoregolandosi. Un uomo potenziato insomma, in cui l’adattamento alle estreme condizioni extraterrestri fosse automaticamente risolto da innesti tecnologici che avrebbero «lasciato l’uomo libero di esplorare, creare, pensare e sentire».

Clynes salta fuori con questa parola, “cyborg” e la dice ad alta voce davanti al suo collega.
E Kline dice «Oh, interessante. Sembra il nome di una città in Danimarca ma è interessante».

 

Così nasce il cyborg. Al maschile perché Manfred Clynes e Nathan Kline non usano human being ma man. Siamo nel 1960, (l’impresa di Gagarin è ancora solo teorica), ed è “ovvio” per loro che se mai un essere umano dovesse arrivare nello spazio per «essere libero di esplorare, creare, pensare e sentire», quell’essere umano non sarebbe stato certo una donna.

Ma quello era solo l’inizio. Poi, dopo una serie infinita di corpi perlopiù maschili e bianchi, guerrafondai, resi inviolabili dagli innesti macchinici che hanno popolato il cinema di fantascienza, è arrivatƏ lƏ cyborg di Donna Haraway. Il corpo ibrido che lei immagina in Manifesto Cyborg confonde i dualismi su cui si basa la nostra cultura, quelli tra umano/meccanico, natura/cultura, maschile/femminile. «È risolutamente dedito alla parzialità, all’ironia, all’intimità e alla perversità» e ad aprire nuove prospettive nel pensiero femminista.

 

Ed è proprio da questa prospettiva che guardo alla mia pratica scenica: Cyborg è il mio corpo quando si unisce ai controller. Come tentacoli, le mie estremità si allungano attraverso joystick e leve che potenziano le mie funzionalità. Riesco a muovere molle e pulegge. Le mie mani diventano teste, i miei polsi diventano sguardi di corvo, le mie dita diventano muscoli facciali e tendini che aprono becchi.

Il mio corpo, unico corpo di carne e sangue sulla scena, muove uno spazio postumano abitato da creature tecnologiche. Il mio corpo diventa l’unico motore di creature che si sono evolute in soggettività più che umane. E nel nostro incontro, si genera l’ibrido.

 




Pensa alla parola totem. C’è qualcosa nel tuo ibrido che ti parla del passato, tuo e di tutti?

 

In Mondi Multipli leggo del lavoro etnografico di Philippe Descola sul totemismo:

«Si ritiene che il totem (una specie naturale, un oggetto, un elemento del paesaggio, una sostanza o una parte del corpo umano) e tutti gli esseri umani e non umani che gli sono affiliati, condividano proprietà fisiologiche, fisiche e psicologiche in virtù di un’origine comune. (…) Per ciò che riguarda gli animali, il termine che designa il totem non è un nome di specie come “canguro”, “aquila” o “cacatoa” bensì il nome di una proprietà astratta – “raddoppiato”, “testa calda”, “piacevole”. Si è quindi portati a pensare che la collezione di esseri umani e non umani che forma un gruppo totemico si distingua dagli altri per qualcosa di più e di altro che semplici affiliazioni sociali, matrimoniali o di culto: per il fatto per esempio di avere in comune alcune caratteristiche morali e materiali – di sostanza, di umori, di temperamento, di aspetto – che definiscono un’essenza identitaria come tipo unico».

 

Penso al mio ibrido e nel nome del simbionte costruisco il nostro totem: simbionte è quando due o più organismi vivono “negli” altri, “attraverso” gli altri. Tutti assieme, dialogano e via via collaborano per modificare “sensatamente” le forme della loro convivenza.

Nel corpo umano convivono migliaia di miliardi di micro-organismi: batteri, funghi, virus vivono “in” noi, “attraverso” noi. E viceversa.

Il simbionte cambia il paradigma: dall’individuo alla relazione.

 «Siamo simbionti su un pianeta simbiotico – dice la biologa Lynn Margulis in Simbiosi ovunque – Il contatto fisico è un requisito non negoziabile per molti tipi diversi di vita».

Ciò che ci lega al simbionte è questa proprietà che abbiamo in comune: non essere mai soli.

Questo è il nostro totem: “il mai solo”.

 



Pensa alla parola daimon. Il tuo ibrido può accompagnarci nel futuro?

 

La biologia ci dice che gli organismi viventi sulla Terra interagiscono con le componenti inorganiche per formare un complesso sistema autoregolante che aiuta a mantenere le condizioni per la vita sul pianeta. Come il Cyborg, ci autoregoliamo nella mescolanza.

Siamo un sistema che produce processi vitali in maniera collettiva e il nostro daimon ci chiama all’ibridazione continua per la sopravvivenza.

Cosa succederebbe se imparassimo di nuovo a percepire il corpo dilatato in più figure? A decentrare l’identità e a frammentarla? Se accettassimo che i confini dell’individuo sono implosi senza la paura che il nostro “noi” si dissolva, forse ci ricorderemmo qual è il nostro destino?

 

Riferimenti bibliografici

 

Haraway D. J. 1995 [1985], Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, trad. it. L. Borghi, Feltrinelli, Milano

Isabella Pinto, 2021, Storytelling multispecie una pratica ecopolitica per la giustizia ambientale, Etnografie del contemporaneo, n.4/2021; Edizioni Museo Pasqualino, Palermo

Federica Timeto, 2021, Infraumano, postumano, a-umano, humus. Il femminismo del compost è multispecie, Etnografie del contemporaneo, n.4/2021; Edizioni Museo Pasqualino, Palermo

Gabriella Palermo, Narrazioni dagli interstizi. Lidia Curti e le fabulazioni dei femminismi, Etnografie del contemporaneo, n.4/2021; Edizioni Museo Pasqualino, Palermo

Philippe Descola, 2001, Oltre la natura e la cultura, Mondi Multipli I, Oltre la grande partizione, 2015, a cura di Stefania Consigliere, Edizioni Kaiak, Tricase

Igor Pelgreffi, 2020, Endosimbiosi e filosofia in Lynn Margulis, Kaiak. A Philosophical Journey, 7 (2020): Parassitismi

 

Sitografia

 

Alexis C. Madrigal, The Man Who First Said ‘Cyborg,’ 50 Years Later, The Atlantic, 2010

https://www.theatlantic.com/technology/archive/2010/09/the-man-who-first-said-cyborg-50-years-later/63821/

 

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