di Marta Rosso
[Pubblichiamo la seconda parte di un saggio di Marta Rosso sul “new Italian weird” (la prima parte è consultabile qui). L’autrice ringrazia Enthymema e l’Università Ca’ Foscari di Venezia per la gentile concessione del pezzo.]
6. Ipotesi
Sorgono spontanee le domande: il weird e l’eerie sono categorie valide? Ci aiutano davvero a capire questi testi? La dinamica, la tensione che si sviluppa tra la dimensione della realtà e dell’irrealtà, del tangibile e del non tangibile, non è da sempre alla base dell’impulso creativo e motore di narrazioni? O forse si potrebbe affermare, più in generale, che le categorie e i generi del Novecento sono diventati oggi relativamente inutilizzabili a causa della loro ampiezza e imprecisione nel descrivere la letteratura a noi contemporanea, e vengono così sostituiti da nuove definizioni – con l’effetto collaterale di una moltiplicazione smisurata e della conseguente fumosità?
Avanziamo questa ipotesi: se accettiamo la formulazione fisheriana secondo cui lo strano rappresenta un’«attrazione per l’esterno, per ciò che sta al di là della percezione, della conoscenza e dell’esperienza comune» (Fisher, The Weird and the Eerie 8), possiamo ripensare questo concetto non in termini di genere ma di dispositivo, di tecnica impiegata per porsi in un certo modo nei confronti della realtà e del lettore – dispositivo da sempre impiegato in letteratura, ma che nella narrativa più recente assume una connotazione particolare. Non si tratta di un semplice effetto di straniamento (à la Šklovskij) o di alienazione (à la Brecht) per stimolare il lettore a riflettere sulle idiosincrasie del suo presente: ha piuttosto a che fare con una prospettiva diversa sul mondo e sulle nostre vite, in cui la crisi e la disgregazione dell’io – processo iniziato con la letteratura moderna e portato a compimento dal postmoderno – lasciano spazio alla tensione verso l’Altro, oggi sempre più pervasiva, e danno impulso alla ricerca di un senso impossibile da rintracciare entro i limiti della realtà.
Rifacendoci alla teoria polisistemica (cfr. Even-Zohar) possiamo allora affermare che il weird, di per sé, costituisce un effetto, una caratteristica secondaria che dai margini del polisistema della letteratura novecentesca si è spostata al suo centro, finendo per dominare una buona parte della produzione attuale. Se accettiamo di considerare il weird come un dispositivo ‘prospettico’ possiamo meglio cogliere la dinamica del polisistema letterario, nel quale i diversi sistemi dei generi si evolvono nel tempo fino a sovrapporsi, come avviene oggi. Lo strano non è uno stilema, bensì uno strumento, un espediente narrativo, che dai margini della letteratura di genere si è spostato al centro del polisistema e ha iniziato così a dominare anche altre forme e modalità letterarie – centralità significa in questo caso ubiquità –, e quindi a produrre in qualche modo imitazione. Questa dinamica ha implicato oggi un curioso fenomeno: quello che è stato definito in termini di attrazione, di ‘sconfinamento’ nell’‘altro’ e nell’‘esterno’ alla ricerca di un senso al di là delle esauste possibilità umane, ha finito per sospenderne la soglia e per esprimersi attraverso la forzatura – o il mescolamento, a seconda dei punti di vista – di generi già esistenti, nel tentativo di trovare una nuova prospettiva unificante. Senza andare a scomodare le strutture, che sono proprie dell’epoca letteraria cui appartengono e tutt’al più sembrano essersi semplificate ma non davvero trasformate, a ibridarsi sono i repertori di genere, rinnovati e ampliati insieme ai confini dei generi stessi, senza che questo implichi la nascita di un genere nuovo.
Si tratta di un fenomeno osservabile in buona parte della produzione letteraria attuale, nota Daniele Giglioli, che in questo caso preferisce parlare di forzatura piuttosto che di ibridazione:
Non si tratta della fin troppo menzionata ibridazione o mescolanza dei generi. C’è piuttosto un tentativo, consapevole e spesso esplicitamente teorizzato, di forzare il genere ad essere qualcosa di diverso da se stesso, costringendolo a testimoniare, più che a rappresentare, uno spettro di possibilità più ampie di quelle che presiedono la sua genesi. Nei suoi esiti più felici, la scrittura di questi autori mette capo a una vera e propria perversione del genere, che non passa più attraverso il sovvertimento delle sue regole formali e del suo statuto epistemologico, come avevano fatto con il giallo autori novecenteschi come Gadda, Dürrenmatt, Sciascia e Robbe-Grillet. Le norme sono rispettate, il lettore ha ciò che si aspetta, le sue capacità mnemoniche non vengono sollecitate all’eccesso. Ma l’approdo non è né il trionfo della ratio del giallo classico, né il disorientamento labirintico promosso dal suo riuso modernista (intrecci che non si chiudono, detective più filosofi che sbirri, voyeurs accecati dalla loro stessa capacità di visione). La partita si gioca su un altro piano. (Giglioli 28-29)
Se la letteratura italiana più ‘strana’ degli ultimi anni ha insomma poco o nulla a che fare con il new weird statunitense – e altrettanto poco senso ha usare la stessa definizione –, è indubbio il fatto che sia attraversata da una ‘weirdness’, da una stranezza non altrimenti definibile, che si innesta in forme di prosa molto diverse. È il caso dunque di soffermarsi su alcune peculiarità di questi testi.
7. Sconfinamenti e ibridazioni
Negli ultimi interventi che hanno animato il dibattito on line ritorna di continuo una categoria che ha ben poco di nuovo ma che Fisher di recente ha applicato in modo estensivo – che non vuol dire sistematico – in riferimento al contemporaneo: quella di ‘sconfinamento’, ovvero tra generi, tra mondi rappresentati, tra modalità della percezione, che tuttavia si riconfermano sempre e comunque inadeguate a cogliere l’ignoto e l’inconcepibile.
Si ricorre dunque al concetto di oltrepassamento, che implica una soglia, un confine, per spiegare la natura di prose sconcertanti e difficilmente classificabili, rifacendosi (forse inconsapevolmente) all’operazione narratologica attraverso cui i semiologi già a partire dagli anni Settanta ricostruiscono le strutture narrative e il senso da loro prodotto – un senso che prende forma attraverso la spazializzazione del testo stesso, non soltanto fisico-topografica ma anche metaforico-astratta, implicita alla struttura semantica del linguaggio di un autore (Lotman, La struttura del testo poetico). A venire oltrepassati sono quindi i confini del sistema di appartenenza dei personaggi, dalle sue norme e dai suoi valori culturali, da cui dipende l’esito dell’oltrepassamento stesso.[1]
Da quanto emerso dal fenomeno italiano, l’attuale accezione di sconfinamento implicherebbe piuttosto lo ‘sfondamento’ dei confini tra i generi e la sintesi di diverse modalità narrative – un tentativo di rinnovamento che stimola l’impulso creativo, il quale attiva a sua volta il processo di scrittura. Non è una novità: anche nel Novecento la narrativa weird anglofona, legata all’orrore soprannaturale – che per comodità abbiamo qui definito ‘classica’ –, ha vissuto della commistione di generi e suggestioni, nascendo dalla contaminazione di horror, fantasy e fantascienza.[2] VanderMeer, in poche parole, non si è inventato nulla di nuovo, se non evidenziare il recente ancoramento alla realtà: la novità sta nell’inclusione in questo orizzonte dell’elemento a noi contemporaneo, della forma e della consistenza del nostro presente ‘post postmoderno’ e delle implicazioni politiche, sociali, ambientali della realtà dell’Antropocene,[3] frutto di decenni di capitalismo sfrenato – come Fisher si limita a constatare – e anticipato da diversi autori nel Novecento.
I confini che si cerca instancabilmente di oltrepassare sono dunque cambiati: non più i limiti – le norme morali – di un sistema culturale di partenza ritenuto inadeguato, bensì quelli rappresentati dalle possibilità effettive della realtà in toto, di un presente esaurito che solo le ricombinazioni di diverse forme di letteratura di genere, attraverso il dispositivo dello strano, permetterebbero di esplorare. Non esistono più le contrapposizioni nette del passato: lo ‘sconfinamento’ è diventato la regola, e di conseguenza lo strano, che evoca una sensazione così poco definibile, non stabilisce più una soglia bensì la sospende, rivelando cosa vi è dietro e situando nel quotidiano l’alterità e una sempre più pervasiva tensione verso di essa. Uno sconfinamento, dunque, che ha ben poco di strutturale, e per questo distantissimo dalla letteratura fantastica del Novecento, in cui la soglia tra mondo reale e dimensione altra, anche quando oltrepassata, rimaneva sempre dov’era.[4]
Al giorno d’oggi è la percezione della realtà e della relativa ‘normalità’ a essersi trasformata, divenendo sempre più sfumata: i confini tra norma ed eccezione si sono dissolti per lasciare spazio alla raffigurazione di mondi in cui un’alterità indicibile si instaura organicamente e produce sensazioni non codificate e non codificabili; il precedente smarrimento suscitato nella letteratura fantastica (Zangrandi 7), situato in un mondo conosciuto e affidabile e in conflitto con leggi dello stesso, si è così sempre più dilatato con il venire meno dell’impressione di conoscere la realtà stessa.[5] Di qui la confusione se considerare il (new) weird italiano un genere a sé o meno: sebbene non presenti alcuna caratteristica formale o stilistica unificante per considerarlo tale, percepiamo chiaramente di trovarci di fronte allo specchio di nuove e più ampie dinamiche epocali, che dunque si presta, a suo modo, a un preciso intento rappresentativo.[6]
Se il caso del ‘nuovo strano italiano’ non ha ancora prodotto una propria grammatica, ciò è indice di qualcos’altro: a cambiare è la natura della minaccia percepita ovunque e rappresentata dalla progressiva porosità tra i mondi della letteratura (e non), che sempre più lasciano filtrare l’Altro, ovvero ciò che è stato escluso nella costruzione del sistema di partenza. Una porosità talmente pervasiva da far venir meno il concetto di norma: ci troviamo davanti a un cortocircuito semiotico, a un elemento – la tensione verso un Altro sempre più invadente – che svolge una funzione normativa senza averne tuttavia il contenuto, ma anzi sospende la norma stessa.
Oggi si oltrepassano confini di altra natura: non troviamo più princìpi da infrangere, sistemi culturali da evadere; se l’alterità è divenuta la nuova norma, gli unici limiti percepibili rimasti da esplorare sono quelli fisici e tangibili, fissati dal corpo e dalla realtà.
8. Il corpo, la visione, la metafisica negativa: un nuovo immaginario
Diventa ormai innegabile che, per quanto riguarda il fenomeno italiano, ci troviamo di fronte a scritture talmente eterogenee da non poterle ricondurre a definizioni solide e funzionali; le categorie falliscono quando manca un’unità di stile e di forma a sostenerle, mentre qui assistiamo semmai a un nuovo sentire e a nuove forme di percezione del reale. Forse bisognerebbe allora ridimensionare la questione dei generi[7] e concentrarsi su cosa effettivamente cambia: il sentire, il tono, l’immaginario, l’immagine del mondo che traina la creazione.
In generale la tendenza italiana – intesa esclusivamente nel senso di inclinazione – sembra essere quella di esplorare tematiche sconcertanti, si potrebbe dire devianti se solo la norma fosse sensibile, che si spingono al limite del rappresentabile attraverso una sensibilità decadente, esistenzialista e più o meno pessimistica, mettendo in primo piano un elemento sensoriale distorto e visionario. Si percepisce il senso di inquietudine dell’uomo isolato o lasciato solo dalla società, abbandonato alle forze violente e arbitrarie di una natura oscura e sconosciuta, in un mondo svuotato di ogni senso – senso che viene esplorato in altri modi. Il corpo diventa spesso l’unico mezzo rimasto a disposizione per superare confini invisibili ed esplorare mondi sconosciuti, un corpo morboso, allucinato, vivo fino all’estremo: «la morte, infatti, non è per Giuseppe Buscemi[8] e Orazio Labbate un affare metafisico; è, anzi, prepotentemente fisico: è affare di corpi, di mani, di odori. È una presenza concreta, un’epidemia» (Morstabilini).
Si tratta di una tematica fondamentale, che compare regolarmente in questi testi: da un lato il corpo viene esplorato alla ricerca di una connessione possibile o nascosta tra i frammenti di una realtà sconnessa e disarticolata, dall’altro il ritorno all’elemento sensoriale serve ad ancorare i sogni, le visioni, le allucinazioni a qualcosa di tangibile; il concetto di frammento sembra in questo senso ancora produttivo, nonostante il palese superamento del postmoderno. Tali ‘strane’ modalità, come già osservato, hanno meno a che fare con la politicizzazione del new weird statunitense e accolgono piuttosto le influenze della letteratura mitteleuropea – e in alcuni casi sudamericana, ma senza traccia di fatalismo – più nera, ponendo al centro una condizione esistenziale alienata, lacerata, segnata dalla violenza di un mondo ostile e nemico, incapace di generare alcuna semiosi.
Si pensi a Dalle rovine di Funetta, in particolare la scena che mette in moto la trama: il momento in cui il protagonista Rivera, un collezionista di serpenti che abita in una città spettrale e decaduta, alla ricerca di una via d’uscita dal torpore del proprio vuoto esistenziale crea la prima ‘opera’,[9] un filmato in cui il suo corpo nudo viene percorso, avvinghiato, masturbato dai serpenti da lui allevati – un filmato che in seguito lo introdurrà nel mondo della pornografia underground, altrettanto allucinato e popolato di personaggi reietti, umbratili e inquietanti. Tra questi spicca Alexandre Tapia, che da anni lavora al copione dell’opera definitiva, il film attraverso cui dare forma alla propria idea di mondo, un’ultima volta prima di scomparire per sempre; nell’introduzione del copione Rivera legge: «La Storia è un corpo a cui siamo aggrappati con le unghie e a cui laceriamo la carne. Che bello il cinema, che inghiotte gli uomini, larve nelle tenebre» (Funetta 74); un reale talmente fisico e inaccessibile da tradursi dunque in un corpo a corpo con la Storia, con le leggi più grandi di noi che plasmano la vita umana.
Nei romanzi non prettamente distopici che esplorano questa dimensione si percepisce ovunque la metafisica, ma nella sua assenza, di continuo la si cerca e mai la si raggiunge; è proprio l’insistenza sul corpo a indicare l’impossibilità di accedere alla metafisica in senso classico, al fondamento delle cose che trascende il mondo empirico; la dimensione in cui si dibattono le creature tormentate della ‘nuova’ letteratura è un’altra. E non si tratta nemmeno del mondo discorsivo in cui si perdono ad esempio i protagonisti dei romanzi kafkiani, che impedisce loro di portare a termine la ricerca impostagli dalla necessità ermeneutica propria dell’uomo, vale a dire la ricerca della verità sull’istanza che li tiene in loro potere (il processo, il castello…). Qui e ora ci troviamo invece di fronte a un mondo corporeo, fisico, naturalmente violento, che incatena l’individuo a leggi a lui estranee, il quale non può far altro che mettersi alla ricerca di una via di uscita. Tutt’al più si può parlare di una metafisica negativa, in cui l’uomo è abbandonato alla propria dimensione sensoriale, incrudita in modo disumano, recisa da ogni possibilità di significato ulteriore, per quanto intensamente ricercato. Lo strano riemerge dunque dalla disgregazione, dal venir meno di un’unità (culturale) di senso, che sia in una metropoli futuristica o nella provincia ungherese.
Sul vecchio continente è nella visione, nell’alterazione dello stato fisiologico ‘normale’ che i personaggi letterari rifuggono, per vedere ciò che la realtà nega loro. Dalla psichedelia ai sogni neri, la visionarietà si manifesta nelle forme più diverse, non da ultimo in una componente tossica e psicotropa – da Terminus radioso[10] a Il grido di Funetta, passando per l’Area X –, immergendo il lettore in un ‘bad trip’, un viaggio finito male, in cui si traduce la più ampia paura del futuro.
9. Letteratura estrema, frammentazione e ipermodernità
Giglioli ha approfondito questo ricorso all’estremo nella letteratura italiana inteso non come repertorio tematico che predilige «la violenza, il sangue, l’abiezione» (14), bensì in termini di tensione:
È piuttosto un movimento, una tensione verso qualcosa che eccede costitutivamente i limiti della rappresentazione. Non perché si incarni in un’alterità incommensurabile, come il selvaggio del racconto d’avventura, il mostro della letteratura fantastica, l’alieno della fantascienza; ma perché è sottoposto all’ingiunzione contraddittoria di essere insieme presente e inafferrabile. […] Non è altrove; è qui, onnipresente e inafferrabile. Non si presta a entrare nel gioco differenziale che presiede all’ordinato scambio dei segni. Ma proprio perché non ha segni che lo indichino direttamente, genera senza sosta un supplemento di discorso, immaginario, ideologia. È un performativo, un enunciato che produce ciò che dice. È il nome di un’operazione, la traccia scritta di un gesto, il diagramma del rapporto tra una tensione e l’azione in cui si scarica. (Giglioli 14-15)
L’alterità è percepita nel qui e ora, ma ‘l’estremo’ mai la raggiunge, il linguaggio mai la domina, e dunque sempre vi tende. È con lo choc dei nuovi strumenti e delle forme comunicative della società dei mass media che si inizia a eccedere i limiti della rappresentazione – ossia della realtà ‘inservibile’ – e a protrudersi in un Reale traumatico, ottuso, resistente ai tentativi di simbolizzazione, e quindi indicibile. Giglioli parla – barthesianamente – non di forme né di stili, bensì di scritture dell’estremo, legate indissolubilmente al periodo storico che le ha prodotte, «risultato di una presa di posizione» (13) in quanto «[l]a scrittura dell’estremo è il tentativo di rimotivare a posteriori i segni vuoti in cui ci specchiamo» (18); ma soprattutto sottolinea come ciò sia stato possibile, non da ultimo, grazie alla grande fortuna che il recupero della narrativa di genere e le forme miste di autofinzione trovano all’interno dell’attuale panorama editoriale italiano.[11]
Cosa ci dicono queste scritture estreme sull’epoca – la nostra – che le ha prodotte? Ci troviamo di fronte a due direzioni, opposte ma in qualche modo complementari: da un lato rimane la tendenza alla disgregazione, al frammento, all’isolamento, all’estrapolazione, al taglio (cfr. Simonetti, La letteratura circostante 39-138); dall’altro la materia narrativa così ricavata viene esacerbata, sottoposta a un processo di intensificazione fino all’esasperazione, traducendosi in un discorso ipertrofico e, come osservato da Giglioli, performativo, che è e non significa niente di più rispetto a ciò che enuncia.
Sul mutevole fenomeno della letteratura contemporanea internazionale si è espresso anche Alberto Casadei, che nell’articolo del marzo 2020 “Il caos cerca l’ordine. Voci della neo-epica” evidenzia il carattere frammentario, stratificato, oscuro della nostra epoca:
[…] la forma-romanzo sembra non bastare a racchiudere la realtà sempre più stratificata che viviamo e che sentiamo sfuggente e magari oscura. La risposta della grande narrativa scritta è allora proprio quella di essere costantemente ibrida, inclusiva, persino incoerente. È in queste forme, difficilmente definibili, che possiamo rintracciare l’epica di oggi. […] Un tratto delle opere che adesso potremmo definire epiche è infatti questo: tentano di farci capire che, in modi magari incredibili, tuttavia c’è un barlume di senso persino nelle vicende più assurde. (Casadei 34-35)
Casadei propone tre categorie per meglio comprendere le immagini del mondo rintracciabili nei romanzi di autori come Thomas Pynchon, Roberto Bolaño, Michel Houellebecq, Jonathan Littell e Don DeLillo (tra gli italiani Antonio Moresco e Giuseppe Genna): la realtà-incubo, la realtà-metamorfosi, la realtà come dura materia. In questa cornice Casadei inserisce anche Cărtărescu, nelle cui opere si esplicita «la ricerca di fondamenti che vadano oltre la scienza ufficiale, per esempio creando mondi possibili che seguono leggi e regole inconsuete», e altri fenomeni editoriali recentissimi come il romanzo ilMistero.doc di Matthew McIntosh, che – sulla scia di Casa di foglie di Mark Z. Danielewski – «è andato ancora oltre, unendo intimamente lacerti di un testo forse mai scritto con immagini ripetute ossessivamente, foto o icone come la bandiera statunitense, allo scopo ultimo di rappresentare la frammentazione pulviscolare che si condensa in quelle che sentiamo come le ‘nostre’ esistenze» (Casadei 35). Nelle manifestazioni letterarie di cui finora, insomma, la frammentazione postmoderna sembra ancora sottendere l’esperienza collettiva del mondo contemporaneo, ma allo stesso tempo la si cerca di assoggettare nuovamente a possibilità di senso, fuori dalla norma, che siano in qualche modo esemplari.
Come già Paul Virilio e Gilles Lipovetsky, ma formulando altrimenti la questione, Raffaele Donnarumma ha definito invece questo fenomeno in termini di ‘ipermodernità’,[12] stadio finale della modernità le cui caratteristiche vengono esasperate e portate all’eccesso: «ciò cui assistiamo, e ciò che già l’età postmoderna aveva messo in moto, è semmai la sua continuazione unilaterale, parodica, impazzita. […] A questa modernità oltranzistica e compulsiva, darei il nome di ipermoderno» (Donnarumma, “Ipermoderno”). L’illusione postmoderna di poter superare la tradizione modernista attraverso il virtuosismo stilistico, gli espedienti retorici, i giochi linguistici narrativi[13] si è trasformata in qualcos’altro, innescando così uno ‘scivolamento’ nell’ipermoderno:
L’idea di un esodo definitivo dalla modernità va accantonata: è questo il passaggio dall’illusione del post all’invadenza dell’iper. Tuttavia, il sovraccarico è sempre pronto a capovolgersi in privazione, l’esaltazione in angoscia, la smania di dominio in smarrimento. Si tradisce così una logica viziosa: l’ipermoderno, che ha abbandonato la fede moderna nel progresso, non crede sino in fondo alle sue promesse di felicità. Esso ha una compulsione nevrotica che neutralizza i suoi idoli (rapidità, novità, efficienza, fattività…) proprio mentre li innalza. […] Potremmo allora dire che l’ipermoderno è la risposta e in parte la conseguenza disforica al postmoderno, poiché, esaltandone i colori, finisce per virarli al nero. (Donnarumma, Ipermodernità 104)[14]
Non più ironia postmoderna quindi, ma serietà ipermoderna, che sempre cammina sul filo del rasoio, consapevole del baratro che si può aprire dietro qualsiasi eccesso di realtà in cui ci imbattiamo, o di cui inevitabilmente ci serviamo: il pensiero accelerato e la sensibilità oscillante, senza vie di mezzo, tra esacerbazione e anestetizzazione fanno parte in effetti della nuova esperienza del Ventunesimo secolo, e la raffigurazione letteraria di una sensorialità corporea esasperata e inasprita ne diventa il sintomo più immediato.
Si tratta di riflessioni che, si capisce, non riguardano strettamente fenomeni puntuali, ma colgono nel segno considerando in generale il panorama letterario degli ultimi venti-trent’anni.[15] Anche Simonetti, usando altri termini, mette a fuoco lo stesso fenomeno: caratteristiche fondanti di ciò che si scrive e si pubblica a partire dalla metà degli anni Novanta sono, da un lato, la velocità intesa «come urgenza esistenziale, modo d’essere, fuga dalla realtà» (La letteratura circostante 59), e dall’altro il compromesso «insieme culturale e tecnologico» (50) con i media: «si avverte, sul piano strutturale, una resa diffusa e commossa al primato spettacolare delle immagini; alla dose superiore di energia emotiva e di piacere che i media sono in grado si spacciare; alla loro capacità di coinvolgere in tempi rapidi e svilupparsi in orizzontale, rinunciando, in nome di un guadagno di libertà e di accelerazione, alla zavorra della profondità» (52). E per quanto riguarda gli anni Zero: «Si articola negli ultimi dieci o quindici anni quel processo di cui i cannibali erano in fondo un sintomo: lo slittamento del campo letterario verso la dimensione delle arti performative, alla ricerca di nuova energia semiotica, e di un più immediato confronto col pubblico» (69).
Per problematizzare tuttavia il trait d’union tra queste riflessioni e il fenomeno italiano sopra ricostruito, si potrebbe notare che, sebbene abbiamo di certo a che fare con una letteratura che ‘vira al nero’ e in cui il futuro è effettivamente diventato una prigione distopica, a emergerne non sembra tuttavia un sentimento patologico, di disagio o di oppressione,[16] quanto piuttosto la volontà di assumersi il peso di tale consapevolezza, di darvi forma e di padroneggiarla attraverso la letteratura stessa: un atteggiamento che in parte ritroviamo nel catastrofismo degli scrittori europei citati, per i quali, ancora vent’anni fa, la fine era già arrivata, anche se non avevano un pubblico – una ‘scena’ on line – a cui raccontarla.
Provando allora ad abbozzare in prospettiva semiologica il corso che la letteratura ha seguito nell’ultimo secolo e mezzo, si potrebbe dire che il ‘fuori’ è penetrato ‘dentro’: i rigidi confini – topografici o topologici – e le nette (de)limitazioni su cui era costruita la cultura dell’Ottocento sono stati messi in discussione e oltrepassati per la prima volta nella modernità, le cui strutture narrative e possibilità residue di senso sono in seguito ‘esplose’ – si perdoni il termine abusato – a opera del postmoderno (Jameson); in letteratura ha così preso forma un linguaggio ipertrofico, eccessivo, ridondante, che come un fiume inonda la superficie frammentata del reale e vi aderisce nell’esprimere, sempre con ironia, le possibilità di senso tanto infinite quanto irrilevanti scaturite dall’altissimo grado di iperconnessione – operazione che mette definitivamente in crisi la nozione di realismo.[17] Oggi, in questo Ventunesimo secolo letterario che ha seguito il postmoderno, non pochi autori stanno ancora esplorando ciò che rimane fino all’estremo, nell’effimera speranza di ritrovare un ordine nel caos.[18]
A rimanere sono i frammenti dei più disparati codici culturali, a piede libero nella semiosfera (cfr. Lotman, La semiosfera), sganciati dalla possibilità di un significato ultimo o fondativo. Questi residui costituiscono il terreno friabile su cui continuano a muoversi gli scrittori dello ‘strano’, che come piccoli demiurgi si cimentano nell’impresa di tenere insieme le macerie di una realtà alla deriva, percepita e vissuta come un sogno nero, attraverso una visionarietà ipertrofica. Negli autori che, volenti o nolenti, sono stati inclusi nello strano filone della letteratura italiana più recente si fatica a trovare elementi linguistici unificanti se non – con le dovute eccezioni[19] – una generale semplificazione sintattica, lontana dallo stile ‘fiume’ e metamorfico di un Cărtărescu o di un Krasznahorkai. Si noti che talvolta la semplificazione rappresenta una scelta ben precisa dell’autore, intesa a dare vita a un discorso letterario fedele e aderente alla realtà, che rispecchi così lo stesso principio sintagmatico dell’esperienza lacerata e disgregata del reale, la quale – non nelle possibilità ma nei fatti – si è impoverita e ridotta all’osso; la pregnanza viene ricercata piuttosto sull’asse paradigmatico, innalzandosi attraverso un lessico di natura a tratti lirica, magnetico, ipnotico, dominato da suggestioni e simbologie mai interpretabili fino in fondo, che in tal modo esacerba il senso di isolamento e alienazione. Numerosissimi sono gli esempi di questo stile paratattico, nominale, anaforico:
E poi, il moccioso, si volta e si rivolta, non c’è sogno che tenga, è quasi giorno ora, non penetra luce dalla piccola finestra della masseria, ma ormai il suo corpo sa quando è ora, preparare la colazione a Olimpo, che altrimenti reclamerà al moccioso, sempre, ma ancora qualche minuto, qualche minuto disteso a terra, su questo tappeto, e cosa si agita sotto la terra, qualcosa sembra muoversi, come per venirti incontro, Alberico, sangue di vita, Alberico e la malaspina, Alberico mondo sepolto, stanco, sotto il gelo, Alberico che sai che le ombre incupiscono sui monti, Alberico senza ghirlande di quercia alle tempie, Alberico che senti le ombre svegliarsi, nella notte chiara, è precipitato il tuo fasto, la musica delle tue arpe, sotto di te c’è il marciume, tua coltre sono i vermi. […] È quasi giorno, dolce Alberico, è l’ora di svegliare il tuo padrone, ma non farlo ora, non prima di avere munto la mucca per un bicchiere di latte, Olimpio non apprezzerebbe, Olimpio ti boccerebbe a vita, presto, presto Alberico, ciò che è compiuto è andato disfacendosi sempre, sempre è accaduto nel mondo, spesso a Taverna Soffocata, ora, ora o mai più, sveglia. Ma si sente qualcuno in avvicinamento, qualcuno, qualcosa, sono piccoli passi o zampate, è solo l’alba, non è neanche l’alba, nessuno si avvicina alla masseria da tempo, non può esserci nessuno, è un rumore di avvicinamento, e le vicinanze sono sempre delle insidie, bussano alla porta, Alberico, ciò che è dietro le porte non sono che le porte. (Gentile 136-37)
È il caso anche di Voragine di Esposito, caratterizzato da una paratassi esasperata, scandita da brevi e frastornanti frasi principali separate unicamente dal punto:[20]
Giovanni guardava il padre sforzarsi di essere un’altra persona. Sforzarsi inconsapevolmente di trasformarsi in un’altra persona sconosciuta e mostruosa. Tendere senza fine a questa forma irraggiungibile e incomprensibile che a Giovanni appariva solo in lampi di dolore nelle smorfie del padre. E diceva che uno non è mai una cosa sola. Diceva che poi col tempo ci diventa una cosa sola ma all’inizio non lo è mai. […] Ma poi passa il tempo e lui perde cose e diventa sempre più una cosa sola e le cose intorno che era e che poteva essere e che non è stato si dissolvono una per una senza un grido. Prima è tanti uomini diversi e tante cose e poi diventa una cosa sola che va sempre più veloce nella stessa direzione. E non si può fermare più. E ha voluto per tutta la vita andare nella stessa direzione come una cosa sola e adesso che può andarci all’improvviso ha paura e vuole fermarsi e vuole tornare indietro e vuole cambiare strada. Ma ormai non può andare da nessuna parte perché sulla pelle non ha niente che non sia la cosa sola che è adesso e dentro non c’è spazio se non per questa cosa che è ora e che corre senza fermarsi e senza poter urlare. E come lui tutto il mondo intorno e tutte le cose. Tutto corre e precipita allo stesso modo. (Esposito 40)
10. Conclusioni
Tirando le somme: la frammentazione e la dispersione che tuttora dominano una parte della fase letteraria contemporanea – che si voglia chiamarla ‘ipermodernità’ o meno – ha avuto come risultato quello di frantumare i generi classici, implicando una continua ricombinazione di elementi eterogenei, tenuti insieme dal dispositivo prospettico del weird. Cosa fa sì che la stranezza, oggi, sia così presente e funzionale? Come si è tentato di ricostruire, i cambiamenti storici, e quindi di immaginario culturale giocano un ruolo fondamentale, ma non solo: è attraverso fenomeni intersistemici – ossia culturali, sociali e in parte economici come quello editoriale, oggi capillarizzati per mezzo del web – che si arriva all’affermazione di un certo gusto e di un certo sentire letterario. La centralità di un dispositivo è legata ai suoi promotori, e ha senso parlarne non nella teoria ma nella pratica: di qui l’ampio spazio dedicato alla ricostruzione del fenomeno.
Nella tendenza italiana evidenziata – che naturalmente non è l’unica e non è neppure una moda, a meno che con ‘moda’ si intenda la ciclica alternanza di tendenze della stessa matrice – l’angoscia e il terrore dell’orrore e del weird ‘classico’ sono penetrati fino a pervadere ogni ambito del reale, in conseguenza della frammentazione che rappresenta tuttora l’altra faccia dell’attuale epoca della simultaneità e della globalizzazione, per assurdo tanto iperconnessa quanto dispersa. Se in passato erano i fantasmi dello sconosciuto e dell’inconoscibile a fare la loro tremenda, teatrale comparsa, oggi i fantasmi che si materializzano sono altri: la precarietà, l’isolamento, la solitudine (cfr. Ferraresi), un futuro nero, imperscrutabile e senza speranze, un’apocalisse culturale[21] interiorizzata. L’effetto suscitato si è ridimensionato e viene esplorato in scala minore, ma non per questo fa meno paura, anzi: un sottile senso di straniamento ha infettato un reale non più coeso, la cui narrazione può prendere pieghe estremamente violente, sdoganate dalle possibilità e dai mezzi espressivi odierni.
Lo strano è dunque una dominante del nostro tempo? Sembrerebbe di sì, soprattutto se pensiamo che i generi in cui si inserisce e si funzionalizza costituiscono da un lato l’espressione di una Weltanschauung e di un’ideologia, dall’altro un processo dinamico che si adatta ai relativi intenti rappresentativi. Se decidiamo di intendere il weird non come genere a sé ma come dispositivo ‘obliquo’, impiegabile da forme e modalità narrative molto diverse, forse possiamo ridimensionare il concetto – che di per sé spiega poco – di ibridismo, e passare così dalle speculazioni su generi e sottogeneri alla più stimolante riflessione sulla fase letteraria cui stiamo assistendo.
Questa tendenza è il frutto di un più ampio cambiamento di immaginario culturale: è innegabile che il tardo capitalismo e la svolta digitale abbiano concretizzato le paure novecentesche dell’uomo moderno, e anzi, la realtà è andata ben oltre le previsioni più pessimiste.[22] Oggi gli ‘spazi altri’ (cfr. Foucault, “Eterotopie”) sono alla portata di ognuno: sembra proprio che si possiedano tutti i mezzi possibili per pensare non soltanto le distopie, ma anche le eterotopie[23] più disparate. Il punto della questione è: se da un lato tematiche e tendenze del passato vengono di continuo riprese, contaminate e rimescolate in ciò che si pubblica nel Ventunesimo secolo, a essersi trasformato nettamente è il nostro tempo, la cultura e la sottocultura di cui l’individuo si nutre e che a sua volta riproduce, a partire dai nuovi immaginari sconsolanti che si ancorano nelle nuove generazioni e che ne stimolano l’atto creativo, rinnovando così i repertori letterari. La tendenza letteraria qui presa in esame viene dunque trascinata nell’impresa di dare forma a un ‘al di là’ sempre più pervasivo, a un mondo non più fisico e senza più confini netti che resiste all’iperconnessione in cui siamo immersi, in cui si percepisce la mancanza di codici culturali unificanti: se buona parte degli autori italiani in questione dà forma a nuove distopie, c’è anche chi esplora le eventualità di senso rimaste attraverso la visione, l’allucinazione, la distorsione delle possibilità semantiche del linguaggio – di qui la vicinanza agli europei piuttosto che al new weird statunitense. La letteratura italiana più ‘strana’ degli ultimi anni non è più in bilico – come invece lo ero il fantastico novecentesco –, e non si sofferma neppure sulla raffigurazione della superficie frammentata del reale, ma sembra piuttosto essersi resa ricettiva nei confronti di ciò che trapela all’interno. Si tratta dunque di una letteratura che dà forma a un’alterità pervasiva: l’‘al di là’ è diventato infatti un ‘al di qua’, e a confermarlo non è soltanto la proliferazione esponenziale delle distopie letterarie ambientate in mondi sempre più simili al nostro, ma anche il tentativo di alcuni autori di esplorare e oltrepassare gli unici limiti davvero rimasti, ovvero i confini della realtà e del corpo. Il corpo in particolare rappresenta a un tempo il punto di partenza e la via di accesso privilegiata per indagare la metafisica negativa e le possibilità di senso rimaste, l’immaginario subìto nel contemporaneo[24] e al contempo assimilato dalla letteratura ‘alta’ – e non di genere, al contrario del caso statunitense. Ne consegue che molti degli scrittori in oggetto si trovano di fronte alla questione di come narrativizzare, di come conferire una cornice narrativa propria del romanzo alle loro visioni: una questione evidenziata anche da Andrea Cortellessa nell’introduzione all’antologia dei narratori italiani degli anni Zero, in cui si parla di un «tasso assai ridotto di narratività» (Cortellessa 32), così sostituito dalla fabulazione, e di una «condizione fluida e polimorfa della prosa» (43).
Si tratta dunque di una tensione talmente fondante che la definizione di letteratura estrema risulta quanto mai calzante, «una tensione verso qualcosa che eccede costitutivamente i limiti della rappresentazione» (Giglioli 14) e che non trova risposta alla domanda intorno all’esserci di una condizione umana sempre più accerchiata, circondata da ogni parte, anche nelle cose apparentemente familiari, da un’alterità che impone vincoli e leggi sconosciute, sancendo definitivamente la perdita di controllo dell’uomo sulla realtà; quel che resta sono ricombinazioni eterogenee di codici culturali già esistenti, stimolate dal cambiamento di immaginario culturale che procede parallelamente alla letteratura. Lo strano è il dispositivo della nostra epoca: oggi si esplora l’alterità, fino all’estremo.
Un nuovo sentire, in ultima analisi, che si esprime attraverso non un nuovo genere bensì una diversità di toni, di stili, di registri. Per riprendere Cortellessa – che tuttavia indaga un altro repertorio rispetto al qui presente –, tale eterogeneità potrebbe essere indice anche di qualcos’altro:
È vero, quelli che sono appena finiti – a differenza del decennio precedente – sono stati anni privi di tendenza. Ma non credo che questo debba abbatterci. I tempi troppo tendenziosi, come senza dubbio sono stati gli anni Novanta – onnifagocitanti, bulimici, davvero Cannibali –, sono quelli che, avrebbe detto proprio Gadda, tendono al loro fine. Quelli troppo facili da definire sono quelli che stanno appunto finendo. Tempi tardi, centripeti, che vanno a chiudere. I tempi iniziali, quelli che aprono, sono al contrario centrifughi: tempi in cui i percorsi si devono ancora precisare, le urgenze circolano allo stato latente. In ogni ciclo storico c’è un tempo della sistole e uno della diastole. E in questi anni, seguiti alla compressione e all’implosione, davvero abbiamo assistito a una dispersione. Alla fase cioè del primo rilascio: espansione e deriva, senza direzione apparente, dei materiali più vari ed eterocliti. (Cortellessa 64)
Bisognerà vedere cosa resisterà alla prova del tempo, ma soprattutto sarà interessante osservare quali libri si pubblicheranno prossimamente, dopo la ‘stranezza’ di questi ultimi due anni.
Bibliografia
Armitage, John (ed). Paul Virilio. From Modernism to Hypermodernism and Beyond. Sage, 2000.
Bachtin, Michail M. The Dialogic Imagination. University of Texas Press, 1981.
Baßler, Moritz. “1850-1890: Der ganz und gar unwahrscheinliche Realismus.” Deutsche Erzählprosa 1850-1950: Eine Geschichte literarischer Verfahren, Schmidt, 2015, pp. 31-112.
Bertoni, Federico. Realismo e letteratura. Una storia possibile. Einaudi, 2007.
Bitetto, Giovanni. “La realtà è sopravvalutata.” Flanerí, 14 maggio 2018, https://www.flaneri.com/2018/05/14/cometa-magini/.
Borgonovo, Francesco. “Quegli scrittori dal fascino bizzarro (e con forte passione per le serie tv).” Panorama, 24 aprile 2019, pp. 82-85.
Carrara, Giuseppe. “Luce e buio del presente.” Cultweek, 21 novembre 2016, https://www.cultweek.com/narrativa-saggiatore/.
–––. “Per una letteratura schizofrenica.” Doppiozero, 23 maggio 2017, https://www.doppiozero.com/materiali/una-letteratura-schizofrenica/.
Cărtărescu, Mircea. Abbacinante. L’ala sinistra. Voland, 2008.
Casadei, Alberto. “Il caos cerca l’ordine. Voci della neo-epica.” La Lettura del Corriere della Sera, 22 marzo 2020, pp. 34-35.
Cassini, Andrea. “Dante weird: il pioniere dello ‘strano’ letterario.” L’Indiscreto, 24 aprile 2019, https://www.indiscreto.org/dante-weird-il-pioniere-dello-strano-letterario/.
Castiglioni, Massimo. “«C’è l’impressione che le cose stiano diventando weird» – Intervista con Gianluca Didino.” Dude Mag, 12 novembre 2018, https://www.dudemag.it/letteratura/ce-limpressione-che-le-cose-stiano-diventando-weird-intervista-con-gianluca-didino/.
Ceserani, Remo. Il fantastico. Il Mulino, 1996.
–––. “La maledizione degli ‘ismi’.” Allegoria, nn. 65-66, 2012, pp. 191-213.
Cisco, Michael. “New Weird: I Think We’re the Scene.” The Modern World, 4 May 2004, https://web.archive.org/web/20051025072602/http://www.themodernword.com/columns/cisco_001.html/.
Corigliano, Francesco. La letteratura weird. Narrare l’impensabile. Mimesis, 2020.
Cortellessa, Andrea. “Introduzione.” La terra della prosa. Narratori italiani degli anni Zero (1999-2014), L’orma, 2014, pp. 13-65.
Cosentino, Nicola H. “Nuova letteratura fantastica. Il grido di Luciano Funetta.” Minima&moralia, 16 aprile 2018, https://www.minimaetmoralia.it/wp/nuova-letteratura-fantastica-grido-luciano-funetta/.
CrapulaClub. Post dell’articolo “Italian Weird e la sindrome del marziano.” Facebook, 17 maggio 2018, https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1452069988231470&id=149651578473324.
D’Isa, Francesco. “La rinascita del fantastico.” Kobo Blog, 17 maggio 2018, https://www.kobo.com/it/blog/la-rinascita-del-fantastico/.
De Martino, Ernesto. La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali. III ediz., Einaudi, 2019.
Di Filippo, Paul. “Malign Universe: 13 Works of Cosmic Horror.” Barnes and Noble Reads, 23 November 2015, https://www.barnesandnoble.com/review/malign-universe-13-works-of-cosmic-horror/.
Di Vita, Federico. “Tra fantasy, fantastico e weird: indagine sul ‘Novo Sconcertante Italico’.” L’Indiscreto, 5 novembre 2018, https://www.indiscreto.org/tra-fantasy-fantastico-e-weird-indagine-sul-novo-sconcertante-italico/.
Didino, Gianluca. Essere senza casa. Sulla condizione di vivere in tempi strani. Minimum fax, 2020.
Dillon, Sarah. “The Horror of the Anthropocene.” C21 Literature: Journal of 21st-century Writings, vol. 6, n. 1, 2018, pp. 1-25.
Donnarumma, Raffaele. “Ipermodernità: ipotesi per un congedo dal postmoderno.” Allegoria, n. 64, 2011, pp. 15-50.
–––. “Ipermoderno. Come raccontare la realtà senza farsi divorare dai reality.” Le parole e le cose, 19 novembre 2012, https://www.leparoleelecose.it/?p=7486/.
–––. Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea. Il Mulino, 2014.
Dozois, Gardner. “Summation: 2008.” The Year’s Best Science Fiction: Twenty-Sixth Annual Collection, St. Martin’s Griffin, 2009, pp. XIII-XLVIII.
Ercolino, Stefano. Il romanzo massimalista. Bompiani, 2014.
Esposito, Andrea. Voragine. Il Saggiatore, 2018.
Esposito, Andrea, e Andrea Gentile. “Lo strano e l’inquietante in Italia. Lezione aperta.” Minimum lab, 13 novembre 2018, https://www.facebook.com/edizioniminimumfax/videos/2275524266049648/.
Even-Zohar, Itamar. Polisystem Studies [= Poetics Today, vol. 11, n. 1]. Duke University Press, 1990.
Ferraresi, Mattia. Solitudine. Il male oscuro delle società occidentali. Einaudi, 2020.
Fisher, Mark. Realismo capitalista. Nero, 2018.
–––. The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo. Minimum fax, 2018.
Foucault, Michel. “Eterotopie. 1984.” Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, Feltrinelli, 2010, pp. 307-16.
–––. Le parole e le cose. Rizzoli, 1998.
Funetta, Luciano. Dalle rovine. Tunué, 2015.
Gentile, Andrea. I vivi e i morti. Minimum fax, 2018.
Giglioli, Daniele. Senza trauma. Scrittura dell’estremo e narrativa del nuovo millennio. Quodlibet, 2011.
Giovannini, Fabio, e Marco Minicangeli. Storia del romanzo di fantascienza. Castelvecchi, 1998.
Jameson, Fredric. Postmodernism or, the Cultural Logic of Late Capitalism. Duke University Press, 1991.
Kapchan, Deborah A., e Pauline Turner Strong. “Theorizing the Hybrid.” The Journal of American Folklore, n. 445, 1999, pp. 239-53.
Kelly, Michael. “Prefazione.” Nuovi incubi. I migliori racconti weird, a cura di Laird Barron, Hypnos, 2015, pp. 11-15.
Kermode, Frank. Il senso della fine. Studi sulla teoria del romanzo. II ediz., il Saggiatore, 2020.
Lazzarin, Stefano. “Gli scrittori del Novecento italiano e la nozione di ‘fantastico’.” Italianistica: Rivista di letteratura italiana, vol. 37, n. 2, 2008, pp. 49-67.
–––. “Tre modelli di fantastico per il secondo Novecento.” Allegoria, nn. 69-70, 2014, pp. 41-60.
–––. Il fantastico italiano. Bilancio critico e bibliografia commentata (dal 1980 a oggi). Mondadori, 2016.
Lewis, Simon L., e Mark A. Maslin. Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene. Einaudi, 2019.
Ligotti, Thomas. “Brevi lezioni del Professor Nessuno sull’orrore sovrannaturale.” I canti di un sognatore morto, Elara, 2008, pp. 217-24.
Lipovetsky, Gilles. Les temps hypermodernes. Grasset, 2004.
Lotman, Jurij M. La struttura del testo poetico. Mursia, 1972.
–––. La semiosfera. L’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti. Marsilio, 1985.
Lovecraft, Howard Phillips. “Supernatural Horror in Literature.” The Recluse, n. 1, 1927, pp. 23-25. The H.P. Lovecraft Archive, https://www.hplovecraft.com/writings/texts/essays/shil.aspx/.
–––. “Notes on Writing Weird Fiction.” Amateur Correspondent, May-June 1937. The H.P. Lovecraft Archive, https://www.hplovecraft.com/writings/texts/essays/nwwf.aspx/.
Luperini, Romano. “Giovani e cannibali solo basic instinct.” L’Indice dei libri del mese, n. 3, 1997, p. 10.
Lyotard, Jean-François. La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere. Feltrinelli, 1981.
Malvestio, Marco. “Il grido di Luciano Funetta e i limiti del New Italian Weird.” La Balena Bianca, 2 maggio 2018, https://www.labalenabianca.com/2018/05/02/20288/.
Marzullo, Sara. “Weird italiano.” Not, 13 ottobre 2017, https://not.neroeditions.com/weird-italiano-de-maria/.
Mazza Galanti, Carlo. “Il canone strano.” Not, 8 maggio 2018, https://not.neroeditions.com/canone-weird-italiano/.
Mesárová, Eva. “Discorso teorico-critico sul fantastico negli ultimi anni del Novecento in Italia.” Romanica Olomucensia, vol. 26, n. 1, 2014, pp. 77-84.
Miller, Laura. “Jeff VanderMeer Amends the Apocalypse.” The New Yorker, 17 April 2017, https://www.newyorker.com/magazine/2017/04/24/jeff-vandermeer-amends-the-apocalypse/.
Mordacci, Roberto. La condizione neomoderna. Einaudi, 2017.
Morstabilini, Andrea. “Gotico mediterraneo.” Not, 9 maggio 2018, https://not.neroeditions.com/gotico-mediterraneo/.
Musardo, Federico. “Il buio a luci accese di David Hayden.” Culturificio, aprile 2019, https://culturificio.org/il-buio-a-luci-accese/.
Nan, Charlie D. “La nuova era del soprannaturale.” Neutopia, 5 aprile 2019, https://neutopiablog.org/2019/04/05/la-nuova-era-del-soprannaturale/.
Nealon, Jeffrey T. Post-Postmodernism, or, The Cultural Logic of Just-in-Time Capitalism. Stanford UP, 2012.
O’Connell, Mark. Appunti da un’Apocalisse. Viaggio alla fine del mondo e ritorno. Il Saggiatore, 2021.
Ort, Claus-Michael. Zeichen und Zeit. Probleme des literarischen Realismus. Niemeyer, 2010.
Pierantozzi, Alcide. “New Italian Weirdness.” Rivista Studio, 26 aprile 2016, https://www.rivistastudio.com/tunue-funetta-di-fronzo/.
Russo De Vivo, Antonio. “Italian Weird e la sindrome del marziano.” CrapulaClub, 17 maggio 2018, https://www.crapula.it/italian-weird-la-sindrome-del-marziano/.
Santoni, Vanni. “Nuova Strana Europa.” Prismo, 30 settembre 2016, https://www.prismomag.com/nuova-strana-europa/.
–––. “Lanark padre di tante distopie.” La Lettura del Corriere della Sera, 27 agosto 2017, p. 19.
–––. “È inutile negarlo: siamo circondati da distopie.” Esquire, 7 ottobre 2017, https://www.esquire.com/it/cultura/libri/a12801513/letteratura-distopia/.
–––. “László fa le frasi Dio mette il punto.” La Lettura del Corriere della Sera, 17 giugno 2018, p. 23.
–––. “La rivincita letteraria del new weird italiano (ma non chiamatelo sottogenere).” Il Foglio, 12 novembre 2018, https://www.ilfoglio.it/cultura/2018/11/12/news/la-rivincita-letteraria-del-new-weird-italiano-ma-non-chiamatelo-sottogenere-224001/.
–––. “È finita l’attesa.” Linus, 7 giugno 2021, p. 26-27.
Simonetti, Gianluigi. “Il realismo dell’irrealtà. Attraversare il Postmoderno.” CoSmo, n. 1, 2012, pp. 113-20.
–––. La letteratura circostante. Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea. Il Mulino, 2018.
Sinisi, Fabrizio. “Alle origini del weird – Su Boscomatto di Ádám Bodor.” La Balena Bianca, 27 febbraio 2019, https://www.labalenabianca.com/2019/02/27/boscomatto-saggiatore/.
Titzmann Michael. “Das Drama des ‘Expressionismus’ im Kontext der ‘Frühen Moderne’ und die Funktion dargestellter Delinquenz.” Verbrechen – Justiz – Medien: Konstellationen in Deutschland von 1900 bis zur Gegenwart, edited by Joachim Linder et al., Niemeyer, 1999, pp. 217-72.
–––. “Semiotische Aspekte der Literaturwissenschaft: Literatursemiotik.” Semiotik. Ein Handbuch zu den zeichentheoretischen Grundlagen von Natur und Kultur, edited by Roland Posner et al., vol. 3, de Gruyter, 2003, pp. 3028-103.
–––. Realismus und Frühe Moderne. Beispielinterpretationen und Systematisierungsversuche. Belleville, 2009.
Todorov, Tzvetan. La letteratura fantastica. Garzanti, 1985.
Turi, Giovanni. “Intervista a Michele Vaccari, editor di narrativa italiana di Chiarelettere.” Vita da editor, 24 settembre 2019, https://giovannituri.wordpress.com/2019/09/24/intervista-a-michele-vaccari-editor-di-narrativa-italiana-di-chiarelettere/.
Ulstein, Gry. “Brave new weird: Anthropocene monsters in Jeff VanderMeer’s The Southern Reach.” Concentric, vol. 43, n. 1, 2017, pp. 71-96.
VanderMeer, Ann, e Jeff VanderMeer. “Introduction.” The New Weird. Tachyon, 2008. Jeff VanderMeer’s Website, https://www.jeffvandermeer.com/2009/06/28/the-new-weird-anthology-notes-and-introduction/.
–––. “Table of Contents.” The New Weird. Tachyon, 2008. Jeff VanderMeer’s Website, https://www.jeffvandermeer.com/2011/08/30/table-of-contents-the-weird-edited-by-ann-and-jeff-vandermeer/.
–––. The Big Book of Classic Fantasy. Vintage Books, 2019.
–––. The Big Book of Modern Fantasy. Vintage Books, 2020.
Wilk, Elvia. “Toward a Theory of the New Weird. Elvia Wilk on a Feminist Understanding of Eerie Fiction.” Literary Hub, 5 August 2019, https://lithub.com/toward-a-theory-of-the-new-weird/.
Wu Ming 1. “Lo scrittore si dà all’epica.” La Repubblica, 23 aprile 2008, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/04/23/lo-scrittore-si-da-all-epica.html/.
–––. “Premessa alla versione 2.0 di New Italian Epic.” Wu Ming Foundation, 14 settembre 2008, www.wumingfoundation.com/italiano/WM1_saggio_sul_new_italian_epic.pdf.
Wünsch, Marianne. “‘Realität’ und Selbstreferentialität. Zur Abbildung des ‘realistischen’ Literatursystems in C. F. Meyers Gedicht ‘Stapfen’ (1882).” Zeitschrift für Semiotik, vol. 27, nn. 1-2, 2005, pp. 65-86.
–––. Die fantastische Literatur der frühen Moderne. Fink, 1991.
Zangrandi, Silvia. Cose dell’altro mondo. Percorsi nella letteratura fantastica italiana del Novecento. Archetipolibri, 2011.
Zinato, Emanuele (a cura di). L’estremo contemporaneo. Letteratura italiana 2000-2020. Treccani, 2020.
[1] Un protagonista può ad esempio generare un ordine e un sistema nuovo, oppure può fallire e morire – fisicamente o metaforicamente – nel tentativo, o ancora può tornare nel sistema di partenza e venire riaccettato, ma pure punito, dai suoi rappresentanti. Caratteristica dei sistemi letterari dell’Ottocento è la seconda opzione, fondata dunque su un sistema chiuso; è nel Novecento che i sistemi letterari iniziano invece ad aprirsi, alla ricerca di nuovi mondi ‘più umani’ (Titzmann, Realismus und Frühe Moderne) – si pensi all’influenza di Nietzsche sull’espressionismo tedesco (Titzmann, “Das Drama des ‘Expressionismus’”).
[2] Da La terra dell’eterna notte di William Hope Hodgson (1912) all’opera di Robert E. Howard, il padre di Conan il barbaro, da Clark Ashton Smith, in bilico tra weird, horror, fantascienza e fantasy, al cupissimo racconto “Non ho bocca e devo urlare” (1967) di Harlan Ellison, fino alle visioni nere, su sfondo fantascientifico, di Fritz Leiber e ad altri vincitori del premio Hugo: la contaminazione è stata sempre il fulcro della loro innovazione e originalità. È a suo modo esemplare anche il caso di Thomas Ligotti, che si rifà alle modalità di tre autori dell’orrore molto diversi tra loro quali Poe, Lovecraft e Aickman, così come quello di Aickman stesso e delle sue storie di fantasmi ben poco ottocentesche, racconti senza svolgimento né avvenimento alcuno (per esempio “Le spade”); pure di Lovecraft si potrebbe dire che la componente weird rappresenti solo una parte delle sue storie, dominate dall’orrore soprannaturale e dalla minaccia di un’entità cosmica e ancestrale che esacerbano la piccolezza dell’uomo. E, più di recente, la letteratura di Volodine non è soltanto (new) weird, ma anche e più propriamente fantascientifica; di nuovo, si fa riferimento non alla fantascienza ‘avventurosa’ degli anni Quaranta e Cinquanta ma a quella dagli anni Sessanta in poi, in cui filosofia e politica si mescolano alle allucinazioni psichedeliche dell’uomo solo in un mondo disastrato.
[3] Tematica che sta trovando riscontro anche nell’editoria italiana: si pensi alla pubblicazione per Einaudi di Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene (2019) di Simon L. Lewis e Mark A. Maslin, come anche alla saggistica della collana Not.
[4] Cfr. Wünsch, Die fantastische Literatur der frühen Moderne. Fondamentali in Italia i contributi sul tema di Remo Ceserani e Stefano Lazzarin.
[5] Si tratta del resto di un processo già in atto nel fantastico del secondo Novecento: «Il fantastico non si colloca più al di fuori della realtà, ma si ancora saldamente a fatti veri, si insinua in zone conosciute e quotidiane fornendo della realtà immagini deformate e straordinarie, portando così l’ignoto nel noto e nel familiare. Il fantastico del Novecento presenta un aldilà interiore, psico-patologico e inconscio, attinge dalla cultura e dalla società del suo tempo, presenta la solitudine e l’ansia dell’uomo di fronte al mondo tecnologico spesso denunciandone gli eccessi e parodizzando i costumi. […] Con il progressivo affermarsi della società di massa, l’individuo si sente in balìa di forze che non riesce a controllare, di grandi sistemi sociali, economici, burocratici la cui logica è spesso incomprensibile e assurda, disorienta e intimorisce. La percezione del reale viene messa in crisi, gli stessi progressi della scienza, anziché restringere il campo dell’ignoto, lo allargano, cancellando il confine tra reale e impossibile» (Zangrandi 9).
[6] Già in Bachtin troviamo questo primo concetto: cf. Kapchan e Strong.
[7] Anche Fisher lo suggeriva: «Concetti come weird, eerie e unheimlich hanno senza dubbio qualcosa in comune. Indicano tutti tipi diversi di sensazione, ma anche di modalità: modalità del cinema e della narrativa, della percezione, e in definitiva dell’essere, potremmo persino affermare. Nonostante ciò non costituiscono dei veri generi» (The Weird and the Eerie 9).
[8] Protagonista di Suttaterra (2017), secondo romanzo di Labbate.
[9] «La prima opera di Rivera è stata, se così possiamo dire, una conseguenza. Allo stesso tempo ha rappresentato un inizio, l’origine di qualcosa che forse un giorno qualcuno riuscirà a spiegare, ma che per il momento rimane un groviglio oscuro, una nebulosa di avvenimenti molto simile a un sogno» (Funetta 12).
[10] Nel caso del romanzo di Volodine si avverte una certa affinità con la letteratura fantascientifica che si è sviluppata dopo la fine degli anni Sessanta (cfr. Giovannini e Minicangeli 28), ossia dopo la fine del movimento hippy, riprendendo palesemente i nuovi elementi che il movimento ha innestato nell’immaginario collettivo per poi capovolgerli: il riferimento è in particolare agli effetti sensoriali delle droghe, che dagli anni Settanta in poi vengono esplorati letterariamente nelle loro potenzialità negative, capaci di rivelare i mostri interiori. Questo per sottolineare quanto i cambiamenti storici e culturali siano capaci di trasformare l’immaginario cui si rifanno gli stessi scrittori.
[11] «[…] dovremo prendere di petto anche l’altra e apparentemente opposta questione, quella del riciclo di scritture dichiaratamente di genere, costruite proprio sulla riconoscibilità dei rispettivi codici, e sulla forza degli stereotipi. Rifiuto dei generi e ritorno dei generi sono andati di pari passo nella letteratura italiana degli ultimi anni» (Simonetti, La letteratura circostante 11).
[12] Non è questa l’unica definizione a fare la sua comparsa negli ultimi anni: si rimanda, tra gli altri, al post-postmodernism (Nealon) e alla ‘condizione neomoderna’ (Mordacci).
[13] Un’esaustiva analisi dei temi e dei motivi ricorrenti nei romanzi postmoderni del secondo Novecento è quella di Stefano Ercolino nel suo Il romanzo massimalista, il quale riconosce una problematicità intrinseca al definire in modo univoco e coerente il romanzo massimalista, il cui tratto distintivo sta proprio nell’eterogeneità e nell’ecletticità della materia narrativa. Alla base vi è l’idea di un mondo cresciuto così a dismisura da esplodere e polverizzarsi, di un labirinto dove si accumula e si disperde una materia narrativa non più familiare, di un magma in cui si sono dissolti i sistemi culturali, incapaci di dare un senso unitario all’esperienza del mondo da parte dell’uomo contemporaneo. Si cerca così di imbrigliare le forze centrifughe della realtà che stiamo vivendo attraverso una delle poche forze centripete rimaste: la lingua della letteratura, che sembra ancora capace di conservare la dialettica tra caos e cosmos. Il mondo viene quindi letto come un testo che nel frammentarsi si è ipertrofizzato e ha prolificato fino all’eccesso; a leggerlo è un narratore onnisciente, dietro cui si nasconde un autore ambizioso e desideroso di dominare la materia letteraria, che si lascia trasportare dalla narrazione torrenziale per poi riemergere puntualmente come sapiente domatore. Tra gli elementi che caratterizzano questa forma di letteratura si può nominare quindi la lunghezza, la tendenza all’enciclopedismo, la coralità e polifonia di voci eterogenee, la moltiplicazione policentrica dei filoni narrativi, il ricorso reiterato e strutturale alla digressione, lo sperimentalismo stilistico, l’onniscienza del narratore, la speculazione fino alla paranoia; di rado queste caratteristiche sono tutte presenti nelle varie opere, e si declinano in modo sempre diverso a seconda dell’autore.
[14] Per una controparte cfr. Ceserani, “La maledizione degli ‘ismi’”.
[15] Nel 2020 esce inoltre L’estremo contemporaneo. Letteratura italiana 2000-2020 a cura di Emanuele Zinato, nei cui saggi le riflessioni sulla letteratura-passatempo di Simonetti e sulla letteratura estrema di Giglioli incontrano l’ipermodernità di Donnarumma.
[16] «Nelle patologie emergenti e simboliche del presente (anoressia, bulimia, crisi di panico, tossicomanie, disturbi psicosomatici) non emerge alcun rimosso e l’inconscio è fuori gioco. Sembra il ritratto di molti personaggi contemporanei e di quei narratori che descrivono il disagio senza credere al profondo e alla psicoanalisi: sono strumenti fatti apposta per leggere Easton Ellis o Coetzee, Houellebecq o Littell, Nove o Siti» (Donnarumma, “Ipermoderno”).
[17] Dipende dunque da cosa si intende con ‘realismo’, osserva giustamente Simonetti, ricordando che si tratta di una convenzione, di «“uno spazio di transizione tra universi non omogenei” come l’arte e la realtà» (Bertoni 311, cit. Simonetti, La letteratura circostante 90). Nella narrativa degli anni Zero si fa largo una necessità non tanto di realtà quanto di ‘vero’, e si ricorre a effetti di realtà di vario genere per restituire un’immagine del mondo di natura quanto più mimetica, come se si sentisse la necessità di riprodurre il modello narrativo, linguistico e ritmico della comunicazione di massa (92-93; cfr. anche Simonetti, “Il realismo dell’irrealtà”). Il realismo in effetti è sempre stato un espediente, una costruzione retorica: già nell’Ottocento lo si concepiva non come semplice descrizione capace di restituire la realtà, ma come selezione di un’immagine più ‘vera’, e quindi ideale, del mondo – operazione che genera inevitabilmente un cortocircuito semiotico (Baßler; Wünsch, ‘Realität’ und Selbstreferentialität; Ort).
[18] A una simile ricerca metanarrativa di senso rimanda, fin dal titolo, il romanzo Teorie della comprensione profonda delle cose (2019) di Alfredo Palomba per Wojtek Edizioni.
[19] Si pensi ad esempio a Il demone meridiano di Morstabilini o alla ricerca linguistica di Labbate.
[20] Se non nella frase con cui si conclude il romanzo, dove viene introdotta per la prima e ultima volta una virgola, a indicare l’apertura alla possibilità di costruire qualcosa (come spiegato dall’autore durante la presentazione del romanzo; libreria Marco Polo, Venezia, 25 gennaio 2019).
[21] Un’edizione ampliata dell’importante studio antropologico di De Martino sul concetto di ‘apocalisse culturale’ è uscita nel 2019 per Einaudi; nel 2020 il Saggiatore ha ripubblicato anche Il senso della fine di Frank Kermode, incentrato sulle apocalissi narrative, e inoltre Appunti da un’Apocalisse di Mark O’Connell, l’ultimo saggio dell’autore di Essere una macchina.
[22] «[C]i sono dimensioni, nella nostra contemporaneità, che sono distopie realizzate» (Castiglioni) afferma ad esempio Gianluca Didino, autore della postfazione a The Weird and the Eerie. Nel suo Essere senza casa Didino riconduce l’emergere esponenziale della stranezza nelle nostre quotidianità al venir meno della ‘casa’, fisica o metaforica, e all’irruzione «violenta e improvvisa di un esterno incontrollabile» (Didino 13), dovuti all’accelerazione tecnologica dell’epoca ipermoderna che stiamo vivendo – rifacendosi dunque, pure lui, a questa nozione.
[23] «Le utopie consolano: se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili, anche se il loro accesso chimerico. Le eterotopie inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i nomi comuni, perché devastano anzi tempo la ‘sintassi’ e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma anche quella meno manifesta che fa ‘tenere insieme’ (a fianco e di fronte le une alle altre) le parole e le cose. È per questo che le utopie consentono le favole e i discorsi: sono nella direzione giusta del linguaggio, nella dimensione fondamentale della fabula; le eterotopie (come quelle che troviamo tanto frequentemente in Borges) inaridiscono il discorso, bloccano le parole su se stesse, contestano, fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica; dipanano i miti e rendono sterile il lirismo delle frasi» (Foucault, Le parole e le cose 7-8).
[24] La tendenza a esplorare l’ignoto e il non ancora immaginato potrebbe sembrare una conseguenza indiretta dello stesso fenomeno osservato da Fisher, secondo cui il tardo capitalismo è stato da noi talmente interiorizzato da rendere impossibile pensare a un’alternativa (Realismo capitalista 25-26), alternativa che, portando il ragionamento all’estremo, ci si limiterebbe quindi a fantasticare attraverso le divagazioni letterarie – non fosse che le rivoluzioni e i cambiamenti epocali non sono mai nati a tavolino, ma dall’irruzione di contingenze esterne di portata superiore.