di Moira Egan (traduzione di Damiano Abeni)

 

[E’ uscito da poco Amore e morte—Poesie nuove e scelte (Edizioni Tlon, 2022) di Moira Egan, nella versione di Damiano Abeni. Pubblichiamo una scelta di testi fatta da autrice e traduttore].

 

Magia, Mito, Mostri

 

Questa è una selezione che presenta alcune delle poesie “nuove” dalla raccolta. Moira Egan, che ha studiato e insegnato l’Odissea in tante traduzioni inglesi per molti anni, si è convinta che le voci femminili del poema non vengono ascoltate. Quindi, ha scritto questa corona di sonetti, “Terapia di gruppo per i personaggi

femminili dell’Odissea”. (Ha deciso di non includere Atena perché comunque poteva fare e dire tutto quello che voleva.)

La poesia “Aracne” non era mai apparsa nemmeno in rivista, e rielabora il mito nella persona di una studentessa che vuole mostrare con orgoglio il proprio lavoro alla sua professoressa. Non è andata bene.

Infine, “De monstrorum” è una poesia del lockdown, in cui appaiono mostri e incubi sia reali che immaginari.

 

*

 

Terapia di gruppo per i personaggi femminili dell’Odissea

 

Penelope.

Insisto, ma non gli entra in zucca a quegli impiastri:

austera e ritta accanto a uno dei pilastri

(Pilates architettato da Atena) – ero io, la mia

forza, la mia arguzia, a reggere l’economia

della casa. Ho usato il fascino come richiamo

 – sia gli sguardi velati che il mio amo:

la bellezza (se pure segnata da rughe senza gioia) –

e persistevano a volermi. Ero la loro troia

domestica, e loro, zotici cinghiali infoiati,

la mera radice di ibrido, che si conferma

come radice di hybris. Seme, sperma:

i maschi al ritorno dalle guerre vengono lodati.

Ho retto la casa, al figlio non è successo niente,

ma verrò ricordata per quanto ero ammaliante.

 

*

 

Sirena.

Canto una canzone mentre smembro, ammaliante,

accurata e perigliosa. Da lestofante

più che da santa, la reputazione – ma my song!

pozione brumosa e buia, Lapsang Souchong.

Canto sommessa e sussurro un soffio [sesso]

di elemi che della morte ha il miasma e il suono stesso.

Avete legato il caparbio capitano all’albero maestro.

Non mi ascoltate, scaldate la cera. Il mio estro,

confesso, è che solo mi prestiate ascolto,

indivisa attenzione, a me rivolti, ben eretti.

Se foste compiacenti non vi sfonderei tra i flutti

la nave, l’autostima, i piani. Udire – non è molto

 – se non riuscite a imparare ad ascoltare

i vostri scheletri, i teschi spolpati, finiranno per brillare.

 

*

 

Circe.

Tu, affamato, pelle-e-ossa: ti farò brillare,

sudore e feromoni. Avvicinati: devi ascoltare.

La mia isola, seconda dimora, ti accoglie

e intendo: mai solo, ti farò da strega-moglie.

Ripeto a noia [mi chiami troia?] che ti vedo dentro

la psiche lesa, i muscoli sfibrati, il dolore tetro.

Ti offro vino e miele, cibo e sesso.

Voi, maschi, mi palpate le ragazze, rozzi, ossessi

sventati. So bene che ciò che riluce

spesso è un metallo niente affatto prezioso,

non oro, non argento. Scelgo perciò: non mi sposo.

Ti infilzerò allo spiedo, vedrò che ti copri di vesciche;

il tuo incenso: fumo di carne fragrante. Tu porco e dio,

hai sempre saputo che saresti stato mio.

 

*

 

Scilla.

Avevo sempre sperato che saresti stato mio,

chiunque tu fossi; politico, dio,

tu possente, tu così bello, tu miracolo:

sono una stronza davanti al tuo eccelso pinnacolo.

Qualsiasi favola racconti, io sono la bestia adesso,

un tempo la bella, un arnese con zanne adesso,

mostro picassiano, vagina dentata.

Ma dimmi di te, con la tua armata

di avvocati e amanti plagiate alla collusione.

Mi tratti come il minore di due mali.

Davvero vuoi che usi strumenti medievali

sul tuo bel culo, quale scontata conclusione?

Se mi fai incazzare … dai … a chi tocca tocca.

E caro signore e padrone, attento alla mia bocca.

 

*

 

Cariddi.

La bruma. Il rimasticato. Occhio alla mia bocca:

         (Risucchio. Conato. Poi vomito che scocca.)

Ha una gran fifa chi sgattaiola nel mio stretto.

         (Mi affliggo assai per il mio peso imperfetto.)

Assaggio, mastico, ingoio, poi mi spurgo.

È violento, vorticoso, ciò che mi urge

         [sentirsi snella è il sapore migliore al mondo]

quindi ti accolgo in me, nuoti e vai a fondo.

Oh, tanto tempo fa, dicevano: Una bella faccia

         [controllo, l’acqua si srotola, antica,

          il catino contiene ciò che si magnifica]

almeno quella ce l’hai, cara. Colpo di grazia.

La dea Bellezza l’animo mi ha mietuto.

Credimi, da un polo all’altro ti voglio sbattuto.

 

*

 

Nausicaa.

L’ho portato via dalla spiaggia. L’ho dovuto

trascinare, spossato, assetato, folle di sole, imbevuto

di sale marino e nostalgia. Quando si è svegliato

ha detto due parole, un nome, poi ha strozzato

le lacrime. Che era un gioco lo dovevo capire –

anzi, no – più una strategia per asserire

la sua presenza con me. Poi mi ha preso per mano

e mi ha guardato negli occhi – nessun essere umano

ha mai visto, lo giuro, in me tanto intimamente.

Non aveva vestiti. Una mia tunica gli ho dato.

L’ho massaggiato con l’olio, l’ho pettinato.

Odorava di incenso e ginepro sotto il sole ardente.

Ridevamo, discorrevamo. Gli mancava la sua isola.

Mi augurò di non restare mai sola.

 

*

 

Euriclea.

Certi giorni vorrei abitare altrove, da sola.

Mi piange il cuore quando ogni sera lei cola

gemiti, e non si sa se è pianto o sogno,

con gli uomini dabbasso che forse l’hanno in pugno,

sopraffacendola contro la sua volontà.

Non ho quasi mai dormito la notte, fino a poco fa,

quando l’ho udito là fuori, ho capito che era qua

(ma sono anziana, invisibile!, la mia età

mi rende silenziosa). Così quando è tornato –

ha scalciato il bacile, mi ha quasi strangolato

lì sui due piedi. Ho farfugliato, gracchiato –

Ti conosco meglio di chiunque. Ho imparato,

non è mai bianca o nera la storia dei disastri.

Insisto, ma non gli entra in zucca a quegli impiastri:

 

*

 

Aracne

                                                           un triolet sbagliato

                                            per una professoressa malvagia

 

                                   Non fare incazzare la dea

dicevano tutti, ma ero naïve.

Facevo davvero la brava, sapete? – non ero immodesta –

                           ma non fate cazzate con la dea.

 

Vista come hybris, estro-esame di volontà, cosa strana

davvero: io amavo soltanto, sì, vivevo per, tessere.

Volevo vedesse cosa avevo intessuto.

 

                                   Ho fatto incazzare la dea.
E impigliata in questa trama minuta, me ne dolgo.

 

*

 

De monstrorum

 

E poi mi dice
che durante l’isolamento

l’inconscio le ribolliva
come i pozzi di catrame a La Brea,

scene ri-ricordate
segreti mai nemmeno a me rivelati

perché troppo oscuri e orribili,

odore rancido di zucchero e sesso.

 

Gli ex ora si scambiano
SMS, secondo il «New York

Times». A volte penso a questo
o quello. Dove sta adesso?,
mi chiedo, distante.
Ma niente messaggi. La scorsa notte

ho sognato che una ragazza
con i dreadlock rosa e una medusa

tatuata sul cranio
era venuta ad abbracciarmi.
E io ho distolto la faccia.
È diventato virale, ho urlato
nel sogno. Cosa intendevo?

Medusa era l’unica
Gorgone mortale. Non provarci nemmeno

a guardarla negli occhi.

 

*

 

Group Therapy for the Female Characters of The Odyssey

 

Penelope.

I tell them, though they never get it right:

I stood beside that pillar, my full height

(Athena-wrought Pilates) — it was me,

my strength and cunning was the husbandry

that kept our house erect. I used my looks

—I mean both: glances, veilèd, and my hook:

my beauty (if a little wrinkled now)—

but still they wanted me. I was their sow,

domestic; they, the rustic rutting boars

the very root of hybrid, it would seem,

the root also of hubris. Semen, seme:

the men are praised for coming back from wars.

I held our house together, son unharmed,

and I will be remembered for my charms.

 

*

 

Siren.

I sing a song, dismembering, a charm

both dangerous and diligent. More harm

than good, my reputation — but my song:

a dark and smoky brew, Lapsang Souchong.

I softly croon and whisper [sex] a breath

of elemi that sounds and smells like death.

You’ve tied your stubborn captain to the mast.

You turn away, you warm the wax — Avast!

What if I said I only want your ear,

your full attention, turned toward me, erect.

If you could just oblige I wouldn’t wreck

your ship, your self-esteem, your plans. To hear—

it’s not the same — if you can’t learn to listen,

your bird-pecked skeleton and skull will glisten.

 

*

 

Circe.

You, peckish, skin-and-bones: I’ll have you glisten-

ing, sweat and pheromones. Come closer: listen.

My island welcomes you, a second home,

by which I mean, you’ll never be alone.

By witch — [you call me bitch?] — I see through you,

your pains, your muscles strained, your psyche bruised.

I offer wine and honey, sex and food.

You, men, you grab my girls, you’re rough and rude

and you have no idea. I know what glisters

is all too often not a precious metal,

not silver, gold. I opt, then, not to settle.

I’ll put you on the spit, and watch you blister,

your incense: fragrant meaty smoke. You swine,

you always knew you’d turn out to be mine.

 

*

 

Scylla.

I’d always hoped you’d turn out to be mine,

you powerful, you handsome, you so fine—

whoever you were: politician, god:

to your high pinnacle I’m just a sod.

Whatever tale you tell, I’m now the beast,

the once-a-beauty, now the thing with teeth,

Picasso-monster, vagina dentata.

So what about you, with your armada

of lawyers, lovers tricked into collusion?

You treat me as the lesser of two evils.

You really want me to go all medieval

on your fine ass, like some foregone conclusion?

You mess with me, it’s all gonna go south.

And mister, master, better watch my mouth.

 

*

 

Charybdis.

The mist. The masticated. Watch my mouth:

         (I suck it in. I retch. I spit it out.)

They worry when they scuttle through my straits.

         (I worry terribly about my weight.)

I taste, I chew, I swallow, then I purge.

It’s violent, it’s swirly, it’s my urge

         [there’s nothing tastes as good as being thin]

and so I let you at me, sink and swim.

Oh, long ago, they said, A pretty face—

         [control, the water scrolls,

          the basin holds what they extol]

at least you have that, darling. Coup de grâce.

The goddess Beauty scratches at my soul.

I’ll heave you, believe me, from pole to pole.

 

*

 

Nausicaa.

I heaved him from the beach. I had to pull

him in, exhausted, thirsty, sun-mad, full

of sea-salt and nostalgia. When he woke

he said some words, a name, and then he choked

his tears back. I could see it was a game —

no—more a strategy, a way to claim

his presence with me. Then he took my hand

and looked into my eyes —I swear no man

has ever looked so deeply in me since.

He had no clothes. I gave him mine to wear.

I rubbed his skin with oil, I combed his hair.

He smelled of sun-baked juniper and incense.

We laughed and talked. He said he missed his home.

He wished for me I’d never be alone.

 

*

 

Eurykleia.

Some days, I wished I’d had a different home.

It hurt my heart when every night she’d moan,

no way to know, she’s crying or a dream

had taken her, the men downstairs who seemed

to overpower her despite her will.

I hardly slept at night at all until

I felt him out there, I knew he was near

(but I am old, invisible, my years,

they make me silent). So when he returned —

he nearly kicked my bucket, nearly choked

me right there on the spot. I sputtered, croaked—

I know you more than anyone. I’ve learned

the story isn’t ever black or white.

I tell them, though they never get it right:

 

*

 

ARACHNE

                                               a fucked-up triolet

                                               for a very mean professor

 

                        Don’t fuck with the goddess

they all said, but I was naïve.

I was really good, y’know? — not being immodest —

                  but don’t fuck with a goddess.

 

Perceived as hubris, an estro-test of wills, it’s the oddest

thing: I simply loved — yes, lived — to weave.

I wanted her to see what I’d achieved.

 

I fucked with the goddess.

And tangled in this tiny web, I grieve.

 

*

 

de monstrorum

 

And then she tells me

that during isolation

her unconscious has been

bubbling up, La Brea tar pits,

scenes re-remembered,

secrets she didn’t tell me

because too dark and awful,

rank smell of sugar and sex.

 

Exes are texting,

according to The New York

Times. Sometimes I think of this

one or that. Where is he now?

I wonder, distant.

But no texts. Last night I dreamed

that a girl with pink dreadlocks

and a medusa

 

tattoo on her skull

came up to me and hugged me.

And I averted my face.

It’s gone viral, I shouted

in the dream. What did I mean?

Medusa was the only

mortal gorgon. Don’t even

try to look her in the eyes.

 

[Le versioni in inglese di “Group Therapy” è stata pubblicata in Ergon: Greek Arts & Letters. “De monstrorum” è apparsa per la prima volta in WRITE WHERE WE ARE NOW, Manchester Metropolitan University, UK.]

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