di Gian Marco Griffi

 

[Il 26 maggio arriverà in libreria Ferrovie del Messico, terzo libro e primo romanzo di Gian Marco Griffi, per Laurana Editore, con una postfazione di Marco Drago, nella collana fremen curata da Giulio Mozzi. Il libro sarà già disponibile in anteprima al Salone del Libro di Torino presso lo stand dell’editore. Il romanzo, ambientato nel febbraio del 1944 (ma con più di qualche escursione nell’America latina degli anni Venti e Trenta), racconta l’avventura di Cesco Magetti, milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria inquadrato nella Stazione di Asti, che riceve l’ordine di compilare una mappa delle ferrovie del Messico. Nell’estratto, che pubblichiamo per gentile concessione dell’editore, viene presentato il personaggio di Gustavo Adolfo Baz, autore del volume Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México, alla ricerca del quale Cesco vagabonda dalla Biblioteca civica al Cimitero di San Rocco, dal Dopolavoro ferroviario alla residenza del conte Cesare Cocchi Renani degli Obertenghi.]

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Gustavo ci propose di raggiungerlo in Messico. Il lavoro in Nicaragua era finito e non avevamo mai avuto tanti soldi in tasca, così decidemmo di partire. Dopo qualche peripezia che non sto a raccontare arrivammo in Messico. Ci attendeva alla Stazione di San Cristóbal con un sigaro in bocca e il solito vestito di lino color panna buono per un banchetto nuziale. Era un bravo cristo, Gustavo, e anche esplicito, uno di quelli che ti guardano in faccia per comunicarti che pregare un dio è un’imperdonabile perdita di tempo. Raccontò che suo padre era un cristero, e che sua madre nutriva una devozione quasi ignobile e certamente sconsiderata per la vergine di Guadalupe, mentre lui, dopo aver subito anni quelle balle superstiziose (che aveva tollerato per l’amore nei confronti di sua madre, oltre che per la convinzione che ciascuno sia libero di credere in ciò che vuole) credeva soltanto nell’essere umano e nella sua capacità di migliorare il mondo. E uno dei modi a disposizione dell’uomo per migliorare il mondo, ripeteva, era la ferrovia. Così aveva intrapreso il folle progetto di viaggiare lungo l’intera tratta ferroviaria messicana e raccontarne le peculiarità agli alunni delle scuole elementari. Flora, fauna, popolazione e poesia. Prendemmo centocinquanta treni in due settimane. E quando dico treni, scordatevi i treni cui siete abituati, quelli con le carrozze per i passeggeri. Erano treni merci coi carri scoperti, al massimo tiravano una carrozza con due dozzine di posti suddivisi su otto panche. Le panche non sto neanche a descriverle. Dopo tre giorni avevo il culo a pezzi. Ma i paesaggi toglievano il fiato e la gente ci accoglieva come fossimo profeti. Ricordo questa scuola di Ocotlán, un giorno col sole a picco che friggeva le uova crude nelle padelle; ci servirono una colazione con chilaquile e rum in un patio, poi il maestro suonò un campanaccio e i bambini sciamarono all’ombra dell’albero nel cortile dove Gustavo aveva preparato una bacheca colma di immagini, mappe, fotografie. Sedettero sull’erba, e Gustavo cominciò a raccontare. Vorrei ricordare anche solo un quarto dei suoi racconti fantastici e pittoreschi, poetici e immaginifici. C’era una bambina che quando Gustavo terminò il racconto, dopo un’ora di parole, si avvicinò e disse: raccontamelo ancora. E Gustavo glielo raccontò ancora. Quando Gustavo terminò, la bambina sorrise e gli disse: raccontamelo ancora. E Gustavo si diede una ripulita ai vestiti, si inginocchiò, le prese una mano e glielo raccontò ancora. La sera a cena ci svelò che in quella terra fiorivano miracoli con le gambe e le braccia, bambine coi vestiti lisi e un’intelligenza pura, e quei miracoli avevano nomi come Lupe, Josefina, Flor, Soledad e Teodora. Quando ti ritrovi faccia a faccia con uno di quei miracoli, disse Gustavo, non puoi fare altro che assecondare la loro fame di immaginazione e sogno. Il mattino dopo partimmo per l’altopiano centrale e Soledad ci attendeva alla stazione; era bella e fragile come un cielo di notte quando il cielo è una garza scura sulla quale esplodono tutte le stelle dell’emisfero boreale. Si avvicinò con tre fiori di cempasúchil e ce ne donò uno a testa. Gustavo annusò la corolla, la guardò con occhi benevoli; lei gli chiese di raccontare ancora delle ferrovie del Messico, e lui, benché il treno fischiasse sul binario, benché il vento caldo spazzasse la sabbia negli occhi, le si avvicinò e cominciò a raccontare ancora.

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O narrami ancora dei cempasúchil che fioriscono a ottobre sul bordo delle rotaie tra Uruapan e Morelia, delle palme ondeggianti sulle pianure di sabbia che spezzano i prati tra Veracruz e Jalapa, delle piante succulente tra Boca del Monte e il burrone di Chichiquila dove il chubasco sferza i prismi basaltici e volteggiano le gracule codalunga; descrivimi ancora il binario inerpicato sui declivi del picco d’Orizaba, fino al suo cono di neve perenne, che trema al passaggio dei vagoni tra i mormorii delle foreste; narrami ancora dell’amore illecito tra Citlaltépetl e Iztaccíhuatl consumato su una nube arrossita, e sussurrami l’orrore della vendetta, il rumore della morte, il grido ammutolito delle donne uccise sui binari tra Hermosillo e Nogales, il pianto dei bambini perduti tra le pietre bianche della stazione di Torreón, i tabernacoli bruciati lungo i binari tra Manzanillo e Puerto Vallarta; […] narrami ancora dei bambini che rincorrono a piedi nudi sulla sabbia una locomotiva a Camargo e di quelli che fantasticano un viaggio da Oaxaca ad Acapulco per pigliarsi tutto il profumo dell’oceano; raccontami del treno che fischia sul ponte del Chiquihuite e pare una libellula sul pelo dell’acqua, delle chiesette nascoste dalla vegetazione dove i cristeros attendevano il clangore del treno per cantare le lodi al Salvatore, del pueblo di San Miguel Chapultepec e del castello che incorona la sua rocca, delle mille rivoluzioni geologiche generate dagli sconvolgimenti vulcanici.

La bambina si fermò per prendere fiato. Bevve un sorso d’acqua marrone da una brocca sbeccucciata. Quando incrociò lo sguardo di Gustavo le si arrossirono le guance come guajillos appena raccolti. Bevve un altro sorso, poi riprese. Narrami ancora di quella bambina che vende cempasúchil per cinquanta centavos alla fermata di Guadalupe de las Corrientes, smarrita sotto il cielo più terso e azzurro che uomo abbia mai conosciuto, e del passeggero che li comperò tutti per lenire le proprie pene d’amore; narrami delle piantagioni di caffè, dei sentieri ricoperti di corolle gialle e rosse e dei profumi di aranci, ceiba e limoni, della vecchia cieca che annuncia il futuro seduta su un ciocco di platano tra Apizaco e Puebla, rivolta al cuore dell’Infiernillo; narrami ancora dei muri di Viesca che sanguinano al crepuscolo per i giovani fucilati, e del viaggio di Miguel Hidalgo verso l’esecuzione, della sua testa esposta in un granaio a Guanajuato, delle aquile azteche e della parola libertà in altorilievo sulle case di adobe a Boquillas che un’anziana spolvera tre volte al giorno con uno straccio umido; raccontami dei cimiteri sconfinati sorti su antiche stazioni tra Dolores Hidalgo e Mineral de Pozos dove le anime dei passeggeri si incontrano per un rum prima di svanire nel nulla, delle distese di yucca che abbracciano i binari fino a Saltillo, della violenza dei torrenti quando la pioggia li nutre come bestie feroci e della giovenca di Josefina, trascinata con gli zoccoli all’aria fino al lago di Texcoco; […] e infine raccontami di un giovane viaggiatore perduto tra cieli e deserti, tra foreste e montagne, narratore delle inesauribili liriche del nostro amato Messico.

Sorrise e abbassò gli occhi schivi, poi prese a dondolare una gamba facendo perno sulla punta del piede. Gustavo Baz diede una spolverata al panama, stirò con una mano la camicia azzurra di lino. Un mezzo sorriso compiaciuto gli rallegrò il viso. Si sistemò in ginocchio difronte alla bambina, le prese una mano e, guardandola dritta negli occhi, cominciò a raccontare tutto daccapo.

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