di Paola Giacomoni
È possibile leggere la guerra oggi in corso da un punto di vista che va oltre le singole vicende belliche e ha a che fare con un cambiamento di prospettiva spaziale, che gioca un ruolo decisivo in tutta la vicenda. Molti hanno osservato che l’aggressione russa in Ucraina appare, soprattutto per noi europei, quasi incomprensibile: una guerra imperialista novecentesca che contrasta con il nostro mondo in comunicazione continua, in cui sono superati i confini terrestri tradizionali, apparentemente svalorizzati. La nostra vita quotidiana, dalla circolazione delle persone a quella delle merci e delle informazioni, ci consegna ad appartenenze molteplici, che forniscono un senso al mondo non più legato ai valori di singole comunità o di singole identità. È impossibile, anche volendolo, districare dai molteplici rapporti possibili sul globo la fedeltà esclusiva a una sola comunità.
Un mutamento di paradigma epocale, legato alla dimensione spaziale e al suo valore orientativo, viene oggi rimesso in discussione. Carl Schmitt sosteneva – in Terra e mare [1942] Adelphi, Milano, 2002 – che ogni rivoluzione spaziale porta con sé un deciso mutamento di prospettiva sul mondo. La terra è stata il nostro orizzonte originario: i Greci la consideravano la divinità più antica, Gaia, la grande madre da cui tutto si origina e che costituisce lo stabile fondamento di ogni vita. La base del suo ordinamento è la delimitazione spaziale, l’idea della spartizione della superficie terrestre e del confine, entro i limiti del quale è definibile un consorzio civile ordinato– un “dentro” buono – contrapposto a un “fuori” caotico, da respingere. Ogni volta che il punto di vista spaziale muta, cambia anche la nostra prospettiva vitale: si amplia o si restringe anche il nostro modo di stare al mondo, trasforma il nostro modo di muoverci tra le culture, favorisce o sfavorisce la possibile lealtà a una comunità. La conquista di nuovi spazi – come in passato la scoperta del Nuovo Mondo – cambia anche l’insieme dei valori che orientano la vita umana.
Anche il mare fa parte degli elementi originari, ma dalla prospettiva della stabilità si passa a quella del dinamismo del viaggio e del commercio, che comporta amore per le novità e propensione al rischio, del tutto esclusi dall’idea di stabilità e saldezza dell’ordinamento terrestre. Non solo, anche le trasformazioni della tecnica giocano un ruolo decisivo. Come la nave a vela e non più a remi ha cambiato il modo di navigare ampliando l’orizzonte dalla navigazione costiera a quella oceanica nei secoli scorsi, così, in tempi più vicini a noi, i viaggi aerei, la conquista dello spazio e più di recente l’informatica consentono di pensare la terra non più come suolo fidato e come salda base del nostro vivere, ma come pianeta. Come chiarisce lo splendido libro di Matteo Vegetti, L’invenzione del globo (Einaudi, Torino, 2017), la terra può essere percepita come luogo di appartenenza in uno scenario molto più ampio, che va oltre la storia delle diverse nazioni, inserito in una dimensione spaziale infinita, che ci emancipa dalla terrestrità come da una prigione. I conflitti tra popoli e culture appaiono in un orizzonte molto più vasto e sfumano nella loro nettezza e nella loro contrapposizione storica, favorendo invece un approccio cosmopolita e universalista. L’elevazione sopra la terra in ciò implicita induce inoltre uno slittamento metafisico, ha osservato Peter Sloterdijk (Sfere II, Globi, Cortina, Milano, 2014): la sua ampiezza sostituisce e supera quanto immaginato o sollecitato dalla stessa trascendenza cristiana.
Come accadde dopo la prima rivoluzione industriale inglese, quando i romantici sentirono il bisogno di un ritorno alla natura, il mutamento delle coordinate spaziali nel Novecento generò per contrasto anche la nostalgia di ciò che era andato perduto. Davamo per scontata la terra che stava sotto i nostri piedi e costituiva la base del nostro vivere, ma essa era impossibile da percepire nella sua interezza, prima della sua visione dallo spazio. Considerare la terra come pianeta implica l’attenuazione del suo valore materno di custodia e di protezione e la proietta nella dimensione cosmica, dove corre anche il rischio di apparire un punto insignificante nell’universo infinito. Il quadro non è tutto al positivo nemmeno nelle sue conseguenze sociali: nonostante il prevalere di un punto di vista universalista che svalorizza i limiti e i confini, nel mondo globale i diversi modi di vita possono oggi confrontarsi direttamente attraverso i social media, le distanze fisiche si assottigliano. La prossimità virtuale acutizza la lontananza reale: le disuguaglianze diventano più visibili nel confronto con altri modi di vita, non sono più sentite come “naturali” e quindi in qualche modo accettabili, ma appaiono come risultati della storia contingente di quel singolo popolo e non dell’umanità intera; sono quindi avvertite spesso come intollerabili. Per questo le prime censure in Russia nella guerra di oggi sono state nel mondo delle comunicazioni. Solo impedendo il confronto le ingiustizie possono essere ancora sopportabili. Il mondo globale quindi è anche un mondo conflittuale: il cosmopolitismo e la connessione globale sono solo una faccia del processo.
Anche la guerra è cambiata: la cornice bellica terrestre era definita dalla vicinanza fisica, dall’incontro/scontro degli avversari nello spazio e nel tempo, dal corpo a corpo diretto. È stato così per secoli, ma molto è irreversibilmente cambiato con l’aviazione, con i droni, con le telecomunicazioni e quindi con Internet. Oggi appare una storia dimenticabile, dopo il declino e poi il crollo del regime comunista, ma l’allora Unione Sovietica è stata storicamente pioniera nelle conquiste spaziali degli anni Cinquanta e Sessanta, essenziali per il cambiamento di prospettiva sulla terra come pianeta, reso evidente poi dalle prime foto dallo spazio. L’URSS ha contribuito con alcuni importanti e forse inaspettati primati a questa innovazione straordinaria che cambiò in modo essenziale la percezione della terra con il lancio del primo satellite, lo Sputnik del 1957 e poi con il volo di Jurij Gagarin, il primo uomo nello spazio del 1961.
La Russia di oggi sembra scollegata anche da questi brevi momenti di gloria, disconoscendo quindi persino i suoi meriti storici, per ricollegarsi sconsideratamente al prestigio imperiale zarista, la cui eredità non può davvero ispirare molti oggi (anche perché la grandiosità della letteratura russa dell’Ottocento non è questo che rappresenta). Putin il 9 maggio ha parlato, in un lessico esplicitamente conservatore o forse reazionario, dei valori religiosi tradizionali, dell’appartenenza alla terra (anche quella del Donbass: la «nostra terra»), della fedeltà alle radici e alla patria. Non delle conquiste della scienza. Il ritorno del rimosso incombe. Questa guerra, dal punto di vista di chi l’ha scatenata, rimette in valore i confini terrestri come simboli che si intendono ancora vivi ed essenziali nella storia dei popoli, come fonti di antiche fedeltà. La messa in discussione del loro assetto attuale, rivendicando antiche appartenenze, rivela un approccio fuori da ogni plausibilità storica, da ogni pregnanza di valore. Non riconoscibile come legittimo motivo di apertura di un conflitto, non giustificabile e nemmeno comprensibile sullo sfondo di presunte minacce Nato.
Con Putin si torna a dare valore all’antico nomos della terra, all’idea della spartizione del territorio, dei confini e delle delimitazioni terrestri, che sembravano invece ampiamente superati. La Russia si sente addirittura minacciata nella sua enorme estensione da forze terrestri, che vengono accusate, anche nel discorso del 9 maggio, di pregiudicare la sua stessa sovranità territoriale. È vero che quel grande paese non è difeso da confini naturali e che per questo da sempre teme invasioni e riduzioni di sovranità: la decisione di attaccare per primi l’Ucraina viene ribadita ancora una volta come risposta a una presunta minaccia all’integrità territoriale russa. Nella sproporzione del confronto e nell’estremismo delle idee è evidente tuttavia che si tratta di un argomento da paranoici, come hanno notato in molti, legato infatti a una delirante teoria del complotto internazionale contro la Madre Russia. La narrazione della patria accerchiata risale a un’epoca molto lontana dalla nostra, e oblia persino la storia del secondo Novecento. Per questo, comunque vada questa guerra, non ha futuro.
[Immagine: Statua della Madre Russia, Volgograd].
Finalmente un pezzo ragionevole, che coglie bene l’ideologia imperiale, paranoica e fascisteggiante del Russkij Mir alla base di questo barbaro conflittp. In Italia, anche chi lavora nel mondo della ricerca e dell’univeristà legge poco le fonti (in questo caso Dugin, Surkov, Sergeitsev, lo stesso Putin) e non tiene conto dei numerosi esperti di Russia, Ucraina e Urss che pur sono attivi nel paese: Savino, Bellezza, Cella, il bravissimo storico Graziosi, Orlandi, Yarina Grusha Possamai. Non parliamo poi di studiosi che operano all’estero, come OBrien o Matveev. Anche molti degli autori che hanno scritto su LPLC, li ho visti più interessati alle polemichette da social e alla geopolitica reazionaria (da bar) promossa da Caracciolo & Co: tutto un tripudio metafisico di spazi vitali schmittiani , stati cuscinetto, interessi imperiali, politica di potenza spacciati come realismo buono per i pensatori critici. Nulla sulla storia dell’Ucraina., della Russia, dell’Urss. Zero conoscenza delle relazioni internazionali, degli studi strategici , di security policy, degli scenari macroeconomici dietro le politiche estere della Russia. Solo realismo offensivo, discorsi nulli sull’etica della guerra e della pace. Un trionfo di pregiudizi social basati sui meme degli “ucronazisti”, dell’espansione della Nato, delle ragioni di Putin.
Un dibattito basato su opinioni, non fatti, spesso modellate dalla propaganda russa, che in Italia è pervasiva in maniera impressionante.
Lo scritto di Giacomoni ha almeno il merito di svelare che questa prospettiva schmittiana così “cool” in Italia, profondamente ideologica e scientificamente infondata, fa solo il gioco delle elites politiche e militari russe, Queste infatti hanno tutto l’interesse a screditare il ruolo fondamentale del diritto internazionale che l’Urss aveva contribuito a cementare dopo la seconda guerra mondiale, per tornare a un’idea di politica di potenza ottocentesca, antidemocratica, e oppressiva.
Putin, negando tempo e spazio vuole imporci (a noi occidentali) un cambio di civiltà. Contro la nostra, democratica e anche un po in crisi, quella zarista assolutista. Lui non vuole ovviamente che i suoi “cittadini russi” pensino con le loro teste. Naturalmente perchè la sua grande battaglia contro l’occidente abbia successo bisognerebbe che pure i cittadini europei rinunciassero alla loro capacità di pensare. Si tratta di una lotta di civiltà nella quale noi cittadini europei dobbiamo riuscire a mettere in campo tutta la nostra capacità di pensare in grande per elevare il livello della visione del mondo. Una visione del mondo che comprenda anche il pensiero economico. Povertà e disuguaglianza devono essere sconfitte nelle nostre nazioni e nella stessa Russia. Per far questo bisogna rendere meno appetibile l’industria degli armamenti che sono un terreno allettante per la conclamata amicizia tra due grandi ricchi come Putin e Berlusconi. Quindi è’ ineluttabile la scelta della diplomazia e della pace anche come confronto tra popoli che devono ridiventare amici.
SEGNALAZIONE
Ragionamenti sulla guerra in Ucraina
Undici considerazioni di Brunello Mantelli e una Lettera all’autore di Ennio Abate
http://www.poliscritture.it/2022/05/22/ragionamenti-sulla-guerra-in-ucraina/
Ovviamente anche l’argomento guerra provoca una marea di commenti, interpretazioni, ecc. ma a sintesi c’ė la paura dei conservatori religiosi ipocriti di essere ‘contaminati’ dal progresso ‘civile’ europeo.
Un articolo a mio avviso scritto bene, con riflessioni condivisibili intorno alle teorie schmittiane e alla loro influenza. Ha suscitato in me riflessioni e dubbi e – sulla scorta di questi – mi ha ispirato un post, che si può intendere anche come un lungo commento di risposta. Di seguito il link:
https://aureaperplexitas.wordpress.com/2022/05/24/i-confini-la-guerra-il-tempo-ulteriori-riflessioni-a-partire-dal-conflitto-in-ucraina/
È vero il contrario. Fino al 2009 i diritti LGBT, per fare proprio l’esempio più classico, hanno continuato ad avanzare in Russia fino a permettere l’adozione a coppie lesbiche non ancora permessa in molti paesi occidentali. Certo, se poi arruoli Georgia e Ucraina, oltre a usare Femen (un gruppo di donne manipolate da uomini, drogate, probabilmente stuprate ma da noi spacciate come femministe) e similia come arma geopolitica, non stupirti se i russi vanno a caercarsi un’altra ideologia.
È noto tra parentesi che l’Ucraina combatte al grido di viva la scienza, viva la letteratura. O forse parlano di difendere la loro TERRA ?
Il problema non è la Russia in sé, ma il cialtronismo che caratterizza la società mondiale tout court, e in modo particolare le sue classi dirigenti. Gli USA da almeno una ventina d’anni fanno ciò che fa Valodia Putin ma sono in grado di imbellettarlo meglio, tirandoci dentro la retorica democratica e femminista che funzionano sempre. Siamo nelle mani di personaggi che potrebbero forse condurre uno dei tanti talent show televisivi o parteciparvi, ma che dovrebbero rimanere lontanissimi dai posti di potere.
La guerra in Ucraina non chiama in causa solo le responsabilità di Putin, che, come giustamente affermato nell’articolo, sembra il peggior relitto della Guerra Fredda, incapace di estrapolare da quegli anni ciò che di buono hanno prodotto, se non dello zarismo, ma anche il cinismo rivoltante di Biden e delle sue accolite femministe, la nullità della UE, con in prima fila l’automa eterodiretto Draghi, e ovviamente la solita ONU, oramai utile solo a quell’apparato di nullafacenti che ci bazzicano.
D’altronde la miseria della politica è il portato della miseria intellettuale e morale che pervade la società globale. Fino a quando non capiremo che negli ultimi trent’anni abbiamo imboccato una strada sbagliata, vanificando quello che anche di buono era stato fatto fino alla caduta del Muro, andrà sempre peggio. E’ la visione stoltamente progressiva della storia a fregarci.
In soldini, si vivrà meglio in Russia, Cina, Nicaragua, Egitto ecc. o nella EU?
Semplificando: la democrazia (liberale) è il peggiore dei sistemi politici, tranne tutti gli gli altri.
Sempre semplificando : sembra che così la pensino anche gli alcuni milioni di profughi ucraini, che sono fuggiti verso ovest.