di Gabriel Del Sarto

 

[Esce in questi giorni per L’arcolaio Sonetti bianchi, il nuovo libro di Gabriel Del Sarto. Pubblichiamo alcune poesie].

 

In sala d’attesa riesci a ingannare il tempo solo facendoti del male: vai al distributore automatico del caffè, ne assapori l’acidità, accartocci poi velocemente il bicchierino e consulti qualche sito di informazione medico-scientifica, dove leggi che i risultati delle analisi del sangue vengono confrontati con le in- formazioni date dalla translucenza nucale e con altre variabili. È dalla combinazione di questi dati che si arriva a individuare i feti a rischio di anomalie cromosomiche. Ti accanisci, cerchi di capire e, soprattutto, memorizzare più dettagli possibile. Fai una pausa e poi decidi di continuare. La parte ecografica dello screening, ora memorizzi, consiste nell’esecuzione di una serie di misurazioni: lunghezza del feto, frequenza cardiaca fetale, spessore della translucenza nucale, valutazione della presenza dell’osso nasale. Grazie all’esame ecografico, inoltre, è possibile studiare tutte le eventuali alterazioni morfologiche individuabili nel primo trimestre, che possono essere mandatarie di anomalie cromosomiche o genetiche.

Oppure pensi che in fondo è solo uno degli esami di rito. Accompagni tua moglie. Entri discreto nell’ambulatorio e resti nell’ombra.

 

***

 

Il fiume è molto grande e nessuno

può conoscerlo. Ognuno accoglie

il lembo di terra e di delta, l’ansa,

che può afferrare. Solo le madri

hanno un limite sconosciuto, mani

porose per farsi attraversare

dai figli, dalle correnti enormi

dei cieli, venti cosmici come acque,

occhi fissati nei destini, voci

infine queste voci argentine,

che possiamo soltanto riverire.

Le madri e il fiume. E poi un orizzonte

che non vedremo, oltre le paludi

che ci animano, come oche selvatiche.

 

***

 

Un cielo che guarda la verità

di una casa, il sole invariato, il taglio

dipinto dalla luce nell’ingresso

di un’estate. I giardini inglesi

sono pigri e voi, ripetutamente

cari, esercitati in lunghi pensieri,

dove mai andrete? La letteratura

è solo una personale ricerca

dello sguardo con cui guardarvi, figli,

della luce lunga pensata sulla

pietra della casa, l’evocazione

infine di me stesso, convocato

nel disagio di essere vivo – e voi

sui crinali, che siete questa età.

 

***

 

L’ospedale è nuovo. Mi piacciono le sue architetture, i suoi volumi, i corridoi larghi e ben riscaldati, i colori caldi degli interni, i giardini pensili o il bar interno così ricco e accogliente che ci berrei anche l’aperitivo, questo venerdì. Nel vecchio ospedale ero sempre agitato, in ansia. Qua no. Recitare, si sa, non è fingere.

Conosco la strada più breve per raggiungere la tua stanza. Evito le altre corsie, prendo un ascensore, seguo la linea gialla del corridoio, penso solo di sfuggita alle altre vite confinate in questo luogo.

Si fa sera, il travaglio dura da ore infinite, qualcosa sembra non funzionare. Quel medico che somministra il farmaco sbagliato, le contrazioni che rallentano, le ostetriche giovani che ti guardano sperando tu non colga il loro smarrimento. È chiaro, qualcosa non va, il tempo passa, è ormai notte.

Quel senso di impotenza si stamperà nella mia memoria. Forse potrà servirmi, o forse sarà stato solo un terrore inutile. Fuori, anche se siamo a fine luglio, è piovuto ogni tanto sul giardino del secondo piano, durante il pomeriggio.

 

***

 

Dobbiamo essere freddi con gli altri

se vogliamo tenere il canto fermo

e continuo. Prima di dire addio

ho anche altri consigli, altre memorie

e futuri, qualche storia sensata

da raccontare, piccoli erbari

da mostrarti per salvare l’amore

di tutto. Un tempo condensato in niente,

goccia dopo goccia, lente molecole

di un Dio smemorato e folle, che cadono

nelle case come nei boschi, pari

alle nubi trascorrenti e alle stelle

sconosciute. Pari a te, questa notte,

che dormi trasparente nel mio abbraccio.

 

***

 

Lo stormo, il flusso nelle forme fredde

che ci chiudono, i punti di luce

nel cielo di notte: dovremmo ogni

giorno pensare alle galassie, ai gas

fra le rocce, l’unione delle coppie

dentro la malinconia dei gameti,

umidi in qualche alba. Come arbusti

marini, caro figlio mio, ignoriamo

le silenziose sinfonie stellari

che ci plasmano, grandiose e lontane,

duplicando cromosomi sul niente

del più piccolo autosoma che segna

te e me, che siamo svegli siamo vivi

e verdi, in una sfera che germoglia.

 

 

[Immagine: Robert Rauschenberg, White Painting (seven panels)].

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