di Italo Testa
[È da poco uscito per Carocci Teoria della letteratura. Campi, problemi, strumenti, a cura di Laura Neri e Giuseppe Carrara. Proponiamo qui un estratto dell’ottavo capitolo dedicato ad un inquadramento della teoria della poesia]
Nell’affrontare la ‘teoria della poesia’, mi interrogherò anzitutto sulla sua genealogia plurale, identificando nella modernità alcuni modelli esemplari di teorie della poesia, distinguendo le funzioni che la ‘teoria’ può ricoprire al loro interno, e quindi mettendone a tema lo statuto riflessivo e critico (1). In secondo luogo analizzerò alcuni modi tipici di categorizzare la nozione di ‘poesia’ e gli impegni ontologici che essi comportano in diverse famiglie di teorie (2). A fronte della pluralità di tali approcci, caratterizzerò la poesia come una pratica trasformativa e agonistica, ma nondimeno universale, transgenerica e ibrida, e indicherò nella ripetibilità anaforica un aspetto focale di convergenza tra differenti teorie (3). Infine, cercherò di articolare i principali ambiti d’indagine delle teorie della poesia, delineando alcune traiettorie e linee di fuga dalla visione consolidata dei problemi (4).
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3. Il carattere agonistico e anaforico della poesia
Sulla base dell’analisi sino ad ora svolta caratterizzerò la poesia in termini agonistici quale pratica essenzialmente contestabile, ma nondimeno universale, transgenerica e ibrida, e individuerò nella ripetibilità anaforica l’aspetto focale verso cui possono convergere i diversi livelli d’analisi dei fenomeni poetici.
Una pratica essenzialmente contestabile. Tra le varie posizioni in campo non sembra esservi un accordo consolidato né sull’importo ontologico della nozione di poesia, né sul tipo di categorie con cui inquadrarla, né sulle proprietà, comunque intese, che la identificherebbero: che si tratti di proprietà musicali, ritmiche, affettive, pragmatiche, retoriche, sintattiche, psicologiche, cognitive o altro ancora (cfr. Mueller-Zettelmann e Rubik, 2005, p. 7). L’assenza di consenso non è di per sé un argomento conclusivo a favore dello scetticismo sulla poesia come genere o dell’impossibilità stessa di una teoria della poesia, né esclude che alcune posizioni possano essere giudicate migliori e preferibili rispetto ad altre. Ciò sta piuttosto ad indicare invece che non vi è una teoria unificata della poesia, e che in tal senso occorrerebbe piuttosto parlare in un senso plurale di teorie della poesia che hanno tra di loro somiglianze di famiglia o esemplificano tratti prototipici. Tale pluralità potrebbe essere del resto il segno che quello di poesia sia un ‘concetto essenzialmente contestato o contestabile’, per utilizzare la nozione introdotta da Gallie (1956) a proposito di alcuni concetti astratti, qualitativi e valutativi di tipo politico e sociale (ad esempio ‘giustizia sociale’, ‘filantropia’). Come per i concetti essenzialmente contestabili, vi è nel caso della poesia un diffuso consenso nell’uso pratico della nozione come una sorta di nozione archetipica, relativamente indeterminata, ma insieme un disaccordo sostanziale, destinato a dar luogo a dispute senza fine, tra differenti, ragionevoli interpretazioni del suo contenuto. In tal senso la nozione di poesia sarebbe intrinsecamente polisemica e conterrebbe un conflitto interno d’idee che rimane strutturalmente aperto a dispute, le quali esercitano una pressione trasformativa sullo stesso contenuto della nozione. La pluralità conflittuale delle teorie della poesia sarebbe così l’espressione del carattere agonistico e trasformativo della poesia stessa in quanto fascio plurale di pratiche.
La ‘teoria della poesia’ articolata da Bloom in L’angoscia dell’influenza (1973) catturava l’aspetto agonistico della poesia in termini psicanalitici, interpretandola come risposta aggressiva, da parte dei poeti ‘forti’, rispetto all’angoscia dell’influenza dei padri. Tuttavia, l’idea che la poesia, nel suo sviluppo sia concettuale che storico, sia leggibile come spazio di affermazione agonistica e trasformativa di libertà espressiva, può essere ricostruita anche indipendentemente dagli assunti freudiani di Bloom. La poesia si costituirebbe e si trasformerebbe, nella sua forma e nel suo contenuto, attraverso il processo tensivo di convergenza diacronica e sincronica tra un fascio plurale di pratiche, e nel rapporto dinamico tra testi altamente individualizzati, aspettative istituzionali di genere incorporate negli atteggiamenti sociali, ed effetti di dedifferenziazione indotti dall’azione di opere la cui forza espressiva si misura sulla capacità di disattendere le aspettative istituzionalizzate e creare nuovi orizzonti di attese.
L’attenzione alla dimensione agonistica e essenzialmente contestabile della poesia può essere espansa anche in un’ottica allargata ad una consapevolezza geopolitica, comparatistica e postcoloniale, attenta alle differenze linguistiche, storiche e culturali tra le differenti tradizioni e pratiche, ma insieme consapevole della circolazione globale della poesia attraverso rapporti egemonici e d’influenza – veicolati dal mercato librario e dagli scambi a livello di traduzioni – non solo tra differenti testi e generi letterari, ma anche tra diverse culture, e quindi a loro volta mediati da quel processo di astrazione e convergenza cui è legata la formazione di una teoria della poesia moderna e contemporanea. Proprio i limiti delle singole proposte che tentano di definire cosa sia la poesia a partire da un set definito di proprietà essenziali, grappoli di proprietà, concetti definitori o prototipici, può così essere una ragione aggiuntiva per guardare processualmente alla poesia nel suo carattere universale – che in prospettiva contemporanea potrebbe essere detto ‘globale’ e ‘transnazionale’ (cfr. Jackson e Prins, 2014, pp. 568-576; Zymner 2017; Ramazani, 2020); transgenerico – non riducibile ad un genere specifico ma circolante nella transizione intergenerica tra generi letterari; e ibrido – in quanto sottoposta a costanti processi di ibridazione transculturale in cui il contenuto e la forma stessa delle pratiche poetiche sono rinegoziati e trasformati.
Ricorsività anaforica. La pluralità tensiva e processuale delle teorie della poesia, dei loro modelli categoriali e presupposti ontologici, si lega anche al carattere duale dei fenomeni poetici, per cui essi possono essere indagati sia come strutture linguistiche e testuali sia come eventi e atti (cfr. Culler 1997, p. 101; Galaverni 2006, pp. 104-9); in prospettiva sia sincronica che diacronica e di lunga durata (Fortini 1990); come strutture formali ma insieme come progetti d’azione (Hanna 2003); quali forme discorsive ma anche come strutture cognitive precategoriali, dispositivi di senso incarnati e esperienze immersive (Burke e Troscianko 2017; Cortellessa 2006; Barbieri 2014). Spesso le teorie della poesia prendono in considerazione un solo lato – con una tendenza prevalente, nelle teorie del Novecento, a concentrarsi sulla dimensione sincronica, formale, linguistica – e procedono di qui ad enucleare proprietà esclusive cui tentano di ridurre il fenomeno complessivo. Ma la dimensione linguistica, d’evento e d’azione della poesia è invece un fenomeno a molteplici livelli, variabile, e complesso, che un approccio riduzionista non può che catturare parzialmente e anche distorcere.
Il riduzionismo diffuso è per certi versi dovuto al fatto che per lo più le teorie prese in esame tendono a categorizzare la poesia, dal punto di vista ontologico, come un oggetto (ideale, naturale, testuale, sociale, istituzionale). Pensare la poesia come una pratica (un fascio di pratiche) e un processo, un fare, piuttosto che come un oggetto dato o una sostanza con determinate proprietà (cfr. Dewey, trad. it. p. 215 ss.), significa invece guardarvi in forma non riduzionista come ad una serie di attività ricorrenti (gli habits of association di Wordsworth e Shelley), e di opere da esse risultanti. Tali attività e opere possono essere analizzate a diversi livelli linguistici (fonologici, grammaticali, sintattici, logici); formali (metrici, stilistici, semiotici); testuali (singolo componimento, raccolta, libro, appartenente a un corpus); ontologici (eventi che accadono singolarmente, ripetibili in un’esecuzione, individui che esemplificano generi universali, oggetti con proprietà fisiche, visive, spaziali); antropologici (connessi ad attività rituali, diffusi trasversalmente in una molteplicità di culture); retorici (rivolti ad un determinato uditorio, legati a certe forme di discorso persuasivo); pragmatici (aventi una dimensione d’uso e performativa, coinvolgendo forme d’oralità); cognitivi (implicanti meccanismi di integrazione, focalizzazione, selezione); sociali (diffusi in certi gruppi sociali, connessi a forme tipiche di attività e di distinzione); istituzionali (legati a certe convenzioni e regole costitutive); storici (risultando da certi processi sociali storicamente determinati, manifestando tratti epocali).
L’attenzione ai diversi livelli, alla variabilità e alla complessità della poesia in quanto legata insieme al linguaggio e alle strutture d’azione, permette forse meglio, rispetto a un approccio rigidamente definitorio e categoriale, concentrato di solito su un solo livello, di far emergere tratti focali verso i quali tendono a convergere diversi aspetti di tali pratiche, e che come tali esercitano una certa forza d’attrazione nei confronti delle stesse e delle teorie che vi si approssimano. Un aspetto focale riscontrabile su vari livelli riguarda la ricorsività anaforica connessa ai fenomeni poetici. E’ questo un aspetto che diverse teorie della poesia hanno afferrato in forma parziale e locale, connessa ad un solo livello o a un numero ridotto di essi, e che riguarda non solo il fatto che certi tratti siano di fatto ripetuti, ripresi, ma più centralmente che essi siano ripetibili, iterabili.
Le teoria della poesia che impiegano la nozione di “riuso” hanno in tal senso colto, a partire dal piano biologico evolutivo (Boyd 2009, Casadei 2018, Barenghi 2020), legato all’ipotesi che la mente sia evoluta per riconoscere pattern (Dewey 1934; Edelman 2006; Gottschall 2012), il ruolo centrale in letteratura di strutture di ripetizione in cui forme del passato vengono riprese e rifunzionalizzate a scopi di differenti. Ma è la ripetibilità, più che la ripetizione de facto, a svolgere un ruolo centrale: il fatto che la poesia, più che come un linguaggio individuato da una differenza specifica, possa essere intesa come attualizzazione di potenzialità di riuso del linguaggio naturale, che per un verso ha una dimensione antropologica connessa alla ricorsività del rituale; per altro verso può essere analizzata a livello retorico come discorso memorabile ripetibile a un uditorio sempre rinnovato, e dal punto di vista pragmatico quale atto di linguaggio sia iterabile che inaugurale (Culler 2015, p. 122). La concezione di Jakobson era a sua volta centrata, riprendendo il principio del parallelismo continuo di Hopkins (1855), sulla ripetizione come reiterazione regolare di unità equivalenti, a diversi livelli della forma poetica. Nella teoria della poesia di Frye, invece, i fenomeni della ripetizione erano inquadrati come pattern ritmici dominanti, che caratterizzerebbero la forma ritmica dei generi poetici. L’analisi metrica del linguaggio in poesia era legata già in Wordsworth all’idea che l’arrangiamento metrico riguardi la “copresenza di qualcosa di regolare” (1800, trad. it. mod. p. 275), introducendo nel linguaggio una serie di attese di ripetibilità cui la mente è stata abituata, e che possono essere soddisfatte o contrastate dal dispositivo testuale.
La ripetibilità contrassegna una vasta serie di fenomeni formali quali allitterazione, rima, refrain, ricorrenza di piedi, ritmi, versi, strofe, riprese lessicali e frasali quali anafora e epistrofe, e opera a diversi livelli di tipo sonoro, ritmico, visivo-spaziale, grammaticale, sintattico, semantico-lessicale. A livello psicologico-cognitivo diverse indagini di poetica cognitiva sono a loro volta centrate sulla presenza nella poesia di meccanismi cognitivi che operano forme di integrazione, selezione di pattern e focalizzazione ricorsiva (Boyd, 2012; Schaeffer 2010; cfr. Stockwell 2002). Mentre la stessa teoria della poesia di Bloom (1979) è centrata sul ruolo euristico di tropi poetici che sono insieme figurazioni discorsive ricorrenti e l’iterazione psichica di meccanismi psichici difensivi. Se ci spostiamo quindi a considerare la poesia come azione, essa già in quanto pratica sociale deve essere concepita come un tipo di attività ricorrente, che presenta certe configurazioni ripetibili. Ad una nozione di ripetibilità sono quindi legate quelle concezioni che impiegano le nozioni pragmatista di pratica, bourdieusiana di ‘habitus’ e foucaultiana di dispositivo, per rendere conto della poesia non solo come fatto linguistico e testuale ma anche come struttura d’azione e interazione che incorpora certi abiti d’associazione e attese sociali (cfr. Quintyin 2007; Hanna 2013). Lo stesso approccio istituzionale ai fatti poetici come opere o istituzioni rinvia al ruolo giocato in questo quadro dall’applicazione ricorsiva di convenzioni, regole costitutive (Searle 1995) o forme di riferimento esemplare (Goodman 1968, p. 63). Infine, la dimensione storica è analizzabile nei termini dei legami che si istituiscono tra gli aspetti ricorsivi della forma verbale dei testi e i cicli storici di grande ampiezza dei contesti, ove la lunga durata delle condizioni antropologiche, socio-economiche e storiche, è leggibile, come suggeriva Fortini (1990), quale corrispettivo extratestuale e diacronico della ricorsività sincronica dei fenomeni linguistici. Questo parallelismo tra aspetti testuali e contestuali può essere catturato da una nozione estesa di anafora (I. Testa 2018), intesa come struttura di ripresa di una pratica (dal greco anaphorá, ripetizione, ripresa, «ripresa», da aná, “indietro” o “di nuovo”, e phéro, “io porto”) che coglie l’aspetto sia discorsivo che prediscorsivo dell’iterazione, la sua struttura insieme retrospettiva e anticipatoria, volta all’indietro e in avanti, di ritorno e insieme innovazione, che come tale può essere utilizzata quale sineddoche della ripetibilità, cogliendo sinteticamente una serie di aspetti focali della poesia.
4. Ambiti e linee di fuga
Una volta considerata la genealogia moderna della teoria della poesia, la funzione e lo statuto che la nozione di ‘teoria’ vi ricopre, nonché il tipo di categoria di poesia impiegata e il suo importo ontologico, ci si può chiedere quali siano i principali ambiti problematici di cui la teoria della poesia può occuparsi. Per rispondere a questa domanda possiamo guardare al modo di procedere di alcuni esempi che abbiamo identificato come paradigmatici e fondativi per la teoria della poesia moderna. Nella Prefazione alle Ballate liriche, ad esempio, le tre domande fondamentali su cui la teoria della poesia s’interroga sono: chi è il poeta? Quale linguaggio usa? A chi si rivolge? Nella Difesa della poesia Shelley formula tre questioni principali: che cos’è la poesia? Chi sono i poeti? Quale effetto ha la poesia sulla società? Mentre Mill riduce le questioni a due: che cos’è la poesia? Chi è il poeta? La trattazione della poesia nell’Estetica di Hegel muove invece da un’analisi dell’arte poetica, in cui la domanda ‘che cos’è la poesia?’ non è affrontata in modo categoriale ma piuttosto nella caratterizzazione del rapporto dialettico tra poesia, prosa e soggetto poetante. Quindi si occupa dell’espressione poetica e dei suoi mezzi tecnici (la dizione poetica e le tecniche di versificazione). E infine indaga i generi poetici (epos, lirica, dramma).
Se proviamo a riportare queste diverse interrogazioni ad un’unica matrice, possiamo affermare che la teoria della poesia, nella sua forma più comprensiva, affronta cinque ordini principali d’interrogativi: 1) che cos’è la poesia; 2) chi è il poeta o soggetto poetante; 3) come deve essere inteso il rapporto poesia e società; 4) quali sono i mezzi tecnici della poesia; 5) quali sono i generi della poesia. La teoria della poesia, in tal senso, non sembra riducibile alla teoria dei generi poetici, che spesso ne ha preso le veci, ma è solo uno degli ambiti possibili in cui può svilupparsi, né può essere ridotta ad un’analisi delle tecniche espressive, dei mezzi linguistici e delle forme di composizione poetica, come invece accade negli approcci meramente formalistici. Ciascuno di questi interrogativi meriterebbe una trattazione dettagliata e autonoma e una ricostruzione delle diverse posizioni in gioco. In questa sede posso invece solo delineare alcune traiettorie che indicano percorsi possibili e linee di fuga dalla visione consolidata di tali problemi.
Che cos’è la poesia? Quanto alla domanda “che cos’è la poesia”, abbiamo visto che essa può essere formulata dall’interno della pratica poetica oppure dall’esterno, in forma più o meno oggettivante, con un approccio essenzialista basato su categorie definitorie oppure, più fruttuosamente, come forma di caratterizzazione esemplare del territorio della poesia e come analisi dialettica e prospettica delle sue pratiche. Tale domanda è stata spesso declinata nella forma della distinzione tra poesia e prosa, ove per quest’ultima si intendono sia altri generi discorsivi (la poesia, la storiografia, l’oratoria) sia altre forme di espressione letteraria (la narrazione, il romanzo) sia la prosa del mondo, vale a dire altre forme di pratiche sociali quotidiane. L’idea di Wordsworth che la distinzione tra poesia e prosa non sia di tipo “sostanziale’ (Wordsworth 1880, trad. it. p. 273), e che la distinzione tra ‘metro’ e ‘prosa’ sia invece più fondamentale, fornisce qui ancora un’intuizione feconda circa la natura pragmatica di tale distinzione, che sarebbe legata ad una pratica di selezione ritmica del discorso, di arrangiamento metrico (intesa in senso ampio e non legata ad una concezione metrica particolare né di per sé al verso). La poesia non sarebbe contrassegnato da un qualche principio metafisico o formale, ma piuttosto da certi abiti e pratiche di ordinamento selettivo del materiale verbale. A ciò fanno eco le parole di Hegel per cui la demarcazione tra poesia e prosa “si può tracciare solo con molta difficoltà ed in generale non può essere indicata con netta precisione” (Hegel, 1842-3, trad. it p. 1127): non ha cioè confini ben demarcati ma può essere determinata solo pragmaticamente e dialetticamente nella relazione contrastiva che la poesia di volta in volta istituisce con un certa manifestazione storica della prosa del mondo, vale a dire, nel suo rapporto tensivo con quell’insieme di modi d’espressioni abituali e attese sociali di cui sono intessuti linguaggio ordinario, il mondo della vita, e le pratiche metriche già consolidate.
La domanda su cosa sia la poesia può poi essere articolata anche come interrogazione del suo rapporto da un lato con l’attività concettuale, e dall’altro con la dimensione iconica delle arti plastiche e figurative e la dimensione sonora della musica. A questo proposito rimane illuminante l’idea, formulata da Seamus Heaney (1995, trad. it. pp. 7-10), che la poesia delinei uno spazio intermedio, che tiene assieme e negozia tra dimensione diverse e talvolta contraddittorie. Potremmo caratterizzare questo spazio come una zona intermedia tra figurazione sensibile e astrazione, che appartiene all’uno e all’altro campo senza risolversi in nessuno dei due lati, e delinea così una forma mobile di pensiero figurale.
La domanda su cosa sia la poesia investe poi, sin dall’indagine platonica e aristotelica, il suo rapporto con la filosofia, la scienza e l’attività conoscitiva. Ad essere qui in gioco, assieme all’egemonia sociale del sapere, rivendicata, all’origine dell’antica inimicizia, dal sapere filosofico a svantaggio di quello poetico, è la questione se la poesia, o almeno certe sue forme, possa o meno avanzare pretese conoscitive, e in caso affermativo, di che tipo di conoscenza si tratti, se di un istanza di un modello più generale di conoscenza o non piuttosto di una conoscenza sui generis. Ammesso dunque che di conoscenza si tratti, a partire dall’epoca romantica sembra emergere, anche se in forma frammentaria, l’idea che si tratti di una conoscenza di tipo non proposizionale e non essenzialmente descrittiva (Mill), veicolata anche da elementi non semantici (sonori, ritmici, metrici…), legata al ruolo dell’immaginazione (Shelley), e al carattere incorporato e cognitivo delle emozioni (Wordsworth, Mill, Shelley; cfr. Nussbaum 1990). Un modello che oggi può essere ricostruito con l’apporto congiunto della concezione fenomenologica e pragmatista dell’esperienza incarnata, e quindi degli studi sull’embodied cognition (Lakoff e Turner 1989; Burke e Troscianko 2017) e di poetica e stilistica cognitiva, che portano l’attenzione sulla presenza in poesia di un certo stile cognitivo (Schaeffer 2010, Casadei 2011, pp. 22-31) che connette metaforicamente ambiti diversi, e comporta sia meccanismi di integrazione, focalizzazione, selezione e segmentazione, sia meccanismi di decoerenza, straniamento e disattesa.
Chi è il poeta? Una seconda questione che la teoria della poesia si è posta riguarda chi sia il poeta o soggetto poetante. E’ importante qui notare che tale domanda non coincide con la questione del ‘soggetto’ o dell”Io’. Se guardiamo alla teoria romantica della poesia, ad esempio, possiamo notare che autori quali Wordsworth, Shelley e Mill non utilizzano la nozione di ‘soggetto’ per incorniciare tale questione, che formulano piuttosto nei termini di un’interrogazione da un lato sul ‘carattere’ del poeta e delle sue abitudini associative, dall’altro sulla posizione enunciativa del poeta, nell’atto di espressione o scrittura, nei confronti del suo uditorio e degli altri esseri umani.
Anche laddove, nell’Estetica di Hegel, la nozione di soggetto viene ad assumere un rilievo centrale, essa non coincide con l’io individuale e psicologico, ma sta ad indicare piuttosto una funzione di unificazione dell’esperienza che comporta processi di oggettivazione sociale e non implica di per sé manifestazioni psicologiche individuali. La stessa concezione espressivista della poesia quale manifestazione di stati affettivi interiori (Mill 1833), avente il suo principio nell'”interno soggettivo” (Hegel 1842-3, trad. it. 1074), vista da Leopardi quale “espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dell’uomo” (Leopardi, 1991, 4234-4235, 15 dicembre 1826), nasce da una rivalutazione del ruolo cognitivo dell’esperienza incarnata in prima persona e delle emozioni come “espressione appassionata [impassioned expression]” (Wordsworth 1800, p. 276), piuttosto che da una visione sostantiva dell’io come soggetto psicologico autocentrato e solitario. E’ pur vero che in una certa misura una concezione meramente soggettivista e psicologista dell’espressivismo sembra divenire egemonica in una certa fase della teoria della poesia moderna e contemporanea, finendo per generare una reazione oggettivista, un partito preso delle cose che ne ribalta gli assunti, e finisce per sfociare nella “morte del soggetto” strutturalista. E tuttavia la concezione espressivista, ad un’analisi più approfondita, sembra avere a che fare non solo con l’espressione dell’interiorità dei soggetti umani, ma anche con l’espressione di un’interiorità delle cose, degli oggetti inorganici o della natura vivente come potenziale soggetto non umano.
Ponge, con il dispositivo combinato de Le parti pris des choses (1942) e de La rage de l’expression (1952), dava corpo in tal senso ad una sorta di espressivismo oggettivo, una visione poetica centrata sulla tendenza all’espressione della natura, organica a inorganica, e sull’articolazione poetica in quanto volta a dare voce al mutismo delle cose, secondo una radicale forma di concretizzazione e oggettivazione lirica (cfr. Giovannetti 2016, p. 23). Anche Benn, pur teorizzando il carattere monologico della lirica quale arte dell’io, concepiva tuttavia quest’ultimo quale “io frammentario”, “a inferriata”, poroso, discontinuo e opaco, pronto a farsi attraversare da correnti oggettive sotterranee (1951, trad. it. p. 283), secondo una biologia e una geologia dell’io che lo manifesta quale “tardo stato d’animo della natura” (1930, trad. it. p. 39). Per altri versi lo stesso Abrams, il maggiore teorico dell’espressivismo soggettivo, osservava ne Lo specchio e la lampada che nell’espressione spontanea dell’io lirico è insieme all’opera qualcosa che rinvia alla produttività naturale e biologica e osservava che “la voce del poeta tende ad esprimere, in modo quasi inconsapevole, la voce della realtà vivente” (Abrams, 1956, trad. it. p. 53).
Occorre poi riconoscere che, almeno dagli anni cinquanta del Novecento, si fa strada in filosofia e in poesia, ad esempio in autori quali Caproni e Sereni, una visione dialogica e intersoggettiva che mette in discussione gli assunti della concezione autocentrica del soggetto individuale (cfr. E. Testa, 2006). Mentre d’altro lato la tematizzazione del nesso tra soggettivazione e assoggettamento ha consentito anche in poesia, se pensiamo ad opere emblematiche come Guerra di Buffoni (2005) e Citizen di Rankine (2014), l’esplorazione della dimensione differenziale, non neutrale della condizione di soggetto del poeta, e quindi della normatività sociale che ne struttura gli abiti sessuali, razziali e di genere, secondo modalità espressive che travalicano l’opposizione tra soggetto lirico e approccio documentario e oggettivista. Anche nelle forme più avvertire di arte figurativa (cfr. Bourriaud 2020) e poesia contemporanea, che riflettono sulle condizioni estetiche e sociali dell’antropocene e del terzo paesaggio (Clement 2004), nella “land poetry” del tardo Zanzotto (cfr. Cortellessa 2021, p. 45) e nei suoi Conglomerati (2009), o in opere più recenti quali Fast di Graham (2019), o Geografie di Anedda (2020), il clivage tra oggetto e soggetto viene a saltare a favore di una visione decentrata, che anziché far collassare il soggetto nell’oggettività, come voleva l’antiumanesimo, si allarga ad una relazione tra oggetti e soggetti di natura differente, oltre la scala umana. Qui il soggetto poetante, anziché essere rinviato autoreferenzialmente a se stesso, viene ad essere immerso in processi, assemblaggi e conglomerati che vanno al di là della sua individualità e che stabiliscono nuove forme di legami tra diversi ordini dell’essere, tra elementi animali e biografici, sociali e inorganici.
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[Immagine: Jaining Li, Walking on the Poem]