di Michele Cecchini

 

Divorziata io non l’ho mica ancora capito che vuol dire di preciso. Però è l’unica cosa che viene fuori nei discorsi sul suo conto tra le mamme. Altre notizie non ce ne sono, o poco importano: divorziata le inghiotte tutte.

Così, la prima volta che è apparsa, la maestra Corinna ha fatto a tutti una certa impressione.

Me la ricordo ancora, quella mattina di tre anni fa. 14 settembre 1978, giovedì. Primo giorno di scuola elementare. Il borbottare delle mamme sul piazzale fu azzerato da un borbottare più grosso: l’acciottolio della Renault 4 della maestra Corinna. Finalmente, anche se con un discreto ritardo, era arrivata.

Com’era fatta, una divorziata? Io pensavo fosse una cosa tipo mutilata, devastata, martoriata, invece a prima vista la maestra Corinna stava bene. Ma nonostante l’aspetto integro, un che di strambo ce l’aveva.

Intanto, portava i pantaloni. Ma non come quelli dei nostri babbi. I suoi erano jeans stretti in vita e nello scendere mollavano la presa fino a sbracare larghi larghi in fondo, tanto che le scarpe della maestra Corinna non le vedi mai e lei sembra svolazzare a qualche centimetro da terra.

 

La camicia bianca faceva vedere un po’ le poppe. La portava in parte rimboccata nei pantaloni e in parte no, come se la maestra Corinna avesse un gran daffare e non ci fosse tempo neanche per darsi un’aggiustata. La borsa, di lana a righe colorate, la teneva a tracolla. Ma la cosa più strana di tutte è che la maestra Corinna camminava con le mani in tasca.

Non appena ci sistemammo in classe, fece un gesto che, a distanza di tre anni, io me lo ricordo molto bene. Puntellò le mani sul lato corto della cattedra, spinse e… bruuuum!… la trascinò in un angolo della classe. La cattedra fu molto dispiaciuta di fare quella fine, almeno a giudicare dal cigolio straziante che durò fino al tonfo contro la parete.

Rimanemmo atterriti, ma lei non si rese conto e disse solo: “Questa non ci serve”. Ricordo bene quel ‘ci’, perché la maestra Corinna non diceva mai ‘io’ ma sempre ‘noi’.

Nello spazio lasciato vuoto dalla cattedra era rimasta solo la sedia nuda. La maestra Corinna la utilizza per sedersi volta volta accanto a noi e dirci le cose.

 

La cattedra invece pare un ripostiglio: sopra ci stanno la borsa, il giubbotto, qualche libro ma soprattutto le piantine e i fiori che le recapitiamo, raccogliendoli per i campi mentre veniamo a scuola. Lei è felice di riceverli, dice che sono segni di affetto e li mette nei barattoli di vetro che riempie d’acqua.

Le stranezze della maestra Corinna non finiscono certo qui. Dalla sua borsa colorata sbuca sempre un giornale che si chiama Paese Sera, perché non lo trovi la mattina come gli altri e poi parla solo del nostro posto.

Ha scelto un sussidiario strano, che le altre classi mica ce l’hanno. Spiega cose molto importanti, che sono le stesse di quel libro che stiamo leggendo, Marcovaldo: l’inquinamento, la città, la campagna, la vita insieme, il lavoro che fa la gente e con che diritto. Cose così. L’altro giorno alla solita domanda della mia mamma: “Che avete fatto oggi?”, ho risposto: “La diossina di Seveso”, e lei c’è rimasta secca.

Il mio compagno di banco Giuseppe, la maestra Corinna l’ha amata subito per una faccenda personale: la maestra Corinna infatti ha pregato la mamma di Giuseppe di smetterla di torturarlo con gli esercizi per correggergli lo scrivere con la mano sbagliata. Alla fine va bene così e tanto poi nessuno viene a controllare.

 

Un’altra nostra compagna, che si chiama Simona, è sordomuta. Anche alla mamma di Simona la maestra Corinna deve aver detto di non fare nulla e che va bene così. Infatti Simona è ganzissima, le vogliamo un gran bene e ci chiacchieriamo a modo nostro.

Il clima in classe devo ammettere che all’inizio è stato parecchio caotico. Noi ci siamo approfittati della libertà che la maestra Corinna ci ha concesso. Tipo per andare in bagno, lei dice che non occorre chiedere il permesso: basta controllare che non ci sia già qualcuno fuori, allora si può uscire e rientrare. Il fatto è che qualcuno di noi controlla, esce, però poi non lo rivedi più.

Ma ora in terza siamo diventati più bravi, perché ci siamo accorti che la maestra Corinna sarà anche divorziata, ma è speciale. Non dobbiamo deluderla. Invece l’abbiamo delusa spesso.

Il nostro compagno Umberto, il figliolo del droghiere, una volta è scappato dalla finestra per raggiungere il suo babbo in bottega. Ilaria e Matilde si sono prese per i capelli durante la lezione e ci son volute parecchie ciocche prima che si separassero. L’anno scorso, dopo un incontro con un’amica rom della maestra Corinna, abbiamo iniziato la battaglia delle gomme e delle palline di carta.

Ma la maestra Corinna non si è mai tirata indietro su questa cosa della fiducia e del farci passare da protagonisti, come dice lei.

 

Invece nelle altre classi, dove ci sono le maestre che la mia mamma dice vecchio stampo, non vola una mosca e tutti hanno una paura nera dei loro sguardi assassini, e c’è il rischio di finire da un momento all’altro dal Direttore.

Il Direttore è un uomo misterioso, punitore incallito che nessuno lo ha visto mai. Almeno fino all’altra settimana. E non c’entrano niente le pene corporali, ma il riscaldamento. Che da due giorni non funzionava. Così Umberto ha avuto l’idea. Il Direttore abita poco lontano dalla drogheria. Bastava scrivergli una lettera e lui l’avrebbe messa nella cassetta della posta. La maestra Corinna ha detto che era una buona idea e ci ha aiutato a scriverla.

La mattina dopo, eccoti il Direttore in classe. Me lo immaginavo tutto nero, con la faccia bianca e sporco di sangue. Invece è un ometto grassoccio, con due occhialoni grandi e un cappotto color marrone che non si è tolto, visto che faceva un freddo becco. Tempo qualche ora e i termosifoni sono ripartiti.

La maestra Corinna ha accolto il Direttore con la stessa gentilezza con cui accoglie Monsignore le volte che viene in classe a parlarci di Gesù e del suo amico San Giovanni Batterista. Eppure le nostre mamme dicono che la maestra Corinna alla sua figliola non le ha fatto fare neanche la comunione. Ed è un peccato rinunciare a tutti quei regali.

 

La maestra Corinna dice che la scuola è dappertutto e che l’aula è solo uno dei tanti posti per imparare. Infatti spesso ci porta a giro.

A me garba un monte quando andiamo a fare le esperienze. Tipo l’altro giorno in giardino abbiamo sotterrato diversi oggetti: una buccia di mela, una bic, un foglio di carta, una chiave, un nocciolo di pesca. Ognuno poi ha scritto su un foglio la previsione delle trasformazioni che troveremo quando fra qualche mese scaveremo in quel punto fissato sulla mappa.

A volte invece si va per i campi per le osservazioni: le cavallette, le spighe di grano, la corteccia della betulla, lo spaventapasseri. Dalle osservazioni si ricava in classe il componimento, che spiega per bene il perché e il percome.

Ma l’esperienza che mi garba più di tutte avviene una volta ogni due settimane: si parte a piedi da scuola per fare visita alla casa di uno dei compagni di classe, a turno.

 

Grazie a questa cosa non solo si fanno delle belle merende, ma vengo a sapere tante cose. Tipo che Saverio è un drago nell’aggeggiare con le lavatrici e i frigoriferi; o che Teresa suona il pianoforte e non si è vergognata per niente di suonarlo a tutti noi seduti per terra zitti zitti, lei che non se la sente mai di parlare. Ma la cosa più incredibile è successa a casa di Giorgio: abbiamo aperto una porticina del tinello e per uno strano prodigio ci siamo ritrovati dentro a un negozio di parrucchiera che sarebbe la sua mamma.

Ora devo andare. Stamani s’è concluso poco perché c’era la ionoforesi. Io non lo so perché ci tocchi camminare un quarto d’ora nell’atrio con un aggeggio puzzolente tra i denti, ma la maestra Corinna dice che fa bene e allora non ha senso fare storie.

 

Ma devo andare soprattutto perché è arrivata la lettera dell’indiano e c’è da rispondergli. È un amico sioux della maestra Corinna. Ogni tanto ci scrive raccontandoci della sua vita in prigione. La maestra Corinna dice che quella dell’indiano è una vitaccia, perché si trova nel braccio della morte. Forse la maestra Corinna ha paura di finirci anche lei, visto che non ha il polso. Così almeno dicono le maestre vecchio stampo. Probabilmente è per via delle maniche dei suoi maglioni, che sono troppo lunghe. Le arrivano fino ai polpastrelli, dove di solito spunta una penna. Le altre maestre invece le maniche le tengono belle rimboccate fino ai gomiti, per assestare una manata sulla cattedra così da avere ancora più silenzio.

Io alla nostra maestra senza il polso voglio bene e ogni volta che mi ritrovo le maniche in cima alle dita penso a lei.

 

[Un estratto di questo testo è apparso sul numero di gennaio 2022 della rivista «ReWriters Mag»].

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